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Quando le risorse sono limitate è irrazionale buttarle in imprese inutili. La parabola del seminatore è quella che ha ispirato i primi economisti: se c'è poca semente, è meglio destinarla ai terreni più fertili che a quelli rocciosi, dove il seme morirebbe. La logica di quella lettera, scritta da un amico, rischia di giustificare l'accanimento dei sanitari, quelli che vogliono fare interventi che non servono a nulla, tranne agli operatori stessi (e la lettera accenna proprio a questo pericolo). Se poi ci sono terreni che rendono di più ed altri di meno, allora si deve fare una riflessione su quale sia il fine dell'assistenza sanitaria e sociale pubblica, quella pagata con i contributi di tutti coloro che producono reddito o possiedono ricchezza. Anzitutto le regole della democrazia impongono che sia dato un tetto di bilancio per questo scopo, più o meno alto a seconda del livello di solidarietà espresso dalla collettività con quel livello di ricchezza del Paese (la legge finanziaria serve proprio a questo). All'interno del tetto dell'assistenza quali interventi vanno privilegiati? La regola del SSN è la solidarietà verso coloro che hanno avuto più sfortuna, sia per il patrimonio genetico che gli è capitato, sia per gli insulti ricevuti dall'ambiente. Il SSN tende per sua regola a colmare le lacune. Perciò si può ragionevolmente pianificare di destinare risorse all'assistenza agli anziani che non sono più abili a produrre e l'assistenza a coloro che non sono mai stati produttori di reddito, i disabili gravi non diversamente abili, quelli che sono soltanto dei grandi datori di lavoro, come dice la nostra amica di Roma madre di una donna molto grave. Il SSN non deve essere una "azienda" che opera sul "mercato della salute" (cfr il testo che ho scritto con il Prof.Iandolo nel 1992: Etica ed economia nella "azienda" sanitaria). Purtroppo ciò che temevano si è realizzato proprio in quell'anno, con il decreto legislativo n.502 del 1992, che De Lorenzo ha definito aziendalizzazione del SSN, i cui malefici effetti si perpetuano ancora oggi. Tuttavia ci deve essere una regola per conciliare l'esigenza di aiutare di più chi ha più bisogno con quella di aiutare di aiutare più quelli che dall'aiuto possono trarre i maggiori vantaggi in termini di salute (e non di moneta). Questa regola deve scaturire da una riflessione democratica, consapevole dei limiti umani e non soltanto basata sulle aspirazioni idealistiche, alla quale vorrei contribuire con una mia vecchia riflessione, C.Hanau: E.Q.A.L.Y.: i Q.A.L.Y. ponderati per l'equità distributiva.
Vi sono molti testi di bioetica, come i seguenti, ai quali ho collaborato, che affrontano questi temi: C.Hanau: Economia, programmazione sanitaria ed etica pubblica. Bioetica in medicina, a cura di A. Bompiani, CIC ed. internaz., Roma, 1995, pp.416-433 C.Hanau: Risorse. L’allocazione delle risorse in sanità. Etica della vita, a cura di F. Compagnoni, Ed.S.Paolo, Roma, 1996 pp 209-235. e poi c'è la rivista L'ARCO DI GIANO, a cui riferirsi. C.Hanau: E.Q.A.L.Y.: i Q.A.L.Y. ponderati per l'equità distributiva. E.Q.A.L.Y.: I Q.A.L.Y. PONDERATI PER L’EQUITA’ DISTRIBUTIVA CARLO HANAU DIPARTIMENTO SCIENZE STATISTICHE UNIVERSITA’ BOLOGNA
Introduzione
