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EDUCATORI PROFESSIONALI (manifesto sugli Educatori - Zancan ) Politiche
Sociali. 1/96 Legislazione
L’educatore professionale: identità,
ambiti dI intervento e problematiche emergenti
Assistenza domiciliare ad anziani,
handicappati, malati di aids, minori; assistenza ai minori disabili
a scuola e in centri diurni; assistenza in casa di riposo di
anziani; attività ricreativo-culturali; interventi in carcere con
adulti e minori; centri di accoglienza; centri di aggregazione
giovanile; centri di iniziativa locale per l’occupazione; centri
diurni di sostegno educativo per minori e per il recupero
scolastico; centri semiresidenziali e comunità per
tossicodipendenti; comunità per adolescenti sottoposti a
provvedimenti del Tribunale per i minorenni; comunità per
alcoolisti, per anziani, per disabili psichici adulti e minori, per
malati di aids, per minori, per ragazze madri; consultorio
familiare, consultorio geriatrico e per adolescenti e giovani;
cooperative integrate di lavoro; corsi di formazione per adulti;
counselling; dormitori pubblici, asili notturni e mense pubbliche;
«educativa territoriale» con minori; formazione professionale con giovani drop-out; gruppi di auto aiuto
(tra alcolisti, tra malati di aids, tra sieropositivi hiv, tra
tossicodipendenti) gruppi di promozione sociale; informagiovani;
iniziative sportive; interventi di prevenzione del disagio; istituti
per anziani, per disabili, per minori; lavoro di strada con minori,
con adolescenti, con tossicodipendenti; lavoro nel territorio;
progetti adolescenti e progetti giovani; reinserimento sociale e
lavorativo; reparti ospedalieri con minori; residenze protette;
soggiorni estivi; interventi a favore degli immigrati.
Questo elenco costituisce una mappa
sufficientemente attendibile della presenza attiva dell’educatore
professionale nell’ambito di servizi sociali, assistenziali,
sanitari, culturali promossi dalle diverse articolazioni dello Stato
e da organizzazioni di tipo privatistico e solidaristico. Una mappa,
peraltro, in costante aggiornamento perché le emergenze sociali,
che con notevole frequenza si manifestano, determinano la necessità
di attivare interventi non solo socio-assistenziali e/o sanitari, ma
anche educativi. In tutte queste situazioni e ambiti di
intervento l’educatore professionale progressivamente, e non senza
«fatica», è riuscito a collocarsi portando un contributo
specifico, differente da quello di altre figure (assistente sociale,
psicologo, medico ecc.), non in contrapposizione o antagonismo, ma
in modo complementare a loro. Il contributo specifico si è
orientato sui processi di crescita, di apprendimento, di reinserimento
sociale, sulla prevenzione con una rilevante e costante
attenzione:
-
alla persona nella sua globalità, alla
valorizzazione delle risorse e al recupero delle potenzialità;
-
allo sviluppo della partecipazione degli
individui, dei nuclei familiari, degli ambienti relazionali e
comunitari;
-
alla dimensione dell’ascolto e al valore
di libertà delle persone;
-
al dare senso e significato all’esperienza;
-
alla mediazione con la realtà di
riferimento;
-
alla dimensione informale della vita delle
persone e dei gruppi sociali.
L’inserimento della figura professionale
dell’educatore nei servizi ha portato:
L’evoluzione di tale figura
professionale è stata consistente e rapida. Sino alla fine degli
anni sessanta l’educatore (non ancora denominato con il termine
«professionale») è stato presente pressoché solo negli istituti:
perlopiù si trattava di personale religioso o volontario. Oltre
tutto non esisteva un percorso formativo di base per svolgere tale
funzione, ad esclusione della scuola del Ministero di Grazia e
Giustizia. Nel corso del periodo 1960-1995 è
fortemente cresciuto il numero di chi svolge professionalmente la
funzione educativa in contesti extrascolastici (si tratta di una
percezione condivisa tra gli addetti al settore, che trae origine
dalla conoscenza diretta e dalla letteratura, non esistendo,
tuttora, un censimento nazionale della presenza numerica e
funzionale di tale figura), ed è, contemporaneamente, cresciuto l’impegno
per il riconoscimento e la legittimazione della professionalità e
della sua formazione di base. Nel 1983 una Commissione nazionale,
istituita presso il Ministero dell’Interno, riconosceva la
rilevanza della figura dell’educatore professionale per il sistema
dei servizi sociali e sanitari ed auspicava una sua legittimazione
con la conseguente definizione ed articolazione del piano di
studi di base e dei processi di ingresso nel mondo del lavoro. In questo momento sono circa una settantina
le scuole di formazione attivate da Università (scuole dirette a fini
speciali) e da Regioni (scuole regionali gestite da enti locali, da
Asl e da enti privati convenzionati), distribuite in modo non
omogeneo sul territorio nazionale. Si calcola siano almeno
cinquemila gli educatori sinora diplomati presso i corsi di
formazione a durata triennale.
