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Giovanni Maria Flick
La dignità nella Costituzione Italiana
Roma, Teatro Sacri Cuori di Gesù e Maria – mercoledì 26 maggio 2010
Riflettere sul valore della dignità umana - che, in certo qual modo,
riassume tutti gli altri valori contenuti nella Costituzione italiana -
è uno dei modi per prepararsi alla celebrazione dell’Unità; perché
all’affermazione della dignità (di ogni persona; non dei soli cittadini
italiani) affianca il principio della Repubblica «una e indivisibile»
(articolo 5). Si coglie così il legame profondo tra Risorgimento,
Resistenza, Liberazione, e la Costituzione che è il risultato di tutto
questo.
L’affermazione dell’articolo 5 è fondamentale per il nostro Paese.
Riaffermare in Costituzione il percorso unitario del nostro “farci
Nazione” ha rappresentato il riscatto dalla
deriva nazifascista, che per venti mesi aveva condotto alla
separazione di una parte dell’Italia. E ha posto un argine insuperabile
- lo ha ricordato qualche mese fa lo stesso Presidente della Repubblica
- per le tendenze separatiste in Sicilia e le spinte centrifughe
alimentate dalla sconfitta, nelle regioni di confine a Nord e a Est.
Tendenze
e spinte controbilanciate dalla saggezza istituzionale e politica dei
Padri costituenti, che seppero trovare un punto di equilibrio fra le
istanze unitarie e quelle di autonomia locale. In un primo momento la
dimensione regionale venne concretamente realizzata solo nelle regioni a
statuto speciale (nelle quali era urgente contrastare il separatismo più
spinto) rinviando a oltre 20 anni dopo l’attuazione del regionalismo
ordinario - pur previsto in Costituzione - rafforzato con le modifiche
costituzionali degli anni 2000 e tuttora oggetto di prospettive di
revisione.
Per tante
ragioni l’affermazione dell’unità è tuttora essenziale: afferma
l’identità e il ruolo dell’Italia nel processo di integrazione europea,
consentito (senza bisogno di modifiche costituzionali) dalla preveggenza
dell’articolo 11 della Costituzione, e oggi rafforzato dalle modifiche
all’articolo 117; consente di affrontare senza timori (ma con prudenza e
con un punto fermo, insuperabile) l’evoluzione dell’autonomia prevista
dagli articoli 118 e 119, di cui è un esempio importantissimo il
cosiddetto “federalismo fiscale”, ora in corso di elaborazione. Una
riforma che riporta in primo piano la divaricazione e lo squilibrio fra
Nord e Sud, il «più grave dei motivi di divisione e di debolezza che
hanno insidiato e insidiano la nostra unità nazionale» (per dirla ancora
con le parole del presidente Napolitano), ma anche il tema della
solidarietà, altro valore costituzionale fondamentale, come la pari
dignità sociale - oggetto del nostro incontro - di cui la solidarietà è
condizione e strumento insostituibile.
*
Un
dibattito politico appassionato e di altissimo livello, fra tre grandi
correnti politiche e ideali, di ispirazione cattolico-democratica,
social-comunista e liberal-democratica, diede vita al “compromesso
elevato” della Costituzione, realizzato tra il 2 giugno 1946 e il 31
dicembre 1947 dall’Assemblea Costituente. Quelle stesse forze politiche
avevano dato corpo alla lotta contro il nazifascismo, dopo l’armistizio
dell’Italia con le potenze alleate nel 1943, al termine di una guerra
voluta e perduta.
La
Costituzione significa il rifiuto di ciò che il fascismo aveva
incarnato: la compressione delle libertà civili e politiche e del
pluralismo politico, il totalitarismo di Stato, il bellicismo, il
razzismo; ed è espressione del “patriottismo condiviso” nato dalla
Resistenza e dalla lotta per la liberazione dal nazifascismo. La
premessa e la prima parte contengono i princìpi fondamentali e i diritti
e doveri dei cittadini: un impegno comune, nonostante le differenze
politiche, ideologiche e culturali nell’interno dell’Assemblea
costituente.
I
princìpi democratico, lavorista, personalista, pluralista, di
solidarietà, di uguaglianza e pari dignità sociale, di laicità e
pacifista - sui quali si fonda la nostra Costituzione e nei quali si
radicano i diritti e i doveri che essa prevede e riconosce - sono
patrimonio di tutti, ed esprimono l’essenza della condizione umana.
