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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

FATTORI PREDITTIVI DEL DISAGIO GIOVANILE

di CARLO RICCI

 

Parlando di disagio giovanile rapportato al mondo della scuola, il dato che più di altri è in qualche modo correlato cioè va nella stessa direzione del disagio è quello dell'insuccesso scolastico per cui è ragionevole pensare per quegli studenti che vanno molto bene a scuola i livelli di disagio sono molto meglio gestibili, meglio fronteggiabili. Dov'è che emerge con maggiore chiarezza il disagio e dov'è che il disagio provoca la cosiddetta fuga dallo studio? Vi ricordo che il nostro Paese, almeno in Europa, credo sia tra gli ultimi posti se non all'ultimo posto; il nostro unico concorrente è il Portogallo, oltre il 45% degli studenti nella secondaria (dati del Ministero della Pubblica istruzione) non completa gli studi, abbiamo a che fare quindi con una percentuale elevatissima non confrontabile con i nostri cosiddetti partners europei, lasciamo perdere poi partner come il Giappone e altri che hanno livelli molti alti di risultati scolastici ecc.

Ci occuperemo dell'insuccesso scolastico e cercheremo nel breve tempo a disposizione di porci una domanda fondamentale. Quali possono essere i fattori che nell'ambito della ricerca psicologica e psicopedagogica vengono definititi come predittivi, cioè quei fattori che ci fanno prevedere (in questo caso purtroppo) l'accadimento di un insuccesso scolastico? Per prima cosa vi definirò che cosa intendiamo per insuccesso scolastico dopodiché nomineremo cinque fattori fondamentali (in realtà ce ne sono di più ma per ragioni di tempo vi parlerò di questi cinque) che sono nell'ordine di incidenza:

1) l'effetto cumulativo del deficit (è un termine tecnico ma ve lo descriverò nei dettagli per consentirvi di capire di che cosa esattamente stiamo parlando).

2) Bassi livelli di autoefficacia.

3) Bassi livelli di incentivazione sociale.

4) Deficit cognitivi.

5) Disturbi emotivi emozionali.

 

Di ognuno di questi fattori vi fornirò una definizione e delle esemplificazioni per poi approdare in conclusione ad alcune indicazioni e riflessioni su cosa fare per fronteggiare questi fattori.

Passerei però dagli ultimi che vi ho citato perché di questi ci occuperemo di meno, in un certo senso; infatti sui disturbi emotivi che cosa sappiamo? Sappiamo che se una persona vive una condizione di disagio psicologico provocato da "N" situazioni si trova in una grande difficoltà; proponiamo delle richieste e quindi chiediamo delle prestazioni proprio perché è inevitabilmente catturato dal proprio disagio quindi ovviamente tutti coloro che devono passare gran parte del proprio tempo a gestire il proprio disagio psicologico avranno difficoltà per quanto riguarda il successo o l'insuccesso scolastico. Ma non è di questi casi che ci occuperemo perché fortunatamente sono molto rari, molto difficili ad incontrarsi e la stessa cosa vale a proposito dei cosiddetti deficit cognitivi. E' chiaro che se sono portatore di un ritardo mentale farò fatica lieve, media o grave a fronteggiare le richieste che mi si faranno e di conseguenza avrò dei fattori predittivi dell'insuccesso. Ma anche in questo caso non ci occuperemo dei disabili e degli handicappati anche perché per questi esiste una normativa che prevede un sistema di insegnamento individualizzato che tenga conto di queste difficoltà cognitive.

Ci occuperemo quindi degli altri tre fattori fondamentali perché quelli ci richiamano la scuola come elemento causativo di questi fattori.

Veniamo al primo punto, come possiamo definire l'insuccesso scolastico.

Un tempo si pensava che quando qualcuno insegnava qualcosa e questo qualcosa non andava in porto, le ragioni del fallimento erano attribuibili a colui che stava imparando. Questa concezione già negli anni '30 negli Stati Uniti venne fortemente messa in discussione e si evidenzia con prove sperimentali e ricerche molto accurate che separare questi due momenti, cioè insegnare-apprendere, è un artefatto e quindi quando parliamo di apprendimento non possiamo fare a meno di utilizzare anche il termine insegnamento, le due cose non sono separabili.

Questo che cosa significa? Significa che il termine di insuccesso lo possiamo definire come la discrepanza tra un insieme di richieste e un'insieme di prestazioni. L'insuccesso non è attribuibile alla cattiva prestazione, cioè a chi non riesce a rispondere alle richieste, ma è la risultante di queste due condizioni cioè il tipo di richieste che faccio e naturalmente il tipo di prestazione che osservo come risultato della richiesta.

