Il
disagio di vivere, la prevenzione parte dalla scuola
MINORENNI
che uccidono deliberatamente, con premeditazione, spesso non sapendo
spiegare il perché.
Ragazzi che si dichiarano vinti dalla noia, ma
anche adolescenti attivi, impegnati, pronti ad assumersi le
responsabilità che la vita mette loro di fronte. Un
Giano bifronte che è sempre esistito, ma che i fatti di cronaca
sempre più crudi e frequenti tendono a rendere oggi meno speculare.
Il dato allarmante è confermato anche
dalle cifre che arrivano da alcuni paesi europei (Progetto
Jump), che registrano un numero
sempre più alto di minorenni che delinquono e, soprattutto, un
incremento di omicidi commessi da minorenni, rispetto agli altri
reati. In discussione soprattutto il ruolo della
famiglia, la capacità dei genitori non solo di guidare i figli, di
fornire loro sicurezza e regole, ma anche la disponibilità a
comprenderli ed ascoltarli.
Aldilà delle analisi psicologiche e sociologiche,
Redattore Sociale, sulla scorta degli ultimi episodi di
violenza agiti da minorenni, ha voluto mettere a confronto alcuni
progetti ed esperienze a loro dedicati, partendo dall’analisi dell’Eurispes
dedicata a come gli adolescenti percepiscono la famiglia e dai dati
forniti dal Progetto Jump - in cui l’Italia
è impegnata insieme ad altri stati dell’Europa - nell’ultima
riunione di Berlino.
Esistono molti percorsi di formazione, informazione e integrazione,
largamente sperimentati e diffusi, per l’infanzia,
ma per l’adolescenza non è così. Entrambe le esperienze prese in
considerazione in questo servizio hanno un denominatore comune:
partono dalla scuola. Nel primo caso, il progetto “Adolescenti a
rischio” del Ceis, attivo su Napoli e
Genova, il fenomeno della dispersione scolastica è il punto di
partenza per recuperare le “dispersioni mentali”, il disagio di
una generazione. Nell’altro caso, le esperienze di teatro-scuola,
lo strumento dell’agire scenico viene
utilizzato per colmare quel “vuoto” che gli adolescenti spesso
avvertono, fornendo loro un luogo protetto, quello del palcoscenico,
per riscoprire i propri sentimenti, riconoscerli e riappropriarsene
in modo sano.
Rapporto Eurispes. La casa per
un ragazzo su quattro è un albergo. Per qualcuno una prigione
Una recente ricerca dell’Eurispes
ha analizzato come la famiglia viene
percepita dagli adolescenti. L’indagine è stata realizzata
attraverso un questionario semistrutturato
su un campione significativo di studenti
delle scuole superiori ed ha preso in considerazione gli
atteggiamenti, il vissuto e le aspirazioni familiari degli giovani.
L’analisi dei dati - raccolti e pubblicati all’interno del
secondo Rapporto nazionale sulla condizione dell’infanzia, della preadolescenza
e dell’adolescenza - ha evidenziato che il tipo di legame che
unisce gli adolescenti al nucleo familiare, è nella maggior parte
dei casi dettato dall’amore (63,9%), la casa è vista come un nido
(43,1%) e per il 74,7% dei ragazzi intervistati la propria famiglia
è quella ideale. Tuttavia
le cifre fornite dall’istituto di ricerca mostrano anche altri
sentimenti.
Per un adolescente su quattro (24,7%) la casa rappresenta “un
albergo”, mentre il 2% (valore disaggregato dal 7,8% della voce
“altro”) non riesce a vedere la propria abitazione che come “una
casa”. Un quindicesimo degli intervistati infine la paragona a “una
prigione”, anche se in questo caso – avvertono gli osservatori
– non è possibile capire se “a prevalere è la voglia di
autonomia o una vera e propria privazione della libertà”.
Insieme, queste tre risposte superano il 33%, tutti casi nei quali,
anche se con motivazioni diverse, la famiglia non viene
percepita come luogo di sicurezza, scambio emotivo e di intimità.