L’urgenza di
una riflessione
Occorre prendere atto che quanto si
è realizzato in questi ultimi vent'anni (ed in particolare negli
ultimi dieci) per portare a piena legittimità e riconoscimento
sociale e culturale la figura professionale dell’educatore non ha
prodotto, sinora, risultati apprezzabili. Anzi, nonostante nel 1983 la Commissione
ministeriale abbia sollecitato una disciplina di tale figura, e
diversi decreti governativi abbiano normato la presenza dell’educatore
- solo per quanto riguarda l’ambito sanitario e non senza problemi
in fase d’attuazione - e, benché di recente sia stato istituito
il corso di laurea in scienze dell’educazione con un indirizzo
denominato «educatore professionale extrascolastico», la
situazione complessiva, sia per quanto riguarda il riconoscimento
del profilo e dell’iter formativo, sia per quanto attiene le
condizioni e le possibilità di impiego, appare oggi sempre più
confusa e incerta. Si riscontra, infatti, una notevole
divaricazione tra una domanda crescente, nella società, di azione
educativa e pedagogica e la posizione della figura dell’educatore
professionale in una situazione di sostanziale debolezza nel quadro
delle professioni sociali. E’ una situazione, questa, che non
riguarda solamente chi dovrà inserirsi nei servizi, ma anche
(paradossalmente) molti di coloro che già si sono collocati nel
mondo del lavoro, in condizioni sovente di precarietà ed
incertezza.
E’ difficile immaginare che la
debolezza che molti educatori esprimono nella loro quotidianità, si
risolva d’incanto solo grazie all’approvazione formale del
profilo, del piano di studi e dell’albo professionale. Molti
educatori probabilmente continuerebbero a vivere «confusivamente»
la propria identità professionale anche alla presenza di
provvedimenti come quelli auspicati, in ragione di una debole
consapevolezza delle valenze di questo ruolo (ad esempio, dei
diversi livelli di responsabilità che ciascuno gioca:
professionale, sociale, personale ecc.) e delle connessioni tra
ruolo, modello e sistema e in ragione della debolezza e crisi che,
secondo alcuni, la pedagogia starebbe vivendo. S’impone, di conseguenza, l’esigenza
di individuare altre ragioni di tale situazione d’incertezza. Tra
queste possono essere evidenziate alcune contraddizioni di tipo
culturale, che hanno accompagnato l’evoluzione della figura dell’educatore,
quali, ad esempio:
-
l’estrema differenziazione delle
rappresentazioni (modi di raffigurarsi il ruolo e le attese sociali)
che sono andate costruendosi sull’educatore sia da parte degli
educatori stessi (al punto da non riuscire spesso ad esprimere
compiutamente in modo condiviso un pensiero, consapevole, su se
stessi) sia da parte delle altre professioni sociali;
-
l’attribuzione di una connotazione
filantropico-assistenziale al lavoro educativo;
-
la scarsa considerazione in genere espressa
per l’extrascolastico educativo (da alcuni considerato un lusso
che non sempre ci si può permettere);
-
l’appiattimento su una posizione che vede
l’educatore esclusivamente impegnato in un’ottica di tipo
rieducativo-riparativo;
-
la moltiplicazione dei soggetti operanti nei
servizi educativi extrascolastici sotto svariate denominazioni, che
non si sa se corrispondano a profili professionali differenti o allo
stesso profilo denominato in modo diverso;
-
la moltiplicazione delle iniziative,
soprattutto da parte degli enti locali e di soggetti di terzo
sistema, in cui vanno a collocarsi gli educatori, ma, sovente, senza
chiarire se ciò comporti un riconoscimento delle funzioni educative
del servizio, attività o progetto o se tale collocazione sia
puramente funzionale all’ampliamento della «forza lavoro»
(senza, peraltro, essere capaci di utilizzarne adeguatamente le
specificità professionali).
Conseguenza di tutto ciò è che l’educatore
professionale rischia di essere percepito come più «cose» insieme
(funzioni, ruoli, compiti di lavoro ecc.) e, nel frattempo, di veder
compromessa la propria identità. E’ evidente come ciò non aiuti
il processo di professionalizzazione e confermi, invece, una
situazione in cui appare sempre più rilevante il bisogno di
regolazione del sistema delle professioni sociali. Si tratta di trovare le modalità per
garantire i cittadini sulla possibilità di ricevere aiuto da
professionisti competenti e per garantire i professionisti
competenti (in questo caso gli educatori) circa la possibilità di
tutelare la propria professionalità. Tutto ciò richiama due
dimensioni del problema: una politica ed una etica.
Per quanto riguarda la dimensione
politica è sempre più evidente l'intreccio e la connessione tra il
futuro della professione dell'educatore e quello delle politiche
sociali. Lo sviluppo quantitativo e qualitativo della figura
dell'educatore è avvenuto in un periodo caratterizzato da forti
riforme nel sistema dei servizi, passato progressivamente da una
concezione assistenzialistica e custodialistica ad una concezione di
promozione sociale, prevenzione ed integrazione sociosanitaria nella
prospettiva della deistituzionalizzazione e della territorialità.