La definizione e la quantificazione del prodotto e cioè della salute guadagnata a causa degli interventi sanitari, è fondamentale per ogni analisi economica, che deve mettere a fronte questi risultati con le risorse impiegate (risorse reali, umane e materiali, oppure risorse monetarie, quantificate in lire a bilancio). L’efficienza economica consiste per l’appunto nel massimizzare il rapporto fra risultati e risorse, nell’aumentare la produttività delle scarse risorse e cioè nel ridurre ogni spreco, sia assoluto che relativo. Si ricorda che lo spreco assoluto si realizza quando una risorsa viene indirizzata verso il conseguimento di un falso obiettivo di salute oppure quando l’intervento che ha assorbito le risorse non produce in concreto nessun risultato netto (valore risultante dalla differenza fra effetti positivi sullo stato di salute ed effetti indesiderati o collaterali, permanenti o transitori, ivi compresa la riduzione dello stato di salute dovuta all’intervento stesso, e cioè “l’amaro della medicina”). Lo spreco relativo si realizza quando le risorse impiegate ottengono un risultato netto inferiore a quello che potrebbe essere raggiunto mediante una ricetta produttiva più efficiente oppure ancora indirizzando le risorse verso altri interventi ove sia possibile ottenere un migliore rapporto fra risorse impiegate e risultati. L’analisi costo/efficacia o costo/utilità sono gli strumenti tipici dell’economia della sanità e dei servizi sociali, utili per risolvere il problema di razionalizzare le scelte collettive che sono alla base della programmazione dei servizi sanitari pubblici[1]. Per le scelte individuali possono essere utilizzati altri tipi di analisi, a seconda delle preferenze dell’individuo e delle condizioni del sistema sanitario: quando il malato deve pagare l’intervento, la spesa effettuata costituisce un indicatore (ovviamente influenzato dalla capacità di spesa dell’interessato) delle utilità e del benessere attesi, e perciò può effettuare un’analisi cost/benefit (costo/profitto) nella quale entrambi i termini del rapporto sono costituiti da unità monetarie; in presenza del terzo pagante, che solleva il malato dalla preoccupazione dei costi degli interventi, si può ricorrere ad indagini sulla teorica disponibilità a pagare per determinare le utilità ed il benessere attesi[2]. La programmazione dei servizi sanitari nazionali può basarsi su misurazioni puntuali dei costi e delle preferenze dei cittadini, onde si possa raggiungere un sistema di allocazione delle risorse basato sull’analisi economica. La quantificazione dei costi connessi con l’uso delle risorse può utilizzare le unità fisiche (come le ore di lavoro umano, il numero delle attrezzature, gli equivalenti di tonnellate di petrolio), che fra loro non sono omogenee, oppure in valore monetario, prendendo per buoni i costi a bilancio. Questa seconda opzione comporta problemi analoghi a quelli che si ritrovano in altri settori diversi dal sanitario, ove si è ben lontani dal realizzare il “libero mercato” delle risorse produttive: si pensi soltanto alla contrattazione collettiva che riesce a minimizzare l’effetto di riduzione dei salari favorito dalla disoccupazione di varie categorie di personale sanitario. In questa sede non ci si occuperà del problema dei costi, ma di quello dei risultati, che rappresenta la vera particolarità del settore sanitario e di quello sociale, la difficoltà più grave, ogni volta che si deve estendere l’analisi alla comparazione fra risultati diversi, quando cioè si deve abbandonare la più facile analisi di minimizzazione dei costi per ottenere un identico risultato e ci si deve inoltrare nel terreno minato della valutazione comparata fra risultati che interessano malati differenti.
Il prodotto dell’intervento sanitario misurato in vite salvate, in anni di vita salvati.
