Relazione del presidente della
Corte costituzionale, Cesare Ruperto
(11 febbraio 2002)
Federalismo
INDICE
1.- Premessa
2.- Osservazioni generali
1. - I GIUDIZI DI LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE
1.1.- I limiti della competenza e dei poteri della Corte nei
giudizi di legittimità costituzionale in via incidentale
1.2.- La natura e la funzione dei giudizi dinanzi alla Corte
1.3.- I presupposti della questione incidentale di
legittimità costituzionale: il "giudizio" e la
legittimazione del giudice
1.4.- L’incidentalità del giudizio di legittimità
costituzionale e la rilevanza delle questioni
1.5.- La riproposizione della questione incidentale e il
divieto del bis in idem
1.6.- Le norme oggetto del giudizio
1.7.- Gli atti introduttivi dei giudizi: requisiti formali e
sostanziali
1.8.- La costituzione e l'intervento in giudizio
1.9.- Il rispetto dei termini
2. - MERITO DELLE DECISIONI
2.1. - Il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.)
2.2. - Il principio unitario (art. 5 Cost.)
2.3. - Il principio di adattamento al diritto internazionale
(art. 10 Cost.)
2.4. - I diritti inviolabili e le libertà
2.4.1. - La libertà personale (art. 13 Cost.)
2.4.2. - Il diritto al nome (artt. 2 e 22 Cost.)
2.4.3. - La libertà associativa (art. 18 Cost.)
2.5. - La tutela giurisdizionale e il diritto di difesa (art.
24 Cost.)
2.6. - Il trattamento penale e la responsabilità penale (artt.
25 e 27 Cost.)
2.7. - La tutela della maternità e del minore (artt. 31 e 37
Cost.)
2.8. - La tutela della salute e dell’ambiente (art. 32 Cost.)
2.9. - L’ordinamento universitario - Le funzioni didattiche
e di ricerca (art. 33 Cost.)
2.10.- L'obbligo scolastico ed i diritti dei portatori di
handicap (art. 34 Cost.)
2.11.- La tutela del lavoro (artt. 35 e 37 Cost.) e la
previdenza (art. 38 Cost.)
2.12.- La libertà di organizzazione dell’impresa e il
diritto di proprietà (artt. 41 e 42 Cost.)
2.13.- La capacità contributiva (art. 53 Cost.)
3. - LE FONTI
3.1.- La delega legislativa e i decreti delegati (art. 76 Cost.)
4. - ORDINAMENTO DELLA REPUBBLICA
4.1. - Princìpi in tema di elezioni
4.2. - Il Parlamento - L'immunità per i voti e le opinioni
(art. 68 Cost.)
4.3. - I princìpi sul pubblico impiego (art. 97 Cost.)
4.4. - Gli organi ausiliari: la funzione di controllo della
Corte dei conti (art. 100 Cost.)
4.5. - Il rapporto tra competenze statali e competenze
regionali (o provinciali)
4.6. - I limiti alla potestà legislativa regionale
4.7. - L'ordinamento degli enti locali
4.8. - Il principio collaborativo tra Stato e regioni
4.9. - La libera circolazione fra le Regioni (art. 120 Cost.)
4.10.- La "irresponsabilità" per le opinioni e i
voti dei consiglieri regionali (art. 122 Cost.)
5. - I PRINCÌPI SULLA GIURISDIZIONE E SUL PROCESSO
5.1.- L'interesse alla speditezza del procedimento giudiziario
5.2.- La terzietà e l'imparzialità della giurisdizione
5.3.- I diritti dell'imputato
Appendice: Prospetti statistici
1. - Premessa
Come di consueto, la Corte offre ai mezzi di
informazione e, attraverso di essi, alla pubblica opinione
elementi di valutazione dell’attività giurisprudenziale
svolta nell’anno precedente, astenendosi, per quanto possibile
da valutazioni sul proprio operato; per quanto possibile data la
inevitabilità del giudizio implicito nella selezione. Un anno
di giurisprudenza influenzato anche da eventi esterni alla
Corte, dai quali questa è stata anzi condizionata nella sua
funzionalità e vitalità.
Nell’anno trascorso, l’attività della
Corte è stata macroscopicamente segnata, fino a risultarne
condizionata, da due diverse circostanze ad essa tuttavia
esterne: la prima riguarda la perdurante mancata nomina, da
parte del Parlamento, di due giudici costituzionali; la seconda
è l’entrata in vigore della legge costituzionale n. 3 del
2001, che ha profondamente modificato il titolo V della parte
seconda della Costituzione. E’ intuitivo che la prima
circostanza abbia potuto produrre qualche negativa incidenza sui
lavori, almeno sotto il profilo quantitativo della produttività
e perfino del regolare funzionamento del collegio, finora
tuttavia garantiti dalla responsabilità e anche dal sacrificio
dei suoi singoli membri. Ma è evidente che essa produca
soprattutto, per se stessa, un’alterazione dell’equilibrio
interno della compagine così come configurata dalla
Costituzione, tanto più rilevante in quanto relativa alla
medesima componente, e per di più a quella di provenienza dall’istituzione
tipicamente rappresentativa. Non posso non osservare, nella
responsabilità delle mie funzioni, che il protrarsi di questa
situazione sin dal novembre del 2000, andando ben al di là
della violazione del principio di "leale
collaborazione", stia ormai configurandosi come
inadempimento di un preciso obbligo costituzionale, della cui
gravità confido che le Camere vorranno, nell’interesse della
collettività, utilmente rendersi consapevoli, provvedendo con
sollecitudine a sanarlo. L’altro evento significativo - di cui
si potranno però valutare i riflessi sull’attività della
Corte soltanto nei mesi che verranno - è la recente riforma del
titolo V della Costituzione, intervenuta - come noto - con la
legge costituzionale n. 3 dell’ottobre 2001. Una
"riforma" costituzionale, dunque, che non potrà non
impegnare la Corte nei giudizi sulle questioni di legittimità
costituzionale che potrebbero essere sollevate in riferimento
alle nuove norme del titolo V.
