La prima volta che mi interessai alla marijuana fu quando
il suo uso aumentò in modo esplosivo negli anni 60. In quel
periodo non avevo dubbi che fosse una droga estremamente
dannosa, disgraziatamente assunta da un numero crescente di
giovani stolti che non volevano ascoltare, o non volevano
credere o capire gli avvisi circa la sua pericolosità. Quando
cominciai a studiare la marijuana nel 1967, il mio scopo era
di definire scientificamente la natura e il grado di tali
pericoli. Ma esaminando la letteratura scientifica, medica e
comune, la mia prospettiva cominciò a cambiare. Giunsi a
comprendere che, come tante altre persone di questo paese, ero
stato mal informato e indotto in errore. Vi erano ben poche
prove empiriche in sostegno di ciò che credevo circa i
pericoli della marijuana. Allorché giunsi al completamento
della mia ricerca, che fornì le basi per un libro, pubblicato
per la prima volta nel 1971 dalla Harvard University Press,
ero ormai convinto che la canapa indiana fosse molto meno
dannosa di quanto avessi creduto. Il titolo del libro, "Marihuana
Reconsidered" (la marijuana riesaminata), rifletteva
questo mio mutamento di prospettiva.
Dopo tre anni di ricerca sulla canapa indiana, ero giunto
infatti alla conclusione che non solo era molto meno dannosa
dell'alcool e del tabacco, ma anche che nessun danno che essa
fosse in grado di provocare poteva essere lontanamente simile
al danno attribuibile all'arresto ogni anno di 400.000
persone, per lo più giovani, per reati legati alla marijuana.
Credevo ingenuamente che una volta che le persone avessero
compreso che la marijuana era molto meno pericolosa di droghe
che sono già legali, le leggi contro di essa sarebbero state
abrogate. Predissi con fiducia che l'uso della canapa indiana
da parte di adulti sarebbe stato legalizzato entro il
decennio. Non avevo ancora imparato che c'é qualcosa di
particolare nelle droghe illecite: se è vero che non sempre
spingono l'utilizzatore ad un comportamento irrazionale,
certamente portano molti che non le usano a comportarsi in
tale modo.
Invece di rendere la marijuana legalmente disponibile agli
adulti, abbiamo continuato a criminalizzare molti milioni di
americani. Ogni anno centinaia di migliaia di persone,
soprattutto giovani, vengono arrestate con accuse connesse
alla marijuana, e il clima politico si è ora deteriorato
così gravemente che è divenuto difficile parlare apertamente
e liberamente della marijuana. Si può quasi dire che ci
troviamo in un'atmosfera di maccartismo psicofarmacologico.
Negli anni che seguirono alla pubblicazione di "Marihuana
Revisited", divenne sempre più evidente che non vi erano
validi motivi scientifici per la messa al bando della
marijuana. Le nozioni dell'era Aslinger, sulle quali era
basato l'Atto di tassazione della marijuana del 1937, e cioè
che tale sostanza provocava crimini violenti, "eccessi
sessuali" (checché si intenda per essi), e dipendenza, e
che costituiva il primo passo verso l'uso di droghe più
pesanti, sono state del tutto screditate. Poiché questi
argomenti non erano più plausibili, i gruppi che si
opponevano alla liberalizzazione delle leggi sulla marijuana
cominciarono allora a parlare di "nuove ricerche"
che avrebbero dovuto provare come la marijuana provochi altri
tipi di danni. In questo tipo di atmosfera, il governo
federale ampliò notevolmente il suo sostegno, soprattutto
attraverso l'Istituto Nazionale sull'Abuso di Droghe, a studi
progettati per scoprire nuovi rischi per la salute. Così, nei
primi anni '70 fummo informati che la marijuana distruggeva le
cellule cerebrali, causava psicosi, abbassava il livello di
testosterone e il conto spermatico, portava allo sviluppo
delle mammelle nei maschi adolescenti, danneggiava la memoria
e le funzioni intellettive, comprometteva il sistema
immunitario, e causava rottura cromosomica, danni genetici, e
difetti fetali. La pubblicazione di questi risultati seguiva
una procedura tipica. Ognuno di essi veniva presentato in
articoli di prima pagina con commenti allarmistici. In
seguito, dopo qualche mese o anno, i ricercatori riferivano
che i risultati del primo studio non potevano essere
riprodotti. Se e quando queste prove contraddittorie venivano
pubblicate, era di solito in un breve trafiletto nelle pagine
interne. Il pubblico rimaneva spesso con l'impressione che le
più recenti scoperte di pericoli per la salute fossero state
dimostrate scientificamente.
Nel 1977 si era aggiunta una quantità
di nuove conoscenze tale da giustificare una seconda edizione
di "Marihuana Revisited", con un nuovo capitolo in
cui James B. Bakalar e io analizzavamo le ricerche e gli
sviluppi sociali nel corso dei sei anni trascorsi dalla prima
edizione. Per nulla scoraggiati dal fallimento della mia
predizione del 1971 che la marijuana sarebbe stata legalizzata
entro quel decennio, concludemmo la seconda edizione con
queste parole: "Qualsiasi siano le condizioni culturali
che lo hanno permesso, non vi è dubbio che la discussione
sulla marijuana è diventata più ragionevole. Stiamo
diventando gradualmente consapevoli dell'irrazionalità di
classificare questa droga come avente un alto potenziale di
abuso e nessun valore medico. Se la tendenza attuale
continuerà, è probabile che entro un decennio la marijuana
verrà venduta negli Stati Uniti come intossicante
legale".
In quel periodo , tre anni prima dell'elezione di Reagan
alla presidenza degli Stati Uniti, avevamo buoni motivi per
essere ottimisti. Nel 1971 la Commissione Nazionale sull'abuso
della marijuana e delle droghe, incaricata dal presidente
Nixon, aveva raccomandato l'abrogazione delle pene per il
possesso di marijuana ad uso personale e per gli scambi
casuali di piccole quantità.
Marijuana
negli USA:
quando i pregiudizi condizionano la ricerca
di Stefano Canali
Centro
per la diffusione della cultura scientifica,
Università di Cassino
La prima conferenza nazionale statunitense sulla marijuana (National
Conference on Marijuana Use Prevention, Treatment, and
Research), organizzata dal National Institute on Drug
Abuse e National Institutes of Health, si è svolta lo
scorso 19 e 20 luglio 1995 a Crystal City, Arlington,
Virginia, in due giorni di lavoro intensi, in cui gli
organizzatori avevano condensato - tra sessioni
plenarie e workshop - gli interventi di 62 relatori.
L'elevato numero di relazioni, tuttavia, non ha
affatto significato quella pluralità di approcci e
posizioni che dovrebbe essere propria di ogni
conferenza scientifica, soprattutto se affronta
l'esame di una materia così controversa, dibattuta e
oscura in molti lati, come quella legata alla
marijuana.
Fedele alla dura filosofia proibizionistica adottata
dall'Amministrazione statunitense da cui dipende, il
NIDA ha invitato soltanto esperti che condividono
senza riserve tale approccio e modellano su di esso,
in materia spesso forzata, non solo le strategie
politiche di controllo e prevenzione dell'abuso, ma
anche la ricerca sperimentale e le interpretazioni dei
dati ottenuti in laboratorio.
