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RELAZIONE CONCLUSIVA DEL CONVEGNO SUL TEMA: Sangineto lido 4-5 e 6 Aprile 2003 DR. ANTONIO ESPOSITO
Nell’arco di tempo che va dal 1997 agli inizi del 2001, il contesto culturale e normativo nel quale si è realizzato il progetto di integrazione scolastica e sociale dei disabili è venuto radicalmente a mutarsi. In quel periodo, esperti, studiosi, associazioni culturali e del volontariato andavano, già da tempo, proponendo un nuovo modello di integrazione basato essenzialmente sulla qualità dell’integrazione stessa, o, meglio ancora, sulla qualità della vita per il disabile. In importanti convegni nazionali e internazionali, quali quello organizzato dal "Centro Studi Erikson" a Riva del Garda nel novembre 1997 sulla "Qualità dell’integrazione" e quello organizzato dall’I.S.P.I. ad Amalfi nel febbraio 1998 su "Handicap tra scuola e società (quale futuro?)", ci si propose l’obiettivo di contribuire ad indicare nuovi percorsi, quantitativamente e qualitativamente diversi, per l’integrazione non più circoscritti all’ambito scolastico ma che – aventi nella scuola il punto di partenza – si snodino attraverso una vasta gamma di enti, organismi ed attività per pervenire, con mutato atteggiamento mentale e culturale degli operatori nei confronti del disabile, ad un progetto complessivo di vita per il soggetto in situazione di handcap, ovvero ad un progetto individuale di vita che, in maniera organica, armonica e coordinata, assicurino al disabile il concreto esercizio dei diritti, costituzionalmente garantiti, alla educazione, alla formazione, alle cure sanitarie, alla riabilitazione, alle attività ricreative, all’inserimento nel mondo lavorativo. A questa crescente richiesta di qualità dell’integrazione scolastica e della vita del disabile non rimase insensibile il legislatore del tempo che già con una risoluzione della Camera dei deputati – su proposta della Commissione Affari Sociali – impegnò il Governo a realizzare periodicamente una Conferenza nazionale sullo stato di attuazione della legge-quadro sull’handicap n° 104/92 e, quindi, anche, della integrazione scolastica che di tale legge costituisce, com’è noto, l’asse portante; Conferenza nazionale, poi, svolta nel dicembre 1999 e sulla cui fondamentale importanza mi soffermerò da qui ad un momento. Ma altra iniziativa era stata, nel frattempo, posta in essere dalla Camera dei deputati che aveva avviato un’indagine conoscitiva sulla integrazione scolastica i cui lavori ebbero a concludersi il 28 gennaio 1998 con la relazione svolta dalla Commissione culturale della Camera sotto il coordinamento dell’onorevole Luciana Sbarbati. Era la prima volta che il Parlamento adottava una tale iniziativa che ebbe a riscuotere un giudizio positivo di tutte le forze politiche che votarono all’unanimità la relazione conclusiva predisposta dalla stessa on. Sbarbati. Si tratta di un lavoro ponderoso che consta di ben 11 quaderni per oltre 200 pagine che riassumono i risultati delle audizioni di associazioni di disabili e loro familiari, di insegnanti specializzati, di esperti dell’osservatorio nazionale del Ministero della P.I., dei sindacati-scuola ma anche delle associazioni di presidi e degli insegnanti. La relazione di sintesi votata dal Parlamento, dopo ampio dibattito anch’esso riportato integralmente nel documento conclusivo, è quanto mai interessante e pregevole giacché fin dall’inizio si coglie una solida cultura dell’integrazione scolastica intesa quale aspetto della integrazione sociale che viene considerata come il progetto di vita costituzionalmente tutelato, anche se – come opportunamente rileva la Commissione - di fatto, non sempre viene pienamente sorretto a livello istituzionale, amministrativo e finanziario, e ciò viene ad incidere negativamente sulla qualità di una integrazione che, invece, la normativa italiana vuole completa e generalizzata. In sostanza, le conclusioni "dell’indagine conoscitiva sull'integrazione scolastica" (10 dicembre 1996 - 28 gennaio 1998) condotta dalla VII Commissione (Cultura, scienza e istruzione) ebbero ad evidenziare la necessità di costruire una vera cultura dell'integrazione contro i pericoli dell'assistenzialismo. In particolare, venne sottolineata l'opportunità di utilizzare le competenze del docente di sostegno in modo diversificato; di procedere all'impiego di figure di sistema e di raccordo interistituzionale; di rivedere le modalità di reclutamento e di formazione del docente