Gli intervistati hanno dichiarato che la famiglia dà soprattutto
protezione, ma secondo l’1,1% degli
intervistati essa non da loro assolutamente nulla. Il 25, 6% ha
dichiarato inoltre che all’interno del proprio nucleo familiare
percepisce una carenza di “protezione”
e, se per due terzi degli intervistati è “l’amore” l’elemento
che tiene unita la famiglia, secondo il 4,7% si sta insieme per “abitudine”,
per il 2,8% per la “sicurezza materiale” e per il 2% per la “paura
della solitudine”. Un dato che fa riflettere
soprattutto se messo a confronto con quel 19,4% (un ragazzo su
cinque) che non ritiene di non vivere in una “famiglia ideale”.
Adolescenza:
modo in cui i ragazzi vedono
i genitori secondo la scuola frequentata
|
Come
vedono i genitori
|
Scuola
|
|
Elementare
|
Media
|
Superiore
|
Negativa
|
12,4
|
15,0
|
18,1
|
Positiva
|
83,6
|
80,4
|
77,5
|
Non
risponde
|
4,0
|
4,6
|
4,4
|
Totale
|
100,0
|
100,0
|
100,0
|
Adolescenza:
considerazione della casa da parte degli studenti delle
medie superiori - Anno 2001
|
Considerazione
della casa
|
Val.
%
|
Un
nido
|
43,1
|
Un
albergo
|
24,7
|
Una
tana
|
14,7
|
Una
prigione
|
6,6,
|
Non
risponde
|
3,1
|
Altro
|
7,8
|
Totale
|
100,0
|
Fonte: Eurispes
Il papà
un ''sicurezza'', la mamma ''un'amica'',
ma c'è chi preferisce stare da solo
L’Eurispes ha messo insieme
più indagini condotte su campioni di bambini delle scuole
elementari e medie per valutare come cambia il giudizio dei figli
rispetto ai genitori col crescere dell’età. Ne
è emerso che gli studenti delle superiori hanno una visione
“positiva” dei genitori in misura minore rispetto agli altri due
campioni e che essa muta da positiva in negativa col crescere dell’età.
Hanno una visione “negativa” della propria famiglia il 18,1%
degli studenti delle superiori, il 12,4%
di quelli delle elementari ed il 15% degli alunni delle medie.
La figura di riferimento all’interno della propria famiglia è nel
33,8% degli studenti intervistati la mamma, per il 30,6%
il papà. Al campione di adolescenti
è stato chiesto come definirebbero i genitori; ne è emerso che il
padre per il 10% degli intervistati è “un maestro” e per il
5,8% “un dittatore”, mentre la madre “una maestra” per l’8,3%
dei figli, e una “dittatrice” dal 4,2%. Il padre da “sicurezza”
(31,7%) ma è anche “un amico” (26,1%), o addirittura “un mito”
( 16,4%) mentre appare assai meno consistente è la visione di un
padre educatore. La situazione si ribalta nel caso della madre che
è definita prima di tutto “un’amica” dal 40,8% degli
intervistati, poi “una sicurezza” dal 24,7%. Infine il 12,5% la
considera un “mito” e il 3,3% una “debole”.
Per quanto riguarda la vita familiare il 33,6% del campione
ritiene di trascorre poco tempo con il padre e il 10% lo ritiene
pochissimo o non ne trascorre affatto. Gli adolescenti sembrano
passare più ore con la mamma: il 47,3% afferma che ne trascorre in
sua compagnia “abbastanza” e il 25,8% “molto” (73,1% in
totale); il 21% ne trascorre “poco” ed il 4,4% “nulla o
pochissimo”. L’aspetto rilevante secondo gli osservatori è il
divario tra il tempo trascorso con il padre e quello trascorso con
la madre: lo scarto registrato dall’Eurispes
è quasi del 20%.
Quando
non sono mamma e papa i compagni ideali, lo sono gli amici, anche se
non sempre della stessa classe o scuola. Ma in questo senso un dato
secondo gli osservatori andrebbe approfondito: un adolescente su
trentacinque si definisce solitario, preferisce cioè
trascorre il tempo libero da solo.
Adolescenza:
elemento che tiene unita la
famiglia per gli studenti delle medie superiori
|
Elemento
che tiene unita la famiglia
|
Val.