La sessione plenaria che riguardava la neurobiologia della
marijuana si risolveva così in una lunga serie di
interventi in cui venivano sciorinati, con
sconcertante sicurezza, dati sui danni e sui pericoli
dell'uso della marijuana estrapolati da ricerche su
modelli animali, con evidenze parziali, non verificate
in altri laboratori ed in aperto contrasto con altri
risultati.
Ignorando ogni riserva critica, la gran parte dei
relatori dava esclusivo rilievo alle dimostrazioni
delle proprietà immunodepressive, dipententigene e
cancerogene della cannabis, delle alterazioni che essa
produce sulla fisiologia del sistema endocrino, in
special modo sui meccanismi ormonali degli organi
sessuali, sulle funzioni emotive e motivazionali, su
quelle cognitive. Dimostrazioni a volte datate, molto
spesso acquisite somministrando per lunghi periodi
dosi giornaliere eccezionalmente alte di THC e per cui
esistono almeno altrettante evidenze contrastanti.
Molto poche, inoltre, sono state le cautele rispetto
alla possibilità di generalizzazioni dalle situazioni
sperimentali, dai modelli animali e dagli studi in
vitro alla realtà clinica del consumatore, alla sua
dimensione psicosociale e al valore culturale della
marijuana in un dato ambiente sociale: variabili
determinanti nella modulazione degli effetti e
dell'instaurarsi delle complicazioni mediche, come
hanno dimostrato i tre più noti studi sul campo
condotti in larga scala negli anni '70 in Giamaica,
Costa Rica e Grecia.
Nel suo intervento introduttivo, Alan Leshner, direttore del NIDA,
aveva affermato che la prima conferenza nazionale
sulla marijuana era finalizzata alla diffusione di
informazione scientifica sulla marijuana, sui suoi
effetti e sul suo uso. L'osservatorio epidemiologico
del National Institute of Health e del NIDA ha
registrato negli ultimi anni un aumento del consumo di
marijuana e un preoccupante mutamento nella percezione
del valore dell'uso della cannabis tra la popolazione
giovanile. Esisterebbero quindi le ragioni per un
rilancio di vasti progetti di prevenzione, nonostante
i dati indicati da Leshner sono tali da non destare
preoccupazioni di imminente diffusione epidemica.
Leshner, tuttavia, non evidenziava il fatto che la popolazione
giovanile nella quale si stanno registrando tali
fenomeni è proprio quella esposta alle campagne di
prevenzione promosse e realizzate a partire dalla
metà degli anni '80 dall'Amministrazione statunitense
e dalle organizzazioni americane impegnate nella lotta
alla droga. Progetti di prevenzione condotti con toni
allarmistici e caratterizzati da un forte accento
moralizzatore, ma soprattutto basati su
un'informazione quantomeno parziale, se non distorta,
sugli effetti, sui pericoli e sui danni del fumo di
marijuana. Il fallimento di queste imprese, allora,
dovrebbe forse far riflettere i governi e gli enti
impegnati nel contenimento del consumo di sostanze
d'abuso sulle strategie della prevenzione. E dimostra
che l'informazione corretta ed obiettiva costituisce
l'arma più efficace per la prevenzione e rappresenta
allo stesso tempo il miglior modo per garantire ai
cittadini scelte personali più responsabili e più
coscienti giudizi sulla politica dei governi nei
confronti del problema delle droghe.
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Nel 1973 l'Oregon era diventato il primo stato a
depenalizzare la marijuana, rendendo il possesso di
quantità inferiori ad un'oncia ( 1 oncia = 28,35 gr)
un reato civile punibile con una piccola ammenda. Nel
1975 l'Alaska aveva eliminato ogni pena per il
possesso personale e la coltivazione di quantità
inferiori a quattro once. Il presidente Carter aveva
approvato la depenalizzazione, così come
l'Associazione Medica Americana, la Società
Psichiatrica Americana, l'Associazione Americana degli
Ordini Forensi, e il Consiglio Nazionale delle Chiese.
Entro il 1977 la maggior parte degli stati avevano
ridotto il semplice possesso al rango di infrazione, e
nel 1980 undici stati avevano effettivamente
depenalizzato il possesso di marijuana.
Sfortunatamente, questa tendenza non continuò. Il
movimento per la riforma delle leggi sulla marijuana
raggiunse il suo apice alla fine degli anni '70. Nel
1978 il Dott. Peter Bourne, il consulente della Casa
Bianca per i farmaci e le droghe, che aveva aiutato il
presidente Carter a muovere verso una riforma,
rassegnò le proprie dimissioni e fu sostituito da Lee
Dogoloff, un sostenitore della linea dura. Nello
stesso anno, la percentuale della popolazione in
favore della legalizzazione della marijuana cominciò
a diminuire rispetto al picco di 28% raggiunto nel
1978; oggi è scesa al 15%. Sotto la presidenza Reagan
il governo istituì un programma di "tolleranza
zero". Nel 1983 il pericoloso insetticida
Paraquat veniva spruzzato sulle piantagioni domestiche
di marijuana, e metodi militari erano utilizzati per
sradicare piante di canapa indiana e arrestare coloro
che le coltivavano nella California settentrionale.
Nel 1987 un membro della Corte dovette ritirarsi in
seguito a pressioni in quanto aveva fumato marijuana
quando era un professore di legge. Nel 1989, sotto il
presidente Bush, il governo federale cominciò
l'operazione "Mercante Verde", confiscando
liste di persone che avevano ordinato materiali ed
attrezzi per la coltivazione casalinga e perquisendo
le loro case. L'amministrazione Bush si impegnò
inoltre a persuadere lo stato dell'Alaska a rendere il
possesso di marijuana nuovamente un reato penale,
riuscendovi nel 1990. Quello stesso anno, il Congresso
approvò un disegno di legge che prevedeva la
sospensione dei fondi federali per il trasporto a
quegli stati che rifiutassero di comminare la
sospensione della patente di guida per 6 mesi a chi
fosse stato arrestato per possesso di marijuana.
E' importante ricordare che tali provvedimenti sempre
più duri (e la crescente isteria dei comitati di
cittadini contro la marijuana) non riflettevano alcuna
nuova conoscenza circa la pericolosità di questa
droga. Durante il quarto di secolo trascorso da quando
iniziai a studiare la marijuana, i dati di
laboratorio, sociologici o epidemiologici indicativi
di seri problemi medici o sociali derivanti dall'uso
di questa sostanza sono stati notevolmente esigui.
L'attuale atteggiamento del governo e delle crociate
anti-marijuana ha lo stesso rapporto con la realtà di
quelle che il film "Refeer madness" (La
follia dello spinello) aveva nel 1936.
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Ma
la dissonanza è ancora più notevole ora, poiché sappiamo
tante cose in più. Dal 1971 sono stati spesi milioni di
dollari per studiare i pericoli della canapa indiana, ma
questa vasta opera di ricerca ha fallito completamente nello
scopo di fornire una base scientifica per la proibizione.