di sostegno, il suo profilo professionale; di renderlo contitolare e corresponsabile; di rivalutare i modelli modulari, di flessibilità e le attività didattiche per sintonizzarle più "sul saper fare che sul saper sapere"; di risolvere i problemi riguardanti i "gravissimi" e la distinzione tra handicap e svantaggio; di rivedere l'atto di indirizzo (D.P.R. 24/2/1994) valorizzando il contributo delle scienze pedagogiche, psicologiche e sociali, in modo da porre attenzione al "bambino intero", a tutto il suo potenziale e non solo al suo handicap; di rendere obbligatoria, per le pubbliche amministrazioni, la stipula degli accordi di programma, oppure rivederli interamente, semplificando le procedure; di inserire l'azione scolastica in un più ampio processo di integrazione che coinvolga tutti i soggetti del territorio; di ribadire, a livello internazionale, la volontà dell'Italia di "integrare totalmente"; di istituire un Forum permanente da convocare ogni tre anni per un confronto tra le esperienze. La Commissione faceva, inoltre, molto assegnamento sull’Osservatorio per l’integrazione scolastica, quale risorsa importante che anche il Parlamento riteneva necessaria e che doveva essere ulteriormente consultata in vista dell’emanazione dei provvedimenti applicativi delle leggi di riforma in atto. Infine, la Commissione propose la creazione di una Commissione parlamentare di vigilanza sulla qualità dell’integrazione scolastica. Ma oltre a queste importanti iniziative, sintomo di una forte sensibilizzazione per le problematiche dell’integrazione, il Parlamento del tempo emanò due fondamentali normative. Il 12 marzo 1999 fu emanata la legge n° 68 sulla tutela del diritto al lavoro dei disabili con la previsione del c.d. collocamento mirato, mentre l’8 novembre 2000 venne emanata la legge-quadro n° 328 sul sistema integrato di interventi e servizi sociali. Tale ultima normativa – che rappresenta il momento più alto della nuova cultura dell’handicap, giacché promuove interventi per garantire la qualità della vita e per eliminare o ridurre le condizioni di disabilità – prevede all’art. 14 la predisposizione di un progetto individuale di vita per le persone disabili al fine di realizzare la piena integrazione di esse nell’ambito della vita familiare e sociale nonché nei percorsi dell’istruzione scolastica o professionale e del lavoro. Ma non può tacersi che a tale sviluppo della normativa abbiano contribuito anche, sulla base delle indicazioni costituzionali e parlamentari, le scelte di politica ministeriale e l’apporto tecnico-professionale dell’apparato amministrativo del Ministero della P.I.. Vi fu, in quel periodo, e segnatamente negli anni ’97 – 2000 un fervore di iniziative. Venne innanzitutto ricostituito dal Ministro "l’Osservatorio Permanente sull’integrazione scolastica" suddiviso in due organismi consultivi: la "Consulta delle associazioni dei disabili e dei loro familiari" e il "Comitato tecnico-scientifico". L’Osservatorio svolse, in quegli anni, un cospicuo lavoro di consulenza il cui obiettivo era il miglioramento continuo della qualità della integrazione scolastica. In proposito, l’Osservatorio intraprese anche lo studio per individuare "standard" di qualità concernenti l’integrazione scolastica, con riguardo ai bisogni espressi dalle singole tipologie di minorazioni e da un diverso grado della loro gravità, in particolare l’osservatorio ebbe ad iniziare lo studio di "indicatori strutturali" legati agli aspetti istituzionali-normativi (posizione delle aule, loro arredi, formazione delle classi, tempestività di assegnazione di docenti specializzati, di attrezzature, ecc.) di "indicatori di processo", legati alla programmazione e all’attuazione dell’integrazione, di "indicatori di risultato", concernenti tanto l’efficienza dei servizi realizzati, quanto i risultati nella crescita degli apprendimenti, dell’autonomia e della rete relazionale degli alunni in situazione di handicap e dei compagni. Come già si è accennato, vi fu un continuo fiorire di inizative da parte del Ministero della P.I.. Ed, invero, dal 1° al 3 dicembre 1998, venne organizzato, in Roma, dall’Ufficio Studi e Programmazione del Ministero della P.I. un seminario con la partecipazione di oltre 150 fra esperti, rappresentanti di amministrazioni statali, regionali e locali, dirigenti di asociazioni di disabili e loro familiari, operatori di organizzazioni del volontariato e del privato sociale. In tale seminario si cercò di ridefinire le