2. - Osservazioni generali
Si forniscono di seguito alcuni dati numerici
sull’attività compiuta nel decorso anno, pur nella
consapevolezza, che, ben al di là degli indici quantitativi
sarebbe interessante verificare anche l’efficacia sostanziale
delle pronunce, valutando i riflessi nel tempo sul piano delle
attività conseguenti, non soltanto del legislatore - come è
chiaro - ma anche dei giudici e delle amministrazioni. Nel corso
del 2001 la Corte ha tenuto 41 adunanze, distribuite in 20
udienze pubbliche e in 21 camere di consiglio. Ha emesso, nel
complesso, 447 pronunce (126 sentenze e 321 ordinanze),
definendo, in totale, 866 giudizi. Comparando i dati assoluti
con quelli dell’anno precedente, si può rapidamente
osservare, riguardo alle sopravvenienze, un incremento del
numero dei giudizi instaurati (1088, vale a dire circa un
centinaio in più rispetto all’anno precedente), con la
consueta prevalenza dei procedimenti incidentali. E,
disaggregando l’insieme, si può registrare un aumento sia dei
giudizi incidentali, sia di quelli in via principale e, invece,
una netta diminuzione dei giudizi per conflitti. Al 31 dicembre
2001 risultavano pendenti 1015 giudizi, un gran numero dei quali
peraltro già assegnato, sin quasi al totale esaurimento di
quelli iscritti prima del 2001: ne risultano da assegnare
soltanto 146, di cui 106 incidentali, 27 principali e 13 di
conflitti fra poteri. La sopravvenienza annuale dei giudizi
promossi in via incidentale è stata trattata, anche attraverso
provvedimenti ordinatori, e in buona parte decisa; per i giudizi
in via principale e i conflitti intersoggettivi iscritti a ruolo
al momento dell’entrata in vigore della menzionata legge
costituzionale n. 3 del 2001 è stato disposto il rinvio, allo
scopo di chiarire le situazioni intertemporali. Relativamente ai
promotori dei giudizi, le pronunce segnalano le seguenti
prevalenze: per i giudizi incidentali, quella dei giudici
ordinari (circa il 64%); per i giudizi in via principale, quella
del Presidente del consiglio dei ministri (il 20%) e del
Commissario dello Stato per la regione Siciliana (il 13%),
nonché della Regione Lombardia (il 20%) e della Provincia
autonoma di Trento (il 16%); per i giudizi per conflitto di
attribuzione tra poteri dello Stato, è prevalente l’iniziativa
dell’autorità giudiziaria (circa l’85%); per i giudizi per
conflitti intersoggettivi, il Presidente del consiglio dei
ministri (il 21%) , la Provincia autonoma di Trento (il 29%) e
la Regione Siciliana (il 14%). Passando alle decisioni, si può
rilevare che in termini percentuali esse hanno riguardato: per
il 78% i giudizi in via incidentale; per l’8% i giudizi in via
principale; ancora per l’8% i giudizi per conflitti di
attribuzione tra poteri dello Stato; per il 6% i giudizi per
conflitti intersoggettivi. Relativamente agli esiti delle
pronunce, si registrano, in base ai dispositivi, i seguenti,
approssimati, dati percentuali:
a) quanto ai giudizi di legittimità,
incidentali e principali, il 30% di inammissibilità o manifesta
inammissibilità della questione; il 34% di manifesta
infondatezza; il 13% di infondatezza; il 12% di restituzione
degli atti; il 2% di dichiarazione della cessazione della
materia del contendere; appena il 9%, dunque, di illegittimità
costituzionale;
b) quanto ai giudizi per conflitto di
attribuzione tra poteri, complessivamente, il 46% di
improcedibilità del giudizio; il 30% di inammissibilità; il
24% di accoglimento con annullamento; c) quanto ai giudizi per
conflitti intersoggettivi, il 38% di accoglimento dei ricorsi,
con relativo annullamento; il 22% di rigetto dei ricorsi; il 15%
di provvedimenti interlocutori; l’11% di estinzione del
processo; il 7 % di cessazione della materia del contendere; il
7% di inammissibilità. Nel quadro di un generale incremento
della domanda di giustizia costituzionale, non potrà non
emergere con immediatezza, riguardo al descritto andamento, il
dato relativo al numero straordinariamente preponderante delle
decisioni, lato sensu, di rigetto rispetto a quello delle
pronunce di accoglimento. A conferma, se occorresse, della
pressante domanda di coinvolgimento della Corte in direzioni od
occasioni tuttavia improprie. Se si può rilevare, come già per
il 2000, una diminuzione delle pronunce di accoglimento, in
misura più accentuata nei giudizi proposti in via incidentale
rispetto a quelli proposti in via diretta, va poi segnalato che
le declaratorie di illegittimità costituzionale hanno colpito
per il 70% leggi statali e per il 30% leggi regionali o
provinciali, con una netta prevalenza di leggi posteriori a
Costituzione (per l’87%) e, più particolarmente, di leggi
entrate in vigore negli ultimi anni. Tra le pronunce di
accoglimento, si può osservare che per il 93% esse prevedono
una illegittimità parziale (determinando delle
"addizioni" o "sostituzioni" normative), per