A fronte di una prospettiva, sempre
più presente nel dibattito culturale, che vede nell’educatore
professionale un possibile tutore dei diritti sociali (salute,
gioco, tempo libero, intuizione, socializzazione, crescita), si pone
l’esigenza di definire il percorso e le condizioni necessarie per
far sì che ciò possa avvenire. Tale percorso appare, oggi,
alquanto accidentato e difficile in considerazione del fatto che,
tuttora, l’educatore non riesce a tutelare i propri diritti. Per quanto riguarda la dimensione etica si
tratta di considerare attentamente il fatto che allo sviluppo
professionale (metodologico e tecnico) già avvenuto deve ora
seguire, come per altre professioni sociali, un serio lavoro di
costruzione di un codice deontologico per poter rispondere non solo
alle domande relative al «cosa» e al «come» ma anche alle
domande relative al «perché», al fine di delineare i limiti e i
confini al di là dei quali un'azione educativa diviene eticamente
incongrua da un punto di vista professionale. Tutto ciò dovrà portare gli educatori (e
non solo loro) a un consistente approfondimento sul piano dei valori
e dei principi che orientano l'azione e i comportamenti
professionali al fine di offrire servizi nel pieno rispetto di se
stessi, del «cliente-utente», delle caratteristiche sociali e
culturali del contesto territoriale in cui l'azione si svolge. Queste considerazioni rilanciano in modo
rilevante l’esigenza di una seria riflessione sulla figura dell’educatore:
sul perché egli debba esistere, per chi, per quali bisogni, per
quale modello di lavoro sociale, per quale sistema dei servizi, per
quale futuro impiego (ambiti, soggetti e contesti organizzativi).
Le ragioni di un
manifesto sull’educatore
professionale
L’avvio dei corsi di laurea in
Scienze dell’educazione ha posto immediatamente e con urgenza
alcuni interrogativi che restano tuttora irrisolti:
- E'
ancora possibile pensare a un’ipotesi di formazione a doppio
livello: da un lato il corso di laurea che dovrebbe offrire la
possibilità di accedere a posizioni direttive nel sistema dei
servizi e, dall’altra, il diploma universitario (laurea breve) di
tipo professionalizzante (ipotesi, peraltro, prevista anche dalla
recente normativa universitaria), garantendo che non si sviluppi un rigido meccanismo burocratico e
consentendo in qualsiasi momento, anche una volta terminati gli
studi, il passaggio dal diploma universitario alla laurea?
-
E’ possibile, e come, riconoscere la
professionalità di molti educatori in servizio da anni, soprattutto
in Regioni in cui, di fatto, non vi sono state opportunità
formative di base (con, ad esempio, corsi di riqualificazione in
servizio definiti in modo omogeneo per tutto il territorio
nazionale)?
-
E’ possibile, e come, garantire una
possibilità di accesso «agevolato» ai percorsi universitari per
chi ha già conseguito titoli formativi di tipo professionalizzante?
-
E’ possibile, e come, recuperare la
notevole esperienza e la competenza formativa costruita e sviluppata
nell’ambito delle scuole di formazione, in questo momento
esistenti?
-
E’ possibile, e come, garantire nel corso
di laurea (ed eventualmente anche in quello di laurea breve) l’effettivo
sviluppo di tirocinii formativi, seri, qualificati, organizzati e
soprattutto, utili ai fini della costruzione dell’identità
professionale e dell’acquisizione delle competenze operative
necessarie per l’ingresso nel mondo del lavoro?
-
E’ possibile, e come, affrontare il
crescente bisogno di differenziazione degli interventi che
potenzialmente possono dare luogo ad una proliferazione di figure
professionali (ad es. l’educatore con gli anziani, l’educatore
di comunità per tossicodipendenti, l’educatore di strada ecc.)?
-
E’ possibile, e come, garantire l’apertura
di sedi formative in tutte le Regioni, in modo da permettere a
quanti sono interessati la possibilità di prepararsi per svolgere
tale professione?
-
E’ possibile, e come, regolare l’accesso
all’esercizio della professione educativa (albo, esame di Stato
ecc.)?
Infine occorre considerare anche la
questione della formazione permanente e della supervisione.
Stante la situazione di debolezza sopra descritta, cresce negli
educatori in servizio la domanda di formazione e di supervisione,
come esigenza di rafforzamento della propria identità
professionale, sia riguardo al crescere (ed esplodere) di nuovi
bisogni e di altre problematiche sociali, sia a proposito di
situazioni lavorative in cui l’educatore è coinvolto in équipe
pluriprofessionali nelle quali sovente prevale il senso di
insoddisfazione e la difficoltà d’interazione. Si pone pertanto
un problema di collegamento tra formazione di base e formazione
permanente in modo da garantire un costante aggiornamento e un
lavoro di accompagnamento e sostegno allo sviluppo culturale e
metodologico della professione. In questa prospettiva occorre
dedicare attenzione alla possibilità di sviluppo di un’esperienza
di supervisione pedagogica professionale praticata da educatori
esperti.
