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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

Fausto Giancaterina

 

Disabilità:

Progetti e realizzazioni  del  “dopo di noi”

 

Roma Gennaio 2004

 

Premessa

I cambiamenti. Tutti ormai sappiamo che sono in atto cambiamenti istituzionali, gestionali e sociali che richiedono la nostra partecipazione attenta e la nostra azione di ricerca  per riorganizzarsi, assumere nuovo ruoli, inventare nuove soluzioni:

·                riforma della Costituzione;

·                legge 328/00 e piani dei servizi sociali;

·                progressiva affermazione del principio di sussidiarietà;

·                nuova autonomia legislativa regionale;

·                Decreto Legislativo 229/99 e integrazione sociosanitaria;

·                riduzione delle risorse e nuova distribuzione della spesa sociosanitaria tra Comuni e ASL;

·                nuovo rapporto con il terzo e quarto settore;

·                gestione dei servizi e accreditamento sociale.

 

Dal welfare state al welfare society

Da diversi anni in Italia sono in atto processi di cambiamento del welfare state che stanno modificando anche il sistema e l’assetto dei servizi sociali.

 In particolare, nell’ambito dei servizi di aiuto alla persona il processo di cambiamento è istituzionale e gestionale e può essere sinteticamente riassunto nelle seguenti formule chiave: decentramento decisionale; diffusione del pluralismo gestionale; localizzazione dei servizi il più possibile vicini alle comunità; ruolo attivo dei cittadini/utenti; partecipazione alla definizione, progettazione e valutazione dei servizi da parte dei soggetti del terzo settore.

Si parla sempre più di welfare mix o di  welfare municipale oppure  di welfare society, a seconda se si intenda riferirsi al sistema delle politiche sociali complessivamente attuato in un territorio o se si intenda evidenziare il modello gestionale dei servizi. Il decentramento del sistema dei servizi sociali e sanitari ha accelerato la deistituzionalizzazione (dai servizi istituzionalizzati a quelli comunitari) e ha orientato il sistema decisionale non più guidato dalle risorse disponibili, ma dai bisogni effettivamente rilevati; non più localizzato in un unico polo centralizzato e uguale, ma diffuso in diversi poli che si avvalgono anche dell’ingresso nella gestione di sistemi di produzione misti, attenti a cogliere possibili sinergie dai classici sistemi di mercato per verificare possibili “contaminazioni” utili per rendere più efficiente la gestione e una offerta plurima di   servizi, dando in tal modo anche possibilità di scelta da parte dell’utente, senza per questo trasformarlo, tout court, da utente a consumatore.

Questo processo innovativo non solo sta modificando gli assetti organizzativi, ma ha anche fatto emergere nuove attenzioni verso valori e relazioni tenuti finora in secondo piano: nuovi rapporti tra welfare pubblico e società civile; maggiore attenzione alla negoziazione tra utenti, professionisti ed istituzioni; nuovi modi di lavorare da parte degli operatori sociali (management); separazione tra chi valuta e acquista i servizi e chi li eroga.

La stessa relazione di aiuto subisce un processo di revisione, poiché non può essere più considerata lineare e risolutiva attraverso il solo rapporto duale operatore/utente, soprattutto ora che  “la relazione duale – pur non essendo scomparsa - la si vede risucchiata in un flusso più ampio e molteplici disordinati influssi (input) entrano in gioco da tutte le parti”1.

Cambiano i rapporti di potere tra gli amministratori e le rappresentanze degli utenti. Cambiano i rapporti tra operatore ed utente: quest’ultimo viene sempre più riconosciuto come coproduttore del processo di aiuto. Cambiano le relazioni con il contesto sociale che diventano sempre più un intreccio di “reti di fronteggiamento“, espressione sia dei mondi vitali quali l’utente stesso, i familiari, i parenti, gli amici, il vicinato, i volontari e sia del sistema formale di servizi rappresentato dal case manager, dagli operatori professionali sociali pubblici e di terzo settore, dagli operatori sanitari, ecc..

 Questa pluralizzazione degli intrecci di azioni e di attori determina una duplice prospettiva del lavoro sociale professionale: a) il “lavoro della rete”, vale a dire il lavoro che persone ed operatori, in collegamento tra loro, svolgono in vista di un obiettivo; b) il “lavoro di rete”, lavoro di supporto alle reti informali di fronteggiamento, un “lavoro che si aggancia relazionalmente ad un altro lavoro, al lavoro di altri soggetti …è un lavoro intenzionale (finalizzato) di investimento di energia rivolto verso una rete di fronteggiamento pre-esistente (al limite anche potenziale), affinché essa possa agire meglio sul piano della  reticolazione (della quantità, dell’efficacia e della pariteticità delle interazioni) e possa esprimere una migliore capacità di azione comune rispetto al compito (task)”2.

Sarebbe interessante poter aprire un confronto serrato su ognuno dei temi appena accennati, poiché diventa sempre più necessario per gli operatori disporre di una prospettiva di lavoro condiviso nella quotidiana attività lavorativa che si presenta sempre più complessa e sempre più strattonata da una molteplicità di punti di vista.

Sarebbe inoltre opportuno poter affrontare il tema del ben-essere degli operatori,  vista la forte implicazione che tale dimensione ha nella relazione di aiuto, e che certamente condiziona la ricerca di “senso” del loro lavoro e di quello del gruppo professionale del quale fanno parte.