Sebbene continuino ad accumularsi prove contro la sua
tossicità, il governo persiste nel condurre una azione
repressiva sempre più intensa verso i consumatori di canapa
indiana. Per giustificare la sua politica, (di solito usando
come proprio portavoce la DEA, l'Amministrazione per il
Controllo dei Farmaci e delle Droghe), esso distorce, allunga
e tronca i risultati delle ricerche in un modo degno di
Procuste.
L'impegno
del governo a sostenere grossolane esagerazioni sulla
dannosità della canapa indiana ha reso necessario che si
negasse l'utilità medica di questa sostanza pur di fronte a
schiaccianti dati contrari. Nel 1991 la DEA fu inondata di
richieste per l'uso della marijuana da persone affette da
AIDS. In tutta risposta, James O. Mason, direttore del
Servizio Sanitario Pubblico, annunciò che un programma IND (Investigational
New Drug Application = Applicazione sperimentale di una
medicina di nuova introduzione, ndt) compassionevole, che
aveva consentito a un piccolo gruppo di pazienti di usare la
marijuana legalmente come una medicina, sarebbe stato sospeso.
Egli spiegò al proposito che questo programma intaccava
l'opposizione dell'amministrazione all'uso di droghe illegali:
"Se si avesse l'impressione che il Servizio Sanitario
Pubblico va in giro a distribuire marijuana alla gente, si
penserebbe che questa sostanza non dev'essere poi del tutto
malvagia", disse Mason. "Ciò darebbe un segnale
negativo. Non ho nulla contro il permesso di somministrazione
se non vi è altro modo di aiutare queste persone... Ma non
abbiamo uno straccio di prova che fumare marijuana giovi a un
malato di AIDS".Nel 1971 osservai che poiché la
marijuana era stata usata da tantissime persone in tutto il
mondo, per migliaia di anni e con pochissime prove di effetti
tossici significativi, la scoperta di un qualsivoglia serio
rischio per la salute non individuato in precedenza era
alquanto poco probabile. Proposi che le ricerche sulla canapa
si orientassero piuttosto verso le sue applicazioni in campo
medico e il suo potenziale come strumento per aumentare la
nostra comprensione delle funzioni cerebrali. Sebbene i fondi
stanziati in questi campi siano stati notevolmente scarsi, in
entrambi si sono registrati interessanti sviluppi.
Nel 1990 i ricercatori hanno scoperto ricettori cerebrali
stimolati dal THC (tetraidrocannabinolo). Questa emozionante
scoperta implica che il corpo produce la propria versione di
sostanze cannabinoidi per uno o più scopi utili. Il primo
neurotrasmettitore del tipo cannabinoide fu identificato nel
1992 e venne chiamato anandamida (ananda è un termine
sanscrito che significa estasi). Punti di ricezione delle
sostanze cannabinoidi si trovano non solo nel cervello
inferiore ma anche nella corteccia cerebrale, che regola il
pensiero superiore, e nell'ippocampo, che è un locus della
memoria. Queste scoperte portano a formulare alcune ipotesi
interessanti. La distribuzione di recettori dell'anandamida
nel cervello superiore potrebbe spiegare perché così tanti
consumatori di marijuana sostengano che questa droga stimoli
alcune attività mentali, incluse la creatività e la
fluidità di associazione? Questi recettori giocano forse un
ruolo nella capacità della marijuana di alterare l'esperienza
soggettiva del tempo? E cosa concludere a proposto della
sottile intensificazione della percezione e della capacità di
sperimentare il mondo fisico con in parte quella sensazione di
scoperta e di emozione che si prova nell'infanzia? Forse
ulteriori ricerche su questi recettori, che potrebbero non
essere limitate al solo cervello, promuoveranno nel contempo
una migliore comprensione della notevole versatilità della
canapa indiana come medicinale.
Nonostante condizioni che scoraggiano i
ricercatori, le applicazioni mediche della marijuana hanno
registrato notevoli progressi dal 1971, in circostanze
particolarmente insolite e difficili. Di norma, le nuove
medicine sono accompagnate lungo il complicato percorso ad
ostacoli per l'approvazione federale dalle compagnie
farmaceutiche, che dedicano ampie risorse al compito di
prendere una sostanza chimica con potenziale terapeutico e
trasformarla in una proprietà da immettere sul mercato. Per
molte ragioni, tra cui il fatto che è impossibile ottenere
per essa il diritto di esclusiva, è altamente improbabile che
alcuna compagnia farmaceutica si imbarchi in questo processo
in favore della canapa indiana. Inoltre, il governo degli
Stati Uniti è stato ed è adamantino nella sua opposizione al
riconoscimento dell'utilità della marijuana in campo medico.
Nonostante ciò, un numero sempre più elevato di persone sta
usando la marijuana come medicinale.
Una serie di sviluppi ha aumentato
notevolmente l'interesse verso le applicazioni mediche della
canapa indiana. Nei primi anni '70, molti si accorsero che la
canapa indiana poteva dar sollievo all'intensa nausea e ai
vomiti provocati dalla cura chemioterapica del cancro, che era
allora una forma di terapia nuova. La marijuana si dimostrò
spesso più efficace rispetto agli anti-emetici legali. Più o
meno nello stesso periodo fu scoperto che la marijuana
abbassava in modo efficace la pressione sul nervo ottico in
pazienti affetti da glaucoma ad angolo aperto; molti pazienti
scoprirono, per lo più parlandone tra di loro, che la canapa
indiana era più efficace delle medicine convenzionali nel
ritardare la progressiva perdita della visione causata da
questa patologia. Verso la metà degli anni '80, alcuni malati
di AIDS si accorsero che la canapa indiana portava sollievo
alla nausea causata dalla loro malattia o dalle medicine che
assumevano per combatterla. Inoltre, la canapa indiana
migliorava il loro appetito, e consentiva loro di bloccare, o
addirittura invertire, la tendenza a perdere peso. Come la
maggior parte dei consumatori di canapa indiana per le sue
virtù terapeutiche, la persone affette da AIDS hanno scoperto
che la marijuana fumata è più efficace del THC sintetico (Marinol)
che venne legalmente introdotto come farmaco prescrivibile nel
1985.
Lo sforzo per rendere la canapa indiana
stessa disponibile come farmaco soggetto a prescrizione fu
iniziato nel 1972 dall'Organizzazione Nazionale per la Riforma
delle leggi sulla Marijuana (National Organization for the
Reform of Marijuana Laws), e proseguì con lentezza
esasperante attraverso il sistema legale.