Le questioni sinora espresse trovano
un altro motivo d’urgenza nelle modificazioni in atto a
livello di istituzioni pubbliche e del sistema dei servizi sociali e
sanitari. In particolare l’attenzione va posta sull'aziendalizzazione
delle Asl, sull’incertezza circa il futuro dei servizi sociali,
sul fatto che l’educatore sia tuttora collocato in servizi a forte
caratterizzazione sanitaria, in servizi di chiara connotazione
socio-assistenziale e in servizi al confine tra sanitario e sociale.
Tutto questo determina il bisogno di un approfondimento circa le
collocazioni dell’educatore negli scenari dei servizi che si
configurano per il futuro. Si tratta, in altre parole, di intravedere
quali spazi, funzioni e collocazioni operative e organizzative gli
educatori saranno chiamati a ricoprire nel prossimo futuro. In particolare, e al solo scopo, in questa
sede, di evidenziare una questione essenziale, c’è da chiedersi
se le attuali tendenze a un ridimensionamento del welfare non
comportino una sostanziale riduzione delle potenzialità operative
dell’educatore professionale e un suo confinamento in attività di
tipo prettamente riparatorio-assistenziale. I segnali in tal senso
sono preoccupanti, anche se i singoli contesti regionali appaiono
differenziati, e si manifestano attraverso decisioni politiche e
atti normativi e amministrativi volti a:
-
separare rigidamente
il «sociale» dal «sanitario» (non solo negli aspetti finanziari
ma anche in quelli organizzativi e operativi), in nome di principi
di efficienza ed economicità;
-
sanitarizzare il
sociale, riducendo le risorse orientate alla prevenzione e alla
promozione del benessere per concentrarle sulle dimensioni curative
e comunque direttamente sanitarie;
-
ridurre la
consistenza dei servizi pubblici a favore di uno sviluppo del
privato non profit e profit.
Appare evidente che se tali tendenze
dovessero essere confermate anche nel futuro, l’apporto dell’educatore
professionale verrebbe fortemente ridimensionato, soprattutto in
quelle attività a elevata integrazione socio-sanitaria in cui la
dimensione educativa, costitutiva dell’intervento stesso (si pensi
ad aree quali la psichiatria, la tossicodipendenza, i minori ecc.),
non appare facilmente ascrivibile all’uno o all’altro comparto. In altri termini, l’assenza di una precisa
classificazione (sociale o sanitaria) in un’organizzazione che
separa nettamente i due aspetti, rischia di lasciare senza
cittadinanza e copertura economica tali attività e gli operatori
che le attuano, gli educatori potrebbero così progressivamente
scomparire dalle aziende Asl. Il manifesto sull’educatore
professionale nasce da questi interrogativi, da tempo presenti a chi
opera nel settore, e vuole essere un contributo di riflessioni e
proposte per arricchire il dibattito avviato e per giungere
ad alcune scelte auspicabili.
Due presupposti di
fondo
In chi ha sottoscritto il manifesto, vi sono
due convinzioni fondamentali che vincolano e caratterizzano le
riflessioni seguenti. La prima convinzione, pur riconoscendo che i
diversi ambiti d’azione dell’educatore introducono esigenze di
specializzazione (a livello di metodologie e di dimensioni
organizzative), si esprime nel senso che queste possono far
riferimento a un’unica figura, denominata educatore
professionale. Un unico profilo vuol dire maggior arricchimento
professionale, più ragguardevole mobilità e (probabilmente)
maggior benessere (nel senso della prevenzione del burn-out). Tutti
gli educatori, indipendentemente dagli ambiti lavorativi, oggi sono
chiamati a misurarsi con l’esigenza di:
- affrontare la complessità della società
e dei bisogni degli individui; - attivare/accompagnare processi di crescita
e sviluppo individuali e collettivi; - sviluppare potenzialità; - attivare risorse nelle relazioni
interpersonali e in contesti relazionali più ampi; - integrare saperi di discipline diverse; - lavorare in gruppo; - costruire una professionalità in senso
evolutivo, costruttivo, compartecipato.
In secondo luogo, porre la persona al
centro dei servizi implica che siano fornite risposte complessive,
con interventi non frazionati e che siano valorizzati e impegnati
solo quegli operatori in grado di far propria la logica dell’unitarietà
e della globalità degli interventi. In tal senso si ritiene che l’educatore
professionale sia figura sociale che presenta un sistema di
competenze adeguato per far fronte a tali richieste, dato che la sua
identità professionale, se frammentata
in diversi profili, sarebbe indebolita. L’esigenza di
abilitare l’educatore a fronteggiare funzioni diverse comporta
livelli articolati di intervento formativo collocabili sia all’interno
della formazione di base, con moduli e seminari mirati a specifici
temi, sia nell’aggiornamento periodico.