La sfida che si presenta è saper ragionare a più dimensioni per poter essere  nel contempo soggetti attivi di cambiamento verso un welfare mix societario3, fautori e sostenitori di nuove partnership, costruttori di nuove regole, attenti programmatori (che non sottovalutano gli aspetti economici) e soprattutto decisivi sostenitori del diritto di cittadinanza dei soggetti socialmente deboli, per favorire l’esigibilità dei diritti e non solo la loro retorica declaratoria legislativa. Di qui la necessità, per gli operatori, (ma non solo!) di potersi “attrezzare” attraverso momenti di formazione e di supervisione e poter comprendere e gestire  tutta la ricchezza di un lavoro che, oltre alla presenza di una pluralità di soggetti, è attraversato da culture e saperi professionali a volte alquanto distanti e deve misurarsi con processi e interazioni difficili e complessi.

Inoltre “l’impegno  del “settore privato” nel campo delle prestazioni inerenti i diritti sociali non si è risolta in un auspicio di “apertura al mercato” dei servizi sociali, quanto piuttosto nella valorizzazione del ruolo delle formazioni sociali nella costruzione di dinamiche solidaristiche e distributive, cui si è accompagnata una nuova riflessione sul rapporto pubblico/privato nelle prestazioni inerenti i diritti sociali delineato nella Costituzione”4.

 

 

Sostegno alla famiglia

La famiglia è la più grande istituzione assistenziale italiana.

Normalmente è  l’ambito in cui si manifesta la situazione di bisogno e contemporaneamente è il primo ambiente in cui viene organizzata una risposta al problema.

Di fronte ad ogni situazione di difficoltà, la famiglia nei suoi vari componenti attiva risorse interne ed esterne per essere in grado di fronteggiarla ed eventualmente risolverla.

Quando in una famiglia nasce un bambino con ritardo mentale, o con  deficit  motorio, o sensoriale, o con  malformazioni o patologie congenite, o si verifica una condizione personale di forte non autosufficienza, viene sconvolto ogni equilibrio  familiare e le  nuove difficoltà  richiedono un investimento di energie per far fronte alla situazione.

Questa famiglia ha bisogno di sostegno per affrontare nel modo migliore tali difficoltà aggiuntive.

Inoltre con l'affermarsi della cultura dell'integrazione e del rifiuto di soluzioni istituzionalizzanti, sempre più persone con disabilità risiedono in famiglia. E sempre più persone adulte con disabilità di tipo motorio o sensoriale decidono di vivere autonomamente la propria vita, affrontando grossi problemi nella sfera della mobilità, del luogo di lavoro e nella piena realizzazione di una vita di relazioni sociali. Per questo motivo molte famiglie ricoprono  il ruolo di erogatori di servizi di assistenza, facendo risparmiare alla comunità con questa assistenza naturale una notevole quantità  di risorse  economiche.

 

L’incertezza del dopo...

C’è poi un particolare problema, a volte non del tutto evidente e palpabile, che nel tempo rende difficile il dialogo  tra famiglie e servizi: è l'incertezza del dopo...: dopo la nascita di un bambino disabile..., dopo quel trattamento riabilitativo..., dopo la scuola..., dopo la formazione... dopo la morte dei genitori.…

Il non poter avere una ragionevole sicurezza circa le varie tappe esistenziali che il proprio figlio dovrà affrontare  spesso determina nei genitori sfiducia, distacco e ansia.

Le famiglie - come pure le singole persone con disabilità -  sostengono, quindi, un carico sociale e personale rilevantissimo,  vivendo una lunga serie di problemi, di stress aggiuntivi, di bisogni gravissimi; ma a volte riescono anche ad attivare una gamma vastissima di forze e di risorse impensate.

 

L’intervento di aiuto

Il lavoro prezioso che la famiglia svolge deve essere sostenuto da una rete di servizi di assistenza sociosanitaria nelle sue diverse articolazioni.

Occorre dare serenità e alcune certezze che in prospettiva siano soluzioni condivise e partecipate e poter avere una ragionevole sicurezza circa le varie tappe esistenziali che il proprio figlio dovrà affrontare.

Un servizio amico deve garantire degli interventi che riguardano l’integrazione delle persone disabili in tutti i livelli della vita sociale, ponendosi i seguenti obiettivi:

·       garantire ai cittadini disabili pari opportunità nei percorsi di vita, offrendo reali soluzioni che siano attente alla globalità dei loro bisogni;

·        rispettare l’unitarietà della persona, realizzando programmi non settoriali e parcellari, ma fortemente integrati (sanitari, sociosanitari e sociali);

·        offrire itinerari certi di integrazione, garantendo la presa in carico esercitata attraverso programmi individuali condivisi che permettano di definire di volta in volta quali sostegni attivare nelle diverse tappe di integrazione;

·       Porre attenzione al fatto che per ogni progetto personale non attuato, oltre a negare alla persona l’opportunità di avere una migliore qualità delle vita, si moltiplica notevolmente il costo assistenziale della famiglia e della collettività.

L'intervento allora deve tendere a creare le condizioni necessarie per sorreggere il dialogo della persona con il suo contesto esistenziale, affinché ci sia comunicabilità, corretto rapporto, aumento di possibilità di benessere dell'una e dell'altro.

Tale azione si concretizza nel diritto/dovere di partecipazione dell'utente e della famiglia alla formulazione del progetto individuale, perché sia un progetto condiviso e per il quale sia possibile una verifica periodica congiunta.