Finalmente,
nel 1986 l'amministratore della DEA annunciò che avrebbe
indetto le udienze pubbliche ordinate dalle corti legali sette
anni prima. Queste udienze, che cominciarono nel 1986 e
durarono due anni, videro l'intervento di numerosi testimoni,
tra i quali sia medici che pazienti, e migliaia di pagine di
documentazione. Il giudice legale della DEA, Francis J. Young,
esaminò tutti i dati raccolti e comunicò le sue conclusioni
nel 1988. Young disse che l'approvazione da parte di una
minoranza significativa di medici era sufficiente per il
raggiungimento degli standard stabiliti dalla Legge per le
Sostanze Controllate (Controlled Substances Act) perché la
marijuana fosse annoverata tra le medicine del gruppo II,
cioè quelle sottoposte a prescrizione medica. Egli aggiunse
inoltre che "la marijuana, nella sua forma naturale, è
una delle più sicure tra le sostanze terapeuticamente attive
conosciute... Si deve ragionevolmente concludere che vi è
un'accettabile sicurezza per l'uso della marijuana sotto
controllo medico. Una conclusione diversa, basata sui dati in
nostro possesso, costituirebbe un'atto irragionevole,
arbitrario e frutto di un capriccio". Young continuò
raccomandando "che l'Amministratore (della DEA) concluda
che la pianta della marijuana presa nel suo intero ha un uso
medico a fini terapeutici attualmente accettato negli Stati
Uniti, che non vi è alcuna carenza di sicurezza accettabile
per il suo uso sotto controllo medico, e che può essere
trasferita legalmente dalla Classe I alla Classe II".
La DEA non prese in considerazione l'opinione del suo
giudice legale amministrativo e rifiutò di
riclassificare la marijuana. Come commentò l'avvocato
dell'ente, "Il giudice sembra appigliarsi a
quella che lui definisce una "minoranza
rispettabile di medici". Di che percentuale
stiamo parlando? La metà dell'uno per cento? Un
quarto dell'uno per cento?" L'amministratore
della DEA, John Lang andò oltre, definendo le
asserzioni sull'utilità della marijuana una
pericolosa e crudele mistificazione".Nel corso
degli ultimi vent'anni, mentre le potenzialità di
applicazione terapeutica della canapa indiana
divenivano sempre più evidenti, ho avuto modo di
osservare la crescente frustrazione dei pazienti che
non riescono ad ottenerla per vie legali. Il governo
degli Stati Uniti deve assumersi la responsabilità
delle sofferenze inutili causate da una politica che
può solo essere definita ignorante e crudele, e
perché spinge i suoi cittadini a compiere atti
penalmente perseguibili. Nonostante l'ostruzionismo
del governo, molti pazienti hanno imparato ad
utilizzare la marijuana a scopo terapeutico, e molti
altri ne stanno scoprendo i benefici. Sfortunatamente,
devono sopportare l'ansietà imposta dal rischio di
arresto e i loro sensi di colpa per il fatto di
infrangere la legge, e sono costretti a pagare prezzi
esorbitanti sulla strada per una medicina che dovrebbe
essere assai poco costosa.Rileggendo ora la seconda
edizione di "Marihuana Reconsidered" ho
trovato alcuni capitoli, come quelli sulla chimica,
farmacologia e le applicazioni mediche della
marijuana, datati. Alcune delle idee espresse in quel
libro ora sembrano leggermente bizzarre anche a me. Il
tono è più cauto di quanto sarebbe se mi accingessi
a scriverlo oggi. Infatti, sebbene sia ancora convinto
che la marijuana non sia innocua, sono altrettanto
sicuro che sia una delle meno pericolose, se non la
meno pericolosa, di tutte le sostanze psicoattive,
legali o legali, medicinali o ricreative.Un'altra
impressione che ho avuto rileggendo il libro è di
aver prestato poca attenzione agli usi della marijuana
che non sono propriamente né medici né ricreativi.
Nel 1971 avevo scritto che "La mia intenzione è
di fornire una descrizione accurata di questa droga e
delle sue proprietà, e di metterne in prospettiva i
pericoli e le applicazioni utili".
|
Prima
negli Stati Uniti...
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Testimonianze
dal libro Marijuana, the forbidden Medicine
"Non amo infrangere la legge. Non mi piace pagare un prezzo
esorbitante a degli spacciatori per un prodotto non
regolato e non contollato. Ma mi piace davvero
camminare, parlare, leggere, scrivere e vedere"
Greg Paufler che usa
la marijuana per alleviare i sintomi della sclerosi
multipla.
"Avevo sentito che la marihuana funziona
contro la nausea. Ero titubante se usarla o no,
perché non avevo mai fumato niente in vita mia. La
marijuana funzionò benissimo. Va oltre la mia
comprensione - ed io mi illudo di capire molte cose,
anche senza senso - il fatto che una sostanza così
benefica non sia disponibile a chi ne ha veramente
bisogno, solo perché vi sono altri che la usano per
altri motivi"
Stephen Jay Gould che ha usato la marijhuana durante il trattamento
contro il cancro.
"I compiti giornalieri come lavarmi e vestirmi, diventano
molto piu semplici. Non ho quasi piu nessuno spasmo e
sono graziata da dover assumere dodici pillole al
giorno, tossiche e da cui sarei diventata dipendente.
Circa due terzi dei pazienti paralizzati che io
conosco usano la marijhuana per controllare gli spasmi
muscolari ed il dolore. Il govemo ora sta mettendo in
atto una guerra contro le droghe che in effetti
colpisce me ed altri pazienti paralizzati, perché
abbiamo scelto una sostanza che e la migliore e la piu
sicura per la nostra condizione, mettendoci sullo
stesso piano dei criminali che abusano di eroina"
Chris
Woiderski che usa marijuana per gli spasmi causati
dalla paraplegia.
|
A quel tempo, soprattutto a causa della mia ignoranza,
"l'utilità" era riferita solo alla medicina.
L'esperienza accumulata negli ultimi vent'anni mi ha spinto a
considerare molto più seriamente le asserzioni di coloro i
quali credono che la canapa indiana abbia proprietà utili che
non possono essere descritte come mediche. Per esempio, non ho
più dubbi che la marijuana possa essere uno stimolatore
intellettuale. Può aiutare colui che la usa a penetrare
barriere concettuali, a promuovere la fluidità associativa, e
ad aumentare la propria percezione interiore e creatività.
Alcuni la trovano così utile per l'acquisizione di nuove
prospettive o la visione dei problemi da un diverso punto di
vista, che la fumano in preparazione per il lavoro
intellettuale. Ho l'impressione che queste persone abbiano
imparato a sfruttare l'alterazione della coscienza prodotta
dalla canapa indiana. Altri modi in cui la canapa può essere
utile hanno probabilmente poco a che vedere con l'acquisizione
di conoscenza. Essa può acuire le sensazioni piacevoli
derivanti dal cibo, dalla musica, dall'attività sessuale,
dalle bellezze della natura e da altre esperienze sensuali.
Nelle condizioni e nell'ambiente adatti, può promuovere
l'intimità emotiva. Per quasi tutti, ha la capacità di
evidenziare l'aspetto comico della vita e di catalizzare una
risata piena e salutare.
E' forse in parte proprio perché così tanti americani
hanno scoperto da soli che la marijuana è allo stesso
tempo relativamente benigna e notevolmente utile, che
il consenso morale circa i mali della canapa indiana
è allo stesso tempo incerto e superficiale. Le
autorità pretendono che eliminare il traffico di
canapa indiana sia equivalente all'eliminare la
schiavitù o la pirateria, o sia come sradicare il
vaiolo o la malaria. L'atteggiamento ufficiale è che
deve essere fatto tutto il possibile per impedire per
sempre e a chiunque di usare la marijuana.