%
|
L'amore
|
63,9
|
I
figli
|
16,1
|
L'abitudine
|
4,7
|
L'affinità
culturale, emotiva ecc.
|
3,3
|
La
sicurezza materiale
|
2,8
|
La
consanguineità
|
2,8
|
La
paura della solitudine
|
2,0
|
Non
risponde
|
4,4
|
Totale
|
100,0
|
Fonte: Eurispes
Adolescenza:
cosa dà soprattutto
la famiglia agli studenti delle medie superiori
|
Cosa
dà soprattutto la famiglia
|
Val.
%
|
Protezione
|
58,3
|
Regole
|
36,2
|
Nulla
|
1,1
|
Non
risponde
|
4,4
|
Totale
|
100,0
|
Adolescenza:
cosa manca soprattutto
alla famiglia per gli studenti delle medie superiori
|
Cosa
manca soprattutto alla famiglia
|
Val.
%
|
Nulla
|
64,4
|
Protezione
|
25,6
|
Regole
|
6,9
|
Non
risponde
|
3,1
|
Totale
|
100,0
|
Fonte: Eurispes
Cresce il numero di omicidi
commessi da minorenni in Europa. I dati del ''Progetto
Jump''
Cresce la criminalità giovanile e soprattutto crescono
alcuni tipi di reati di particolare pericolosità sociale come l’omicidio.
Emblematica la situazione della Germania
dove in dieci anni si è passati dal 9,8% (141.244) di minori
imputabili denunciati (14-17 anni) al 13,1% (298.983) del 2001. E’
raddoppiato inoltre il numero di minori denunciati per omicidio
(4,2% nel 1990, 8,6% nel 2000). L’allarme arriva da Berlino, ulteriore
tappa del progetto Jump (“Juveniles
and models of prevention”)
- promosso dall’Italia insieme a Romania, Spagna e Germania, per
prevenire la criminalità minorile nell'ambito dell'Unione Europea e
favorire il reinserimento sociale di giovani a rischio di devianza -
insieme ad una ulteriore consapevolezza: “le iniziative a favore
dei giovani non si dovrebbero proporre come unico obiettivo la
prevenzione della criminalità e della devianza dei minori, ma tutte
quelle situazioni di disagio sociale che spesso sono quelle più
sommerse, meno evidenti, ma che nella maggior parte dei casi
costituiscono l’anticamera delle più gravi manifestazioni di
violenza giovanile”.
L’aumento di reati particolarmente violenti da parte dei minorenni
ha spinto gli operatori del Terzo settore a privilegiare interventi
di prevenzione che guardano “una piena integrazione dei bambini ma
soprattutto degli adolescenti attraverso il miglioramento dello loro
condizioni di vita e la riduzione delle condizioni di svantaggio
economico”. A Berlino si sono confrontate le esperienze sviluppate
in questo ambito dei paesi partner del
Progetto e tra le più significative testimonianze c’è stata
quella della città di Badia del Vallés,
un comune-dormitorio alla periferia di Barcellona dove negli anni
passati si erano verificati frequentemente episodi di bullismo
tra gli adolescenti. Gli interventi degli operatori sociali, che
hanno privilegiato progetti mirati come l’organizzazione
di attività sportive non competitive, corsi di formazione
professionale e un Osservatorio sul bullismo
per la soluzione negoziata dei conflitti, sono riusciti a
ridimensionare l’isolamento di questi adolescenti, contenendo in
questo modo le potenzialità aggressive del loro comportamento.
A Berlino prevale il problema di un’integrazione difficile; sopratutto
le ultime generazioni hanno adottato una condotta violenta,
contribuendo così a confermare i pregiudizi nei confronti dello
straniero, in un circolo chiuso che nasce e si alimenta dalla
marginalità. Gli interventi attivati hanno mirato ad offrire ai
giovani immigrati maggiore conoscenza della nuova società. Sono
stati realizzati corsi di lingua tedesca, per dare anche più
possibilità professionali, parallelamente ad iniziative di
contrasto del razzismo e della xenofobia.