Un rapporto sistematico con l’utenza richiede alta sensibilità e senso di disponibilità che deve avere come obiettivo quello di portare gli utenti alla  percezione del servizio come servizio amico che è disponibile a scambiare periodicamente  informazioni, ad accogliere suggerimenti e cambiamenti e che collabora alla presa di coscienza di gruppo, per sviluppare, oltre a dinamiche positive, anche possibilità di self-help, di ricerca concordata di soluzioni comuni a problemi comuni.

 

 

 

Negatività nella separazione tra sociosanitario e socioassistenziale.

La continua riflessione sull’esperienza di ormai sette anni di conduzione di strutture residenziali per disabili, ci porta a considerazioni del tutto negative quando si incontrano  progetti residenziali basati sulla separazione tra strutture socioassistenziali e strutture sociosanitarie.

Credo che ci debba essere una differenziazione sulla base dei livelli di intensità assistenziale e sulla conseguente diversa complessità organizzativa.

Tale distinzione, occorre ribadirlo, è da considerare come chiara identificazione delle capacità di risposta delle diverse strutture per aiutare l’utenza e i servizi a orientare le scelte di ingresso sulla base dei  bisogni (autosufficienza, autonomia e partecipazione sociale come di seguito meglio specificato) che la struttura è in grado realmente di soddisfare.

Naturalmente stiamo parlando di diversificazione al momento dell’accoglienza senza per questo voler assecondare una eccessiva e rigida specializzazione che potrebbe portare a ulteriori emarginazioni in base alla gravità personale e quindi ad esporre gli ospiti ad un doversi “spostare” - con il mutare delle condizioni personali - da una struttura all’altra (dato e non concesso che, stante la povertà di offerta, nonché la rigidità e la esiguità della stessa nell’attuale sistema, tale operazione possa essere praticamente disponibile).

Questa considerazione ci porta a ribadire che uno degli ostacoli maggiori che in questi anni ha reso difficile, e a volte impossibile, dare risposte adeguate ai disabili che hanno bisogno di questo servizio è la non disponibilità di un servizio unico che offra un sistema  diversificato di risposte.

Un sistema che deve rispondere a criteri di molteplicità e diversità di tipologie, collocandosi, in tal senso, in un continuum che vada da strutture che offrono programmi di bassa intensità sanitaria e prevalente assistenza socio-educativa fino a strutture in grado di offrire programmi ad alta intensità di assistenza sanitaria e sociosanitaria.

A mio parere la produzione di una normativa separata non facilita l’integrazione, ma accresce la separazione tra sociale e sanitario e crea non pochi problemi nella esigibilità dei diritti e nella definizione, gestione e qualità dei servizi.

L’integrazione sociosanitaria riduce la possibilità di dover “spostare” le persone in omaggio alla tendenza, che spesso si riscontra, di una male intesa specializzazione e rigidità di standard delle prestazioni nelle strutture.

La persona disabile deve rimanere il più possibile nella struttura che la ospita sia perché spesso ha difficoltà di adattamento, e quindi per questo non si dovrebbe creare una nuova fonte di disagio, e sia perché spetta  al servizio sociosanitario dover rimodulare i suoi interventi con il mutare delle necessità personali, garantendo qualità e benessere esistenziale e non nuovi malesseri.

 

La definizione del bisogno assistenziale

Non interessa qui l’eziologia della disabilità, ma gli esiti per i quali occorre organizzare l’intervento di aiuto; un intervento personalizzato, cioè: per quella determinata persona inserita in quel determinato contesto sociale.

 Infatti riteniamo che, per definire il reale bisogno assistenziale, sia importante valutare, secondo quanto previsto dall’ICF dell’OMS,  gli esiti di una patologia in termini di autosufficienza e autonomia e dei fattori contestuali (ambientali, sociali e famigliari) che facilitano od ostacolano le performance personali e la possibilità di partecipazione sociale.

La persona con disabilità può quindi avere limitazioni delle proprie capacità di funzionamento in ordine:

·        all’autosufficienza (intesa come capacità di svolgere da soli le normali attività della vita: l’alimentazione, l’igiene personale e domestica, la mobilità, ecc.. La non autosufficienza si ha quando la persona non possiede, in tutto o in parte, tali capacità e ha pertanto bisogno di interventi di aiuto. Se i problemi di non autosufficienza non sono superabili con gli ausili (protesi, ortesi, ecc.), occorre l’intervento di aiuto di un’altra persona);

·        all’autonomia (intesa come capacità di autogovernarsi e agire per la realizzazione di sé. L’autonomia è il risultato di un processo di apprendimento e di crescita che sviluppa le capacità di autodeterminazione per la propria esistenza, attraverso la rappresentazione e la costruzione di un personale progetto di vita, con chiara identità personale percepita. Tutto ciò implica: il dotarsi di obiettivi, fare delle scelte, prendere iniziative, scegliere, avere orientamenti e piaceri a cui tendere, ecc.. La non autonomia è, al contrario, la dipendenza da persone e/o da cose; è la mancanza di una rappresentazione adeguata del mondo esterno e quindi la impossibilità a dare risposte efficienti e produttive nel campo dell’integrazione sociale. L'aiuto per il conseguimento del livello massimo di autonomia significa attivare un programma che metta la persona in grado di apprendere o riapprendere le abilità mancanti o venute meno);

·        ai diversi gradi sia dell’autosufficienza che dell’autonomia. Sia l’autosufficienza che l’autonomia  possono avere gradazioni diverse e diverse rappresentazioni personali. Le persone disabili possono avere esclusivamente  problemi di non autosufficienza, con diverse gradazioni; esclusivamente problemi di non autonomia, con diverse gradazioni; congiuntamente problemi di non autosufficienza e di non autonomia, con diverse gradazioni;

·        ai fattori contestuali (ambientali e personali) che possono essere elementi facilitanti o ostacolanti le diverse performance personali e la possibilità di partecipazione sociale.