Questa definizione cosa provoca come logica conseguenza? Intanto che tutti noi siamo potenzialmente a rischio di insuccesso verso qualunque tipo di richiesta ci possa essere rivolta, nel senso che a seconda delle richieste cui andiamo incontro corriamo il rischio di non essere in grado di fornire una prestazione e quindi di avere un insuccesso. Quindi il successo di per sé è un fenomeno naturale, ma perché ci interessa questa definizione nell'ambito del discorso del disagio giovanile rapportato poi al mondo della scuola? Ci interessa perché quando sento parlare di bocciature e sento parlare di difficoltà di apprendimento, se escludiamo situazioni in cui colui che apprende ha dei limiti e degli ostacoli che derivano o dal suo disagio psicologico o dalla presenza di ritardo mentale ecc., allora chiediamoci chi è responsabile del fallimento nel processo di insegnamento- apprendimento. A rigor di logica dovremmo dire che una parte di responsabilità non sta solo in chi apprende ma sta in chi insegna, quindi da questo punto di vista cercheremo di evidenziare questi fattori assumendo questa premessa che vi ho appena citato.

Veniamo al primo fattore: l'effetto cumulativo del deficit.

Se voi state trasferendo delle informazioni, delle abilità e delle capacità ad un'altra persona e quindi siete nel ruolo di coloro che insegnano queste conoscenze e queste abilità presuppongono un concatenamento di conoscenze-abilità, cioè la prima informazione è indispensabile per averne una seconda, la seconda per la terza ecc. Può accadere che uno di questi passaggi indispensabili per quelli successivi non vada in porto e quindi la persona che sta acquisendo queste informazioni queste conoscenze e queste abilità si trova in un momento di difficoltà, cioè gli manca un anello della catena più meno lunga che costituisce il nostro insegnamento.

Qual è il problema che produrrà poi l'insuccesso? E' come se la scuola fosse stata studiata almeno nella sua origine, secondo un principio di crescita crescente della richiesta in modo geometrico, cioè oggi chiedo due, domani chiedo quattro e dopodomani chiedo otto. Se quando ho chiesto due la persona ha preso uno, quando gli chiederò quattro la persona farà più fatica ad apprendere le quattro nuove conoscenze o abilità fino ad un punto in cui non sarà proprio in grado di seguire l'insegnamento causa la mancanza di questi anelli.

Questo che vi sto descrivendo è un fattore conosciuto da molti anni e non originale, ma qual è la riflessione che credo sia opportuna fare a proposito di questo fattore? Mentre in passato si riteneva che le cause della mancanza di questo anello potessero essere attribuite all'allievo, cioè a colui che per qualche ragione non ha afferrato questo anello, oggi sappiamo con certezza che la responsabilità di fornire questi anelli è dell'educatore e dell'insegnante e quindi se qualcosa non è passato, il fallimento è attribuibile all'insegnante piuttosto che all'allievo.

D'altra parte quali sono le conseguenze dell'effetto cumulativo del deficit? Le conseguenze sono che più vado avanti e più mi troverò indietro rispetto alle richieste e quindi come cosa normale almeno dal punto di vista psicologico, la tendenza più naturale di fronte ad un'insuccesso ripetuto è quello di smettere di confrontarsi con qualcosa con il quale non riusciamo. Questo è un meccanismo assolutamente normale e se ci interroghiamo tutti noi lo mettiamo in atto.

Il dato fondamentale è che la scuola non ci consente di superare questi anelli se non attraverso i cosiddetti recuperi, ma quando il recupero è la ripetizione di quell'anello che non siamo riusciti a trasferire è inutile ripetere più volte qualche cosa che non ha prodotto un risultato.

Dovremmo riconcettualizzare il recupero e dare l'opportunità all'allievo di risentire le stesse cose, ma, non avendole comprese la prima volta non si capisce come mai la sola ripetizione poi possa facilitarne la comprensione.

Sull'effetto cumulativo del deficit sappiamo un dato molto significativo che di nuovo riguarda il processo di insegnamento in senso stretto. Da più parti si discute di un dato che deriva dalla ricerca psicologica e pedagogica che sembra in qualche modo andare in collisione con un dato della quotidianità, della realtà scolastica ecc.; mi riferisco alla necessità posta in termini psicologici e pedagogici di un insegnamento cosiddetto individualizzato contrapposto invece ad una presa d'atto della realtà quotidiana in cui non si può fare un insegnamento individualizzato perché abbiamo classi con 25-30 allievi, poche ore a disposizione ecc.

Vorrei proporvi una riflessione che riguarda un dato oggi ormai oggettivo e non più espresso in termine di ipotesi; il dato oggettivo è che non esiste un apprendimento che non sia individualizzato. Il fatto che io stia parlando a voi dicendo esattamente le stesse parole a 40 persone diverse, non significa che tutte e 40 queste persone stiano selezionando le stesse informazioni, al contrario, vi posso dimostrare in qualsiasi momento che ognuno di voi sta selezionando una parte delle parole che sto dicendo, vi sta prestando più attenzione rispetto ad altre parole, le sta mettendo in memoria e se le ricorderà in modo assolutamente individualizzato tanto è vero che per aver un buon resoconto di quello che ho appena detto dovrei sentire tutti voi e non è neanche detto che anche mettendo tutto insieme riesca fuori l'intera mia relazione.