In Romania, dove il 26 ottobre si è tenuto il penultimo seminario
del Progetto – l’ultimo avrà luogo a Roma – le iniziative di
prevenzione si sono rivolte
prevalentemente alla lotta alla dispersione scolastica. Il fenomeno
della delinquenza minorile ha assunto peso maggiore a partire dal
1990; sono prevalentemente reati di furto accattonaggio,
prostituzione, fughe da casa, vagabondaggio. Segni di un malessere
che “affonda le proprie radici nel basso livello di reddito delle
famiglie e nella loro incapacità di offrire una
futuro sereno ai propri figli”. La scuola è divenuta l’ambiente
più naturale per dar vita ad una serie di interventi
di prevenzione, in accordo con il corpo insegnate, per rieducare e
reintegrare i minori che si sono resi responsabili di reati nella
scuola.
Le considerazioni emerse da questo confronto europeo spingono gli
operatori a sottolineare come ogni
intervento per essere efficace debba non solo ricercare le cause
della criminalità, ma soprattutto concentrarsi sul disagio sociale:
occupazione, dispersione scolastica, dare un senso anche al tempo
libero.
Adolescenza perduta e devianza
Nel linguaggio comune si parla di criminalità, di
devianza, di disagio o di violenza, considerando in blocco una serie
di eventi che possono avere non solo
cause ma anche significati diversi. Parole come devianza,
disadattamento, emarginazione, finiscono per includere comportamenti
assai vari che vanno dal Drop-out
scolastico alla tossicodipendenza, alla microcriminalità, alla
depressione e all'apatia, fino alla violenza e alle esplosioni di
aggressività.
http://www.redattoresociale.it/sito/articolihtml/adolescenza_e_devianza.pdf
Bullismo:
che fare?
E’ un percorso attraverso la realtà del bullismo
nelle scuole e attorno ad esse descritto
da un’esperta dei problemi giovanili come Rita Gay, psicologa dell’età
evolutiva e formatrice. I ricercatori negli ultimi anni si sono
occupati con impegno crescente di questo fenomeno poiché la sua
diffusione e frequenza si sono accentuate in maniera impressionante
in tutti i paesi del mondo occidentale e anche dell’intero
pianeta. Il fenomeno non è inoltre attribuibile a zone socialmente
e culturalmente depresse, ma anzi sembra
non conoscere confini e non avere preferenze legate a ceti sociali o
a sottoculture. Nell’articolo si parte dalla definizione del
termine bullismo e delle sue
caratteristiche, si analizza poi la situazione italiana (che è
peraltro la più grave), si affrontano infine le strategie di
intervento. Tra le strade più tentate molto si sta
investendo in termini di aiuto
psicologico ai ragazzi ed alle famiglie, e sulla politica scolastica
nel suo complesso con incontri dibattiti, gruppi di studio.
http://www.redattoresociale.it/sito/articolihtml/bullismochefare.pdf
Uno studio qualitativo su minori residenti in Istituto
Una
indagine
qualitativa condotta su 9 ragazze di età compresa fra gli 11 e i 18
anni residenti presso un istituto religioso femminile, situato nel
territorio del I Municipio di Roma. Scopo dell'indagine è stato
quello di esplorare i vissuti delle ragazze più grandi, delle quali
una solo è italiana, relativi a più
dimensione: la rappresentazione interna dell'istituto e della sua
funzione di aiuto, l'ambito relazionale rispetto al gruppo alla pari
e a quello degli adulti, l'immagine di sé. http://www.redattoresociale.it/sito/articolihtml/studioqualitativo_minoristituto.pdf
Il progetto del Ceis:
''Lavoriamo sulla dispersione scolastica per recuperare le
dispersioni mentali''
Il Ceis ha dato vita ad un
progetto pilota triennale - “Adolescenti a rischio” - in
collaborazione con il Ministero del Welfare
che si concluderà nel 2003, pensato per
adolescenti in situazione di abbandono scolastico a rischio di
devianza e di marginalità. E’ realizzato in collaborazione con l’Associazione
“La Tenda” di Napoli e il Centro Solidarietà di Genova, le
uniche due città su cui è stato attivato.