 

Il sostegno dei servizi.

 L’azione dei servizi deve riguardare la possibilità di mettere in campo “mediatori contestuali” che creino le condizioni di facilitazione (o di rimozione degli ostacoli) al funzionamento personale (da capacità  a performance) e alla partecipazione sociale.

E’ la prospettiva bio-psico-sociale delineata dell’OMS anche attraverso l’ICF, che traccia  un’indicazione operativa per dare, in quanto soluzioni condivise e partecipate.

In tale prospettiva la promozione e salvaguardia della salute deve essere considerata in termini multidimensionali (bio-psico-sociale ed educativa) e deve essere valutata considerando i rapporti esistenti tra: corpo – mente- ambiente – contesti – cultura.

Pertanto, nell’ambito degli interventi per le persone con disabilità, è da ritenersi antiscientifico inefficace ed improduttivo ogni programma che ignori o addirittura ostacoli l’integrazione degli interventi sociali con quelli sanitari e sociosanitari (D.Lvo.229/99 – DPCM 14 febbr. 2001 e 29 nov. 2001) "La separazione tra sociale e sanitario non è immorale, non è nemica della solidarietà, è semplicemente…stupida, scientificamente invalidata, tecnicamente perdente" (B. Saraceno).

 

Il progetto Residenzialità del Comune di Roma

Il Comune di Roma, con deliberazione della Giunta comunale n. 4373 del 29 dicembre 1995, ha avviato un progetto residenzialità per persone disabili, proprio per dare concreta risposta al “dopo” più importante: quello del “dopo i genitori” da realizzare soprattutto  “durante”.

E’ iniziato in tal modo un impegno di ricerca e di confronto con la comunità locale per arrivare ad un progetto che fosse frutto di un lavoro condiviso.

Che fosse cioè la possibilità di far conoscere tutta la ricchezza dell'idea di trasformazione, di cambiamento e di creazione di un prodotto che nasce dal lavoro delle persone (operatori e non) che quotidianamente mettono le loro energie, il loro pensiero, i loro sentimenti al servizio di un progetto condiviso di persona, di mondo e di società, superando la fatica del comunicare pur provenendo da linguaggi diversi, mostrando l'impegno per cercare elementi condivisibili e la volontà di non contrapporre differenze.

 

Target

Disabili adulti (legge n.104/92) con disabilità fisiche, psichiche e/o sensoriali e, conseguentemente, con gradi diversi di autonomia e autosufficienza, che non necessitano di assistenza sanitaria (medica o terapeutica) di tipo continuativo.

Per loro vengono predisposti soluzioni abitative e progetti individualizzati considerando:

- le condizioni psicofisiche della persona;

- i bisogni in rapporto all’età e al tipo di deficit;

- il livello di autonomia e autosufficienza;

- il conseguente grado di intensità assistenziale;

 

 Prodotto atteso del progetto residenzialità

 E’ la realizzazione di un servizio che sia ulteriore snodo inserito nel sistema a rete, che sia una valida alternativa all'istituzionalizzazione, che realizzi programmi individuali  per favorire lo sviluppo massimo - attraverso esperienze e attività interne ed esterne alla comunità - dei livelli di autonomia individuale e di socializzazione di gruppo e che, con gradualità, attenzione e senza traumi, faciliti il distacco della persona dal nucleo familiare di origine e ne continui nel contempo l'azione di sostegno esistenziale e le permetta di vivere in un ambiente sereno e confortevole, perfettamente integrato nella comunità locale.

Altro obiettivo del progetto è quello di determinare l'attivazione di una pluralità di  soggetti gestori e di modalità di partecipazione finanziaria, che, oltre ad una proficua comparazione di stili attuativi, permetta soluzioni secondo esigenze diversificate.

 

Modalità di realizzazione del progetto: l’Accreditamento

E’ un atto dell'Amministrazione comunale che autorizza al funzionamento il gestore di una struttura residenziale dopo l'accertamento del possesso di requisiti pre-determinati.

Finanziamento: possibilità di accesso totale o parziale ai finanziamenti dell'Amministrazione comunale secondo condizioni e modalità pre-determinate (piano cittadino di attuazione).

Accreditamento e finanziamento non sono necessariamente dipendenti: può esserci un accreditamento senza finanziamento (il gestore accede a risorse proprie oppure a risorse degli utenti). Non può esserci però un finanziamento senza accreditamento.

 

Individuazione degli indicatori

Le scelte relative alla definizione degli standard  delle risorse strutturali e delle risorse professionali  sono state operate in coerenza con gli obiettivi descritti dinanzi e cioè: la realizzazione di un servizio che pone la massima attenzione allo sviluppo dell'autonomia personale, allo sviluppo di relazioni interpersonali nel normale contesto esistenziale di ogni persona, utilizzando  pedagogie attive e lavoro di rete.

 

Strutture: standard e requisiti

1. deve trattarsi di una civile abitazione, ubicata in centro abitato, adeguatamente  servito da mezzi pubblici e da servizi commerciali e ricreativi e deve possedere:

 

a) condizione di stabilità in situazioni normali o eccezionali, in conformità a quanto previsto dalle norme vigenti;

b) difesa dagli incendi, secondo le disposizioni generali e locali vigenti;

c) condizioni di sicurezza degli impianti;

d) attrezzature funzionali e sicure;

e) rispetto di tutte le norme contenute nei Regolamenti Locali di Igiene;

f) numero di stanze e cubatura adeguati;

g) spazi ed arredi personalizzati;

h) assenza di barriere in caso sia prevista la presenza di utenti disabili in carrozzina;

i)  gli arredi, le suppellettili e le finiture devono permettere buona funzionalità d'uso, garanzia di sicurezza e buone condizioni di vivibilità.