La discussione se sia possibile o meno fare un apprendimento individualizzato è una discussione puramente metafisica perché l'apprendimento è solamente individualizzato, non vi sono altre possibilità di apprendere almeno per noi esseri umani.

Questo significa che dovendo insegnare a più persone dobbiamo pensare che queste persone apprendono in modo diverso, selezionano le informazioni in modo diverso ed ecco allora che si configura la professionalità Docente non come colui che trasferisce informazioni, cioè che si sostituisce ad un testo, che si sostituisce ad una trasmissione televisiva perché i testi sono in via di estinzione purtroppo, ma come noi non siamo preoccupati del fatto che non esistano più testi scritti a mano, probabilmente tra molte generazioni nessuno si allarmerà che invece dei testi ci siano del compact disk che saranno letti a voce da computer ecc..

Qual è la questione fondamentale? E' che se il docente assolve la sua funzione di insegnamento come sostituto di un testo o di altri mezzi di comunicazione, probabilmente sta facendo un altro mestiere, non l'insegnante, e probabilmente questo non è il modo adeguato per consentire a colui che sta apprendendo di crescere dal punto di vista delle conoscenze, ma crescere soprattutto dal punto di vista della capacità di apprendere.

Questo effetto cumulativo si muove addirittura su di un paradosso, cioè si produce un deficit nel senso di insuccesso che poi non ha nessuna rilevanza rispetto alle abilità cognitive personali del singolo allievo che ha insuccesso scolastico.

Qualche tempo fa abbiamo fatto delle ricerche sul successo nel mondo del lavoro e sul successo nell'Università. Contrariamente al senso comune secondo il quale magari i migliori della scuola superiore dovrebbero andare molto bene all'Università, oppure quelli che non ce l'hanno fatta ad andare avanti nella scuola poi dovrebbero avere difficoltà al di fuori.

Questi dati di senso comune sono sconfermati dai dati della ricerca, perché i migliori studenti universitari, e per migliori intendo un dato molto grezzo ma significativo: valutazione finale della laurea espressa in 110 e tempo di permanenza all'Università prima di raggiungere la laurea, (tra parentesi nel nostro paese ancora una volta siamo in fondo con il più alto tasso di studenti universitari che non completa e il più alto tasso di studenti universitari fuori corso) queste ricerche dicono che non c'è correlazione.

Cioè studenti che hanno fatto grande fatica ad uscire dalla scuola secondaria di secondo grado risultano essere i migliori una volta che arrivano alla laurea e studenti che hanno avuto una carriera brillante all'interno della scuola non ce la fanno a superare i primi esami all'Università, questi sono dati concreti ricavati attraverso delle ricerche che di nuovo dovrebbero farci riflettere.

Qual è la riflessione da fare su quanto detto, è che l'insuccesso non è così confortato dal fatto che l'allievo abbia qualche sua carenza per cui non è riuscito causa suoi problemi personali, ma ancora una volta conferma che il successo è una variabile che sta in mezzo alla richiesta, cioè al modo di insegnare e all'apprendimento e quindi modificando la richiesta, soprattutto modificando il modo di insegnare, sicuramente si abbatterebbe in grandissima parte la probabilità di produrre insuccesso.

Questo vuol dire che la causa dell'insuccesso sta nell'insegnamento e non nella persona che apprende. Queste ripeto sono questioni alle quali gran parte della pedagogia contemporanea è ormai giunta con un margine minimo di errore.

Veniamo al secondo fatto, ai bassi livelli di autoefficacia. Un'altra delle attribuzioni che si fa nei confronti dell'insuccesso è quella che ha a che vedere con la bassa motivazione, cioè si dice che un ragazzo per una serie di motivi anche se è intelligente e potrebbe naturalmente perseguire gli obiettivi che le diverse discipline gli propongono, ma per una serie di motivi (ad esempio la famiglia alle spalle ecc.) non trova la motivazione ad impegnarsi in questa direzione e giocoforza va incontro all'insuccesso proprio perché non trova la voglia e il desiderio di farlo.

Se al concetto di motivazione sostituiamo quello di autoefficacia, forse riusciremo ad avere dei dati più interessanti sui quali riflettere perché vi do un'altra informazione sempre sul piano della ricerca degli ultimi anni. Un tempo si riteneva la motivazione come un fattore determinante nell'apprendimento e si diceva che se la motivazione era zero l'apprendimento era zero, stiamo negli anni 40-50.