il 5% una illegittimità consequenziale (in base ai poteri
previsti dall’art. 27 della legge n. 87 del 1953) e solo per
il 2% una illegittimità integrale, in riferimento cioè ad un
intero testo legislativo (precisamente, una legge regionale
impugnata in via principale). Va anche segnalata, tra le
pronunce di accoglimento, l’espressa dichiarazione di
estensione dell’efficacia nei confronti di entrambe le
province autonome di Trento e di Bolzano, ancorché una di esse
non fosse parte nel giudizio, attesa l’identità della
normativa esaminata e la piena equiparazione delle due province
in ordine alla disciplina in questione. Quanto poi alla
tipologia delle formule terminative del giudizio va ricordato
che i dispositivi di illegittimità costituzionale si
caratterizzano, nella maggior parte dei casi, come decisioni di
illegittimità in parte qua o di illegittimità parziale
(decisioni che - come noto - colpiscono disposizioni di legge
nella loro formulazione testuale); oppure nella parte in cui
esse prevedono… (o dispongono…; autorizzano…;
escludono…) o nella parte in cui non prevedono… (o
non riconoscono…) alcunchè, determinando in questi casi un’"addizione
normativa" rispetto a quanto non era previsto; oppure nella
parte in cui prevedono (una certa cosa) anziché
(un’altra), determinando la "sostituzione" di ciò
che era pur previsto. Le pronunce di illegittimità
costituzionale (cui la Corte perviene in via consequenziale
facendo uso dei poteri previsti dall’art. 27 della legge n. 87
del 1953, cioè estendendo l’àmbito oggettivo della
dichiarazione di incostituzionalità ad "altre norme",
non direttamente oggetto di censura da parte dei promotori dei
giudizi) risultano emesse in due ipotesi: a) si rilevi l’impossibilità
di autonoma applicazione della norma in conseguenza della
caducazione di quella oggetto principale della questione;
b) in ragione del carattere cronologicamente
successivo della norma, il cui contenuto sia derivato (trasfuso)
da quello della disposizione (originaria) dichiarata
incostituzionale.
Considerando nel complesso le motivazioni,
possono ricavarsi alcuni dati sinteticamente orientativi.
Ad esempio, si può notare che non sempre la
dichiarazione di illegittimità è, come suol dirsi,
autoapplicativa: talvolta essa postula un intervento ulteriore
(del legislatore, innanzitutto), specialmente quando occorra
precisare tutte le modalità perché il diritto che trova
riconoscimento nella sentenza possa concretamente esplicarsi (
sentenza n. 158). Rileva pure la funzione tipica svolta dal
parametro evocato, che il giudice delle leggi può variamente
modulare o riformulare, nel suo ruolo di interprete privilegiato
della Costituzione. Senza poi trascurare il fatto che la
eventuale norma parametro interposta, alla stregua della quale
viene giudicata la conformità a Costituzione delle norme
impugnate, può essere strettamente connessa ad una normativa
comunitaria, che spiega dunque la sua efficacia indiretta nel
giudizio di costituzionalità delle leggi ( sentenza n. 135).
Vi è inoltre da considerare la funzione "monitoria",
che la Corte talvolta esercita per richiamare l’attenzione del
legislatore sulla necessità di interventi riformatori o di
modifiche indilazionabili; così come la Corte può rilevare, in
altri casi, che il pur auspicato intervento si è dimostrato,
tuttavia, parziale nella sua realizzazione e lo strumento per
porvi rimedio è, dunque, l’illegittimità della norma
(tuttora) non adeguata alla Costituzione ( sentenza n. 95).
Da un esame più approfondito, emergono i collegamenti e le
connessioni con pronunce anteriori, specialmente attraverso il
valore e l’influenza del "precedente". E’
constatazione comune che esso assicura la coerenza e la
continuità della giurisprudenza; ciò vale ovviamente per la
Corte costituzionale e in particolare, per le sentenze
dichiarative di illegittimità costituzionale, fermo restando
che queste ben possono scaturire da una complessiva
riconsiderazione della materia, anche alla luce del mutato
contesto normativo. Così, la stessa disposizione, già
parzialmente caducata in passato, può essere oggetto di nuova
pronuncia di incostituzionalità ( sentenza n. 251);
altre disposizioni subiscono la medesima sorte per avere un
contenuto analogo o una formulazione identica a quella di altre
in precedenza dichiarate illegittime (sentenza n. 54, n. 288,
n. 339, n. 350). Alla identica ratio di una
precedente decisione è ricondotta la illegittimità di una
fattispecie normativa in stretta correlazione con altra già
caducata ( sentenza n. 243). In buona sostanza l’accoglimento
della questione può essere determinato da un’anteriore
pronuncia negli stessi termini ( sentenza n. 411), oppure
sulla base di un «principio di portata generale» già
affermato in precedenza in un caso analogo, ma circoscritto in
ragione della formulazione e della rilevanza della questione nel
giudizio di provenienza ( sentenza n. 131).