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...ora
anche in Italia
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da "La Stampa" 12 agosto 1995
|
Ma
allo stesso tempo vi è un bagaglio informale di conoscenze
sull'uso della marijuana che è molto più tollerante. Molti
dei milioni di persone che usano la canapa indiana in questo
paese non solo disobbediscono alle leggi antidroga, ma
altresì non le rispettano per principio. Essi non nascondono
il loro amaro risentimento verso leggi che li rendono dei
criminali. Credono che molte persone siano state ingannate dal
loro governo, e sono giunti a dubitare che le
"autorità" capiscano granché circa le proprietà
di questa droga, sia quelle dannose che quelle
benefiche. Questa corrente sotterranea di ambivalenza e
resistenza nell'atteggiamento pubblico verso le leggi contro
la marijuana apre uno spiraglio alla possibilità di un
mutamento, specie se consideriamo che i costi della
proibizione sono notevoli e in continuo aumento. Attualmente,
negli Stati Uniti, più di 300.000 persone vengono arrestate
ogni anno per reati legati alla marijuana, contribuendo così
all'intasamento delle corti giudiziarie e al sovraffollamento
delle carceri. Oltre alle centinaia di miliardi sprecati per
la proibizione, vi sono costi più difficili da quantificare.
Uno di questi è la perdita di credibilità del governo. I
giovani che scoprono che le autorità mentono a proposito
della canapa accolgono con scetticismo le posizioni ufficiali
a proposito delle altre droghe e tendono a disprezzare le
dichiarazioni di impegno in difesa della giustizia da parte
del governo. Un altro costo spaventoso della proibizione è
l'erosione delle libertà civili. L'uso di informatori e di
trappole test obbligatori delle urine, perquisizioni ed
arresti senza mandato, e violazioni della legge del "Posse
Comitatus" (che proibisce l'uso di forze militari
nell'applicazione di leggi civili) stanno diventando più
comuni. E' sempre più chiaro che la nostra società non può
essere allo stesso libera dalla droga e
libera. E' altrettanto chiaro che la realtà
dei bisogni umani è incompatibile con la richiesta di una
distinzione legalmente applicabile tra l'uso medicinale della
canapa indiana e le altre utilizzazioni. L'uso della marijuana
semplicemente non si adatta ai limiti concettuali stabiliti
dalle istituzioni del ventesimo secolo. Accresce molti piaceri
e ha varie applicazioni mediche possibili, ma anche queste due
categorie non sono le sole rilevanti. Il tipo di terapia
spesso utilizzato per alleviare i malesseri quotidiani non
rientra in nessuno schema di questo genere. In molti casi,
ciò che la persona comune fa quando si auto-prescrive la
marijuana non è molto diverso da ciò che fanno i medici
quando forniscono prescrizioni per medicinali psicoattivi o di
altro tipo. Il solo modo attuabile per realizzare tutte le
potenzialità di questa sostanza così interessante, incluso
il suo pieno potenziale medico, è di liberarla dal doppio
gruppo di regolamenti attuali - quelli che controllano i
medicinali soggetti a prescrizione medica in generale, e le
leggi speciali criminali che controllano le sostanze
psicoattive. Queste leggi, rinforzadosi a vicenda,
stabiliscono un corpo di categorie sociali che strangolano le
potenzialità eccezionalmente sfaccettate di questa sostanza.
La sola via d'uscita è di tagliare questo nodo dando alla
marijuana lo stesso status dell'alcool - e cioé legalizzarla
per tutti gli usi da parte di adulti e rimuoverla
completamente dai sistemi di controllo medico e criminale.
Visto i miei passati fallimenti come profeta, potrebbe essere
inopportuno da parte mia arrischiare ulteriori predizioni sul
futuro della marijuana. Eppure credo ancora che prima o poi la
popolazione degli Stati Uniti e del mondo riconoscerà i
benefici individuali e sociali di questa droga e i costi
enormi dell'attuale proibizione. Un giorno, mi auguro, ci
guarderemo indietro e ci chiederemo perchè le nostre società
fossero così perverse da trattare la canapa indiana come
fecero per la maggior parte del ventesimo secolo.
1.
Per un resoconto dettagliato del posto crescente della canapa
indiana nella cura di un numero crescente di patologie, si
veda Lester Grinspoon e James B. Bakalar, "Marijuana the
Forbidden Medicine (New Haven: Yale University Press, 1993).
2"Marijuana Reconsidered" è stato
ripubblicato di recente - Quick American Archives, Oakland,
CA, 1994
Lester Grinspoon, Dottore in Medicina Dipartimento
di Psichiatria, Scuola di Medicina di Harvard e
Centro delMassachussetts per la Salute Mentale74
Fenwood Road, Boston, MA 02115
CANNABIS:
PATOLOGIA E TERAPIA
di
Robert B. Millman
La diffusione del'uso della cannabis, che a partire dagli
anni '60 ha investito massicciamente la popolazione giovanile,
ha raggiunto il massimo livello nel corso degli anni '70. Da
allora, si è assistito ad un progressivo declino. Secondo una
delle più nol indagini epidemiologiche sull'argomento, la
High School Senior Survey (condotta sugli studenti delle
ultime classi delle scuole superiori), nel 1969 il 20% degli
intervistati aveva assunto cannabis almeno una volta nella
vita. Nel 1979 la percentuale era salita; 60.4%, per poi
ridiscendere, nel 1990, fino al 40.7%. Secondo la stessa
indagine, Ia percentuale dei soggetti che facevano uso
quotidiano di cannabis, e che possiamo pertanto considerare
maggiormente a rischio, era passata dal 10.7% del 1978 al 2.2%
del 1990.
Tra le ragioni di questa tendenza generale alla riduzione
dell'uso di marijuana va annotata la modificazione
dell'orientamento culturale ed in particolare la mutata
percezione della pericolosità delle droghe.
L'uso della marijuana è stato storicamente associato ad una
particolare cultura caratterizzata dalla perdita di interesse
o anche dalla mancanza di riguardo per i simboli tradizionali
della religione, dello stato, della famiglia e dell'autorità.
L'atteggiamento dei giovani degli anni '60 e '70 era
proteiforme e creativo, sebbene ansiogeno. La fine degli anni
'70 e gli anni '80 sono stati caratterizzati invece da uno
stile di vita più conservativo e controllato, dove la
consapevolezza tra i giovani che il mondo non si può cambiare
può avere reso meno desiderabile l'alterazione dello stato di
coscienza prodotto dalla marijuana.
All'aumentata percezione della pericolosità della cannabis
degli ultimi anni possono avere contribuito diversi fattori,
quali la osservazione delle reazioni avverse negli amici che
l'hanno utilizzata e il forte impegno contro le droghe
manifestato dall associazioni dei genitori e dai media con le
loro campagne. È probabile che anche l'aumento del prezzo
della sostanza possa avere contribuito alla riduzione
dell'uso.
MODELLI
D'USO. Tra
gli estremi dell'uso occasionale e di quello cronico, vi è
una grande variabilità nella modalità di uso dei derivati
della cannabis. Se considerazioni di carattere geografico,
sociale e culturale sono importanti per la predisposizione, la
frequenza e la modalità dell'uso dipendono invece
fondamentalmente dalla interazione tra gli effetti psicoattivi
della sostanza e le caratteristiche di personalità
dell'individuo.