Oggi sappiamo che anche quando la motivazione è uguale zero può ancora esserci apprendimento e vi cito un esempio banalissimo. Io non ho nessuna intenzione per esempio le poche volte che ho tempo per vedere la televisione, di seguire le pubblicità, anzi appena posso cambio canale perché non ho nessun interesse e non credo di essere l'unico ad avere questa repulsione per i messaggi pubblicitari; ebbene, se voi mi interrogate sui prodotti che si usano per lavare indumenti (non sono un casalingo e non li uso), ma so benissimo cos'è Dash, Lip, ecc., e vi assicuro che non ho nessuna motivazione a saperlo, eppure ho tutte queste informazioni le ho in memoria e non so nemmeno quanto riesco a controllarle le poche volte che vado a fare la spesa perché se c'è una merce nuova che magari potrebbe essere migliore ma che io non riconosco, non mi fido. Pur sapendo quindi che sono stato condizionato, perché in realtà è questo il processo al quale veniamo indotti, è molto difficile anche farne a meno.

Non è la motivazione allora il perno fondamentale e allora qual è? E' il concetto di autoefficacia che richiederebbe un po' di tempo (che non ho) per spiegarvelo in tutti i suoi dettagli e quindi vi fornirò solo i dati essenziali.

L'autoefficacia si riferisce al concetto di stima di sé e questo vuol dire che ognuno di noi nel corso del suo sviluppo psicologico ha imparato ad autodescriversi, da molto piccoli per esempio abbiamo imparato ad avere due mani, due occhi, un naso ecc., abbiamo imparato a descrivere le nostre caratteristiche per esempio di persone sociali in quanto tutti noi abbiamo una nostra autodescrizione di come siamo in rapporto agli altri, non è detto che queste siano fedeli e giuste ma le abbiamo sicuramente.

Ebbene queste descrizioni delle proprie caratteristiche costituiscono i nostri diversi sé ma c'è un sistema cognitivo molto importante che tutti noi abbiamo sviluppato che ha a che vedere con il sistema di valutazione di queste caratteristiche. Un conto è sapere come sono fatto e un conto è dirmi sono fatto bene o male? Quando mi pongo questa domanda non sto più descrivendo qualcosa ma la sto valutando, la sto giudicando. Il sistema di autostima funziona come valutazione delle proprie caratteristiche.

Che ruolo gioca questo sistema? Gioca un ruolo fondamentale nel farci fare delle previsioni, più è alto il mio livello di autostima e più prevedo di saper fare una cosa, ma attenzione la previsione non vuol dire che la farò... vuol dire che penso di riuscire a fare. Un basso livello di autostima provoca esattamente il contrario cioè una previsione di insuccesso.

Allora se voi siete in classe ed avete il migliore della classe, state per fare una domanda e vedrete che lui alza la mano... attenzione, lui prevede di poter rispondere, fate la domanda.. lui sbaglia... non importa... voi se lui è il primo della classe siete disposti a sorvolare perché può capitare, non è drammatico, ma anche lui sorvola in un certo senso perché la sua probabilità di confermare il successo è più alta di quella del'insuccesso e quindi bene o male confermerà la sua autostima a meno che non commetta ripetuti errori sistematici per lungo tempo ed allora potrebbe intaccarsi la sua autostima.

Adesso prendiamo un esempio in cui non succede nulla sul piano dell'autostima e non succede nulla nemmeno sulla valutazione esterna; provate a pensare che la stessa domanda però dovete fissare non dico negli occhi perché in genere il peggiore della classe li abbassa gli occhi quando sente che state per fare delle domande, ma in qualche modo non può sottrarsi... questa volta... attenzione! alla domanda di prima dove il migliore non ha risposto lui risponde.

Perché però stava guardando da un'altra parte, stava cercando di distrarsi o cercando di non farsi notare quando voi eravate pronti a fare la domanda? Perché il suo livello di autostima era basso e quindi la previsione di successo e di efficacia era bassa e giustamente rispetto a questa previsione l'idea più comune da portare avanti era quella di sottrarsi alla domanda. In questo caso purtroppo, nell'altro andava bene, anche il successo di quella singola domanda oltre a sorprendere l'insegnante non funge da elemento di ristrutturazione dell'autostima a meno che anche in quel caso non sia sistematico, non accada sempre ecc.

Tutto questo porta ad un dato di evidenza che è il seguente: vero è che se ognuno di noi facesse in qualche modo una riflessione sulla propria esperienza personale, se voi provate a chiedervi se ci sono delle attività che da adulti, quando avete potuto scegliere non fate come attività e continuate a non farle semplicemente perché vi ritenete in grado di non farle, cioè avete un basso livello di autostima, la risposta è sicuramente sì.

Attenzione non è detto che voi non siate in grado di fare quelle cose, non è detto nemmeno che voi non abbiate le attitudini perché ci potrebbero essere delle sorprese.... quanta gente dice che non è portata per il computer pur avendo capito che il computer è il domani... ma non ha le attitudini, naturalmente è improbabile che siano state fatte delle corrette misurazioni sulle attitudini e addirittura è possibile (abbiamo dati della ricerca) che abbiate invece delle ottime attitudini, ma il desiderio di non confrontarsi causa il basso livello di autostima.