1. - I GIUDIZI DI LEGITTIMITA’
COSTITUZIONALE
1.1.-I limiti della competenza e dei
poteri della Cortenei giudizi di legittimità costituzionale in
via incidentale
Nell’anno appena trascorso, la Corte ha
ribadito i limiti del sindacato di legittimità costituzionale.
In materia penale – essendo precluso ogni intervento additivo
che si risolva in un aggravamento della posizione sostanziale
dell’imputato (ordinanza n. 175) – ha negato di poter
essa stessa determinare le condotte punibili e le relative
sanzioni ( sentenza n. 169; ordinanze nn. 33, 86, 144, 150,
175 e 260). Più in generale, la Corte ha ritenuto estranee
all’àmbito di un possibile suo intervento, pronunce che siano
caratterizzate da un grado di manipolazione tanto elevato da
investire non già singole disposizioni, ovvero il congiunto
operare di alcune di esse, ma un intero sistema di norme con la
conseguente creazione di una disciplina affatto nuova,
profondamente innovativa, che soltanto il legislatore potrebbe
adottare nell’esercizio della sua discrezionalità (sentenza
n. 75; ordinanza n. 305); ha poi sottolineato che la scelta
di introdurre un trattamento di favore, che si ponga come
eccezione rispetto alla disciplina di carattere generale, è
espressione della discrezionalità legislativa, non censurabile
sotto il profilo del principio di parità di trattamento, salvo
che tale discrezionalità sia esercitata in modo palesemente
irragionevole (ordinanze nn. 60 e 348); ha infine
affermato, più in generale, che esula dai suoi poteri
censurare, con propria diversa valutazione, le scelte
discrezionali del legislatore, ovvero adottare - a fronte di
omissioni legislative - pronunce additive che non si pongano
come conseguenza necessitata dell’applicazione di princìpi
costituzionali (sentenze nn. 291 e 329; ordinanze nn. 234 e
332).
Peraltro, la Corte non ha trascurato di
ribadire, contestualmente, la funzione di garanzia che le è
propria, sia sottolineando che l’opzione normativa non deve
comunque porsi in manifesto contrasto con il canone della
ragionevolezza (ordinanza n. 144), sia utilizzando lo
strumento dell’invito al Parlamento ad effettuare interventi
di razionalizzazione vòlti a superare incongruenze, disarmonie
e profili d’incoerenza rispetto al quadro costituzionale, o ad
introdurre normative più rispondenti alla situazione attuale
del Paese, come nei casi del sistema delle sanzioni sostitutive
e delle esclusioni oggettive in materia penale (ordinanza n.
184), nonché della normativa concernente l’apertura di
case da gioco (sentenza n. 291).
1.2.-La natura e la funzione dei
giudizidinanzi alla Corte
In varie decisioni, la Corte ha puntualizzato
il carattere e la specifica funzione di ciascun tipo di giudizio
che si svolge davanti ad essa, chiarendo che non è dato
utilizzare in maniera impropria o non coerente gli strumenti
processuali a disposizione.
In particolare è stato più volte affermato
che non può essere prospettata una questione la quale, invece
di essere rivolta a rimuovere una disposizione ritenuta
contraria alla Costituzione, tenda in realtà ad ottenere un
chiarimento circa la portata della norma censurata e, dunque, a
perseguire una finalità interpretativa, che è del tutto
estranea alla logica del giudizio di costituzionalità (sentenza
n. 169; ordinanze nn. 215, 278, 283, 351 e 442). Similmente
non può valere a sostenere la richiesta di una pronuncia di
incostituzionalità l’argomento della persistente riluttanza
dei giudici a dare compiuta applicazione ad una precedente
statuizione della Corte, in quanto l’esigenza di uniformare l’interpretazione
delle norme è palesemente estranea alla logica del controllo di
costituzionalità assegnato alla Corte medesima, risolvendosi
nel difetto dell’essenziale requisito della rilevanza, stante
il connotato di astrattezza della questione (ordinanza
n. 141). Nemmeno può avere ingresso una questione diretta a
contrastare un’interpretazione giurisprudenziale delle norme
censurate, in quanto non condivisa dal rimettente (ordinanze
nn. 233 e 443); ovvero quando il giudice a quo ometta
di verificare preventivamente che la disposizione da applicare
possa essere interpretata in conformità alle norme e ai
princìpi costituzionali (ordinanza n. 338).
D’altro canto, la questione di
costituzionalità non può risolversi in una mera critica all’esercizio
della discrezionalità legislativa (ordinanza n. 234);
né il suo accoglimento può produrre un risultato antitetico a
quello perseguito dal giudice a quo, in contraddizione
con le stesse premesse argomentative (ordinanza n. 302).