Nella vita dell'assuntore occasionale la marijuana svolge un
ruolo marginale. Solitamente il consumo è ristretto ad
incontri di gruppo, nei quali il rituale della preparazione e
condivisione del "joint" è parte integrante
dell'interazione sociale. In genere non si associa l'uso di
altre sostanze.
L'uso continuativo può variare da quello di una sigaretta di
marijuana al giorno, allo scopo di rilassarsi dopo la scuola o
il lavoro, a quello compulsivo, nel quale la sostanza viene
usata quotidianamente per tutto l'arco della giornata. Nel
consumatore compulsivo, il procacciamento e l'assunzione della
cannabis divengono le preoccupazioni dominanti della vita.
Alcuni di questi individui sono dei "puristi", che
usano solo cannabis; molti altri assumono anche una varietà
di altre droghe.
MARIJUANA E DROGHE PESANTI. L'uso di
marijuana solitamente precede l'uso di altre droghe. Ciò non
necessariamente significa che la marijuana porti alla
dipendenza da altre sostanze. La maggior parte degli individui
prima di assumere marijuana ha assunto vino, sigarette, caffè
e perfino latte. Non per questo si può parlare di causalità.
È comunque ipotizzabile che la marijuana, chiamata anche
"droga d'ingresso", un qualche ruolo sull'uso di
altre sostanze lo svolga. Gli effetti piacevoli della
marijuana, la constatazione che il suo uso non è poi così
pericoloso quanto i genitori o i media danno ad intendere,
possono incoraggiare la sperimentazione di altre droghe.
Inoltre, essendo l'uso della marijuana illegale, per
l'assuntore possono essere minori le resistenze verso l'uso di
altre sostanze illegali: la stessa attività di ricerca della
marijuana facilita l'incontro con persone che usano altre
droghe. Infine va segnalato anche l'aspetto finanziario:
mentre il costo della cocaina e della eroina si è
progressivamente ridotto, quello della marijuana continua a
crescere. I cosidetti "nickel bags" (confezioni da
cinque centesimi), che un tempo costavano 5 dollari, oggi
costano tra i 10 ed i 20 dollari.
LA STORIA NATURALE DELL'USO Dl CANNABIS.
Sebbene il modello di uso della marijuana nell'adulto non sia stato
bene studiato, I'esperienza clinica suggerisce che con
l'avanzare dell'età vi sia una tendenza alla riduzione
dell'uso. La storia naturale del consumatore di cannabis
sembra evidenziare un decremento dell'uso verso i 30 - 40
anni, quando la sostanza viene considerata meno attraente e
fonte di effetti psicoattivi di tipo disforico. Noi abbiamo
seguito un gruppo di persone che col tempo aveva ridotto
significativamente la frequenza d'uso. Si trattava di persone
di successo, appartenenti alla classe sociale media, di età
compresa tra i 30 e i 50 anni e di razza bianca. Dopo molti
anni di uso quotidiano costoro riferivano, non senza
imbarazzo, che fumare quantità elevate di marijuana li
rendeva ansiosi, irrequieti e paranoici. Continuavano ad
affermare che a loro la cannabis piaceva, ma solo
occasionalmente ed in piccole dosi. Col passare degli anni,
per queste persone aumentava invece l'appetibilità di
sostanze associate a sensazioni di potenza, di energia e di
produttività, come l'alcol e la cocaina. Non importava se a
queste sensazioni non si accompagnasse un reale miglioramento
della performance. Ciò che contava era la sensazione
prodotta.
L'intossicazione
da marijuana è caratterizzata da una alterazione della
percezione del tempo, che sembra rallentato, e da una ridotta
capacità di concentrazione. È probabile che questo stato sia
gradevole per i giovani che non devono confrontarsi con i
limiti imposti dal tempo. Quando però I'individuo comincia a
fare i conti col processo dell'invecchiamento e ad attribuire
un qualche valore alla produttività e all'ambizione, la
passività e la lassitudine indotte dalla marijuana possono
essere causa di ansia. È anche possibile che l'aumento dei
sintomi d'ansia e disforia che si osserva con l'uso cronico di
cannabis, sia da mettere in relazione con i fenomeni di
kindling e sensibilizzazione già ipotizzati per spiegare le
convulsioni da cocaina e gli attacchi di panico nei disturbi
d'ansia e depressivi.
EFFETTI
PSICOATTIVI.
Gli
effetti psichici della cannabis variano in dipendenza della
preparazione, della dose, della via di somministrazione, della
personalità dell'assuntore, delle sue aspettative e del
contesto nel quale viene utilizzata. È comune una alterazione
della percezione dei suoni, dei colori, dei discorsi e del
gusto. Anche l'umore viene interessato in modo variabile. Di
solito viene sperimentato una sensazione di accresciuto
benessere, ma talvolta anche di depressione ed ansia. Vi
possono essere iperattività e ilarità o anche passività,
apatia e sonnolenza. ll flusso ideativo può apparire
accelerato e vi può essere un certo rilassamento delle
associazioni. Gli individui possono diventare più loquaci o
più silenti. ll tempo sembra trascorrere più lentamente ed
il bisogno di attività è minore, ma senza sensazione di
noia. I fumatori riferiscono di lunghi periodi di tempo
trascorsi ascoltando musica o leggendo. l problemi possono
apparire meno pressanti, sebbene si possa osservare anche
l'opposto.
VALUTAZIONE
E DIAGNOSI Dl DIPENDENZA E ABUSO.
La valutazione di un individuo per il quale si sospetta
l'uso di sostanze psicoattive, non può prescindere da una
accurata raccolta anamnestica, dall'esame fisico e da una
valutazione psichiatrica.
Poiché la marijuana viene utilizzata spesso in associazione
con altre sostanze, è inoltre importante verificare il tipo
di relazione esistente. Per esempio, per chi abusa di cocaina
la marijuana può servire per alleviare le sensazioni d'ansia
da essa prodotte, mentre per chi abusa di eroina o alcol può
servire ad aumentarne gli effetti. In numerose circostanze il
processo diagnostico può avvalersi di analisi tossicologiche
per la ricerca delle sostanze d'abuso o dei loro metaboliti
nei liquidi biologici. L'esame tossicologico delle urine,
indicato quando si sospetti l'uso di cannabis, può aiutarci
ad esempio a chiarire l'origine di uno stato di intossicazione
acuto o di un improvviso cambiamento dello stato mentale,
dell'umore o del comportamento.
A questo proposito va osservato che esiste una scarsa
correlazione tra data ed entità del consumo di
cannabis da una parte e concentrazione dei suoi
metaboliti nei liquidi biologici dall'altra. A causa
della loro elevata liposolubilità, il D-9-tetraidrocannabinolo (THC) ed i suoi metaboliti si
accumulano nei tessuti adiposi e vengono eliminati
dall'organismo molto più lentamente rispetto ad altre
sostanze. Il principale metabolita, il 11-nor-D-9-THC-acido carbossilico, può essere rilevato
nelle urine per 4-6 giorni dopo un uso acuto di
cannabis e per 20-30 giorni dopo un uso cronico.