Gli ambiti di
intervento dell’educatore
professionale
Gli ambiti di intervento individuati
sono quattro: socio-sanitario, sociale, di protezione giuridica,
formativo. Destinatari dell’ambito socio-sanitario
sono: portatori di handicap, tossicodipendenti e alcolisti;
soggetti con disagio mentale. I servizi individuati sono diurni,
residenziali, domiciliari (es. centri educativo-occupazionali,
servizi per l’inserimento lavorativo, servizi territoriali per l’handicap,
sert, comunità terapeutiche, centri di salute mentale, comunità
alloggio ecc.). Destinatari degli interventi dell’area sociale
sono: la popolazione minorile, giovanile, adulta, anziana in
prospettiva assistenziale e promozionale. I servizi individuati sono
centri di aggregazione, centri sociali, sostegno educativo
domiciliare, comunità alloggio, servizi di pronta accoglienza,
iniziative collegate a progetti giovani, ecc. Destinatari degli interventi dell’area
concernente la protezione giuridica sono i minori e gli
adulti sottoposti a procedimento penale. Per i minori ci si
riferisce a: uffici di servizio sociale, centri di prima
accoglienza, istituti penali minorili, comunità per minorenni,
centri diurni polifunzionali; per gli adulti ad istituti di
prevenzione e pena nelle loro varie tipologie di utenza e
organizzative. Destinatari degli interventi dell’ambito
formativo sono: allievi educatori, educatori in servizio e i
servizi: scuole di formazione, università, sedi e agenzie
formative.
Lo
specifico professionale dell’educatore
e relative competenze
La relazione e la progettualità
sovente sono individuate come le caratteristiche distintive dell’educatore,
ma, a un’attenta e onesta analisi, è possibile riconoscere come
tali competenze siano trasversali e presenti in diverse figure
professionali che operano nell’ambito dei servizi alla persona:
ciò dà luogo all’emergere di aree di confine comuni di non
facile distinzione. A proposito di questo rilievo, gli elementi
specifici della professionalità dell’educatore sono identificati
in alcuni aspetti della relazione e della progettualità
(caratteristiche che sono parzialmente o per nulla praticate da
altre figure). Per quanto riguarda la relazione «educativa», si
tratta in particolare:
-
della condivisione della vita quotidiana,
al fine di permettere il recupero e la valorizzazione educativa dei
significati delle attività di routine, l’utilizzazione di
«imprevisti» e «incertezze», l’interpretazione e l’elaborazione
degli «eventi»;
-
della stimolazione e valorizzazione delle
risorse personali e del contesto familiare dei soggetti, oltre
che di quelle del territorio; dell’attivazione di processi di
cambiamento nella prospettiva di una costruzione della comunità
locale, in un’ottica preventiva e promozionale da un lato,
compensatoria e integrativa, dall’altro.
Se si analizzano le varie fasi del progetto,
in considerazione del diverso ambito operativo, della diversa
competenza professionale (si pensi al versante «famiglia» come
utenza privilegiata dei servizi), si può costatare come
difficilmente il progetto sia considerato, seguito e sviluppato in
tutte le sue parti, le sue fasi, i suoi tempi. Spesso, infatti, il
progetto è inteso solo come rapporto diretto tra obiettivi e
risultato, senza una vera e propria metodologia articolata
per gradualità, tempi, modalità, verifiche intermedie ecc. Nella relazione educativa questa dinamica
progettuale accomuna i due soggetti coinvolti: il cammino è comune,
proprio in virtù di quella caratteristica qualità professionale,
che deriva dalla quotidianità come costruzione di significati umani
e psicologici, che legano insieme educatore e educando (soggetto in
formazione).
La quotidianità diventa
quindi la caratteristica che differenzia e definisce, anche dal
punto di vista metodologico, un progetto avente contenuti e valenza
educativa da altri interventi, nei termini di unitarietà e
globalità dell’intervento. Nella pratica quotidiana l’educatore
dovrebbe, in ragione di tali elementi specifici:
-
valorizzare il proprio sé (personale,
professionale e sociale) con la consapevolezza e la disponibilità a
vivere i rischi connessi ai limiti della propria condizione spazio
temporale, definita anche in base all’età e al sesso;
-
produrre e garantire processi di sostegno,
di tutela e orientamento
-
acquisire e attivare metodologie e tecniche
a valenza educativa e pedagogica;
-
essere attento alle dimensioni della
negoziazione e della mediazione tra le esigenze dei diversi soggetti
coinvolti e dei diversi contesti interessati.
Spesso il mandato istituzionale non
appare sufficientemente chiaro ed elaborato. Questo è
particolarmente riscontrabile nell’ambito del «sociale», che ha
visto organizzare nuovi interventi che non scaturiscono da mandati
formali ma nascono come esito del processo e delle pratiche sociali
messe in atto. In tali situazioni l’educatore è chiamato, spesso,
a «inventare» la traduzione operativa di un mandato «generico».
Questo, pur presentando aspetti positivi, giacché facilita la
crescita di creatività e di autonomia, può generare conflitti con
l’istituzione e mettere, di fatto, in discussione l’identificazione
con la medesima.