A stabilire, poi, la differenza tra il
giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale e
quello per conflitto tra poteri, sta l’affermazione che quest’ultimo
non è finalizzato ad un generale controllo di legittimità dell’atto
invasivo, dal momento che con esso la Corte è chiamata
essenzialmente a dirimere controversie tra poteri dello Stato e,
quindi, a verificare l’ordine costituzionale delle competenze,
per cui è inammissibile l’atto di promovimento che si modelli
sull’ordinanza di rimessione anziché sul ricorso (sentenze
nn. 363 e 364). Deriva da ciò che non può ritenersi
direttamente coinvolto nel giudizio per conflitto di
attribuzione l’interesse di un soggetto diverso da quello
legittimato a promuoverlo, in particolare del titolare dei
diritti inerenti alla qualità di imputato ( sentenza n. 225).
Quanto ai conflitti intersoggettivi, la loro
natura costituzionale esclude l’ammissibilità di pretese di
carattere meramente patrimoniale (vindicatio rei) che,
risolvendosi in controversie di natura puramente economica, non
coinvolgano competenze costituzionalmente garantite agli enti in
conflitto (sentenza n. 213).
1.3.-I presupposti della questione
incidentale di legittimità costituzionale: il
"giudizio" e la legittimazione del giudice
Ai fini della proposizione del giudizio di
costituzionalità in via incidentale, la Corte non ha
riconosciuto la natura di "giudizio" al procedimento
sulla richiesta di astensione ex art. 51 cod. proc. civ.
(ordinanza n. 216); ed ha negato la legittimazione del
giudice istruttore nel procedimento di opposizione allo stato
passivo del fallimento a sollevare questione di legittimità
costituzionale di norme applicabili esclusivamente dal collegio
in fase decisoria (ordinanza n. 23).
Ha poi confermato la costante giurisprudenza
che consente al giudice di rinvio di sollevare questione di
legittimità costituzionale della disposizione nell’interpretazione
della quale è vincolato in forza del principio di diritto
affermato dalla Corte di cassazione (ordinanza n. 184);
ha inoltre riconosciuto la legittimazione a sollevare questione
di legittimità costituzionale del Consiglio nazionale forense (sentenza
n. 189) e degli arbitri rituali (sentenza n. 376),
osservando, in quest’ultimo caso, che – ai limitati fini del
promovimento del sindacato di legittimità costituzionale - il
giudizio arbitrale (a prescindere dalla problematica connessa
alla sua natura giuridica) non si differenzia da quello che si
svolge davanti agli organi statali della giurisdizione, per
quanto riguarda l’attività di ricerca e interpretazione delle
norme da applicare nel giudizio.
1.4.-L’incidentalità del giudizio di
legittimità costituzionale e la rilevanza delle questioni
Nel ribadire la natura incidentale del
giudizio di costituzionalità delle leggi – in ragione di che
quale il giudice a quo non può proporre autonomamente ed
in via diretta questioni di legittimità costituzionale che non
siano collegate al giudizio in corso dinanzi a lui – la Corte
ha costantemente ritenuto l’inammissibilità di questioni che
difettano di pregiudizialità rispetto alla definizione del
giudizio principale (ordinanza n. 279), o che siano prive
del necessario requisito della rilevanza; ovvero di questioni
non idonee a incidere nel giudizio a quo (ordinanza n.
134); di questioni concernenti norme in esso non applicabili
(sentenze nn. 115 e 180; ordinanze nn. 125, 149 e 255);
di questioni sollevate in via ipotetica, in vista di una
possibile evenienza futura e incerta (ordinanze nn. 2 e 34);
di questioni che non toccano in alcun modo il contenuto della
disposizione censurata (sentenze nn. 156 e 336; ordinanza n.
90); di questioni che investono norme che non vivono più
nell’ordinamento giuridico (ordinanze nn. 28, 128 e 262);
di questioni sollevate da un giudice che abbia ormai consumato
il proprio potere decisorio (ordinanze nn. 92, 134 e 346),
o da un giudice non competente all’applicazione della norma
censurata (sentenza n. 169; ordinanze nn. 59, 70, 154, 297).
E ancora, sempre sotto il profilo della
rilevanza, la Corte ha riaffermato la valenza della cosiddetta
"pregiudiziale comunitaria", nascente dalla richiesta
di interpretazione rivolta alla Corte di giustizia delle
Comunità europee da parte del giudice rimettente (e da altri
giudici italiani); richiesta che fa sorgere nel giudizio a
quo una pregiudiziale circa la compatibilità con il diritto
comunitario della stessa norma sospettata di contrasto con la
Costituzione, così privando di rilevanza la questione di
legittimità costituzionale (ordinanza n. 249).
1.5.-La riproposizione della questione
incidentale e il divieto del bis in idem
Sul tema della riproposizione della
questione, la Corte ha riaffermato il divieto di bis in idem,
giacché una seconda rimessione, nel corso dello stesso grado di
giudizio pendente tra le parti, di una questione concernente la
medesima norma di legge in riferimento ad identici parametri
costituzionali, sia pure con argomenti ulteriori, si
risolverebbe in una inammissibile impugnazione della precedente
pronuncia di merito (ordinanza n. 48). Ancora, è stata
dichiarata l’inammissibilità della questione con la quale il
giudice rimettente, pur impugnando formalmente una disposizione
quale risultante a seguito dell’integrazione disposta da una
sentenza della Corte, in realtà censurava la precedente
decisione di accoglimento, così disattendendo la preclusione
assoluta di qualsiasi domanda diretta a contrastare, annullare
ovvero riformare una decisione della Corte (ordinanza n. 108).