- costituiscono valore aggiunto l'ampiezza dei locali, i conforts, alla qualità degli arredi.

 

Figure professionali: standard e requisiti

In coerenza con gli obiettivi del progetto anche per le figure professionali è stata operata  una precisa  scelta di campo: quello di privilegiare le relazioni di tipo socio-educativo, pur nella  consapevolezza di dover garantire le  integrazioni con le relazioni di tipo terapeutico-riabilitativo dei servizi ASL.

Si tratta quindi di scelta di qualifiche professionali specifiche: assistente sociale, educatore professionale, assistente domiciliare e dei servizi tutelari, animatore socio-culturale.

Sono professioni "deboli" se poste in rapporto alle professioni sanitarie; per questo occorrerebbe una attenta riflessione nella ridefinizione dei rapporti interistituzionali e interprofessionali, ma questa è un'altra storia che dovrà essere raccontata in un altro posto.

Oltre alla precisa individuazione  delle figure professionali sono indicati:

-  i livelli diversificati di responsabilità;

-  il rapporto quantitativo operatori/utenti in ordine alla tipologia della struttura, al grado di intensità assistenziale e alle caratteristiche di quel preciso gruppo comunitario;

- il rispetto dei contratti di lavoro.

 

Indicatori di processo: gli standard organizzativi

- La formazione del gruppo di ospiti

   Ogni struttura dovrà indirizzarsi preferibilmente verso una utenza con caratteristiche omogenee. Possono esserci  deroghe se complessivamente sono compatibili con l'organizzazione complessiva del gruppo.

- La preparazione e il graduale inserimento dell'utente

    Ogni ammissione deve essere valutata dal servizio ASL per esaminare le condizioni del candidato, accertarne l'idoneità all'inserimento in quella specifica struttura, collaborare nel programma di graduale inserimento, sostenendo anche la famiglia nel superamento di inopportuni sensi di colpa.

- L'adozione del libretto personale dell'utente

    E' lo strumento operativo di organizzazione degli interventi  personali dell'utente.

    Documenta la sua storia e la sua evoluzione.

Il libretto dovrà contenere:

-  i dati anamnestici sociali  e sanitari;

-  gli interventi sanitari e socio-sanitari fruiti sia all'interno che  all'esterno della comunità;

-  le valutazioni periodiche del programma progetto individuale;

- l'evoluzione personale, le dinamiche e le problematiche individuali in rapporto al gruppo.

- La definizione di un regolamento

     Verificate le esigenze degli utenti, il regolamento riguarderà l'organizzazione delle attività giornaliere. Nel rispetto del carattere familiare della vita all'interno della comunità, sarà comunque un codice di riferimento per l'organizzazione degli interventi.

- La programmazione degli interventi

   Gli interventi che si possono distinguere in:

     a) interventi rivolti al singolo utente;

     b) interventi rivolti al gruppo.

- La verifica e il coordinamento con i servizi della ASL

 

La personalizzazione degli interventi

La programmazione degli interventi sul singolo utente si avvale, nella fase preliminare, di ogni elemento conoscitivo desumibile dalla documentazione sul caso fornita dal servizio USL e dai colloqui che gli operatori avranno con la famiglia o con l'istituzione di provenienza.

Tali elementi conoscitivi verranno poi integrati ed arricchiti dalle informazioni che scaturiscono dal rapporto personale e diretto degli operatori con l'utente.

Conseguentemente a ciò sarà formulata dall'équipe degli operatori una prima ipotesi di piano d'intervento- parte integrante del più ampio progetto riabilitativo -:

- Progetto individuale: stabilendo gli obiettivi, i tempi di attuazione e le modalità di verifica.

Sviluppo di dinamiche positive di gruppo.

      Si tratta della formazione di un gruppo di adulti che vivranno insieme stabilmente. Occorre creare le condizioni per lo sviluppo di dinamiche positive di integrazione tra i membri, favorendo corrette esperienze ai vari livelli delle attività quotidiane.

    In tale prospettiva la partecipazione attiva dell'handicappato alla vita di gruppo sarà uno degli obiettivi fondamentali da perseguire, evitando rapporti di dipendenza massiccia e favorendo nel contempo l'autonomia personale dei membri.

Coinvolgimento nella gestione della casa.

    Le attività della vita quotidiana all'interno dell'abitazione (pulizia personale, riassetto della casa, piccoli acquisti, preparazione dei pasti, etc.) dovranno essere altrettanti momenti significativi per la crescita personale e di gruppo.

Continuità delle relazioni umane che l'utente ha con il nucleo di provenienza.

  Tali rapporti non solo vanno conservati, ma possibilmente potenziati, facilitando al massimo le visite dei familiari alla comunità e dell'utente alla famiglia.

- Costante partecipazione alla vita di quartiere.

    L'organizzazione della vita di gruppo dovrà essere proiettata verso la costante partecipazione ad ogni attività della comunità di quartiere.

   Gli interventi dovranno essere preceduti da una ricognizione delle strutture territoriali (sanitarie, culturali, ricreative, sportive, lavorative, etc.) al fine di sondare le varie possibilità di integrazione nel contesto sociale, sensibilizzando nel contempo i cittadini per una piena collaborazione.