competenze di ciascuno dei tre tipi di soggetti pubblici previsti dalla legge n° 104/92 e, cioè, Scuola, Enti locali, A.S.L., come basilari e fondamentali per una corretta integrazione scolastica; venne dettagliatmente valutato l’atto di indirizzo sulla formulazione della diagnosi funzionale, del profilo dinamico funzionale e del P.E.I. e ci si è chiesto se tale ripartizione fosse ancora valida o non fosse il caso di abolire il profilo dinamico funzionale arricchendo i contenuti del P.E.I. o articolando diversamente i contenuti della diagnosi e del profilo dinamico funzionale, rendendoli più utili per i docenti. Il 3 febbraio 1999 ebbe, poi, luogo, l’audizione del Ministro della P.I. sullo stato di attuazione della integrazione scolastica innanzi alla Commissione Cultura della Camera alla quale il Ministro consegnò il testo degli "Orientamenti generali per la nuova politica della integrazione" concernente lo stato di attuazione e le prospettive di intervento in materia di integrazione scolastica con alunni con handicap. L’audizione deve considerarsi come un momento fondamentale nella storia dell’integrazione, poiché erano anni che un Ministro, a nome del governo, non interveniva su tali problemi. Inoltre, il documento presentato e il taglio di ampio respiro dato all’intervento illustrativo collocano questo evento tra i fatti fondativi dell’integrazione scolastica poiché è stata prospettata una svolta nelle politiche sull’integrazione e su tali politiche, dopo ampio dibattito, si è raggiunto un notevole consenso. Va ricordato che a seguito dell’audizione e del conseguente dibattito il Ministero della P.I. ha emanato il D.M. 22 marzo 1999 n° 72, concernente modifiche all’art. 10 del D.M. n° 331/98 sulla formazione delle classi frequentate da alunni in situazione di handicap. Non è possibile, neanche sinteticamente, riassumere i contenuti del documento, e mi limiterò, quindi, solo a ricordare che gli "Orientamenti generali per la nuova politica dell’integrazione" prevedono che il progetto di integrazione debba assumere sempre più una dimensione ampia dì intervento integrato e continuo, sia sulla dimensione "orizzontale", articolando sinergicamente le varie realtà e i diversi servizi che entrano in gioco nella costruzione del progetto di vita dell'allievo in situazione di handicap, sia su quello "longitudinale", del ciclo di vita, collegando organicamente i vari interventi (dalla scuola al lavoro, dalla riabilitazione alla vita sociale e al gruppo amicale, dal tempo libero a quello familiare o della relativa autonomia relazionale, l'educazione permanente, gli interventi di sostegno psicologico, ecc.) e non interrompendoli nella maggiore età. Ricorderò anche l’acuta prospettiva di attivare una rete di "Osservatori regionali" sulla base delle intese assunte in sede di Conferenza Stato-Regioni-Città-Autonomie locali in collegamento con l'Osservatorio nazionale e promuovere l'istituzione e il funzionamento di "centri di documentazione, risorse, consultazione, come veri e propri "sportelli di consulenza e di supporto" alle scuole, ai docenti, alle famiglie, alle associazioni, anche in collaborazione con altri enti; In conclusione la fase dell' audizione del ministro e il documento da lui illustrato su «Orientamenti generali per una nuova politica dell'integrazione" segnano una tappa significativa e di svolta nelle politiche sull’integrazione. Infatti alle scelte garantiste degli anni Settanta e primi anni Ottanta fondate sulla : "rigidità" e "l'automatismo" di regole fissate a livello centrale dal Parlamento e dal ministero, dopo un primo momento di totale "liberalizzazione", si sostituiscono criteri di garanzia "decentrati" alle singole istituzioni scolastiche autonome, fondati su una maggiore partecipazione progettuale di tutto il consiglio di classe e della comunità scolastica. Ancora va ricordato come il Ministero della P. I. organizzò il 25 marzo 1999 in Roma la "Prima Conferenza nazionale sull'integrazione scolastica delle persone in situazione di handicap", che ebbe una grande eco sulla stampa e nel mondo dell'handicap. La conferenza, che ha saldato culturalmente e politicamente i lavori del precedente seminario del Ministero della P. I. nel dicembre 1998 e della successiva Conferenza nazionale del Ministero degli Affari Sociali del dicembre 1999, è stata avvertita dall’opinione pubblica come una forte presa di posizione ufficiale a favore dello sviluppo delle politiche sociali d'integrazione scolastica. - Ed, invero, dal 