Peraltro, è stato anche ribadito che tale preclusione vale solo
nel caso di una pronuncia di natura decisoria e non quando sia
stata emessa una pronunzia di manifesta inammissibilità per
ragioni meramente processuali (sentenza n. 189).
1.6. -Le norme oggetto del giudizio In
diverse pronunce trova conferma la giurisprudenza che nega
ingresso nel giudizio di costituzionalità alle questioni che
concernono disposizioni eterogenee (ordinanza n. 81); o
con cui si censura un intero testo normativo, salvo che il vulnus
derivi dall’intero corpo normativo (sentenza n. 156;
ordinanza n. 286); o che vertono su atti aventi natura
regolamentare ( sentenza n. 251; ordinanze nn. 124, 194 e 297),
salvo che il regolamento, nel sostituire la disposizione
legislativa, abbia inciso aspetti sostanziali sui quali non era
abilitato ad intervenire (sentenza n. 251).
E’ stata anche riconosciuta la
sindacabilità delle norme di diritto internazionale pattizio,
censurate attraverso la legge di esecuzione del trattato, nella
parte in cui immettono nell’ordinamento norme incompatibili
con la Costituzione, e quando dalla soluzione della questione
possano derivare conseguenze sulla valutazione di legittimità
di un accordo tra governi (sentenza n. 73).
La sopravvenuta novazione della norma oggetto
del giudizio (con attribuzione ad esse della efficacia di legge
formale e non più di quella sostanziale) ha dato luogo alla
restituzione degli atti al rimettente per la valutazione in
ordine al persistere della rilevanza della questione (ordinanze
nn. 12, 13, 17 e 64); in altri casi si è addivenuti al
"trasferimento della questione", ad opera della Corte
stessa, sulle nuove norme allorché la censurata disposizione
sia stata in esse trasfusa integralmente (ordinanza n. 255).
Il giudizio della Corte – come noto – si
attesta sui termini fissati dalla ordinanza di rimessione (sentenza
n. 435) ed è, perciò, condizionato dalla prospettazione
del rimettente e dalle indicazioni contenute nell’ordinanza di
rimessione, sicché non possono essere presi in considerazione
profili dedotti soltanto dalle parti, ovvero riferiti a
parametri non evocati dal giudice a quo (ordinanze nn.
24, 44 e 219).
Un principio di conservazione emerge poi nei
casi in cui la Corte afferma che non rilevano nè l’errore
materiale nell’indicazione della disposizione censurata
contenuto nell’ordinanza di rimessione, se non rende incerta l’individuazione
della norma effettivamente denunciata (sentenza n. 113;
ordinanze nn. 3, 129 e 219), né l’impropria estensione
della censura ad altra norma, ove sia comunque delimitabile l’oggetto
della questione (sentenza n. 95). Nel giudizio per
conflitto tra poteri dello Stato, che è finalizzato alla tutela
dell’integrità delle competenze assegnate a tali poteri dalla
Costituzione, non possono avere ingresso le censure sollevate
per violazione di norme diverse da quelle che definiscono l’àmbito
delle attribuzioni asseritamente lese, garantite
costituzionalmente al ricorrente (sentenza n. 139).
1.7.-Gli atti introduttividei giudizi:
requisiti formali e sostanziali
Con riguardo alla instaurazione del giudizio
di costituzionalità, la Corte ha ribadito la necessità di un
atto idoneo, nel suo contenuto, a definire l’oggetto della
domanda; soprattutto, in tema di conflitti di attribuzione tra
poteri dello Stato, viene richiesta la compiuta indicazione
degli elementi sufficienti a definire la materia del conflitto
oggetto di controversia (sentenza n. 274); tale non
potendosi ritenere il ricorso nel quale, ad una lacunosa e
generica indicazione delle ragioni del conflitto si accompagni
il difetto di una espressa domanda circa la spettanza del potere
in contestazione e della conseguente richiesta di annullamento
dell’atto impugnato (sentenza n. 363), ovvero il
ricorso che si limiti ad enunciare la mera richiesta di
«risolvere il conflitto», senza assolvere il necessario onere
motivazionale (sentenza n. 364).
Quanto ai giudizi in via incidentale, è
stata ritenuta parimenti necessaria la sussistenza di un formale
provvedimento di rimessione, non essendo sufficiente la
trasmissione degli atti con la sola notazione che la questione
è stata già prospettata da altra ordinanza emessa in un
diverso giudizio pendente (avanti allo stesso ufficio). In tal
caso, non potendo ritenersi proposto un vero giudizio
incidentale di legittimità costituzionale, la Corte ha
dichiarato la irricevibilità dell’ordinanza ed ha disposto il
rinvio degli atti al giudice a quo (ordinanza n. 216).
L’irricevibilità è stata, inoltre, disposta nei confronti di
una singolare ordinanza di rimessione, con la quale la questione
di costituzionalità era stata esplicitamente rimessa per la
decisione non già davanti alla Corte costituzionale, bensì
alla non più operante Alta Corte per la Regione Siciliana, sull’assunto
del rimettente dell’erroneità del consolidato principio dell’unicità
della giurisdizione costituzionale, adottato viceversa dalla
Corte sin dalle prime pronunce (ordinanza n. 161).