 

 

 Tipologie delle strutture residenziali

Oltre ai requisiti  standard comuni a tutte le strutture vengono forniti ulteriori indicatori in ordine alla tipologie delle strutture che vengono classificate in relazione al grado di intensità assistenziale degli ospiti:

 

  Comunità alloggio

  La comunità alloggio è una struttura residenziale avente la tipologia edilizia della casa di civile abitazione. Deve caratterizzarsi come un'abitazione che faccia sentire a proprio agio ogni ospite, riservando ad ognuno un spazio personale e spazi comuni per la vita di relazione.

Soluzione residenziale alla quale si ricorre quando sia impraticabile o improponibile l'ambiente familiare di appartenenza e non sia necessario il ricorso a soluzioni residenziali particolarmente protette.

Gli utenti saranno adulti con minorazioni fisiche, psichiche e/o sensoriali con discreta o parzialmente autonomia e autosufficienza.

La capacità ricettiva riguarderà un massimo di 8 ospiti stabili (più un posto per eventuali ospitalità temporanee).

La struttura sarà articolata in  camere singole o doppie dotate di suppellettili adeguate al numero degli ospiti della camera, di servizi igienici in numero minimo di 1 ogni due camere, di una zona soggiorno, una zona pranzo e un locale cucina. Qualora sia prevista la presenza di ospiti in carrozzina, i servizi igienici dovranno essere proporzionalmente adeguati a norma della Legge n.13/89.

 

Personale

Un assistente sociale o un educatore (con funzioni di responsabile), più un numero di operatori per l'assistenza (assistenti domiciliari e animatori socio-culturali) in quantità proporzionalmente necessaria ai bisogni accertati degli ospiti.

Sulla composizione dell'équipe deve esprimere parere preventivo la USL competente per territorio.

 

 Residenza protetta

E' una struttura residenziale, modulare, ad alta intensità assistenziale, per handicappati non autosufficienti e/o non autonomi.

La struttura si intende modulare in quanto si articola con possibilità di aggregazione di singoli moduli fino ad un massimo di 4.

Offre una ospitalità stabile o temporanea; l'assistenza alle funzioni di base dell'utente; la continuità dell'assistenza riabilitativa individualizzata da attuare preferibilmente all'esterno; le attività di socializzazione e inserimento sociale; la frequenza, ove possibile, di un centro diurno.

Gli utenti saranno adulti handicappati pluriminorati e/o non autosufficienti che non necessitano di assistenza sanitaria di tipo continuativo.

Ogni modulo, avrà una capacità ricettiva fino ad un massimo di 6 ospiti stabili (oltre un posto per eventuali ospitalità temporanee).

Ogni modulo deve avere la seguente articolazione funzionale di ambienti e spazi: camere da due posti; servizi igienici per ogni camera; sala pranzo; ampia sala per attività comuni; locale adibito a cucina (se modulo singolo); locali cucina, lavanderia/guardaroba e dispensa (se in presenza di due o più moduli).

Le attività si riferiscono a quelle socio riabilitative ed assistenziali idonee a soddisfare i principali bisogni degli utenti: attività educative indirizzate all'autonomia personale, all'acquisizione e/o mantenimento delle capacità comportamentali, cognitive ed affettivo-relazionale; attività di socializzazione; attività con significato prevalentemente occupazionale.

 

Personale

Un educatore (con funzioni anche di responsabile) per ogni singolo modulo più un numero di operatori per l'assistenza (assistenti domiciliari e animatori socio-culturali) in quantità proporzionalmente necessaria ai bisogni accertati degli ospiti.

Per due o più moduli: un assistente sociale (con funzioni di responsabile dell'intera struttura), oltre all'organico previsto per ogni singolo modulo.

Sulla composizione dell'équipe deve esprimere parere preventivo la USL competente per territorio.

 

Procedura dell'accreditamento

E' istituito un Registro Comunale di tutte le strutture residenziali esistenti nel territorio cittadino. 

Tutti gli organismi pubblici e privati che intendono gestire un servizio di comunità alloggio e/o residenze protette devono obbligatoriamente presentare richiesta di iscrizione dimostrando di essere in possesso dei requisiti previsti dalla normativa.

Ciò consente non solo di  conoscere nel modo più completo ed esaustivo la dimensione dell'intervento nel territorio cittadino, ma - soprattutto - di avere sufficienti garanzie circa le condizioni di sicurezza degli ospiti e le modalità di gestione della vita comunitaria, vigilando inoltre sul mantenimento degli standards di qualità previsti.

 

Vigilanza permanenza degli standard

Le funzioni di vigilanza sulle attività, sulla struttura e sul personale sono esercitate dal Comune, avvalendosi - a seconda delle diverse competenze -  dei Servizi della Circoscrizione e della USL nel cui territorio ha sede la struttura.

L'attività di vigilanza riguarda: la permanenza dei requisiti minimi; gli aspetti igienico-sanitari degli ambienti, degli ospiti, del personale, degli alimenti; la sicurezza degli impianti.

In particolare, per gli aspetti organizzativi, tecnici e di funzionamento, per la qualità del servizio reso, nonché per il controllo della corretta attuazione dei programmi individuali d'intervento, ci si avvale del servizio USL che esercita la presa in carico degli handicappati adulti.

L'attività di vigilanza si esplica mediante visite periodiche ordinarie, almeno semestrali, e straordinarie di tutte le strutture.

 

Realizzazioni: nel periodo 1997-2003, sono state accreditate 11 residenze protette  e 23 comunità alloggio (complessivamente: 260 posti).