16 al 18 dicembre 1999 il Ministro per la Solidarietà Sociale ha organizzato la "Prima Conferenza nazionale sullo stato di attuazione della legge – quadro n° 104/92", richiesta da tempo. L’ampia materia è stata prima affrontata in relazioni di esperti e poi dibattuta in sette gruppi di lavoro che hanno affrontato tutti gli aspetti problematici dell'integrazione sociale, compresi quelli dell'integrazione scolastica il tutto supportato dall'ampia e sentita relazione introduttiva della Ministro Turco, alla presenza di numerosi ministri e del Presidente del Consiglio. Quanto alla scuola sono stati ribaditi il principio dell’irreversibilità della scelta dell'integrazione e l’impegno di politiche conseguenti. Queste dovranno riguardare la formazione iniziale e in servizio di tutti gli insegnanti, il miglioramento delle situazioni logistiche dei locali scolastici, la dotazione di sufficienti ausili tecnologici, la presenza di sufficiente personale per il sostegno didattico e l'assistenza personale, il miglioramento dei rapporti interistituzionali fra scuola, ASL ed enti locali, la verifica delle modalità d’integrazione nella scuola dell’autonomia, la corretta ristrutturazione degli istituti statali speciali per ciechi e sordi a sostegno dell’integrazione scolastica. Queste proposte, unitamente a quelle relative agli altri ambiti d’interventi sono state recepite dal governo in un "Programma di azione del governo per le politiche dell'handicap" per il triennio 2000/2003, approvato il 28 1uglio 2000. Il documento segna una tappa importante nell'avanzamento dell'integrazione sociale poiché i problemi e le proposte di soluzione sono stati posti all’attenzione dell’opinione pubblica su una platea vasta e con impegni autorevoli. Di notevole rilevanza è ancora la "Relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della legge-quadro sui diritti delle persone in situazione di handicap", redatta nell’anno 2000 dal Ministro della P.I., la quale riporta, per la prima volta, in modo sistematico una vasta mole di dati sulla integrazione scolastica degli alunni in situazione di handicap. Trattasi di un primo lavoro organico ma anche di un primo strumento di indagine che dovrà avere successivi approfondimenti. Esso presenta aspetti quanto mai essenziali per il raggiungimento della piena integrazione soprattutto nella parte in cui si afferma che "realizzare per un alunno disabile un progetto di vita, significa realizzare un percorso formativo, culturale e professionale anche nella prospettiva della educazione permanente. In questo percorso le diverse dimensioni della persona - affettiva, sociale, lavorativa - s'intrecciano in un progetto per l'alunno e per la classe. Questo progetto dovrebbe vedere impegnati la scuola, la famiglia e le istituzioni del territorio". Ed infine, sempre nell’ambito di questo fervore di iniziative, si è svolto a Modena dal 14 al 16 febbraio 2001 un importante convegno di studio sull’integrazione scolastica degli alunni in situazione di handicap, organizzato dal Ministero della P.I., per riflettere sul futuro delle politiche d’integrazione scolastica nell’ambito delle nuove riforme della scuola. Ai lavori hanno partecipato oltre trecento fra componenti dei gruppi interistituzionali provinciali per l’integrazione scolastica, ispettori, dirigenti scolastici, docenti, funzionari di diversi ministeri ed enti locali, esperti delle Università sanitarie locali, del Comitato tecnico e della Consulta delle associazioni dell’Osservatorio del Ministero sull’integrazione scolastica. Tra i numerosi temi affrontati meritano di essere ricordati i seguenti su cui si è maggiormente rivolta l’attenzione dei partecipanti: La formazione iniziale di tutti i docenti è fortemente carente per gli aspetti educativi sull’integrazione scolastica, giacché sia i nuovi corsi universitari di Scienze della formazione primaria, sia le Scuole post lauream di abilitazione all’insegnamento secondario dedicano un tempo irrisorio a tali problematiche, le quali sono trasversali al sistema integrato d’istruzione e formazione. Anche la specializzazione per le attività di sostegno non realizza una piena preparazione per docenti che dovranno essere di sostegno sia agli alunni con diverse tipologie di minorazioni, sia alla loro integrazione nella classe, sia ai colleghi docenti curricolari che dovranno sempre più prendersi in carico il "progetto globale di vita" degli alunni disabili, orientandoli alle possibili future scelte lavorative