La scelta delle unità di prodotto “vite salvate” oppure “anni di vita salvati” consente di effettuare l’analisi costo/efficacia comparando differenti interventi sanitari possibili a vantaggio di differenti malati. Nel primo caso ogni vita salvata, indipendentemente dall’età del soggetto, costituisce unità di prodotto, per la quale si può calcolare il costo in risorse impiegate a seconda del tipo di intervento scelto: ad esempio, per salvare vite umane dagli incidenti stradali si può ridurre la velocità, costruire auto e strade più sicure, intervenire più velocemente e più efficacemente sul luogo dell’incidente tramite eliambulanze, ambulanze-lettiga oppure ambulanze attrezzate. Ognuno degli interventi nominati presenta costi (medi e marginali) differenti per ogni vita salvata, e non si deve dimenticare che il risultato di prevenire l’incidente, sia pure meno spettacolare, consente di risparmiare anche il dolore connesso con l’incidente e con il periodo di cura, del quale si deve tenere conto, in quanto costituisce l’amaro della medicina. Misurare il prodotto finale dell’intervento sanitario mediante il numero delle vite salvate indubbiamente rappresenta una misura democratico-egualitaria: la vita di una persona agiata vale in tal caso come quella di una persona indigente, quella di un vecchio come quella di un bambino, e non si effettua alcuna discriminazione per censo o per età.
Gli anni di vita salvati costituiscono una prima possibile ponderazione delle vite salvate e possono essere calcolati per ogni vita salvata, prendendo in considerazione l’attesa di vita del soggetto salvato. L’attesa di vita può essere desunta dalle statistiche di mortalità della popolazione in generale, come nel caso degli incidenti stradali, oppure da quelle della popolazione di malati con la stessa affezione. Ad esempio un cinquantenne sano può attendersi di vivere 30 anni, ma un cardiopatico di 50 anni può attendersi 11 anni senza intervento e 21 anni con un certo intervento, il cui prodotto, in termini di salute, può essere calcolato più precisamente in 10 anni. introducono una diseguaglianza di apprezzamento fra la vita di un giovane, che attende Gli anni di vita salvati o guadagnati, che sono normalmente condizionati dall’attesa di vita, molti anni ancora da vivere, e la vita di un vecchio, il cui valore espresso in anni di vita attesa è inferiore. L’analisi costo/efficacia ne verrà condizionata, inducendo la distribuzione delle risorse a favore dei giovani, dato che in questi ultimi uno stesso intervento (parità di costi) produce più anni di vita. Dal punto di vista etico, tale ponderazione si giustifica sulla base di un’ipotesi di equità di distribuzione degli anni di vita, per la quale ognuno ha “diritto” a vivere quanto la media della popolazione e la morte dovrebbe giungere quando l’individuo è ormai sazio d’anni.
Gli anni di vita in buona salute (QALY)
Vite salvate e anni di vita salvati, rispetto alla valutazione in moneta della salute e della vita, costituiscono un miglioramento per chi crede che sia eticamente inaccettabile utilizzare il reddito atteso, ovviamente superiore per le categorie più elevate, oppure la disponibilità a pagare per ottenere più salute, fortemente dipendente dalla disponibilità a pagare e quindi, in ultima analisi, dal censo. Purtroppo però, in un sistema sanitario avanzato tipico di un paese industriale, sono molto pochi gli interventi che possono essere valutati sulla base delle vite salvate, come ad esempio l’intervento chirurgico in grado di salvare da morte certa ed immediata chi è colpito da peritonite fulminante; diversi interventi riescono a procrastinare la fine, ma la gran parte degli interventi si limita a migliorare la qualità degli anni di vita, senza allungarla.