Qual è la politica psicologica che facciamo ? Quella dell'evitamento ed è assolutamente normale, non c'è niente di preoccupante dal punto di vista psicologico, lo sarebbe il contrario, se voi tentate di fare tutte le cose per le quali avete basso livello di autostima sarei preoccupato come psicologo. E' quindi assolutamente normale sottrarsi ad una situazione in cui noi prevediamo l'insuccesso.

Quando abbiamo a che fare con allievi che prevedono di non essere in grado di seguire il loro insegnante, è assolutamente normale aspettarci che ci sia questo effetto evitamento che si concretizza con una fuga dalla scuola nel senso di non proseguimento della scuola quando si può, perché nella scuola dell'obbligo le cose si complicano; nella scuola dell'obbligo è come se io vi costringessi a fare quell'attività di cui voi ritenete un basso livello di autostima e creerei un disagio psicologico inevitabile una volta che vi pongo in una situazione di costrizione.

Via via che diminuisce la costrizione come forza naturalmente subentra poi la decisione, più o meno motivata più o meno con argomentazioni razionali, la decisione di sottrarsi a questa continua esposizione all'insuccesso come elemento determinante.

Qual'è la causa di un abbassamento di autostima? Qui non possiamo dire che la causa sta dentro la persona che ha abbassato l'autostima, la causa sta nel fatto che fra i compiti prioritari della professionalità Docente c'è quello di motivare l'allievo.

La motivazione non è fattore geneticamente predeterminato che esiste in natura, cioè uno nasce con la motivazione a studiare e l'altro nasce con la motivazione a lavorare nei campi, assolutamente no. La motivazione è un compito per l'insegnante, la motivazione si costruisce ed abbiamo dati assolutamente certi della ricerca che con i giusti accorgimenti, con le giuste strategie si è in grado di motivare quasi qualunque persona ad impegnarsi in un percorso di apprendimento perché qui c'è un dato genetico che sembra un paradosso.

Vi è un gruppo di studio internazionale che sta studiando ciò che accade nello sviluppo del bambino limitato al primo mese di vita e incominciamo ad avere dei dati sorprendenti sulle capacità cognitive del bambini nel primo anno di vita.

Se osservate i bambini, ed in quel caso c'è sicuramente una spinta biologica che non può essere solo determinata da ciò che fanno gli adulti, vedrete che c'è una spinta al sapere, al conoscere che è fondamentale e questo fa pensare che noi in qualche modo freniamo questa spinta, come se noi fossimo predisposti per avere il piacere di conoscere e di sapere. Evidentemente poi qualcosa nella nostra esperienza va a frenare questa pulsione che come vi dicevo è un perno di tipo biologico. Questo vuol dire che se abbiamo allievi non motivati o che hanno prodotto questo basso livello di autostima dobbiamo di nuovo chiederci di chi è la responsabilità.

Qualcuno potrebbe dire che esistono materie ostiche e difficili, ma chi lo dice se una materia è ostica o meno? Se vi chiedo che concetto avete di facile o difficile, è una delle domande (scusate il gioco di parole) più difficile che posso farvi, ed allora dovete individualizzare il concetto di facilità e difficoltà. Io definisco facile quello che apprendo più rapidamente e quindi non esistono materie ostiche, materie facili o difficili ecc., dobbiamo fare in modo che l'allievo entri in una prospettiva dove scopra dei motivi validi per lui per apprendere quello che gli stiamo insegnando.

Questa cosa che sembra assolutamente ovvia è una delle cose più distanti purtroppo dalla prassi della scuola a partire dalla scuola materna e elementare.

Io ho imparato a leggere come credo tutti voi, ma nessuno quando mi ha insegnato a leggere mi ha dato qualche motivo valido per imparare, mi ha solo detto che era una cosa buona e giusta. In qualche modo per fortuna io ci sono riuscito ma perché non mi hanno spiegato quando avevo 6-7 anni (adesso l'ho capito) a cosa mi serve leggere, è utile leggere, ma per che cosa? Che vantaggi mi dà il leggere?

Se incominciamo a pensare in questi termini che sono riduttivi (ma li possiamo anche estendere) allora potremmo scoprire che quasi ogni allievo può avere degli ottimi motivi per apprendere quello che gli stiamo insegnando ma ecco che dobbiamo di nuovo rimetterci in discussione e pensare alla motivazione come ad un nostro problema di insegnamento e non come un qualcosa che viene attribuito all'allievo che sta apprendendo. Anche in questo caso il compito di saper motivare è nostro e non della persona che in quel momento sta apprendendo.

Arriviamo al terzo fattore e qui stiamo in una terra di confine tra le responsabilità della scuola e le responsabilità della comunità educante cioè della società intesa in tutti i suoi aspetti; mi riferisco ai bassi livelli di incentivazione sociale.

Che cosa significa? Significa che il nostro sistema sociale a torto o a ragione (non è questo il contesto per fare delle valutazioni sociologiche) non da il giusto peso all'istruzione, alla educazione, fornendo un basso livello di incentivi.