Princìpi profondamente attuali, anche di fronte alle contraddizioni e
alle inquietudini originate dalla globalizzazione. Il tempo non ha
indebolito il significato della prima parte della Costituzione. Anche
perché le previsioni costituzionali sono così ampie e ben scritte, da
includere valori nuovi, impensabili al momento della sua adozione (come
la privacy, l’ambiente,
l’adesione alla prospettiva sovranazionale europea e il riconoscimento
della concorrenza e del mercato). L’esasperazione della dimensione
economica e del mercato, caratteristica della globalizzazione,
giustifica ampiamente l’ottica “sociale” di tutela della persona e del
lavoro, propria della nostra Costituzione (basti pensare allo scandalo
attuale e ricorrente delle morti sul lavoro e del “lavoro nero”, o alla
disoccupazione).
Le poche
rughe che la Costituzione ha mostrato si trovano nella seconda parte,
che riguarda l’ordinamento della Repubblica, il funzionamento delle
istituzioni e i rapporti tra loro. Ogni dibattito sulle opportune e
necessarie revisioni di questa parte deve trovare il suo fondamento
nella consapevolezza che la Costituzione la lega strettamente alla prima
e ai princìpi fondamentali. L’organizzazione dei pubblici poteri non è
infatti estranea ai diritti fondamentali, attuati e garantiti nella
prima parte. Per questo è bene che ogni modifica del patto
costituzionale sia frutto di un accordo ampio, che superi le
contrapposizioni politiche; perché la Costituzione non può essere
modificata a colpi di maggioranza.
A queste
condizioni, io credo che alla nostra Costituzione si possa guardare non
solo con gratitudine, per i sessant’anni di libertà, democrazia e
progresso che il nostro Paese ha potuto trascorrere anche grazie ad
essa; ma altresì con speranza e fiducia, come progetto almeno per i
prossimi sessant’anni.
*
La pari
dignità sociale, nell’articolo 3 della Costituzione, salda fra loro
l’eguaglianza formale (di fronte alla legge) e la parità sostanziale;
riassume i princìpi contenuti nella “tavola di valori” della nostra
convivenza, attualissima nonostante il tempo decorso; manifesta il
legame inscindibile fra quei princìpi.
La
dignità - al di la dei tanti significati che può assumere; alcuni dei
quali non privi di astrattezza e ambiguità - è un ponte per superare
contraddizioni, lacune, difficoltà della condizione umana. Esprime
tensione ideale e grandi potenzialità; ha la capacità di riconoscere le
esperienze del passato, senza deludere le aspettative del presente e del
futuro.
Veniamo
da un passato nel quale il riconoscimento e la tutela dei diritti umani
erano affidati agli Stati nazionali. Eppure le violazioni di quei
diritti sono state reiterate, macroscopiche e devastanti, fino a
culminare nella seconda guerra mondiale: le armi di distruzione di
massa; il coinvolgimento generalizzato dei civili; soprattutto, la
shoah.
Per
questo, da quel “crogiolo ardente” (come lo definì uno dei padri
costituenti, Giuseppe Dossetti) nacquero l’internazionalizzazione del
diritto costituzionale, il riconoscimento della persona sulla scena
internazionale, la tutela giudiziaria sovranazionale dei diritti umani,
l’ingerenza umanitaria. Soprattutto, nacque l’esigenza di affermare la
dignità della persona, nelle dichiarazioni sovranazionali e nelle
costituzioni nazionali.
Viviamo
un presente nel quale l’aggressione alla dignità umana - sotto forme
nuove, ma sempre uguali - è incombente. Basta guardare alla crisi
globale, ai suoi effetti sui livelli di povertà, individuali e
collettivi, e sul diritto-dovere al lavoro, premessa della dignità
secondo la nostra Costituzione. Basta guardare ai crescenti assalti
all’Europa, “fortezza del benessere”, da parte di una immigrazione di
massa in fuga dalla fame, la sete, la guerra. Nel Mediterraneo, al di là
dei discorsi sulle forme e i limiti in cui si esercita il diritto degli
Stati al respingimento e alla tutela della sicurezza, rischia di
naufragare - con i migranti, le loro speranze e la loro dignità - anche
la tradizione europea di accoglienza e sensibilità per i diritti umani.
Andiamo
verso un futuro di insidie per la dignità, non meno preoccupanti di
quelle tradizionali e sempre presenti, come il razzismo e
l’intolleranza; penso agli abusi nella gestione delle informazioni
sensibili, e agli eccessi della tecnologia medica. Il terrorismo globale
- massima espressione del disprezzo per i diritti umani - minaccia di
essere sempre più coinvolgente e fanatico; ma, in nome della sicurezza e
del contrasto al terrorismo, anche la soglia di rispetto dei diritti
fondamentali della persona si abbassa sempre più.