“Il progetto – spiega il coordinatore Paolo Pacchiarotti
- crea non soltanto dei centri di accoglienza
per gli adolescenti, ma fa lavorare insieme mondi che normalmente
non comunicano - i docenti e tutti gli ambiti terapeutici e
specialisti sulla famiglia - per fornire un servizio che possa
andare direttamente nelle scuole facendo formazione a 360°, ma che
allo stesso tempo possa accogliere chi ne ha bisogno. L’importante
è che l’ambiente naturale del giovane rimanga la scuola e non
diventi il corso di recupero.”
Qual è la “logica” di fondo?
“Lavoriamo su questa cosa di moda che è la dispersione scolastica
cercando di recuperare le dispersioni mentali. La scuola è il punto
di riferimento per colmare un disagio”.
Con quali strumenti?
“Utilizziamo all’interno del progetto docenti comandati dal
Ministero della Pubblica Istruzione. Lo start del progetto è stato
un percorso formativo, condiviso in linea generale sugli ambiti, ma
svolto autonomamente dalle realtà territoriali proprio perché le
sfumature dei contenuti devono essere calate in quelle realtà. Poi
sono stati aperti entrambi i centri, a Napoli prima ed ora anche a
Genova, in luoghi scelti perchè è
sufficiente aprire una porta per riempirli per quanto è grosso il
bisogno: a Sanità a Napoli e nella zona del porto vecchio a Genova.
Le equipe integrate accolgono i ragazzi nelle strutture, ma
soprattutto vanno fuori nelle scuole. Gli ambiti sono quelli
generali dell’educazione, educazione alla salute e alla legalità,
ma di fatto per noi è importante
superare etichettamenti tragici in quell’età,
e quindi si lavora molto sulla relazione in modo da liberare i
soggetti da ogni criminalizzazione”
.
La scelta di Napoli e Genova è
dettata unicamente dall’ampiezza del fenomeno dell’abbandono
scolastico?
“Il mondo è più uguale di quello che dichiarano in molti. Le due
città sono state scelte in base al fatto che sono due luoghi di
mare, due situazioni di passaggio, in due territori dove c’era una
tradizione di comunicazione informale popolare e dove ci sono molti
leader non ufficiali. In entrambi i casi si tratta
di territori effettivamente multietnici”.
Il progetto ha ancora un anno di vita. Si possono già avanzare
bilanci?
“La risposta non è positiva, ma
splendida. Questo modello - che non vive nel contrasto delle realtà
- porta dei grossi risultati, tanto è vero che ci sono già
problemi di carenza di personale e
questo, paradossalmente, è un indicatore buono. Attualmente
siamo nel quarto semestre del secondo anno. Ora l’obiettivo è un
resoconto dell’esperienza per i primi mesi del 2003 ed una
ricerca, dove la metodologia utilizzata sarà quella delle
narrazioni delle storie di vita”.
Che tipo di intervento è previsto
sulle famiglie dei ragazzi in condizione di disagio?
“L’idea è quella di creare servizi ambulatoriali, in cui vengono
presi in carico da un punto di vista psicoterapeuta ed educativo
anche i familiari, questo perché staccare i minori dal tessuto
sociale a volte non è un bene, ma una tragedia. Spesso alle spalle
di ragazzi difficili ci sono situazioni di deprivazione. A Sanità
ad esempio i ragazzini stabiliscono un rapporto fra i pari su codici
tutti loro e passano dalla deprivazione ad una situazione di
disadattamento ambientale. Se non c’è nessun incontro con un
adulto significativo, ci si perde sempre
di più. L’età critica va dagli 11 anni in su;
la scuola media è il territorio che sta dando più risultati come
fascia di età. Purtroppo bisogna scendere parecchio con l’età,
però questo progetto è già qualcosa”.
http://www.ceis.it
Il progetto del Ceis nella zona
della Sanità di Napoli. ''Il disagio
può trovarsi anche in classi agiate''
Punta alla prevenzione dal disagio il programma attivato
dall'Associazione "La Tenda" di Napoli nell'ambito del
progetto "Adolescenti a rischio”, progetto pilota in
situazione di abbandono scolastico a
rischio di devianza e marginalità" in alcune scuole cittadine.