Vi fornisco per esempio un dato culturale molto importante; nel nostro paese, nella nostra cultura essere insegnante di scuola elementare non dà un elemento di prestigio sociale, anzi si considera una professione non proprio ideale, ma se ci pensate anche un Ingegnere che fa l'insegnante nella Scuola superiore per la comunità degli Ingegneri non è una persona da prendere come punto di riferimento e questi sono stereotipi culturali, aspetti in parte criticabili o condivisibili, però nel nostro sistema culturale questi dati fanno ritenere che lo studioso colui che decide di avere come riferimento lo studio, poi va incontro a livelli di incentivazione verso il basso fino ad arrivare all'Università. Come sapete all'Università in Italia abbiamo il più alto tasso di fuga dei cosiddetti cervelli nel senso che buona parte di ricercatori italiani fanno fatica ad entrare nel nostro sistema universitario, noi siamo tra gli ultimi ad investire soldi nella ricerca per cui le persone intelligenti e capaci si presentano nei Dipartimenti, per esempio negli Stati Uniti con un progetto, se è OK hanno il finanziamento e lavorano.

Noi disincentiviamo coloro che prendono come riferimento lo studio e quindi la scuola in qualche modo non è premiata dalla società.

Vi cito un esempio culturale, se voi andate in Giappone (io ho avuto modo di andarci più volte) e parlate con loro per esempio delle scuole elementari, per loro il significato della parola Maestro è degno di massimo rispetto, e fare il maestro di scuola elementare è più rilevante di fare il Primario in un Ospedale pubblico, gli si attribuisce più importanza; ma non è un fatto solo di costume, è un fatto culturale per cui chi sceglie di fare il Maestro sceglie di fare qualcosa di molto impegnativo ma che gli viene riconosciuto dalla comunità. Anche dal punto di vista retributivo naturalmente gli insegnanti vengono pagati meglio dei nostri.

Il mio non era un confronto fra culture. Se andiamo oltre il dato quantitativo e ripetiamo sul dato qualitativo poi le cose non cambiano, ma il confronto che proponevo era solo per farci riflettere sul dato culturale. I mali della scuola giapponese sono probabilmente peggiori dei nostri, ma anzi, quando gli stranieri vengono a conoscenza del nostro sistema scolastico-culturale l'opinione generale è che noi abbiamo uno dei migliori sistemi scolastici-culturali.

Da questo punto di vista non è che siamo oggetto di critica o di inefficienza, la differenza fondamentale è che noi abbiamo delle ottime idee, degli ottimi proponimenti, degli ottimi scopi solo che non ci preoccupiamo (cosa che invece fanno da altre parti) di chi poi fa questo lavoro. La differenza fondamentale è tipica del nostro paese, se voi prendete in considerazione la Sanità, noi siamo uno dei pochissimi Paesi che ha garantito la sanità a tutti, se voi girate per il mondo non c'è la possibilità di avere un servizio sanitario solo che se uno va negli Stati Uniti o in Inghilterra è vero che deve avere i soldi ma il livello medio del medico è buono, il nostro livello medio è scadente, è pericoloso farsi curare da noi in certe strutture.

La differenza sta di nuovo nelle persone che devono realizzare queste idee che sono buone, ma non abbiamo poi la sufficiente attenzione per preparare le persone a confermare le buone idee.

Il nostro difetto principale è quello di ignorare l'aspetto pragmatico, gli altri forse eccedono, forse perché sono più razionali perché si rendono conto della difficoltà di ottenere dei risultati.

Pensate all'integrazione dell'handicappato, negli Stati Uniti solo adesso si incomincia a parlare di integrazione, da loro esistono le scuole speciali per cui guardano alla nostra esperienza con grande interesse; solo che lì si fa molta più fatica perché intanto si studia... ma prima di fare l'integrazione si preoccupano sul come formare gli insegnanti, cosa devono sapere fare ecc., e quindi ci vogliono anni. Da noi invece si dice... da domani gli insegnanti di educazione fisica siccome vengono tolte delle classi si mandano a fare il sostegno, e anche gli insegnanti di Tecnica li mandiamo a fare il sostegno, poi ovviamente l'allievo che capita con l'insegnante (bravissima persona) che fino a quel momento ha fatto l'insegnante di Tecnica non può avere dei risultati se non raramente o occasionalmente significativi.

La nostra caratteristica è proprio quella di avere due metri e due misure, da una parte andiamo verso una situazione ottimale e dall'altra non abbiamo le risorse per andare in quella direzione.

Ma torniamo al terzo livello, cioè ai bassi livelli di incentivazione sociale, questo è un problema che non riguarda direttamente la scuola ma è un problema che a scuola compare, perché per esempio nella scuola superiore professionale quando la correlazione fra posti di lavoro e professione che viene insegnata si va estinguendo, cioè non ci sono le reali opportunità perché le persone vadano a fare il lavoro per il quale vengono preparate è chiaro che questo abbassa l'incentivazione verso lo studio e da questo punto di vista vi è un elemento che ci deve far riflettere e come cittadini dovrebbe porci nella direzione di andare verso una modificazione di questa direzione.