1.8.- La costituzione e l’intervento in
giudizio
Con riguardo alla fase introduttiva del
giudizio di costituzionalità, la Corte, secondo un orientamento
consolidato, ha dichiarato inammissibili le costituzioni e gli
interventi in giudizio effettuati tardivamente rispetto al
previsto termine perentorio (sentenza n. 210; ordinanze nn.
53 e 234); ed ha inoltre ribadito i princìpi sia della
necessaria corrispondenza tra le parti del giudizio incidentale
di costituzionalità e quelle costituite nel giudizio principale
(ordinanza n. 183), sia della necessaria sussistenza di
un interesse diretto alla soluzione della questione, non essendo
sufficiente a legittimare l’intervento di soggetti diversi
dalle parti del giudizio a quo un mero interesse riflesso
ed eventuale rispetto al thema decidendum (sentenze nn.
189 e 333).
Così, in costanza di una giurisprudenza che
generalmente non ammette l’intervento in giudizio spiegato da
soggetti diversi da quelli legittimati a promuovere il conflitto
tra enti, ancorché «interessati» alla risoluzione del
giudizio costituzionale, si è ritenuto di derogare a tale
regola in un giudizio per conflitto di attribuzione proposto da
una Regione avverso un provvedimento del giudice penale, in
ragione del particolare interesse dell’interveniente (nella
specie, a non veder compromessa la possibilità di agire in
giudizio a tutela dei suoi diritti), connesso alla sua posizione
processuale di parte civile costituita nel procedimento penale a
quo (sentenza n. 76).
Nel giudizio per conflitto tra poteri
(promosso, nella specie, dalla Camera dei deputati nei confronti
di un’autorità giudiziaria) – come già accennato – non
può essere invece ammesso ad intervenire il parlamentare
imputato in procedimenti penali, che si ritenga leso dai
provvedimenti giudiziari impugnati, dal momento che i diritti
inerenti alla qualità di imputato, che possono essere sempre
fatti valere con gli ordinari strumenti processuali, non possono
ritenersi coinvolti in un giudizio nel quale deve decidersi solo
in ordine alle denunciate lesioni delle attribuzioni
costituzionali della Assemblea parlamentare ricorrente (sentenza
n. 225).
1.9.-Il rispetto dei termini L’improcedibilità
dei conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato è la
conseguenza, dichiarata in varie occasioni, del mancato
rispetto, da parte del ricorrente, dei termini perentori
prescritti dalle norme ai fini dell’ulteriore corso del
giudizio, dopo la preliminare fase delibativa (sentenze nn.
191, 200, 245, 246, 247, 253 e 293).
2. – MERITO DELLE DECISIONI
2.1.-Il principio di eguaglianza(art.
3 Cost.)
Al principio di eguaglianza i giudici
rimettenti fanno frequente riferimento, utilizzandolo come
parametro, talvolta esclusivo, delle questioni prospettate. Non
di rado esso è anche invocato unitamente al principio-criterio
della ragionevolezza, con un’endiadi alla quale viene
ricondotta la coerenza o non contraddizione del sistema preso in
esame. E’ noto che, applicando il criterio della
ragionevolezza, il giudice delle leggi non può contrastare con
una propria diversa valutazione la scelta discrezionale del
legislatore: il controllo di costituzionalità dovendosi
arrestare alla verifica che, rispetto al fine, il mezzo
prescelto non sia palesemente incongruo (sentenza n. 190);
ovvero limitarsi alla verifica del «corretto uso del potere
normativo» (sentenza nn. 169 e 180), là dove si
evidenzia una carenza di causa o ragione della disciplina
censurata, che, come tale, implica quindi un vizio della legge,
appalesandosi come espressione di un uso distorto della
discrezionalità legislativa, siccome fondato sulla
irragionevole differenziazione ovvero, a seconda dei casi, sulla
irragionevole omologazione delle situazioni poste a raffronto (sentenza
n. 171).
Alla luce del principio di eguaglianza, la
dichiarazione di illegittimità serve dunque a ripristinare la
parità violata ovvero ad eliminare quei trattamenti deteriori
rispetto ad altri, che determinano discriminazioni,
assolutamente prive di ragionevole giustificazione, nei
confronti di alcune categorie di soggetti. E’ il caso, ad
esempio, delle decisioni rese in materia elettorale (sentenze
nn. 287, 350), su cui si tornerà in sèguito; ovvero della
declaratoria di illegittimità costituzionale della norma che
escludeva la pensione di reversibilità del coniuge superstite
in relazione ad una circostanza o condizione, appunto, inidonea
a giustificare tale esclusione, quale era il matrimonio
intervenuto successivamente al pensionamento dell’assicurato (sentenza
n. 447).