A conclusione di un corso di formazione e di stage rivolti ad
educatori e docenti comandati, per la creazione di una nuova figura
professionale con competenze integrate, il progetto a Napoli ha
sperimentato metodologie d'intervento contro il disagio e la
dispersione scolastica attraverso azioni nelle scuole e
l'attivazione di un laboratorio presso la comunità di
accoglienza per tossicodipendenti che l'Associazione "La
Tenda" gestisce nella zona della Sanità. "Poiché il
progetto si rivolge a ragazzi e adolescenti di età
compresa tra gli 11 e i 22 anni - spiega la sociologa Lucia Ariano,
coordinatrice del progetto per "La Tenda" - abbiamo
privilegiato la scuola dell'obbligo e sperimentato attività di
educazione ai sentimenti che sono state accolte con entusiasmo da
tutti i ragazzi, a partire dalla prima media. Attraverso giochi ed
esercitazioni, i ragazzi hanno potuto esprimersi e raccontarsi,
esternare i loro problemi di cui spesso non hanno occasione di
parlare con nessuno". Gruppi di lavoro
misti, costituiti in prevalenza da sociologi, oltre che da
insegnanti, sono stati attivati nella scuola media Illuminato di Mugnano
(comune della periferia nord di Napoli) e nel liceo classico
Garibaldi, mentre l'Istituto professionale Caracciolo
si è dichiarato disponibile ad ospitare un Osservatorio sulla
dispersione scolastica. "Al liceo Garibaldi - spiega
Lucia Ariano - è stato fatto un lavoro di prevenzione sulla
tossicodipendenza, seguendo un percorso a ritroso. Per parlare delle
dipendenze anche qui abbiamo chiamato in causa le emozioni,
sollecitando i ragazzi con esercitazioni e test e portando nelle
classi le testimonianze di genitori di giovani che hanno finito il
programma in comunità. Alcuni studenti delle ultime classi hanno
avuto la possibilità di visitare il nostro centro e di confrontarsi
liberamente con tre giovani che seguono il percorso di recupero,
riuscendo a capire meglio il significato del nostro lavoro sulle
emozioni e sulle varie forme di dipendenze".
Altre scuole della città e della provincia, intanto, hanno aderito
al progetto de "La Tenda", a quanto
pare attraverso un passaparola degli insegnanti: "Quella
del contatto informale è la strada che privilegiamo, perché per
noi è importante parlare lo stesso linguaggio. Lavorare con le
scuole non è facile, a volte ci sono docenti molto aperti
e disponibili, altre volte invece si trovano insegnati poco
disposti a contaminare il proprio lavoro. In questi casi abbiamo
grosse difficoltà ad interagire con le classi perché se i docenti
non ci accettano gli studenti scambiano il nostro lavoro per un
gioco. Tuttavia, nel complesso il progetto va bene, ci
entusiasma e, anche se l'integrazione tra le due figure
professionali è stata conflittuale, la stiamo costruendo, c'è
buona volontà di partecipazione, una forte condivisione degli
obiettivi e della metodologia di lavoro". La Tenda non ha
scelto di rivolgersi solo a giovani ed adolescenti cosiddetti
"a rischio" ma ai ragazzi delle scuole in generale,
perché, spiega la dottoressa Ariano, "il disagio può trovarsi
anche in classi agiate, spesso è di carattere psicologico e la
nostra azione di prevenzione non è selettiva, ma si rivolge a
tutti". Più ristretto, invece, il
laboratorio ludico-ricreativo che il Centro ha attivato presso la
comunità della Sanità (ma separandolo con un'entrata secondaria
dalle strutture che ospitano i tossicodipendenti) da aprile a luglio
scorsi e rivolto ai ragazzi di una vicina scuola media. Fra
qualche settimana il laboratorio sarà riavviato
con un'attività di supporto scolastico per giovani in situazioni di
vita difficili, segnalate dagli assistenti sociali.
Educare alle emozioni con il teatro. Perissinotto
(Agita): ''Un opportunità per dare corpo
alle proprie visioni''
Loredana Perissinotto è
presidente dell’Agita, un’associazione privata nazionale che
raccoglie insegnanti, operatori teatrali, studiosi, amministratori,
genitori impegnati nella valorizzazione
delle esperienze di teatro scuola soprattutto in Italia.