Alcune indicazioni sul cosa fare cercando in questa prospettiva di introdurre qualche pensiero positivo in contrapposizione ai tanti negativi che inevitabilmente ci sono venuti in mente.

Intanto il cosa fare passa attraverso una strada maestra che è quella di pensare all'insegnamento- apprendimento attraverso uno spostamento di prospettiva. Finché la scuola era l'unico posto in cui era possibile avere delle conoscenze andava anche bene un insegnante che avesse lui le conoscenze e che fosse in grado di trasferirle, ma dobbiamo tornare molto indietro nel tempo per avere una scuola efficace in questo senso.

Negli anni `90 per non dire nel Duemila la scuola non è più in grado di essere né l'unico né il privilegiato centro in cui si ricevono le informazioni e le conoscenze, deve abbandonare questa finalità perché non è più sua propria; ed allora cosa deve fare la scuola? La scuola dovrebbe essere in grado di favorire nell'allievo lo sviluppo di capacità competente che lo mettano in grado di apprendere, la scuola dovrebbe essere orientata a mettere in grado la persona di apprendere e non più preoccupata di dire che cosa deve apprendere; questa è l'idea e significa poi nel concreto il verificarsi di alcune condizioni fondamentali.

Sentendo i dati si diceva che molti allievi si lamentano che non riescono a comprendere una lezione oppure che non ricevono un metodo di studio. Chiediamoci il perché di questo, perché nel nostro sistema di formazione dell'insegnante nessuno insegna all'insegnante come si possa studiare, quali sono i metodi efficaci che si conoscono per studiare.

Nessuno insegna all'insegnante per esempio quali sono le componenti costitutive della comprensione, che cosa significa comprendere, che differenza c'è tra una comprensione letterale e una comprensione inferenziale... queste cose non vengono chieste ad un'insegnante prima di andare ad insegnare ma soprattutto non vengono insegnate.

Credo che chiunque di noi non possa insegnare una cosa che non sa, per cui farei un'indagine per vedere quanti insegnanti sanno studiare e qui probabilmente i dati potrebbero risultare preoccupanti. Se io non so insegnare posso insegnare ad un altro a studiare? Mi pare che qui ci sia un elemento di paradosso da prendere in considerazione. La gestione delle assemblee, quanti insegnanti sono in grado di gestire un gruppo facilitandone la comunicazione, dovrebbero farlo perché fa parte del loro mestiere, ma qualcuno gliel'ha insegnato? Che ci sono delle strategie, che ci sono delle cose da dover saper fare? Probabilmente la risposta è no.

La prima indicazione allora è che il cosiddetto aggiornamento di cui si parla molto e si fa, obiettivamente dovrebbe stoppare l'aggiornamento sul piano disciplinare, perché ormai ripeto sulla disciplina abbiamo poco da saperne di più, almeno ai livelli in cui si insegna anche nella Scuola superiore, non è che dobbiamo avere le ultime notizie sulla geometria frattale visto che continuiamo ad insegnare quella euclidea, quindi gli aggiornamenti poi da questo punto di vista, a meno di interessi specifici, riserviamoli ad altri contesti cui noi poi dobbiamo trasferire certe conoscenze.

Se stoppiamo l'approfondimento disciplinare cosa facciamo? Facciamo l'aggiornamento proprio su questi temi: come insegnare a studiare, a prestare attenzione, insegnare a ricordare meglio le informazioni. Dai tempi dell'antica Roma esistono le cosiddette mnemotecniche che sono un insieme di accorgimenti che consentono ad ognuno di noi di guadagnare tempo per ricordarsi delle informazioni, perché non ce le hanno insegnate? Perché fanno male o creano disagi? No, danno solo dei vantaggi per poi ricordare.

La lettura veloce, a me hanno insegnato a leggere con il sistema fonologico e credo anche a voi, insistendo per mesi a farmi pronunciare le parole che io leggevo, ma mi hanno anche detto di leggere a voce alta così avrei ricordato meglio. Per leggere a voce alta con il sistema fonologico, rispetto al comprendere (che è lo scopo del saper leggere) è stato commesso l'errore di aver insistito su un'unico sistema per leggere e con il sistema meno efficace perché è quello che fa perdere più tempo nel leggere.

Se il leggere significa comprendere e non c'è studioso né insegnante che mi possa contestare questa affermazione, allora perché non insegniamo a leggere più velocemente per mantenere la comprensione? Perché come insegnanti non lo sappiamo fare noi, ancora oggi leggiamo lentamente perché così facendo crediamo che più lentamente leggiamo meglio comprendiamo... è assolutamente falso, non confermato da nessun dato sperimentale.