Sebbene con l'uso cronico di cannabis sia stata
riportata la comparsa di tolleranza verso la maggior
parte degli effetti prodotti, gli individui con
dipendenza da cannabis solitamente non sviluppano
dipendenza fisica.
|
Tessera
della Associazione Consumatori Cannabis
|
L'elemento
centrale della dipendenza da cannabis è rappresentato dalla
compulsione. Sintomi caratteristici, in accordo col DSM-IV
sono: I'uso della sostanza durante tutto l'arco della
giornata, per un periodo di mesi o anni; I'incapacità di
ridurne le dosi o di controllarne l'assunzione; I'uso
continuato nonostante la presenza di problemi fisici o
psicologici causati o aggravati dalla sostanza; la
compromissione di importanti attività scolastiche, lavorative
o ricreative a causa del suo uso.La diagnosi di abuso trova
posto laddove sia rilevabile un maladattamento, ma non siano
presenti tutti i criteri necessari per la diagnosi di
dipendenza.
REAZIONI AVVERSE ACUTE
Disturbi d'ansia. Le
reazioni avverse più comunemente riportate sono l'ansia e gli
attacchi di panico. Solitamente compaiono durante il periodo
di intossicazione e si risolvono entro qualche minuto o
qualche ora, persistendo solo raramente oltre le 24 ore.
È più facile che queste reazioni si manifestino fra i
principianti, soprattutto se l'assunzione di marijuana avviene
in un ambiente estraneo o minaccioso. L'intensità è
variabile e va da uno stato di modesto disconforto ad un
franco quadro isterico, con sensazione di impedimento motorio
e respiratorio o di imminente attacco cardiaco.L'intervento
più indicato consiste nella rassicurazione: in genere è
sufficiente ricordare al paziente che i sintomi presentati
sono abbastanza comuni, che sono prodotti dalla sostanza e che
si risolveranno rapidamente. Talvolta può essere utile un
ansiolitico, preferibilmente di rapido effetto e lunga durata
d'azione, come diazepam, 10-30 mg, o lorazepam, 1-3 mg.
La persistenza dello stato ansioso è più probabile in
individui psicologicamente predisposti.
Preparazione
dello spinello
Psicosi.
Un
quadro clinico di rara osservazione è il disturbo psicotico
indotto da cannabis. Esso si sviluppa rapidamente dopo l'uso
della sostanza e in genere recede entro uno o pochi giorni.
Solitamente comprende deliri di persecuzione o di gelosia,
mentre la presenza di allucinazioni è rara. Altri sintomi
associati sono: ansia, labilità emotiva, depersonalizzazione
e, al cessare dell'episodio, amnesia.
I
limiti tra stati d'ansia, attacchi di panico e disturbo
psicotico indotto da cannabis non sono netti. Anche la
comparsa di un disturbo psicotico dipende dalla dose assunta,
dalla personalità premorbosa dell'individuo e dall'ambiente.
In soggetti predisposti il disturbo psicotico indotto da
cannabis può preludere ad una psicosi persistente.
Il trattamento di questo disturbo può includere, oltre agli
interventi già enunciati per le reazioni d'ansia, l'uso di un
neurolettico (aloperidolo 2-4 mg).
Delirium.
La
comparsa di delirium, con obnubilamento della coscienza,
confusione, depersonalizzazione e alterazione del pensiero,
spesso consegue all'ingestione di grandi quantità di cannabis
in una delle sue numerose forme. Vi possono anche essere
compromissione della memoria, allucinazioni visive ed uditive,
paranoia e comportamento bizzarro o violento. Sono stati
riportati quattro casi nei quali si associava mutismo. La
durata del disturbo varia da poche ore a pochi giorni. La
relazione di questo quadro con la psicosi schizofreniforme
rimane poco chiara. Per il trattamento si usano farmaci
ansiolitici e neurolettici.
Flashback.
ll
flashback consiste nella transitoria ricomparsa di sensazioni
e percezioni sperimentate sotto l'effetto di una sostanza
psichedelica. Fumare marijuana può fungere da fattore
scatenente il flashback. Altri fattori scatenanti sono la
fatica, lo stress emotivo e l'alterato funzionamento dell'lo.
Il flashback puòdurare secondi o ore e può essere vissuto
come piacevole o terrifico. Spesso sono presenti distorsione
visiva, alterazione dello stato affettivo, depersonalizzazione
e sintomi fisici.
L'uso
continuato di cannabis o di sostanze psichedeliche può
aumentare l'incidenza di flashback. Anche per questo quadro
l'intervento comprende la rassicurazione e la terapia
ansiolitica. Anche la psicoterapia può essere utile. In casi
estremi può essere indicato il trattamento con neurolettici.
USO CRONICO Dl CANNABIS E PSICOPATOLOGIA.
Come per le altre sostanze d'abuso, le manifestazioni
psicopatologiche che si osservano dopo l'uso cronico sono la
conseguenza dell'interazione fra psicobiologia dell'assuntore
e effetti psichici della sostanza. È ovviamente difficile
verificare quanto I'uso della marijuana sia la conseguenza
della psicopatologia di base del soggetto e quanto ne sia
invece la causa.
autoterapia. L'abuso e
la dipendenza da cannabis sono spesso associati alla presenza
di disturbi psichiatrici come i disturbi dell'umore, la
schizofrenia, i disturbi di personalità. L'uso autoterapico
della marijuana nei portatori di patologie affettive, ben si
accorda con le sue proprietà ansiolitiche e sedative. Essa
può aiutare il soggetto ad alleviare le sensazioni di
depressione, rabbia, vergogna e solitudine solitamente
associate agli stati di sregolazione affettiva. Poichè la
cannabis ha comunque effetti psicotomimetici, è difficile
capire come anche gli psicotici possano utilizzarla in senso
autoterapico. Sicuramente altre sostanze, ad esempio l'eroina,
sarebbero più utili allo scopo. in realtà gli schizofrenici
spesso riferiscono che i farmaci antipsicotici producono
sensazioni di vuoto, di passività, di sottomissione. In
relazione all'uso di cannabis questi pazienti riportano una
esperienza bifasica: la prima caratterizzata da sensazioni di
rilassamento, di energia e di innalzamento dell'umore; la
seconda caratterizzata da deterioramento psichico, da
disorganizzazione e da aggravamento delle allucinazioni
uditive. È probabile che i pazienti schizofrenici, pur di
poter sperimentare dei fugaci momenti di euforia e di fuga,
siano disposti ad accettare un peggioramento della
sintomatologia. È anche possibile che gli effetti
anticolinergici della cannabis riducano l'efficacia dei
neurolettici. Si è osservato che una delle cause più
frequenti di ricovero per i pazienti schizofrenici è
I'abbandono delle terapie neurolettiche e l'uso di cannabis.
Il tipo di trattamento da instaurare nei confronti di pazienti
con disturbi mentali e abuso di cannabis deve tenere conto
dello specifico quadro clinico. Vanno affrontate le tematiche
della autoterapia e della razionalizazione. In tal senso può
essere utile coinvolgere questi pazienti in terapie di gruppo.