o comunque di vita sociale. Sembra indispensabile un’intensificazione di formazione "modulare" in servizio per tutti i docenti. I rapporti fra scuola e sanità sono sempre difficili, anche per la normativa che non è ancora riuscita a fissare un sistema diagnostico uniforme sul territorio nazionale e inoltre trasmette alle scuole diagnosi funzionali poco pratiche per l'impostazione del piano educativo individualizzato. Dopo queste iniziative e soprattutto dopo la presentazione degli "Orientamenti generali per una nuova politica dell’integrazione" e dopo i risultati della "Prima Conferenza nazionale sullo stato di attuazione della legge-quadro", il futuro dell'integrazione scolastica sembrava meno problematico sia per le soluzioni prospettate, sia per la disponibilità di forze culturali e politiche che erano risultate assai più vive e consapevoli di quanto non potesse pensarsi. Viceversa, il nuovo corso politico rivela un forte calo di tensione ed una inversione di tendenza sul fronte della integrazione e dei diritti del disabile sembrando esso essere, invece, più attento ai problemi di contenimento e di razionalizzazione della spesa pubblica con ciò disattendendo, quindi, il principio più volte affermato dalla giustizia amministrativa secondo cui "qualsiasi altra esigenza (ad es. di natura organizzativa oppure di contenimento della spesa pubblica) deve recedere di fronte all’obiettivo fissato dal legislatore di garantire agli handicappati il diritto allo studio e all’integrazione". Un primo segnale in tal senso è stato ravvisato nella presentazione delle linee programmatiche del nuovo Governo sulla scuola da parte dell’attuale Ministro il 18 luglio 2001 nelle quali non si rinviene alcun cenno alla integrazione scolastica e ciò già ebbe a destare incertezze e preoccupazioni. Successivamente, con circ. ministeriale 8 luglio 2002 n° 77, il Ministro ha posto, in termini sicuramente negativi, l’accento sul "costante e consistente numero dei posti di sostegno che si era verificato negli ultimi anni ed invitava i dirigenti scolastici regionali a voler gestire "la delicata operazione con la massima cautela verificando che siano state attentamente valutate, oltre all’incremento del numero degli alunni e alla gravità dell’handicap, anche le situazioni organizzative e le risorse professionali disponibili nella scuola". Si è trattato sostanzialmente di un’avvisaglia di quanto sarebbe accaduto con la "legge finanziaria 2003" che, all’art. 35, prevede una "stretta di freni" alle certificazioni che il Ministro, in più occasioni, aveva detto essere rilasciate con troppa facilità. È prevista, infatti, la emanazione di un decreto con il quale si introducono nuovi criteri più rigidi di certificazione, per la individuazione della persona handicappata di competenza delle A.S.L. sulla base di accertamenti collegiali, con modalità e criteri definiti con Decreto Presidente Consiglio Ministri. Sempre nell’art. 35 della nuova finanziaria è prevista la riduzione, per il triennio 2003 – 2005 del 6%, della consistenza numerica della dotazione organica dei collaboratori scolastici determinata per l’anno scolastico 2002 – 2003. Trattasi di una norma di eccezionale gravità giacché tra le funzioni dei collaboratori scolastici rientrano - oltre l’accoglienza e la sorveglianza degli alunni e l’ordinaria vigilanza e assistenza agli alunni durante la consumazione del pasto nelle mense scolastiche, come precisato dal citato art. 35 – anche l’assistenza nell’accompagnare l’alunno in situazione di handicap dall’esterno all’interno della scuola e negli spostamenti nei suoi locali e nell’accompagnamento ai servizi igienici e nell’igiene personale previsto dal C.C.N.L. del 3/5/1999 e C.C.N.L. 15/2/2001 Inoltre, la circ. min. 7 marzo 2003, ha trasmesso il Decreto con cui si è definita, per l’anno 2003 – 2004, la dotazione dei posti di sostegno dell’organico di diritto con una riduzione di 1.058 posti rispetto all’organico fissato del precedente decreto interministeriale. Ancora, deve ricordarsi che dopo oltre un anno di inattività, soltanto con decreto 26 aprile 2002, è stato ricostituito "l’Osservatorio nazionale sull’integrazione scolastica degli alunni in situazione di handicap". Notevolmente diversa – anche qui con connotazione sicuramente negativa – è la struttura del nuovo "Osservatorio", rispetto al precedente, poiché l’art. 3 del decreto non prevede più la "Consulta delle Associazioni dei disabili e dei loro familiari" come un secondo organo