Leggere
il passato, il presente e il futuro attraverso le lenti della dignità,
regala margini di speranza, perché consente di coglierne la perenne
attualità e la stabilità del suo nucleo fondamentale; ma anche di
riflettere sulla moltiplicazione degli ambiti in cui ne viene richiamato
il rispetto; di trarre, dalla lezione della storia, indicazioni per
affrontare le nuove istanze. La dignità contiene l’essenza della
condizione umana, la sua immutabilità; ma altresì il suo realizzarsi in
una continua evoluzione, il doversi confrontare con sempre nuove
possibilità di offesa ed esigenze di tutela.
*
La
Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (di cui abbiamo celebrato
il sessantesimo anniversario due anni fa, insieme a quello della
Costituzione italiana) ci ricorda che «tutti gli esseri umani nascono
eguali in dignità e diritti», e come tali hanno diritto e dovere al
rispetto reciproco. All’uguaglianza si affiancano immediatamente le
differenze oggettive e ineliminabili di cui ciascuno è portatore. Queste
ultime contribuiscono a formare la sua identità; sono fonte di
arricchimento e di stimolo; esprimono il pluralismo e il personalismo:
valori non meno importanti dell’eguaglianza.
L’apparente contraddizione tra eguaglianza e diversità si risolve
appunto nell’affermazione e nel riconoscimento della pari dignità: le
differenze non possono rappresentare ostacoli insuperabili, ovvero
giustificare condizioni di inferiorità, sopraffazione, discriminazione.
Gli ostacoli vanno affrontati e rimossi dalla
Repubblica (cioè da tutti
noi, non solo dalle istituzioni), per consentire la libertà e
l’eguaglianza di ciascuno (non solo dei
cittadini: delle
persone) e il pieno sviluppo
della persona umana: per realizzare, appunto, la pari dignità sociale.
In tal
modo la dignità fa giustizia della pretesa - troppo frequente - di
utilizzarla come pretesto per imporre comportamenti e conformismi
generalizzati; o per non rispettare il diritto di ciascuno alla
diversità e al dissenso, in ultima analisi alla sua identità e libertà.
Sempre che, beninteso, la libertà si esprima nel rispetto dell’altrui
dignità e dei “valori condivisi” (quelli affermati dalla Costituzione),
posti a presidio della civile convivenza.
La
stretta connessione fra gli articoli 2 e 3 della Costituzione evidenzia
un ulteriore aspetto della pari dignità: l’essere un ponte fra i diritti
inviolabili e i doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e
sociale. L’azione di contrasto agli ostacoli che impediscono la
concretezza e l’effettività della pari dignità sociale, si realizza solo
mobilitando il valore costituzionale della solidarietà, altrettanto
essenziale. Assieme alla reciprocità fra diritti e doveri, la
solidarietà esprime il bisogno di coesione nella comunità, che trova
soddisfazione nell’apporto reciproco, nella socialità, nella
solidarietà.
Infine,
la pari dignità lega i molteplici diritti umani e rappresenta il
parametro per attribuire contenuto specifico e concreto a ciascuno di
tali diritti. In questo modo va interpretata e attuata la Costituzione
italiana. In modo ancor più esplicito - per evidenti ragioni di storia e
coscienza collettiva, dopo la
shoah - la Costituzione tedesca e la Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione Europea pongono la dignità umana in apertura, come valore
generale e premessa di tutti i diritti.
La Costituzione italiana pone la dignità come indice di concretezza
dell’eguaglianza (affinché non resti soltanto formale); la richiama
esplicitamente come parametro della retribuzione e come limite alla
libertà di iniziativa economica; lo fa in modo implicito a proposito
della libertà personale, della responsabilità penale, del diritto
all’autodeterminazione sanitaria (per citare alcuni tra i riferimenti
più importanti).
Il
diverso approccio costituzionale alla dignità, non si traduce in una
diversa gerarchia di apprezzamento. Anche nella Costituzione italiana la
dignità esprime la saldatura fra eguaglianza, libertà e solidarietà;
riassume e concretizza gli altri valori costituzionali e coglie il
legame fra i diritti fondamentali, sottolineandone l’universalità,
l’indivisibilità, l’effettività.
Quanto
all’universalità, la pari
dignità esprime la necessità che quei diritti siano riferibili a
ciascuna persona, per la comune condizione umana e non per il possesso
della cittadinanza; e che
siano condivisi da tutti, nonostante la ben nota difficoltà di
individuarne il livello di condivisione, e soprattutto di assicurarne il
mantenimento. Questo prescinde dalle peculiarità (e dalle identità)
locali, culturali, politiche, ideologiche, religiose, sociali, etniche,
di cui sia portatore ciascun singolo, gruppo, comunità. Lungo la storia,
e non di rado ancor oggi, una malintesa affermazione di tali peculiarità
ha voluto scorgere nei diritti fondamentali un coefficiente di
separazione e sopraffazione, anziché di unità.