 

 

La Manutenzione

Il progetto residenzialità sollecita l’azione di diversi soggetti sia istituzionali  che professionali. Per definire una efficace partnership tra loro occorre innanzitutto una chiara definizione dei livelli decisionali. Certamente un ruolo particolare è riservato al servizio pubblico in quanto, per legge, è soggetto di particolari titolarità e responsabilità nell’attuazione dei servizi e nel garantire i diritti dei cittadini interessati. La partnership va vista quindi come accettazione di ruoli definiti e condivisione delle diverse azioni e competenze per il raggiungimento di un obiettivo comune.

L’azione comune tra i diversi soggetti interessati al progetto può sviluppare un salto di qualità nella organizzazione degli interventi, ricercando un linguaggio comune e la costruzione di un comune campo di lavoro attraverso un sistema condiviso di valutazione.

Nel normale sistema produttivo dove si usano le macchine, si fa regolarmente manutenzione, assistenza preventiva, revisione e controllo.

 Le macchine generalmente sono meno difettose del sistema uomo!

Il sistema umano ha un grado di difettività molto alto: la manutenzione deve essere ancora più accurata - ecco perché il momento della produzione deve alternarsi al momento della manutenzione (riflessione, valutazione, rapporto con l'obiettivo, costo benefici, condivisione degli obiettivi, ecc.).

Per questo stiamo lavorando per adottare un buon sistema di manutenzione.

Si sospende l’azione operativa diretta per collaudare il prodotto del lavoro dei vari operatori, per verificare il grado di raggiungimento degli obiettivi, per verificare l’orientamento strategico e la validità delle metodologie d’intervento ed eventualmente per inventarne di nuove.

Le risorse professionali costituiscono l'elemento strategico del progetto. Bellissime e comode strutture non danno da sole qualità. E' nella qualità delle relazioni quotidiane che gli operatori riusciranno a garantire sia a livello delle abilità personali che a livello delle relazioni attivate, utilizzando l'intreccio reticolare del contesto sociale, che si determina con forza il benessere degli utenti.

Naturalmente le risorse professionali, per produrre un'alta qualità del prodotto-servizio, devono essere sorrette  da processi organizzativi che siano esplicite sequenze di azioni condivise e orientate al raggiungimento del prodotto atteso.

Ma come è possibile avere una chiara rappresentazione del prodotto atteso nel lavoro sociale in cui gli oggetti sono immateriali, sono “intangibili”, come si è detto, e pertanto hanno indicatori deboli per essere rappresentati e tale indeterminatezza costituisce la principale fonte delle difficoltà nella collaborazione professionale dei servizi?

La rappresentazione dell’oggetto di lavoro innanzi tutto può rendere almeno in parte visibile quell’oggetto immateriale che si chiama, in questo caso, prendersi cura di persone disabili. Può semplicemente aiutare a “sapere che cosa si sta facendo” per facilitare la determinazione degli obiettivi, per attivare processi di comunicazione e di possibili momenti formativi, per “poter misurare e valutare ciò che si fa”.

Nei servizi alla persona acquista importanza “il ruolo di learning che la valutazione induce, ovvero di apprendimento, tramite il processo valutativo, e quindi di miglioramento delle performance e della qualità”.

In tale prospettiva si è cercato di scegliere una direzione per poter formulare una proposta da sottoporre a tutti i protagonisti del progetto. Si è scelta quindi un’esperienza che è apparsa la più aderente agli scopi di apprendimento riflettendo sulla quotidianità del lavoro. Tale scelta è caduta sull’esperienza condotta dall’Agenzia nazionale di formazione del  CNCA (Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza), poiché si propone come metodo di “costruzione di un sistema di qualità generato interamente dal basso” e cerca di percorrere la difficile strada di partire “dagli esperti della prassi [gli operatori] per accompagnarli lungo l’insidioso cammino della teoria”.

La richiesta di un progetto formativo da parte del Servizio Handicap del Comune di Roma all’Agenzia del CNCA ha concretizzato l’obiettivo di dotare il progetto residenzialità di un suo originale sistema valutativo.

Il progetto  che di seguito viene sinteticamente riportato sarà rivolto ai seguenti soggetti: per il Comune di Roma, gli operatori del Servizio Handicap dipartimentale; per i Servizi Disabili adulti delle ASL, tutti gli operatori case manager degli ospiti nelle residenze; per enti gestori, i responsabili delle residenze (assistenti sociali ed educatori) e i rappresentanti degli assistenti di base; infine i rappresentanti degli utenti in relazione ai distretti territoriali. L’obiettivo del progetto è quello di creare un percorso formativo al fine di disporre di un “sistema qualità” che dia garanzie al cittadino-utente, alla comunità cittadina ed all’Ente Locale affinché l’attività svolta nelle strutture sia rispondente a criteri e livelli qualitativi necessari ed attesi e che possa creare un circuito virtuoso in grado di promuovere continuamente il benessere delle persone ospitate.

La formazione ha lo scopo di:

·       creare una visione d’insieme tra tutti i soggetti interessati;

·       mettere in atto un sistema di valutazione della qualità, che sia costruito insieme, dal basso, e condiviso da tutti i soggetti;

·       attivare un percorso di promozione continua del benessere delle persone ospitate;

·       rendere oggettiva, verificabile e standardizzata una gestione eccellente delle strutture, fornendo un metodo di intervento e di monitoraggio continuo dell’attività.

Il percorso formativo viene condotto in maniera attiva e partecipata con la modalità delle ricerca/azione, in cui l’elaborazione teorica porta alla realizzazione di un prodotto operativo e documentale concreto e condiviso.