Si manifesta pertanto la necessità di trovare unità di misura adeguate a valutare tutti gli interventi sanitari, come I QALY (anni di vita in buona salute, dall’inglese Quality Adjusted Life Years) rappresentano gli anni di vita, guadagnati a causa dell’intervento sanitario, ponderati (aggiustati) per la qualità di vita attesa. I QALY costituiscono le unità di valutazione del prodotto sanitario inteso come il prodotto finale, l’efficacia dell’intervento, la salute aggiuntiva, e pertanto consentono di effettuare l’analisi costo/utilità[3]. Egualmente i QALY, che ponderano gli anni di vita guadagnati, non sono esenti dalla critica egualitaria democratica, in quanto non soltanto penalizzano fortemente i soggetti anziani e quelli che dispongono di pochi anni di vita attesi, come gli anni di vita guadagnati dai quali derivano, ma risentono in più della minore qualità di vita dei malati cronici o disabili, per i quali l’intervento non può garantire il reintegro di tutte le funzioni ma soltanto la sopravvivenza. Infatti a fronte di costi di interventi sanitari simili, quando non addirittura più costosi, i risultati espressi in QALY sono ovviamente inferiori proprio a causa della situazione di anziano (meno anni di vita attesa) e di disabile (minore qualità di vita) connessa con la maggior frequenza delle malattie invalidanti nella quarta età. Per superare questi problemi si propone l’uso di un’ulteriore ponderazione del QALY, che tenga conto della distribuzione dei vantaggi attesi all’interno della popolazione di riferimento, in relazione ad un criterio di equità prestabilito. Si definisce il QALY ponderato per l’equità nella distribuzione come EQALY [4]. Il grado di equità nella distribuzione e le sue variazioni all’interno di un collettivo di riferimento possono essere misurate tramite un indicatore di concentrazione, come quello del Gini, ma anche la semplice deviazione standard è sufficiente per valutare se l’intervento aumenta o riduce la dispersione dei valori attorno alla media. Il criterio di equità di riferimento può tenere conto oppure no della vita vissuta e della relativa qualità, e dell’obiettivo teorico imposto, che può consistere nell’ipotesi estrema in cui tutti vivono lo stesso numero di QALY. Si porteranno degli esempi di applicazione di quanto teorizzato. Supponiamo che vi siano tre persone che si presentano contemporaneamente al pronto soccorso, con l’esigenza di essere accolte in terapia intensiva, e che vi sia un solo posto disponibile. Questo caso estremo ha il pregio di rendere evidente quanto normalmente succede in modo occulto nel campo della sanità, ove la domanda da soddisfare supera quasi sempre le possibilità dell’offerta. La prima di queste persone ha novanta anni di età, la seconda dieci e la terza ancora dieci, ma a differenza delle altre è affetta da trisomia ventuno. Per semplificare si può ammettere che i costi dei trattamenti di questi malati siano sempre identici, pari a dieci milioni di lire, anche se solitamente i costi aumentano con l’età (si pensi ai problemi della riabilitazione) e con la disabilità data dalla trisomia 21, alla quale si accompagnano deficienze immunitarie. Nel caso che i risultati dell’intervento sanitario siano misurati in vite salvate, il prodotto finale ottenuto mediante l’intervento su ognuno dei malati è identico, pari ad una vita salvata, in quanto si suppone che senza l’intervento il malato muoia subito. Con le semplificazioni richiamate il grado di efficienza, misurato mediante l’analisi costo/efficacia, risulta eguale nei tre casi, pari a dieci milioni per vita salvata. In tale ipotesi l’analisi di efficienza utile per la programmazione sanitaria non determina alcuna preferenza fra i tre candidati alla cura. Nel caso che i risultati siano misurati in anni di vita attesi, il paziente novantenne, che possiede un’attesa di vita pari a tre anni, viene ampiamente penalizzato dall’analisi costo/efficacia, dalla quale risulta che il costo per ognuno dei tre anni di vita guadagnata è pari a 3.333.333 lire, mentre il ragazzo di dieci anni normale si attende settanta anni di vita, con un costo per ogni anno di vita guadagnato pari a 142.857 lire. Il ragazzo con trisomia 21 ha un’attesa di vita inferiore alla norma, poniamo pari a cinquanta anni: in tal caso il costo per ogni anno di vita guadagnato risulta di 200.000 lire. L’analisi costo/efficacia indica perciò un ordinamento dei tre interventi, da quello più efficiente sul ragazzo normale a quello meno efficiente, sull’anziano. Volendo massimizzare i risultati in termini di anni di vita occorre dare la preferenza al ragazzo normale, ove il costo per anno è inferiore e l’intervento, a parità di costo, consente di ottenere il massimo di anni di vita. La programmazione sanitaria di questo tipo si basa sull’applicazione di un sentimento elementare e diffuso: meglio perdere un anno di vita piuttosto che due anni. Ovviamente la programmazione sanitaria, un atto umano, si assume la responsabilità di lasciare morire una vita per salvarne una ritenuta più preziosa in quanto più carica di anni attesi. Sono abbastanza diffusi altri criteri di priorità, secondo i quali la vita del capo di uno Stato o di una Chiesa viene privilegiata rispetto a quella dei comuni cittadini: su ciò si basa il grande dispendio di mezzi sanitari che caratterizza l’intervento su queste persone importanti per una collettività.