Quanto
all’indivisibilità, la pari
dignità esprime la necessità - per lo sviluppo della personalità di
ciascuno - di non introdurre separazioni arbitrarie fra diritti civili e
politici, sociali, economici, come testimonia l’articolo 2 della
Costituzione con il richiamo alla solidarietà politica, economica e
sociale. Restano fermi, ovviamente, i diversi spazi di riconoscimento,
ampiezza e tutela di quei diritti, al di sopra di una soglia minima e
incomprimibile, individuata appunto dalla pari dignità.
L’effettività
reclama l’attuazione, la garanzia, la giustiziabilità dei diritti
fondamentali, al di là della loro proclamazione. La prima condizione per
raggiungere un simile risultato e quindi la pari dignità -
particolarmente in tema di diritti sociali - è rappresentata dalla
solidarietà.
*
L’impegno
ad attuare i diritti fondamentali non riguarda soltanto la dimensione
statale e sovranazionale, come finora è avvenuto: deve coinvolgere
anche, e prima ancora, la dimensione locale. L’effettività dei diritti -
di fronte alle innumerevoli situazioni di “minorità” e di povertà - deve
fare i conti soprattutto con il territorio, quindi con il principio di
prossimità, che a sua volta si realizza nella cosiddetta sussidiarietà
orizzontale.
La pari
dignità sociale, insomma, si ricollega esplicitamente alla sussidiarietà
orizzontale (quella della società civile e del c.d. terzo settore),
ribadita - non introdotta ex novo
- dall’art.118 della Costituzione riformato nel 2001, dov’è collocata a
fianco della sussidiarietà verticale (quella istituzionale).
Riflettere, in tempo di crisi, sulla
pari dignità è un’occasione per reagire e per superare le paure che ci
turbano: ad esempio, per tenerne conto al momento di definire nuovi
modelli e regole di comportamento - guardando anche al privato-sociale e
all’impresa sociale - nel rapporto tra imprese e consumatori, tra
finanza e investitori, tra credito e risparmio. È un’occasione per
superare le contrapposizioni tra Stato e mercato, tra pubblico e
privato, che hanno “giustificato” lacune e dimenticanze di ciascuno di
questi mondi in tema di diritti fondamentali. È, infine, un’occasione
per rafforzare gli spazi di intervento sul territorio, utilizzando come
una leva il mix di sussidiarietà orizzontale e verticale. Il
coinvolgimento del territorio nell’attuazione dei diritti è il modo
migliore per radicarli, perché vengano assimilati anche sul piano
culturale e del consenso sociale, anziché essere percepiti come forme di
assistenzialismo o, peggio, come sprechi da sottoporre a tagli e
riduzioni. Alla lunga: anche in tema di diritti, l’impegno e il
controllo (da parte) del territorio accrescono la sicurezza. Perfino i
meno sensibili alle questioni dei diritti umani dovrebbero trarne buone
ragioni per investire sulla dignità.
*
Abbiamo
parlato di dignità prendendo le mosse dal ricordo di una tra le prime e
più significative tappe dell’Unità italiana. Il 25 aprile abbiamo
ricordato la Liberazione nata dalla Resistenza, con cui l’Italia è stata
riunificata e da cui è sorta la Costituzione. Il 2 giugno ricorderemo la
Costituzione, di cui due anni fa abbiamo celebrato il sessantesimo
anniversario, e la Repubblica nata dal referendum popolare del 2 giugno
1946, lo stesso giorno in cui fu eletta anche l’Assemblea costituente
che avrebbe scritto la Costituzione. E ci prepariamo a celebrare il 150°
anniversario dell’Unità di Italia, dal quale ho iniziato queste
riflessioni.
Qualcuno
dirà che abbiamo troppe memorie, e troppe occasioni di celebrazione
retorica. Forse: ma dobbiamo sempre ricordare che dal Risorgimento sono
nate l’unità e l’individualità d’Italia; dalla Resistenza al fascismo
sono venute la libertà e la riunificazione del popolo italiano; dalla
libertà e dall’unità è sorta la Repubblica e si è alimentata la
democrazia; alla Costituzione democratica e antifascista è stata
affidata la proclamazione di questo principio; su questo principio la
Costituzione fonda i suoi valori fondamentali, fra cui l’eguaglianza, la
dignità e la solidarietà, l’affermazione dei diritti e dei doveri.
Troppe
memorie? Sta a noi fare di esse un’unica memoria condivisa, e non
sprecarla: anche perché dovremmo almeno imparare, da quella memoria, che
senza solidarietà non ci possono essere né eguaglianza, né dignità; ma
senza unità e senza coesione non ci può essere solidarietà. |
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