Dottoressa Perissinotto è possibile
attraverso il teatro educare alle emozioni?
“Assolutamente si. Il teatro è un grande
territorio neutro in cui prima di tutto si fa esperienza. Purtroppo
i giovani di oggi delegano l’esperienza
diretta. E’ chiaro che la vita non è tutta rosa
e fiori ed è necessario anche nel momento del gioco avere
delle simulazioni di scontro, simulazioni di composizione delle
pulsioni più negative. Il teatro proprio perché è fatto di
presenza è veramente l’opportunità per i giovani di dare corpo
alle proprie visioni, su se stessi e sul futuro, sull’utopia e
sull’angoscia, sul comico e sul tragico. E’ anche una
straordinaria opportunità per parlare agli adulti”.
Perché il teatro “funziona”?
“Perché nel linguaggio del teatro,
così forte e potente, rifluiscono dati di terapia, apprendimento,
socializzazione e formazione”.
Quanto il teatro nella scuola deve essere servizio e quanto
ricerca.
“Io, insieme ad altre persone
appassionate, stiamo cercando di valorizzare il teatro della scuola
anche come esperienza estetica-artistica e di vincere quell’idea
che ‘siccome è qualcosa che si fa a scuola, sarà una di quelle
robe didattiche!’ Quella visione non è che non esista, ma noi
diciamo che il momento del confronto, dell’incontro, della visione
di altro può forse togliere nella mente dell’adulto la monolitica
idea di teatro basato sul teatro come recita, sull’imitazione dell’attore
ottocentesco. Un’idea di cui gli operatori sono portatori a volte
non coscienti, perché non sanno che esistono altre forme.”
Il teatro come esperienza…
“La classe può accostarsi alla poetica di un artista e qui le
regole sono chiare poiché si entra nel gioco della visione dell’artista.
Ma può anche essere l’artista ad
entrare nel gioco e nelle visioni del gruppo con i suoi saperi anche
tecnici. In questo modo vengono fuori delle
situazioni sorprendenti, che io stessa, come regista, non avrei
mai saputo trovare. Il gruppo reagisce in un certo modo e anche per
te è una scoperta”.
Nell’esperienza di teatro scuola chi lavora insieme ai ragazzi?
“L’insegnante che ha le competenze per farlo oppure l’operatore
teatrale. Io credo alla collaborazione fra le due figure; mi sembra
la strada migliore e tra l’altro è molto italiana”.
Esiste un problema di ruoli, di competenze, per chi lavora su
materiale così incandescente come l’animo umano? L’insegnate
è la persona giusta per far teatro a scuola?
“Il rischio è quello di andare a lavorare su un adolescente senza
una giusta preparazione, ma lo stesso vale per l’esperto teatrale,
che in se non è una garanzia. Potrebbe anche essere un plagiatore
o, anche lui al pari dell’insegnante, può
essere inflessibile rispetto al modello di teatro che porta. Se
scelgo di lavorare in un certo ambito -che può essere quello del
disagio o quello della normalità- devo
essere un bravissimo teatrante, devo avere professionalità.”
Cosa succederà con la riforma Moratti?
“Il quadro generale non è dei più allettanti.
Per quanto riguarda i linguaggi dell’arte, che erano stati risottolineati
a livello di principio non solo nel protocollo del ‘95 ma anche in
quello del ‘97, il dialogo è fermo. Stiamo cercando di vedere se
si riesce, insieme ad altre associazioni,
a fare una cordata di soggetti per portare avanti alcune istanze.
Abbiamo anche lanciato un appello in cui denunciamo lo stallo del
dialogo con l’amministrazione centrale ed il rischio di disperdere
il patrimonio di conoscenze acquisito con il lavoro appassionato di
cittadini grandi e piccoli indipendentemente dal loro ruolo di
docenti allievi, operatori, genitori, studiosi, e amministratori,
che ha già raccolto diverse migliaia di firme e che vorremmo
consegnare a mano al Ministro”.