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Associazione Bambini Cerebrolesi Liguria
La persona con disabilità grave all’uscita dall’ età
evolutiva: L’aspettativa di vita di una persona con grave disabilità, non affetta da una patologia evolutiva e correttamente assistita, è oggi paragonabile a quella di una persona senza disabilità. I progressi della medicina, particolarmente nel campo della diagnosi precoce, e soprattutto il miglioramento dell’assistenza globalmente prestata alla persona con disabilità grave hanno creato condizioni che schiudono prospettive impensabili alcuni decenni or sono e conseguentemente hanno anche posto nuovi problemi alle “famiglie con disabilità”. Attraverso le esperienze delle nostre famiglie riteniamo di essere in grado di tracciare un ipotetico percorso-tipo che permetta di comprendere meglio questi problemi. Consideriamo la nostra “famiglia con disabilità” il cui membro con disabilità abbia raggiunto o stia per raggiungere la maggior età e poniamo che la sua disabilità sia insorta in età perinatale. Questa famiglia (e con il termine “famiglia” indichiamo non solo la famiglia naturale, talvolta ridotta ad una sola persona, ma anche il gruppo di persone che assistono e seguono “affettivamente” il giovane disabile) attraverso una serie di esperienze spesso dolorose e faticose ha spontaneamente elaborato una strategia di sopravvivenza che le ha permesso di “resistere” per 15-20 anni a fatiche fisiche, stress, angoscia, rabbia, depressione. La scoperta della disabilità o della patologia che poi l’avrebbe prodotta, la riabilitazione precoce, con i suoi meriti ed i suoi limiti, e la sua progressiva trasformazione in “riabilitazione quotidiana permanente”, la sofferta
accettazione della non-emendabilità di quanto derivato dalla patologia invalidante o dall’evento traumatico, il faticoso consolidamento di uno stato di salute spesso incerto , le battaglie vinte e perse per l’assistenza domiciliare e per l’integrazione scolastica “di qualità”, i costi economici e quelli umani, le rinunce, molti dolori ed alcune gioie: attraverso tutte queste esperienze siamo giunti alla soglia della maggior età ed improvvisamente si apre un grande buco nero, un vuoto quasi assoluto, che manda in crisi il precario equilibrio raggiunto. Anche perché i genitori sono invecchiati, talvolta male, i nonni non ci sono più o sono loro stessi da assistere, fratelli e sorelle hanno anche da vivere una loro vita, la scuola dell’obbligo sta finendo o è finita, l’università è una meta obiettivamente non ancora raggiungibile, una attività lavorativa reale non rientra nel possibile, gli amici si perdono un po’ e di nuovi non è facile farsene. Il problema principale diventa quello di “costruire” un modello esistenziale capace di durare per il resto della vita, di “riempire il vuoto” con nuovi interessi, nuove attività. Di pensare anche a dopodomani, quando i genitori non ci saranno o non basteranno più. Sono le tematiche del “dopo-di-noi” ma intese in un contesto più ampio che riguarda non solo la vita autonoma nel possibile o la vita dopo la famiglia e le necessarie tappe di preparazione, ma anche la vita durante la famiglia, una autonomia all’interno di essa in equilibrio con il mondo esterno. Un “dopo-di-noi” che non sia solo una struttura residenziale, per quanto confortevole, moderna ed attrezzata, ma soprattutto il centro focale di una serie di iniziative riguardanti la vita del disabile grave ormai adulto o che lo sta diventando: una “scuola-dopo-la-scuola “che permetta una continua evoluzione intellettiva e relazionale, una sede per le attività ricreative e sociali, un luogo di soggiorno breve non-ospedaliero e non-istituzionale per le inderogabili necessità di assenza della famiglia, un centro di studio per conoscere e valutare le necessità presenti e future delle persone con disabilità e conoscerne l'entità numerica e la distribuzione sul territorio. In tale ottica è un servizio reso alla totalità della popolazione: se vivremo abbastanza a lungo diventeremo tutti “cittadini con disabilità”. Giorgio Genta per ABC-Liguria e Associazione Dopodomani Onlus |
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