Il profilo
professionale dell'educatore
A fronte dell’assenza di una
disciplina dell’educatore professionale, va riconosciuto che in
questi anni molteplici sono le idee espresse a tal proposito, così
come molti sono i tentativi realizzati per giungere al
riconoscimento della figura dell’educatore. I riferimenti più
indicativi rispetto alle esigenze poste in precedenza sono contenuti
in documenti e normative, elaborati in sedi diverse:
-
il documento della Commissione
interministeriale e interregionale costituita presso il Ministero
dell’Interno nel 1983;
-
il profilo professionale individuato dall’Associazione
internazionale degli educatori (Aieji);
-
il profilo professionale individuato dal
Comitato europeo dei Centri di formazione per educatori;
-
la proposta di profilo elaborata dall’Associazione
nazionale degli educatori (Anep) nel 1994;
-
la proposta di legge di iniziativa
parlamentare (Gianotti ed altri, n. 114) del 1994;
-
la proposta di legge elaborata dall’Associazione
italiana delle scuole per educatori professionali (Aisep) del 1995;
-
le normative di istituzione del profilo e
del percorso formativo dell’educatore professionale di alcune
Regioni (con particolare riferimento a quella della Regione
Lombardia). In merito ai contenuti dei profili sopra
richiamati particolare attenzione deve essere posta affinché, come
accade in talune delle proposte indicate, non si accentuino
aspetti di professionalità prevalentemente nel settore sanitario ma
vengano invece valorizzate quelle competenze finalizzate alla
promozione del benessere individuale e collettivo, per permettere
all’educatore, in analogia con altre professioni del sociale, di
essere impegnato anche nella tutela e sviluppo dei diritti delle
persone.
Percorsi e sedi
formative di base
La formazione è una condizione
irrinunciabile per garantire la qualità dei servizi, la dignità
professionale degli operatori e la tutela dei diritti delle persone. Per quanto riguarda luoghi e percorsi
formativi, si fa riferimento alla seguente normativa:
La scelta dell’iter formativo richiede una
precisa definizione del ruolo dei soggetti istituzionali affinché,
sul piano operativo, sia permesso il recupero e la valorizzazione
dell’esperienza formativa esistente (normativa regionale in merito
e attività delle scuole). Nell’ipotesi dell’attivazione di uno
specifico diploma universitario, per la formazione dell’educatore
professionale, è necessaria la collaborazione tra Regioni e
università, finalizzata ad una gestione integrata del percorso
formativo, in una logica di programmazione, di valorizzazione e di
recupero del patrimonio di esperienza e saperi, accumulato finora
nel campo della formazione professionale degli educatori. A tal fine
si evidenzia la possibilità di utilizzare strumenti quali le
convenzioni, i consorzi, gli accordi di programma.
Per quanto concerne la collocazione
della formazione dell’educatore nell’ambito dell’università,
si concorda sull’ipotesi di un percorso articolato su due
livelli di preparazione: il diploma universitario, come
formazione di tipo professionalizzante, e la laurea, come
ampliamento delle competenze scientifiche e culturali e acquisizione
di un titolo in grado di garantire l’accesso a ruoli direttivi.
Questa articolazione formativa rafforzerebbe l’identità
professionale dell’educatore e ne favorirebbe la progressione di
carriera.
Una situazione critica appare essere quella
che potrà determinarsi qualora trovino concretizzazione i previsti
diplomi universitari nell’ambito delle facoltà di medicina. Tali
diplomi ridurrebbero al solo approccio medico-biologico l’area
professionale dell’educatore. Ciononostante un rapporto e un
confronto con tali facoltà è quanto mai opportuno, proprio per
poter proporre il contributo sinora maturato in relazione alla
formazione dell’educatore e all’identificazione del suo
specifico professionale. Si ritiene che la laurea in scienze
dell’educazione (indirizzo educatore extrascolastico) non presenti
le caratteristiche di percorso formativo completamente adeguate all’acquisizione
delle capacità e delle competenze, previste dal profilo dell’educatore
professionale, soprattutto per quanto riguarda lo scarso peso che è
attribuito ai tirocinii professionali. L’esperienza sinora realizzata dalle
scuole di formazione per educatori evidenzia che a un solido
impianto scientifico deve fare riscontro un valido itinerario
formativo, che permetta di acquisire le capacità del fare, dell’essere
e anche del saper governare processi di cambiamenti individuali, di
gruppo e collettivi. Questo si traduce nella necessità che:
-
i piani di studio siano flessibili,
periodicamente rivisti e modificati sulla base dei diversi bisogni
formativi dettati dalle nuove acquisizioni teoriche, metodologiche,
tecniche e dall’affacciarsi di nuovi problemi e fenomeni sociali;
-
sia sostenuto chi è in formazione nella
conoscenza di sé e nell’uso di sé nella relazione con le
persone, i gruppi, le comunità attraverso:
-
la definizione di un programma riguardante l’intero
percorso formativo, condiviso da tutti i docenti;
-
la messa a disposizione, nella formazione di
base, degli strumenti concettuali e metodologici fondamentali per
operare sul versante della prevenzione, della promozione, della
cura, del recupero, della riabilitazione, acquisendo nel contempo,
nella formazione in servizio, le competenze per lavorare in uno
specifico settore. Una formazione di base polivalente facilita nelle
situazioni di mobilità ed è una risorsa quanto mai opportuna per
le professioni di aiuto;
-
la costruzione di professionalità capaci di
agire in modo integrato con le altre professioni sociali, con la
consapevolezza delle specificità del contesto in cui si opera;
-
l’utilizzo di metodologie didattiche
attive, come laboratori, esercitazioni pratiche, ma, soprattutto,
tirocinii progettati, guidati e dotati di un monte ore adeguato agli
obiettivi formativi;
-
la supervisione fornita da un professionista
della stessa area professionale;
-
la presenza nelle sedi formative di tutor
che supportino l’individualizzazione del progetto formativo e
curino la qualità dell’organizzazione dei tirocinii, in
collaborazione con i docenti.