I pazienti in trattamento neurolettico devono essere
specificamente avvertiti del pericolo legato all'uso di
cannabis.
Psicosi. È stata
ripetutamente segnalata la comparsa di episodi psicotici
prolungati (giorni o settimane) e psicosi croniche scatenati
dall'uso di dosaggi elevati di cannabis per lunghi periodi. I
tentativi di distinguere queste sindromi dalla schizofrenia
classica non sono stati coronati da successo. Non è chiaro se
possano presentarsi anche in individui non
psicopatologicamente predisposti. La nostra impressione
clinica è che al termine di un episodio psicotico acuto
scatenato dalla cannabis, possa persistere per lunghi periodi
una sintomatologia psicotica attenuata, con pensieri paranoidi
e allucinazioni uditive.
I quadri psicotici scatenati dalla marijuana, se i sintomi
persistono, dovrebbero essere trattati come psicosi
funzionali. Nel nostro centro, quando la componente ansiosa è
predominante, usiamo gli ansiolitici (diazepam 40-60 mg al dì
in dosi refratte), nel tentativo di far "abortire"
I'episodio psicotico. In seguito, se è necessario,
somministriamo dosi appropriate di farmaci neurolettici.
Sindrome amotivazionale.
In utilizzatori cronici di cannabis è stata descritta
una sindrome amotivazionale, caratterizzata da apatia,
riduzione delle attivita finalizzate, incapacità di gestire
nuovi problemi, distraibilità, compromissione del giudizio e
delle abilità comunicative. Questa sindrome è stata
utilizzata per spiegare il deterioramento della personalità e
la compromissione della performance scolastica osservati nei
giovani assuntori. Si tratta comunque di osservazioni non
controllate e non replicate in altri studi sull'argomento.
Data l'azione farmacologica della cannabis, che include
sedazione, compromissione della attenzione e della memoria a
breve termine, è possibile che in alcuni giovani vulnerabili
il suo uso possa essere responsabile di un ottundimento
dell'ambizione e dell'iniziativa e di una compromissione della
performance scolastica. In altri giovani comunque, sebbene
l'uso di cannabis si associ a profondi cambiamenti
nell'abbigliamento e nel comportamento, il grado di
intraprendenza appare notevole, purchè valutato rispetto al
perseguimento di obiettivi che hanno un valore nel loro
contesto sociale.
È
probabile che la sindrome amotivazionale sia semplicemente una
variante del disturbo da dipendenza gia descritto
precedentemente.
TRATTAMENTO DELL'ABUSO E DIPENDENZA DA CANNABIS.
ll trattamento si articola nelle diverse fasi della
disintossicazione, della remissione e della riabilitazione.
Spesso il primo problema col quale ci si confronta è la
tendenza del paziente a negare il suo stato di dipendenza e ad
accettare il trattamento. Nella prima fase è importante
aiutare il paziente a riconoscere che la sostanza sta
interferendo significativamente con la sua vita. L'esecuzione
di regolari test tossicologici urinari sono particolarmente
utili in questa fase: oltre che costituire un indice
obbiettivo dell'andamento della terapia, aiutano anche il
paziente a controllare l'atteggiamento di negazione,
sollevandolo dalla responsabilità di dover riferire
regolarmente al terapeuta sull'uso della sostanza.
Non
vi è accordo generale sull'esistenza di una sindrome di
astinenza da cannabis. Una sintomatologia caratterizzata da
nausea, mialgia, irritabilità, nervosismo, irrequietezza,
depressione ed insonnia è stata descritta sia nell'animale
che nell'uomo, dopo la brusca sospensione di un uso protratto
e ad alti livelli. Gli stessi sintomi non sono stati riportati
con altre modalità di uso. Nella maggior parte dei casi la
sintomatologia è modesta ed influenzata dalla personalità
premorbosa. In genere il supporto e la rassicurazione sono
sufficienti a facilitare il processo astinenziale.
Nella
fase di remissione l'intervento può richiedere da 2 a 12
mesi. ll trattamento è finalizzato alla prevenzione della
ricaduta ed allo sviluppo delle competenze sociali. Alcuni
degli elementi critici da affrontare sono: il riconoscimento
dei segni precoci di ricaduta; la discussione dei cosidetti
"ricordi euforici", consistenti nella tendenza a
ricordare solo gli aspetti positivi dell'esperienza con le
droghe; il superamento del desiderio di riguadagnare il
controllo sulla sostanza; il rinforzo degli aspetti negativi
della droga; I'evitamento delle situazioni condizionanti la
riacquisizione di comportamenti tossicomanici ("persone,
luoghi e cose"); I'isolamento delle "cadute",
così che non diventino delle "ricadute";
I'apprendimento di nuovi metodi di gestione degli stati
emotivi che sono alla base del craving; lo sviluppo di
alternative piacevoli e gratificanti.
Sono
pochi i programmi specificamente indirizzati al trattamento
dei disturbi da uso di cannabis. Nel corso del trattamento a
lungo termine il contratto può includere la semplice
partecipazione alle sessioni settimanali di terapia di gruppo,
allo scopo di rinforzare l'impegno nell'astensione, di
migliorare le competenze relazionali e controllare la
riemergenza della negazione. Dovrebbe anche essere
incoraggiata la partecipazione ai gruppi di autoaiuto.
Nei programmi costruiti sull'esempio di quello degli Alcolisti
Anonimi, gli individui vengono incoraggiati a
considerarsi "in riabilitazione". Questo
approccio, dimostratosi efficace per gli adulti, può
non essere necessario nei giovani. Dopo un anno o più
di astensione dall'uso di sostanze e di buon
adattamento sociale, è meglio che i giovani vengano
incoraggiati a considerarsi simili ai loro pari,
sebbene a maggiore rischio. Le tecniche utilizzate
durante queste fase possono includere varie forme di
psicoterapia individuale e di gruppo, la terapia della
famiglia, i programmi organizzati secondo il modello
dei 12 passi degli Alcolisti Anonimi.
È ovviamente importante sottolineare che per molti
adolescenti l'uso sperimentale o intermittente di
marijuana è "normativo" all'interno del
loro gruppo, esercita un minimo impatto sulla loro
salute e nessuno sul loro adattamento psicosociale.
Forzare questi giovani ad un trattamento può servire
a rovinare le loro vite e le loro carriere
scolastiche, rinforzare le insicurezze sulle loro
capacità e stigmatizzarli. La valutazione
dell'opportunità di un trattamento talvolta
costituisce un difficile problema clinico che richiede
un attento bilancio tra rischi e benefici.
|
Robert B. Millman è professore di medicina e
psichiatria alla Cornell University e direttore dei
Servizi per l'abuso di alcol ed altre sostanze al New
York Hospital Payne Whitney Psychiatric Clinic. Dopo
aver studiato medicina interna e psichiatria al New
York Hospital, egli ha dedicato la sua vita alla
ricerca, al trattamento ed all'organizzazione nelle
aree dell'abuso di alcol e droghe, della psichiatria
di comunità e della salute pubblica. Il Prof. Millman
ha contribuito allo sviluppo di un range di programmi
innovativi per il trattamento della tossicodipenza sia
negli adolescenti che negli adulti.
|
Bibliografia
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