dell’Osservatorio accanto al Comitato tecnico, ma si precisa che detto Osservatorio, costituito essenzialmente dal nuovo Comitato tecnico, "si avvale della Consulta delle associazioni quale sede di incontro e di dialogo tra soggetti sociali e soggetti istituzionali". E’ stata, inoltre, opportunamente criticata, la mancanza totale di rappresentanti di altri ministeri, pur tenuti per legge ad interventi collegati alla integrazione nonché di rappresentanti delle regioni e degli enti locali, sempre più coinvolti nelle politiche di integrazione specie dopo la consultazione referendaria della legge costituzionale n° 3/2001 e dopo l’entrata in vigore della legge-quadro n° 328/2000 sul progetto individuale di vita per i disabili. Certamente è difficile che gli obiettivi fissati nel secondo punto dell’art. 2: "accordi interistituzionali per la presa in carico del progetto globale di vita e di integrazione degli alunni in situazione di handicap attraverso misure che sostengono la continuità educativa, l’orientamento scolastico e professionale, il collegamento con il mondo del lavoro", possano ricevere attuazione senza un dialogo proficuo con gli altri ministeri, con le regioni e con gli enti locali. Si è, quindi, molto lontani da quella nuova politica della integrazione presente nei più volte ricordati "Orientamenti generali presentati dal Ministro nella seduta del 3 febbraio 1999", ove si propsettava che il rilancio dell’integrazione deve muovere dalla individuazione di politiche integrate che si basino sulla messa a punto di indirizzi generali concertati tra i ministeri interessati (P.I., Sanità, Affari Sociali, Lavoro, Interni) e definiti in sede di Conferenza-Stato-Regioni-Autonomie locali, nella prospettiva del sistema formativo integrato. In sostanza, non solo non è stata attivata la rete di "Osservatori regionali" in collegamento con "l’Osservatorio nazionale" auspicata dal Ministro nel 1999, ma non si è prevista neanche la presenza dei rappresentanti degli altri ministeri, delle regioni e degli enti locali nell’Osservatorio nazionale. Fino ad oggi deve constatarsi come nessuna delle questioni in precedenza dibattute e delle proposte indicate in particolare nella relazione al Parlamento nell’anno 2000 sia stata portata a compimento come, ad esempio quella con la quale, anche da parte di associazioni dei disabili e dei loro familiari e della F.I.S.H. nella riunione del 2002, si chiedeva un innalzamento del periodo di cinque anni prima del quale gli insegnanti di sostegno non possono transitare nei ruoli ordinari della scuola comune, ovvero si venisse a creare un’apposita classe di concorso per il sostegno. Ciò è tanto più grave ove si consideri che nella su indicata relazione al Parlamento, si metteva in evidenza che circa 4.500 docenti di sostegno a tenpo indeterminato passano ogni anno nei ruoli normali aumentando la variabilità professionale. Se si tiene conto della mobilità del personale a tempo indeterminato e della aleatorietà di quello a tempo determinato, si può ben dire che gli alunni in situazione di handicap hanno insegnanti a loro dedicati con il più alto tasso di variabilità di tutto il sistema scolastico. Il fatto è paradossale ove si pensi alle esigenze di maggiore continuità didattica necessaria per questi alunni. E, del resto, l’eccessiva mobilità di anno in anno, determina un livello di prestazione professionale degli insegnanti di sostegno più bassa, in quanto non hanno il tempo di legare con i colleghi e più facilmente sono portati a ruoli di delega e isolamento: la soluzione del problema ha, quindi, forte valore qualitativo per evitare che il sostegno si riduca a segregazione didattica. Nonostante che i corsi di specializzazione per insegnanti di sostegno previsti dal Dec.Inter. 24/11/98 N° 460 siano terminati nell’ottobre 2001 per le scuole secondarie e nell’ottobre 2002 per la scuola materna ed elementare, e nonostante l’attuale carenza di insegnanti specializzati, ripetutamente segnalata da associazioni culturali e dai familiari di disabili, non si è ritenuto di prorogare, almeno per un biennio, l’efficacia del Decreto e di disporre l’espletamento di nuovi corsi di specializzazione per colmare i vuoti. Inspiegabilmente non si è esteso agli abilitati della scuola elementare e materna il corso di specializzazione annuale di 800 ore previsto per gli abilitatidella scuola secondaria dal D.M. 20/2/2002. Nulla è stato fatto per rendere obbligatoria la stipula degli accordi di programma previsti