Questa configurazione di percorso formativo
ha trovato concretizzazione nell’ambito delle scuole regionali,
nelle quali si è potuto realizzare un progetto formativo secondo
una logica di coerenza tra domanda degli utenti, necessità dei
servizi e professionalità impiegate.
Il
mercato del lavoro
E’ necessaria una lettura in senso
dinamico dei bisogni formativi, favoriti dallo sviluppo della
domanda occupazionale dei servizi, per formulare le risposte
adeguate sul piano quantitativo e qualitativo e per individuare e
fornire validi strumenti d’orientamento formativo e professionale.
In questa direzione le Regioni possono e devono svolgere un
ruolo attivo:
-
nella costruzione e nella gestione del
percorso, in stretto raccordo con le richieste del sistema dei
servizi, con le trasformazioni e l’articolazione specifica del
mercato del lavoro locale;
-
nei processi di regolazione del mercato del
lavoro degli operatori sociali, sia nella programmazione del
fabbisogno sia nella rilevazione e controllo dello stesso.
In questo senso le Università possono
svolgere un utile ruolo di ricerca intorno alla professionalità
dell’educatore e alla valutazione dei processi formativi. Le
amministrazioni locali e le organizzazioni sindacali vanno
sensibilizzate affinché, a professionalità come l’educatore
professionale, sia riconosciuta una collocazione contrattuale
adeguata alle funzioni svolte e al livello di formazione acquisito.
La formazione in
servizio, la
formazione,la supervisione
Per garantire un livello qualificato di
servizi è necessario che le Regioni:
-
vincolino l’ingresso nei servizi a
personale con la specifica qualifica di educatore professionale sia
nel settore pubblico sia nel privato convenzionato; In questa
direzione, ad esempio, si sono già orientate la Regione Veneto e la
Regione Piemonte.
-
promuovano la formazione in servizio per
qualificare gli operatori assunti senza titolo ma con i requisiti di
accesso ai corsi stessi;
-
prevedano corsi specifici per il personale
in servizio, privo dei requisiti di accesso alla professione, con la
garanzia del mantenimento del posto di lavoro e della qualifica
funzionale raggiunta.
La formazione permanente è parte
costitutiva di una professionalità che deve rispondere a situazioni
particolarmente complesse con bisogni in continua evoluzione. Nella
prospettiva sopra indicata è necessario che negli operatoricresca
una cultura orientata a considerare la formazione continua come
costitutiva della propria professionalità e che, nel contempo, si
sviluppino nei servizi condizioni culturali e gestionali che ne
consentano la realizzazione. Si tratta di pensare a un educatore
positivamente inserito nel contesto organizzativo e protagonista del
suo processo formativo. In tal senso vanno favorite, da un lato, la
formazione per acquisire nuovi saperi e abilità, dall’altro la
formazione mirata a far fronte ai cambiamenti organizzativi in atto
nei servizi.
Analogamente alla formazione di base
anche la formazione permanente deve partire dalla formulazione di
progetti formativi, considerando che per molti educatori questa è l’unica,
o quantomeno la più importante opportunità formativa specifica,
giacché la formazione di base e la qualificazione in corso d’impiego
hanno sinora coinvolto una parte limitata dell’universo degli
educatori in servizio. Vanno definiti gli interventi a partire da un’accurata
lettura dei bisogni formativi, tenendo conto che il progetto deve
riguardare:
-
sia il bisogno di rafforzamento dell’identità
professionale dell'educatore e/o dell’organizzazione
specificatamente coinvolta;
-
sia nuovi bisogni formativi inerenti
obiettivi definiti in sede di programmazione regionale o locale.
A fronte della consistente offerta di
formazione, non inserita in una programmazione, si auspica che siano
attivati percorsi formativi congruenti con i progetti di servizio,
che siano definite le funzioni da compiere e gli stessi soggetti da
coinvolgere nella formazione. In altri termini si tratta di
permettere lo sviluppo di pratiche formative a servizio di obiettivi
di sviluppo qualitativo dei servizi. Tale prospettiva potrebbe
garantire:
-
una migliore articolazione del profilo
professionale di fronte ai bisogni emergenti e a nuove pratiche
operative;
-
nuove modalità operative, evitando la
proliferazione di altre figure professionali e garantendo, nel
frattempo, una figura flessibile e capace di riorientare se stessa,
continuamente, nell’ambito dei servizi in cui opera.