Imparare a gestire una comunicazione sociale, anche questo dovrebbe essere un motivo di aggiornamento. Che cosa sappiamo sulla comunicazione, la competenza sociale lo star bene con gli altri, che è contrapposta al disagio. Ma come si fa a stare bene con gli altri? Ci sono delle attività da suggerire agli allievi per provare a sperimentare dei modi per stare bene insieme? Esistono anche nel nostro paese dei veri e propri programmi che consentono a gruppi di allievi, con l'insegnante che sappia naturalmente ciò che fa, di fare esercizi in modo tale che si sviluppi la competenza sociale, cioè la capacità di entrare in relazione con gli altri cercando di stare bene tutti che è uno scopo che nessuno può negare che sia cosa buona e giusta. Ci sono programmi sulla problem-solving? Pensate che in Venezuela esiste il Dipartimento dell'intelligenza dove dalle scuole materne alle Superiori c'è l'insegnamento di problem-solving, anche qui cito un paese straniero non per dire che lì va tutto meglio ma per dire che se noi prendiamo il meglio degli altri non faremmo male come prospettiva. Il problem-solving è un modo di pensare, serve a molte cose, ad impostare dei ragionamenti a partire da qualsiasi situazione problematica ed anche in questo caso perché non ci preoccupiamo di apprendere come insegnanti queste metodiche, non si tratta di contenuti o discipline. In questo senso se cresce la consapevolezza si abbrevia la acquisizione delle cosiddette conoscenze.

Questo vuol dire che se io sono in ritardo rispetto alla richiesta e se qualcuno mi insegna un metodo per leggere 600 pagine al giorno, se finalmente decido di leggerle è chiaro che potrò accelerare il recupero delle informazioni e quindi potrò perseguire l'obiettivo. Da questo punto di vista insegnare queste abilità è una garanzia rispetto anche al futuro perché quante delle cose che avete imparato nella scuola secondaria di secondo grado le avete messe lì e non siete in grado di ricordarle? Molte.

Che cosa invece è utile che la scuola ci fornisca? Il metodo di studio, la capacità di stare in relazione con gli altri, la capacità di prestare attenzione nel senso di sapere come selezionare l'informazione; la capacità di trattenere in memoria l'informazione perché se queste rimangono e se riusciamo a trasferirle e potenziarle qualunque cosa farà la persona, se farà un lavoro dove gli verranno richieste queste competenze gli servirà... continuerà gli studi, è quello il fattore predittivo.

Gli studenti universitari che vanno bene lo fanno a loro spese, con fatica potevano farlo in corsi brevi invece hanno impiegato anni, hanno scoperto un metodo di studio utile a loro e funziona. Gli studenti hanno scoperto come bisogna prestare attenzione leggendo i libri che i Docenti universitari propongono, ma perché far sì che questo sia la scoperta e non invece il risultato di processi di insegnamento apprendimento?

Quindi il primo punto è quello di pensare ad un aggiornamento che sia orientato in questo senso piuttosto che sul piano disciplinare.

Il secondo punto ha a che vedere con l'autoefficacia, cioè la vecchia concezione di motivazione. Provate ancora una volta a fare una riflessione personale, provate a chiedervi se nella vostra esperienza di studenti avete il ricordo di un buon insegnante (ognuno di voi potrà averlo o purtroppo non averlo), io ho avuto un insegnante della Scuola superiore che definisco un buon insegnante e se penso perché lo chiamo un buon insegnante mi rendo conto che tra lui e gli altri insegnanti c'erano delle differenze.

Una differenza è che il suo insegnamento era originale, lui ha fatto con il gruppo classe qualcosa di diverso da cosa facevano normalmente gli altri insegnanti. Questo significa che questo insegnante è riuscito nell'intero gruppo classe a favorire la motivazione, c'è riuscito proponendo delle attività diverse dal consueto e vi cito un'esperienza pratica per farvi capire. Nello studiare la storia intanto ci disse di mettere da parte il libro e non dovevamo studiare nel libro e questo nel Liceo scientifico era un fatto assolutamente originale. Prendendo un certo periodo storico a gruppi di tre di noi diede un incarico, nei diversi stati uno era il re uno era il ministro dell'Economia e un'altra figura di Ministro e dovevamo sulla base di alcuni dati che lui ci aveva fornito arrivare a concordare una strategia per poi discuterne con gli altri gruppi (ogni gruppo rappresentava uno Stato) per cui abbiamo lavorato per alcuni mesi per arrivare al Congresso di Vienna e lo abbiamo replicato.

Qual è il dato significativo? Tutti noi eravamo motivati a questo, non avevamo letto niente sul Congresso di Vienna, avevamo dei dati che lui ci aveva dato per lavorare ed eravamo stati catturati da questa idea. Non voglio presentare un possibile modello, ma il dato interessante è che è possibile facilitare la motivazione quanto più siamo in grado di rendere in parte originale e coinvolgente ciò che stiamo insegnando.


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