dall’articolo 13 L.q. n° 104/92 e D.M. 9/7/1992 nonostante che tali accordi siano irrealizzati su oltre la metà del territorio nazionale e comunque da essi sono assenti molto spesso le A.S.L. e le Regioni. Non si è, quindi, sentita l’esigenza di una legge che renda obbligatoria la stipula di tali programmi attualmente rimessi alla discrezionalità degli enti locali e delle A.S.L. che, in assenza di vincoli di destinazione per le spese per l’integrazione, rifiutano o ritardano i propri interventi producendo disfunzioni fra i casi più gravi. Tale omissione – nonostante specifiche proposte di legge sul punto – è tanto più grave ove si consideri che, nella già ricordata relazione del 1998 della Commissione cultura della Camera circa l’indagine conoscitiva sulla integrazione scolastica, si proponeva di rendere obbligatoria, per le P.A. la stipula degli accordi di programma ovvero rivederli interamente semplificando le procedure. La commissione, per altro, evidenziava la mancanza di una cultura del coordinamento dei servizi in Rete e, quindi l’obbligatorietà avrebbe facilitato il generalizzarsi di tale cultura. Da più parti, e di continuo, si era criticato che la diagnosi funzionale fosse redatta dalla sola unità multidisciplinare delle A.S.L. e che il suo contenuto fosse troppo caratterizzato in termini sanitari insufficienti a fornire agli operatori scolastici informazioni utili per impostare i più idonei interventi didattici; si era, pertanto, insistentemente proposto – e la stessa Commissione cultura della Camera se ne era fatta portavoce – che alla redazione di tale diagnosi partecipassero anche gli operatori scolastici e la famiglia. Nulla è stato fatto in proposito; anzi, nella bozza del D.P.C.M. annuncialo dall’art. 35 comma VII della Legge Fin. si insiste nell’assegnare alla competente commissione medica dell’A.S.L. – di nuova composizione – la redazione della diagnosi funzionale dell’alunno disabile. L’ultimo argomento riguarda la formazione c.d. continua o permanente dei docenti . Negli "Orientamenti generali per una nuova politica dell’integrazione" si era insistito nell’assoluta necessità di coinvolgere, nella conduzione di strategie e di attività per l’integrazione, tutti i docenti in servizio (gruppi di insegnamento nelle materne e nelle elementari, consigli di classe nelle scuole secondarie). Ciò comportava un forte investimento nella direzione della formazione di tutti i docenti volto all’acquisizione di strategie e tecniche pedagogico-didattiche integrative per la conduzione della sezione e della classe, l’apprendimento disciplinare, la maturazione dell’autonomia, tenendo conto della presenza in classe di un allievo con specifici bisogni. Le associazioni dell’Osservatorio della F.I.S.H. nella I riunione sull’integrazione scolastica del 2/7/2002 hanno fatto presente ai vertici del Miur che le famiglie degli alunni con handicap avrebbero ridotto le loro insistenze sulle deroghe per i posti di sostegno, solo quando l’Amministrazione scolastica avesse assicurato una seria formazione degli insegnanti curriculari che prendessero in carico i progetti di integrazione scolastica, smettendo di delegarli, di solito, ai soli insegnanti per il sostegno, i quali, pertanto, in mancanza dell’assunzione di responsabilità di tutto il Consiglio di classe, debbono continuare ad avere un congruo numero di ore, pari ad un rapporto medio di un posto ogni due alunni. Nulla di specifico è stato fatto in proposito nella legge delega di riforma della scuola si stabilisce genericamente che "le strutture didattiche di ateneo o d’interateneo di cui alla alla lettera e) promuovono e governano i centri di eccellenza per la formazione permanente degli insegnanti, definiti con apposito decreto del Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della ricerca". Il comma individua nell’Università la struttura deputata alla formazione in servizio degli insegnanti. La dicitura della legge sembra assai perentoria nell’affidare il "governo" e la "promozione" dei centri di eccellenza alle sole strutture universitarie. La norma suscita forti perplessità innanzitutto perché taglia fuori dall’aggiornamento, e del personale docente, le agenzie di formazione specificamente previste per tale attività dalla recente D.M. 12/7/2000, in virtù del quale il ministero, a seguito di laboriosa e approfondita istruttoria e visite ispettive, riconosciuto ed accreditato, con regolari decreti , numerosi enti ed istituti ritenuti, sulla base anche