Ciò, concretamente, potrebbe tradursi in un’organizzazione
sempre nuova e finalizzata delle proprie conoscenze, in una costante
ridefinizione degli ambienti in cui si agisce, di se stessi
(identità professionale), dei criteri per agire, dei propri
compiti, delle funzioni da esercitare e potrebbe tradursi nella
capacità di cogliere i limiti dei propri saperi. Questo approccio dinamico alla dimensione
professionale propone un superamento di una visione statica della
professionalità e del sé professionale.
Entrambi, se visti in modo difensivo
e autoreferenziale, producono ostacoli allo sviluppo di esperienze
di progettazione partecipata, realizzabili su scala comunitaria. Si
tratta sostanzialmente di passare da una logica individuale ad una
logica plurale, che vede nel «noi» una dimensione favorente l’integrazione
delle competenze, delle funzioni e dei ruoli. Diventa, in altre parole, necessario il
passaggio ad una situazione in cui la realizzazione degli interventi
chiede di rimettere in discussione i ruoli, le prassi organizzative
e di diventare capaci di farsi carico dei problemi, in conformità
con una visione condivisa degli obiettivi e della necessità di
produrre risorse (professionali, comunitarie o d’altra natura) per
conseguirli.
Le scuole potrebbero essere nello
stesso tempo sedi di formazione di base e luoghi di formazione
permanente, in modo da garantire un arricchimento reciproco fra
operatori in servizio e operatori in formazione. In questa direzione
vanno costruite e praticate situazioni di formazione per porre gli
educatori in una posizione di protagonismo, con situazioni di
autoformazione e ricerca professionale finalizzate alla produzione
di «sapere professionale» originale, a partire dall’analisi e
dal confronto tra le prassi operative.
A questo scopo, è utile, in una
situazione in cui sovente i confini tra formazione permanente e supervisione
sono scarsamente definiti, procedere ad una chiarificazione tra
le due pratiche di supporto all’attività professionale, ad
esempio orientando la formazione permanente sui versanti della
programmazione, dell’organizzazione dei servizi e della domanda
proveniente dai bisogni sociali espressi.
La supervisione potrebbe, invece,
essere orientata e riferita, in modo prevalente, ad una riflessione
sistematica sulla pratica professionale specifica. È cioè
necessario sviluppare e incrementare il coinvolgimento di educatori
professionali, opportunamente formati, nella realizzazione dell’attività
di supervisione, interna alla professione, per garantire la
possibilità di una riflessione e di una ricerca sulle pratiche e
sulle metodologie educative, che attinga alle esperienze di
educatori competenti, che abbiano avuto la possibilità di
rivisitare a fondo il proprio lavoro, rielaborandone i significati,
le prassi, gli orientamenti.
Le sedi formative per educatori
professionali potrebbero offrire spazi formativi finalizzati alla
graduale acquisizione di queste competenze.
Proposte
di Legge
PdL
2613 del 9 apr 2002 - CAMERA DEI DEPUTATI - INIZIATIVA DEL
DEPUTATO BATTAGLIA - Nuove norme in materia di professioni
sanitarie.
PdL
2618 del 9 apr 2002 - On. Lucchese - Istituzione degli Ordini (o
dei Collegi) e degli Albi delle professioni sanitarie riabilitative,
delle professioni tecnico-sanitarie e delle professioni tecniche
sanitarie della prevenzione di cui alla legge 251/2000
PdL
771 Ordinamento della Professione di Educatore Professionale
PdL
1504 Disciplina della Professione di Educatore Professionale
PdL
4562 Mestieri e Professioni di aiuto - Sindrome da Burn-out
PdL
6550 Professioni non regolamentate
Leggi
(Anep) Legge
8 novembre 2000, n. 328
- pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 265 del 13 novembre 2000 -
Supplemento ordinario n. 186 Legge quadro per la
realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali
- Principi generali del sistema integrato di interventi e servizi
sociali
Legge
11 luglio 1980, n. 312 (G.U.
12 luglio 1980 n. 190) Educatori per adulti negli
istituti penitenziari. Nuovo assetto
retributivo-funzionale del personale civile e militare dello Stato;
questa definisce le qualifiche funzionali con le funzioni ad esse
correlate, da disposizioni sui profili professionali, cita gli
Assistenti Sociali utilizzati dal Ministero del Lavoro e al titolo
secondo parla delle "norme relative al personale della scuola
materna, elementare, secondaria e artistica delle istituzioni
educative e delle scuole speciali dello stato
Ha visto un ingresso reale
degli educatori negli istituti penitenziari nel 1979; con la
circolare ministeriale (Grazia e Giustizia) 7 feb 1992 sono state
definite le aree operative tra cui quella "Educativa o del
trattamento" detta anche area pedagogica. In questa area sono
previsti: Direttore di area pedagogica (VIII livello) attualmente
assente dagli istituti penitenziari d'Italia perche' il primo
concorso bandito qualche anno fa attualmente e' bloccato; Educatore
coordinatore (VII livello); Psicologi (ma solo con contratti a
termine, assunti quindi come collaboratori consulenti; Educatori (VI
livello); Operatori dell'Area pedagogica (V livello). Decreti FORMAZIONE: Corso di
laurea triennale in EDUCATORI
PROFESSIONALI |
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