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SIRCHIA HA RAGIONE: HA SBAGLIATO LA CURA di Livia Turco Le recenti dichiarazioni del ministro Girolamo Sirchia sul sistema sanitario nazionale che va a picco e sulla necessità di invertire un approccio economicista alla sanità sarebbero di grande interesse e ci troverebbero pronti a un confronto di merito se non fosse che esse risultano persino paradossali, essendo pronunciate da un ministro che, sulla base del suo operato, è privo di credibilità. L’economicismo che il ministro Sirchia denuncia è stato, infatti, il cuore della politica sanitaria e sociale del governo Berlusconi che ha incentrato la sua azione e la sua comunicazione pubblica sull’allarme dei conti in rosso nella sanità. Lo ha fatto procedendo con una azione a tenaglia: da
un lato sottostimando il fabbisogno del Fondo Sanitario Nazionale,
dall’altro, riducendo le risorse a esso dedicate. Al problema delle risorse si devono poi aggiungere gli effetti derivanti dalla mancata copertura delle piante organiche del personale. Tutto questo si traduce in meno servizi e più spesa per i cittadini. Che pagano di tasca propria molto di più della media dei cittadini europei. Pertanto, se il ministro Sirchia ha la volontà e la forza politica di rovesciare l’impostazione economicista del suo governo lo proponga in un dibattito parlamentare e troverà in noi interlocutori molto attenti e disponibili. Siamo infatti convinti che bisogna raccogliere la nuova domanda di salute presente tra i cittadini. Soprattutto tra le donne. Tale domanda contiene una nuova consapevolezza di sé e al contempo rivela una inquietudine sul presente e sul futuro. Percepisce che questo bene prezioso - la salute - troppe volte è affidato alle sole risorse e responsabilità individuali e rivela il timore dei cittadini di trovarsi soli di fronte agli imprevisti o alle durezze della vita quale è la malattia. Per questo una politica sanitaria e della salute deve partire dai bisogni di salute della popolazione, formulare «obiettivi di salute» che coinvolgano non solo gli specialisti ma tutta la comunità, saper misurare i risultati che ottiene, mettere al centro il concreto e quotidiano rapporto del cittadino con il servizio sanitario. Si avvertirebbe allora, che nel nostro paese, c’è un problema acuto di accesso ai servizi soprattutto nel Mezzogiorno. Si misurerebbe altresì quanto le condizioni di lavoro, di abitazione, di reddito e di istruzione incidono sulle condizioni di salute e sulla speranza di vita ed alimentano forti disuguaglianze. Si avrebbe la percezione di come, tante volte, i cittadini si trovano soli di fronte alla malattia. Ad esempio quando, terminata la fase acuta, il paziente viene dimesso dall’ospedale, ma ha ancora bisogno di periodi lunghi di cura e di assistenza e la famiglia si trova sola a dover fronteggiare questa responsabilità. Si coglierebbe inoltre quanto sia vissuto come vessatorio da parte dei cittadini dover attendere un tempo sproporzionato per interventi o accertamenti diagnostici urgenti e doversi districare in un labirinto di uffici, prenotazioni, certificati. Dunque, il servizio sanitario pubblico deve migliorare la sua qualità mettendo al centro della sua azione la globalità della persona. Deve «prendersi cura» della persona. Promozione dell’accesso ai servizi; riduzione dei tempi di attesa per le visite, gli accertamenti diagnostici e i controlli; diritto alla continuità assistenziale soprattutto di fronte all’aumento delle patologie invalidanti e delle malattie cronico degenerative connesse all’allungamento della vita; umanizzazione dell’assistenza ospedaliera; potenziamento della rete dei servizi per le persone non autosufficienti finanziate da un apposito fondo; potenziamento della rete dei servizi sociali attraverso l’applicazione della legge 328/2000; investimenti significativi nella ricerca e nella prevenzione: sono queste le priorità che intendiamo mettere al centro di un confronto ampio con i cittadini e con gli operatori per fare crescere nel nostro paese una forte mobilitazione sociale. Mettere il cittadino al centro del sistema significa promuovere la scelta della «appropriatezza» delle prestazioni quale paradigma fondamentale per la politica sanitaria e della salute. Appropriatezza vuol dire: dare ai cittadini ciò che serve davvero alla loro salute e non ciò che conviene alle case farmaceutiche o ciò che viene prescritto in ossequio ad una illusione consumistica e prestazionistica secondo cui la salute e l’efficacia sono date dalla quantità di farmaci e di accertamenti diagnostici. Questo comporta una grande assunzione di responsabilità nei confronti della salute da parte dei medici, dei decisori politici, dei soggetti sociali, dei cittadini. I quali devono imparare a vivere la salute non solo come «diritto» ma anche come «dovere» che appartiene ai loro stili di vita. La scelta della appropriatezza è anche l’unica che può garantire la sostenibilità economica del sistema. Qui vanno però garantite, in modo certo e trasparente, le risorse per finanziare i Livelli Essenziali di Assistenza. Per questo, signor ministro, l’attendiamo al varco del prossimo documento di programmazione economica e finanziaria e le chiediamo di smetterla con la politica degli annunci e degli spot e di adoperarsi seriamente per migliorare il sistema sanitario pubblico del nostro paese.
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