Il processo di apprendimento e di elaborazione si sviluppa secondo i seguenti moduli:

·        Modulo introduttivo: che cos’è la “qualità sociale” nei servizi alla persona di tipo residenziale (storia della qualità; la qualità nell’industria; la qualità nei servizi; lo specifico dei servizi alla persona di tipo residenziale);

·        Modulo primo: La programmazione delle attività (il programma operativo della struttura residenziale: linee strategiche, obiettivi, risultati, tempi; attività, azioni, indicatori di verifica, data di realizzazione; progetto individuale: analisi, elaborazione, verifiche in itinere, mappa degli stakeholder);

·        Modulo secondo: il lavoro in équipe (il metodo: modalità, strumenti; la supervisione attiva; la supervisione dei progetti individuali);

·        Modulo terzo: la valutazione (la valutazione partecipata; la valutazione dei parametri alberghieri; il controllo della gestione operativa: valutazione del programma, valutazione delle attività, valutazione dei progetti individuali.

La costruzione di un sistema di qualità risponde ad un bisogno di miglioramento, ma serve anche ad individuare aree critiche di un progetto  che diversamente rimarrebbero nell’indeterminato e quindi subdolamente pericolosi. Per fare questo occorre “mettere a confronto la misura ‘ideale’ dell’importanza di ciascun aspetto del servizio (elemento strutturale, processuale o di esito) con il livello di ‘qualità reale’, effettivamente percepita e sperimentata nella quotidianità dei singoli servizi”.

In definitiva la formazione che si intende attuare “si identifica come un processo nel quale non solo si trasmette, ma si produce sapere, in cui si delineano forme nuove visibili, percepibili, razionabili. […] La formazione in questo senso si distacca da un processo in cui si immagina un attore (il docente-formatore) che ‘dà forma’, ‘fissa uno stampo’ e un soggetto passivo (l’allievo) che come creta malleabile si plasma sulla forma proposta. L’apprendimento va inteso come trasformazione, nel senso di capacità di cogliere forme differenti da quelle interiorizzate, connetterle in rete, creando così nuove forme, come processo di sviluppo della personalità e dell’identità dei soggetti”.   

Per le residenzilità, l’essere luogo di formazione potrebbe essere anche luogo di tirocinio,  perché il tirocinio, come afferma Gui, “come luogo di incontro tra sistemi diversi e tra soggetti in inter-azione, richiede la capacità dinamica di attivare relazioni in funzione della reciproca chiarezza degli obiettivi da raggiungere, nel riconoscimento dei rispettivi valori, ma anche della reciproca utilità”.   

 

Le risorse economiche

Attualmente il progetto è finanziato quasi esclusivamente del bilancio comunale e in parte con risorse regionali della legge n.104/92.

Costi annuali € 10.500.000,00.

Rette giornaliere: C.A. € 93,16 — R.P. € 122,29.

La situazione del differenziale tra domanda ed offerta porta a doversi  attrezzare per trovare una modalità di reperimento di risorse finanziarie e di strutture.

Occorre dare certezze future e massima ampiezza al progetto e attrezzarsi per trovare diverse modalità di reperimento di risorse finanziarie e di strutture, attivando tutte le risorse della comunità cittadina, e non soltanto.

Poiché molte persone sono disposte a mettere a disposizione tali beni, l’istituzione di una Fondazione può garantire  trasparenza e correttezza di destinazione e può diventare l’effettivo organismo di supporto finanziario del progetto.

L’iniziativa del Comune di Roma con la fondazione “Handicap: Dopo di Noi” risponde quindi perfettamente allo scopo.

Scopo della fondazione è quello di svolgere attività di fund raising a sostegno dei servizi comunali di assistenza, con ciò intendendosi che il patrimonio acquisito grazie alle liberalità sarà messo a disposizione dell'Amministrazione nel quadro di una programmazione dei servizi e delle risorse.  La fondazione ha la possibilità di ricevere donazioni immobiliari e/o patrimoniali private finalizzate all'inserimento di un congiunto disabile nel Progetto residenzialità, e regolate da un apposito impegno assistenziale che garantirà al donatore la certezza e la qualità dell'assistenza dopo la scomparsa di coloro che del disabile hanno cura e che preveda anche, ove possibile, che nella porzione di immobile donata sia autorizzata la costituzione di una "casa-famiglia" nella quale ospitare altri disabili. La fondazione rivestirà natura di fondazione nazionale, allo scopo di favorire una rete nazionale di fondazioni analoghe, con forme di scambio e di esperienze e conoscenze ed anche di apporti e sinergie personali o economiche, della quale Roma sarebbe "capofila".

 

 

 

Fausto Giancaterina

Responsabile del Servizio Handicap

e del Servizio Salute mentale

Comune di Roma - Dipartimento V

 

 

 

 

 

 

Note:

1.      Folgheraiter F.,L’operatore sociale al tempo del welfare mix, in Animazione Sociale n.8/9, Gruppo Abele, Torino, 1999.

2.      Folgheraiter F., ibidem.

3.      Donati P., Le politiche sociali nel Welfare Mix: logiche lib/lab vs logiche “societarie”, in Donati P. e Folgheraiter F. (a cura di), Gli operatori sociali nel Welfare Mix, Erickson, Trento, 1999.

4.      Ferrario P., Dalla legge 328/00 a oggi.   In Prospettive Sociali e Sanitarie nn. 3, 6, 12/02, IRS, Milano 2002).

 

 

 


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