di valida pregressa attività di formazione di aggiornamento, idonei, appunto, alla formazione del personale docente. In secondo luogo vi è il concreto rischio che si crei una ennesima frattura tra mondo della scuola ed Università, attribuendo alla cultura scolastica un ruolo marginale e subordinato alla cultura accademica. L’affinamento delle competenze professionali dei docenti è certamente il frutto di un rigoroso itinerario scientifico e culturale, ma non può prescindere dalla capacità di riflettere sulla pratica didattica, riconoscendo un valore fondante all’epistemologia dell’esperienza sul lavoro. Il profilo di un insegnante "pratico-riflessico", di cui parlano i migliori esperti di didattica, non può che scaturire da una felice integrazione di apporti universitari e di apporti professionali, come poi insegnano le esperienze di formazione e ricerca nate all’insegna del binomio Scuola-Università. Analoghe argomentazioni valgono anche per la ulteriore previsione della legge secondo cui "Le strutture di cui alla lettera e) curano anche la formazione in servizio degli insegnanti interessati ad assumere funzioni di supporto, di tutorato e di coordinamento dell’attività educativa, didattica e gestionale delle istituzioni scolastiche e formative". Anche in questo caso si può osservare che la preparazione di nuove figure professionali, come arricchimento ed articolazione della funzione docente, non può essere affidata esclusivamente a percorsi formativi di natura accademica, valutati e certificati in una sede esterna alla scuola. Si finirebbe con il dare un giudizio negativo sulla capacità della scuola di esprimere e produrre cultura, conoscenza, sapere professionale. Alla stregua di tali considerazioni può sensaltro concludersi che si è sicuramente in presenza di un’involuzione, di una caduta di attenzione rispetto a quella che è stata "la nuova cultura dell’handicap" e rispetto al miglioramento e all’evoluzione della qualità dell’integrazione e della vita del disabile. Bisognerà essere, quindi, attenti e vigili a far comprendere alle attuali forze politiche che l’integrazione è , nelle coscienze e nell’opinione pubblica, un fatto oramai definitivamente acquisito, e che anche la giurisprudenza, soprattutto quella costituzionale, ma anche quella ordinaria e amministrativa è oramai definitivamente orientata per la tutela del diritto allo studio e all’integrazione delle persone disabili. Ne sono prova le numerose sentenze di merito circa il diritto degli alunni in situazione di handicap a essere iscritti nelle classi comuni, a ottenere la nomina di insegnanti per attività di sostegno, a vedersi assicurata l’assegnazione di un assistente per l’autonomia e la comunicazione, a ricevere l’uso di ausili didattici tecnologici, a non subire passivamente il rifiuto di trasporto a scuola a carico dei Comuni, e in genere a non essere discriminati negativamente. Concludo questa relazione ricordando l’auspicio contenuto nel "prezioso" volume di Salvatore Nocera " il diritto all’integrazione nella scuola dell’autonomia": "Certo il processo oramai definitivamente avviato non può interrompersi … così come non vi è stata interruzione lungo tutta la storia dell’integrazione rivaltasi in quest’ultimo trentennio. Vi potranno essere arresti; vi potranno anche essere tentativi di arretramento, rispetto ai livelli di emersione normativa raggiunti, poiché la storia degli istituti giuridici non si è mai realizzata attraverso un moto rettilineo uniforme e la stessa storia della normativa dell’integrazione scolastica ha avuto luci ed ombre. Mai nuclei concettuali ormai elaborati e formalizzati costituiscono un polo di attrazione normativa, dal cui campo magnetico sembra difficile che il futuro legislatore possa definitivamente allontanarsi.In ultima analisi, tutto dipenderà dalla maturità e dalla diffusione della cultura dell’integrazione presente nell’opinione pubblica, non solo degli addetti ai lavori, ma della società in genere. L’integrazione sarà nel prossimo millennio quello che gli italiani vorranno che sia." Ed io sono convinto che negli italiani sia oramai assolutamente diffusa la presa di coscienza che le norme emanate per garantire il diritto allo studio (così come al diritto alla completa integrazione sociale) delle persone in situazione di handicap siano sempre più esplicitazioni di inderogabili principi costituzionali e non di mere disposizioni concessorie di benefici. |
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