Altrettanto diffuso ed antico è il sentimento su cui poggia il QALY: anche nel Vangelo si legge che è meglio perdere un dito piuttosto che la mano, la mano piuttosto che il braccio, un occhio piuttosto che la vita. Il passaggio dall’anno di vita all’anno di vita ponderato per la buona salute (QALY) penalizzerebbe ulteriormente il grado di efficienza dell’intervento effettuato sul novantenne del nostro esempio, i cui anni di vita attesi non sono soltanto pochi (tre) ma spesso anche scarsi dal punto di vista della qualità della vita: si potrebbe ipotizzare che la perdita dell’autonomia connessa con la presenza di una malattia cronico-degenerativa renda la maggior parte dei cittadini concordi nello stimare che tre anni in quelle condizioni valgano un anno e mezzo in buona salute, con la perdita del 50% rispetto alla vita attiva normale. Il costo per QALY salirebbe a 6.666.667 lire, il doppio di quello per anno di vita guadagnato. Utilizzando gli stessi QALY, anche l’intervento sul ragazzo con trisomia 21 vedrebbe ridurre il proprio risultato, poiché la vita come tale potrebbe essere comunemente valutata al 70% rispetto alla vita normale: al posto dei 50 anni di vita attesa si avrebbero soltanto 35 QALY, con un costo per ognuno di essi pari a 285.714 lire. Il ragazzo normale ha un’attesa di vita di 70 anni, di cui in piena salute 67 anni, con una riduzione al 50% degli ultimi tre anni della sua vita; perciò il passaggio dagli anni di vita guadagnati ai QALY darebbe un risultato di 68,5, molto simile al precedente privo della ponderazione per qualità, con un costo di 145.985 per QALY. Resta quindi confermata e rafforzata pesantemente l’indicazione programmatoria a privilegiare l’intervento su quest’ultimo, in quanto più efficiente. Sembra opportuno a questo punto ricordare che queste indicazioni vanno nello stesso senso, sia pure con molta maggior moderazione, di quelle che si otterrebbero mediante un’analisi cost/benefit (costo/profitto), ove si prende in considerazione il reddito atteso da parte dei malati, valutando il risultato dell’intervento sanitario in moneta.
L’ EQALY: IL QALY PONDERATO PER L’EQUITA’ DISTRIBUTIVA
L’ulteriore ponderazione che si propone tende ad evitare la trappola nella quale i conti precedenti tendono a rinchiudere la programmazione ed a ricomporre la contraddizione fra equità ed efficienza. Ad esempio, due programmi sanitari, di pari costo, possono ottenere un numero eguale di anni di vita guadagnati complessivi, ma il primo distribuisce questo risultato su molti componenti della collettività, mentre il secondo li concentra su pochi individui, che vengono a guadagnare di più pro capite. Il semplice calcolo dell’indice di Gini quantifica il fenomeno distributivo e consente di ponderare il numero degli anni guadagnati complessivamente nell’uno e nell’altro programma: dividendo lo stesso ammontare per l’indice nominato o un suo multiplo si ottiene un risultato di anni guadagnati ponderati superiore nel caso del programma a risultato diffuso ed inferiore nel caso del programma a risultato concentrato su pochi. Ne consegue che in una corretta pianificazione il primo programma risulterà preferito rispetto al secondo. Per inciso, questa ponderazione penalizza le malattie rare che invece, data la loro gravità, assumevano un forte peso attraverso la valutazione in anni di vita e in QALY.
Si ricorda che il fine del SSN non consiste nel distribuire a tutti una identica dose di servizio sanitario, ma nel ripristinare un equilibrio fra coloro che hanno la sfortuna di essere malati e coloro che hanno la fortuna di restare sani nel corso di tutta la loro vita, concentrando il proprio intervento su coloro che stanno peggio. Il SSN inoltre tende a caricare le spese degli interventi sopra tutto su coloro che pagano le imposte per il SSN: costoro, producendo e percependo redditi, normalmente godono di miglior salute rispetto agli altri e quindi utilizzano meno servizi sanitari.
Si possono dare differenti ipotesi di equità tendenzialmente cercata. L’intervento sanitario tende a fare sopravvivere coloro che rischiano di morire: in questo caso si può dimenticare la vita precedentemente trascorsa, ponendo tutti sullo stesso piano, così come scegliendo per unità di prodotto la vita salvata. Infatti questo indice di prodotto considera soltanto il momento dell’intervento, che si risolve in vita salvata oppure vita perduta, senza considerare ciò che è stato prima e ciò che sarà poi (anni di vita attesi). Si ricorda tuttavia che l’opinione corrente, opponendosi a questo criterio di giustizia, rifiuta di mettere sullo stesso piano chi “ha già vissuto” la sua vita (l’anziano) e chi invece deve ancora viverla (il ragazzo). La stessa opinione comune si basa su di un criterio di giustizia estremo, per il quale ognuno avrebbe diritto a vivere 75 anni, pari alla vita media, e chi avrebbe passato questa età non dovrebbe competere con i giovani per ottenere un ulteriore prolungamento della vita, già favorita dalla sorte. Su questa ipotesi di giustizia distributiva della vita e della salute si basa la legge del mare, che impone siano salvati i bambini prima degli adulti. In condizioni normali, al di fuori del caso del naufragio, sembra opportuno che gli anni di vita eccedenti la media attesa debbano comunque essere valutati, sia pure con adeguata riduzione: ad esempio si potrebbe ipotizzare che venissero ridotti del trentatré per cento, ottenendo che i tre anni di vita guadagnati dal novantenne si ridurrebbero a due, mentre i settanta guadagnati dal ragazzo normale si ridurrebbero secondo la stessa formula: 70 - (5x0,33) = 68,35 ove 5 è la parte di vita trascorsa dopo aver compiuto i 75 anni. Nessuna riduzione si applicherebbe al caso del ragazzo con trisomia 21, in quanto non si prevede possa raggiungere i 75 anni di vita. Pertanto l’analisi costo/efficacia risulterebbe meno svantaggiosa per quest’ultimo. Riprendendo l’esempio di applicazione dei QALY presentato in precedenza si può introdurre lo stesso elemento correttivo che tenga conto della vita vissuta e dell’aspirazione ad una perequazione delle possibilità di vita attorno ai 75 anni (a cui corrispondano, ad esempio 74 QALY), con una riduzione del 33% dei QALY eccedenti questa età: per il novantenne il risultato si ridurrebbe in modo proporzionale, passando da 1,5 QALY a 1 EQALY; per il ragazzo normale gli EQALY sarebbero dati dalla seguente formula 68,5 - (5x0,33) = 66,85 EQALY. Valutando con lo stesso metro della qualità di vita gli anni trascorsi dal ragazzo disabile occorre riconoscergli che non ha vissuto pienamente la sua vita e che i dieci anni di vita vissuti valgono in QALY soltanto sette anni, rispettando anche a suo favore la stessa percentuale che si è applicata (a suo svantaggio) per ridurre i 50 anni di vita attesa a 35 QALY. Inoltre il ragazzo con trisomia 21 non arriverà a quel guadagno di 68,5 QALY che le persone normali di dieci anni si attendono di raggiungere. Anche mediante l’intervento sanitario la sua vita totale espressa in anni di vita sarà pari a 10 + 50 = 60, ed in QALY sarà pari a 7 + 35 = 42 QALY. Specularmente allo svantaggio applicato agli anni guadagnati eccedenti i 75 anni di età, che corrispondono a 74 QALY, si potrebbe in questo caso applicare un vantaggio, pari ad esempio al 33%, ai QALY guadagnati da chi non giungerà ai 75 anni oppure ai 74 QALY, ottenendo una rivalutazione del risultato di 35 QALY prima indicato secondo la seguente formula: 35 + (35x0,33) = 46,55 EQALY. Il risultato ottenuto è ancora molto inferiore a quello corrispondente per il ragazzo normale, pari a 66,95 EQALY, ma questo deriva dai parametri usati, la cui scelta dipende dai valori etici introdotti. L’esempio riportato si potrebbe arricchire di altre ipotesi, come quella di un novantenne privo dell’uso di una gamba dalla nascita: ammettendo che la mancanza dell’arto inferiore causi la perdita di un quarto della qualità della vita, ma non dell’attesa di vita, i QALY vissuti corrispondenti a 90 anni risultano pari a 67,5, abbondantemente sotto la media attesa, stabilita in 74; per questo il passaggio dai QALY guadagnati dall’intervento (pari a 1,5) agli EQALY non vedrebbe alcuna riduzione, ma anzi un aumento del 33%.
Conclusioni
Con le ipotesi di equità appena descritte si può trovare una forma di calcolo per ponderare i QALY, ottenendo gli EQALY. Tutti i cittadini di una comunità, oppure, a scelta, tutti coloro che fra gli altri fanno richiesta di una qualunque prestazione sanitaria, vengono identificati per il numero degli anni vissuti e di quelli attesi, per il numero di QALY vissuti e di quelli attesi. In un primo approccio si può considerare che ogni intervento sanitario, operato su di un malato, vada a modificare la concentrazione del “patrimonio” di salute posseduto da tutti i componenti la collettività: nel caso di tre malati e di un solo intervento possibile è inevitabile che tale intervento si debba concentrare su di uno dei tre, dando a quello solo tutti i vantaggi possibili. Nell’opera di programmazione sanitaria, ove sono considerati molti interventi possibili a favore di una molteplicità di cittadini, con differenti età e differenti qualità di vita, sarebbe opportuno introdurre una ponderazione dei risultati che tenesse conto della loro distribuzione più o meno equa secondo i criteri e le misure che la collettività vuole stabilire. La stessa operazione può ripetersi, con maggiore facilità di calcolo, all’interno di un gruppo di malati di varie età ed in stadi diversi di patologia che aspirano alla stessa terapia. I risultati espressi in QALY dovrebbero essere aumentati in proporzione alla loro capacità di modificare lo stato di salute della popolazione avvicinandosi il più possibile all’equidistribuzione ideale che è stata scelta. L’EQALY è uno strumento che può facilitare l’impostazione del problema e la soluzione sistematica dello stesso. Tuttavia non si possono nascondere le difficoltà pratiche e teoriche incontrate nella preventiva determinazione del QALY, che esige una valutazione epidemiologico-valutativa dei risultati degli interventi sanitari tendente prima a misurare gli anni di vita guadagnati e quindi la loro ponderazione in anni di vita in buona salute, mediante indagini psicosociologiche numerose ed accurate. E’ noto che tali indagini producono risultati differenti a seconda del gruppo di persone scelte come riferimento: cittadini sani, operatori, malati affetti dalla patologia in esame. I sani valutano più pesantemente dei malati lo stato di malattia, probabilmente perchè questi ultimi si sono abituati a convivere abbastanza bene con la loro infermità. I giovani sani considerano la lieve perdità di funzionalità del corpo poco meno che la morte. I vecchi ritengono spesso che la quantità di vita faccia premio sulla qualità della vita stessa, per cui si può ragionevolmente presumere che la stessa persona cambi atteggiamento e valutazione nei confronti della qualità di vita nell’arco della sua vita. Un anno di vita senza una gamba può valere come un solo mese per un ventenne, mentre può valere undici mesi per un ottantenne. Piuttosto che fare riferimento a misure centrali, come la moda o la media di campioni rappresentativi della popolazione nella sua interezza, si suggerisce di restringere al gruppo dei malati la valutazione della qualità di vita, sia per motivi pratici che teorici. Infatti i malati già conoscono la reale condizione della malattia, vivendola quotidianamente, e pertanto le indagini effettuate su di loro non esigono lunghe premesse illustrative da parte dell’incaricato della ricerca psicosociologica. Si può inoltre affermare che il collettivo dei malati sia maggiormente abilitato a dare indicazioni, per analogia con quanto prevede il nostro diritto riguardante il consenso al trattamento individuale: il trattamento obbligatorio è ammesso soltanto in casi rarissimi, quando è in gioco la tutela della collettività oppure quando il malato non è in grado di intendere e di volere; in ogni altro caso il malato è libero di rifiutare anche il trattamento considerato dalla collettività come il più favorevole: ad esempio una donna affetta da cancro al seno può rifiutare una mastectomia anche se tale intervento fosse efficace per prolungare la vita, poichè prevale sempre il giudizio dell’interessata, che in tal caso si riassume nella preferenza della morte piuttosto che della menomazione (contro l’opinione della generalità). Ovviamente la programmazione del servizio sanitario non può basarsi su questa opinione eccezionale di una malata, ma è opportuno che faccia riferimento all’opinione comune delle persone affette da questa malattia, le più interessate alla decisione programmatoria. E’ necessario che l’indagine psicosociometrica eviti di incentivare risposte che volutamente sottovalutino la riduzione della qualità di vita, al fine di spostare risorse pubbliche verso il trattamento di quella particolare malattia, a scapito di altre forme morbose: questo comportamento opportunistico sarebbe diffuso, se i malati conoscessero le conseguenze della loro valutazione sulla programmazione sanitaria generale. Le osservazioni critiche ora esposte possono rendere conto della difficoltà nella determinazione e nell’uso dei QALY, ma l’ulteriore ponderazione qui proposta, EQALY secondo la ripartizione dei QALY stessi fra i componenti della collettività e fra gruppi di età, è relativamente semplice, e può essere applicata ad ogni altra misura del risultato dell’intervento sanitario, come l’anno di vita salvato oppure il DALY.
Tratto da Atti della X conferenza di International Association of Health Policy, 23-26 sett. 1998, Perugia
Cfr. anche: C.Hanau: Economia, programmazione sanitaria ed etica pubblica. Bioetica in medicina, a cura di A. Bompiani, CIC ed. internaz., Roma, 1995, pp.416-433 C.Hanau: Risorse. L’allocazione delle risorse in sanità. Etica della vita, a cura di F. Compagnoni, Ed.S.Paolo, Roma, 1996 pp 209-235.
[1] M.F.Drummond et AA: Metodi per la valutazione economica dei programmi sanitari. Traduzione a cura di V.Ghetti, F.Angeli, Milano, 1993. [2] F. Nuti: Introduzione all’economia sanitaria e alla valutazione economica delle decisioni sanitarie. Giappichelli, Torino, 1998, pp.208 e ss. [3] M.F.Drummond et AA: Metodi per la valutazione economica dei programmi sanitari. Traduzione a cura di V.Ghetti, F.Angeli, Milano, 1993. [4] C.Hanau: Economia, programmazione sanitaria ed etica pubblica. In: Bioetica in medicina, a cura di A.Bompiani, C.I.C. Ed.Internazionali, Roma, 1995, pp.416-433.
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