Viceversa, ad escludere l’incostituzionalità
con riferimento al principio di eguaglianza, è stato richiamato
l’argomento secondo cui quest’ultimo non può essere
utilmente invocato quando si pongano a raffronto situazioni
strutturalmente diverse, al fine di indurre una modifica dell’ordinamento
vigente secondo una prospettiva costituzionalmente non
necessitata, o quando la statuizione chiesta dal giudice
rimettente determinerebbe essa stessa un’ingiustificata
disparità di trattamento. In tal senso è, ad esempio, la
pronuncia che, intervenendo sul tema degli effetti patrimoniali
del matrimonio concordatario dichiarato nullo dai Tribunali
ecclesiastici, ha rigettato la questione che mirava a
disciplinare tali effetti patrimoniali secondo la disciplina
dettata per il divorzio anziché secondo quella, attualmente
applicabile, del matrimonio putativo (sentenza n. 329).
Pertanto, nel caso di diversità delle situazioni poste a
raffronto, non possono essere invocati i princìpi affermati in
una precedente pronuncia, quando essi siano intimamente saldati,
sul piano logico e strutturale, alla particolare e differente
ipotesi già oggetto di decisione (sentenza n. 75).
Neppure ha trovato accoglimento la questione
intesa ad estendere la cerchia dei destinatari di precetti
normativi di favore, sotto il profilo che l’intervento
additivo richiesto esulava dai poteri concessi alla Corte, non
ponendosi come conseguenza necessitata ed implicita dell’applicazione
dei princìpi costituzionali, ed essendo sempre rimessa alla
discrezionalità del legislatore la scelta tra più soluzioni
astrattamente possibili. Per queste ragioni è stata dichiarata
l’inammissibilità della questione che sollecitava l’introduzione
di una sorta di disciplina generale del potere di autorizzare l’apertura
e la gestione di case da gioco, mediante una statuizione
destinata a sostituirsi alle ipotesi particolari previste dal
legislatore (sentenza n. 291); in tale occasione,
tuttavia, la Corte ha – come già detto – esercitato il suo
potere di monito nei confronti del legislatore, rinnovando l’invito,
già formulato in altra occasione, a superare le insufficienze e
le disarmonie della disciplina in materia.
2.2.-Il principio unitario(art. 5 Cost.)
Nell’àmbito del sistema delle autonomie
regionali, il principio di eguaglianza si converte in quello
unitario, sancito dall’art. 5 della Costituzione. A questo
principio si richiama, a proposito di una questione sull’applicazione
nella Regione Trentino-Alto Adige – e dunque in un quadro di
«specialità» autonomistica – del nuovo riparto della
giurisdizione in ordine alle controversie di lavoro con la
pubblica amministrazione, la decisione che ha ribadito come la
determinazione effettuata, in via generale, dal legislatore
ordinario di devolvere al giudice ordinario la cognizione di
tali controversie non potesse essere che unitaria in tutto il
territorio nazionale (ivi comprese le Regioni a statuto
speciale), non essendo consentite sul piano costituzionale, in
una materia, quale la disciplina della giurisdizione, spettante
allo Stato, ripartizioni o soluzioni difformi tra Regione e
Regione (sentenza n. 121).
L’interesse unitario alla uniformità di
disciplina dei "livelli minimi inderogabili" viene,
inoltre, ribadito in ordine alla salvaguardia della fauna
selvatica (sentenza n. 210).
2.3.-Il principio di adattamento al
diritto internazionale(art. 10 Cost.)
In tema di rapporti con altri ordinamenti, la
Corte ha concorso a delineare la disciplina (per il periodo
anteriore all’entrata in vigore della legge n. 91 del 1992),
della sottoposizione agli obblighi di leva di chi abbia perduto
la cittadinanza italiana a sèguito dell’acquisto di quella di
un altro Stato (sentenza n. 131). La decisione aveva ad
oggetto l’acquisto della cittadinanza di uno Stato, nel quale
non è tuttavia previsto il servizio militare obbligatorio (la
qual cosa differenziava la fattispecie da quelle, connotate
dalla doppia imposizione dei doveri militari a carico di chi avesse
già prestato o fosse tenuto a prestare il servizio
militare nello Stato di nuova cittadinanza, già giudicate
illegittime con precedenti sentenze). Anche questa volta la
decisione di illegittimità costituzionale si fonda sul
principio, di portata generale, sancito nell’art. 10, primo
comma, della Costituzione, che esige la conformazione dell’ordinamento
giuridico italiano alle norme del diritto internazionale
generalmente riconosciute e, dunque, anche alla norma che,
indipendentemente dall’esistenza di una doppia imposizione,
vincola gli Stati a non assoggettare a obblighi militari i
cittadini di altri paesi.
In materia, inoltre, la Corte ha affermato,
in generale, che la propensione di apertura dell’ordinamento
italiano nei confronti sia delle norme del diritto
internazionale generalmente riconosciute, sia delle norme
internazionali convenzionali incontra i limiti necessari a
garantirne l’identità e quindi, innanzitutto, i limiti
derivanti dalla Costituzione (sentenza n. 73); limiti –
si sottolinea – che valgono perfino in quelle ipotesi in cui
la Costituzione stessa offre all’adattamento al diritto
internazionale uno specifico fondamento, idoneo a conferire alle
norme introdotte nell’ordinamento italiano un particolare
valore giuridico (come nei casi previsti dagli artt. 10, primo
comma, 11 e 7, secondo comma della Costituzione). La pronuncia
chiarisce altresì il significato e la portata, in relazione all’ordinamento
interno, della Convenzione sul trasferimento delle persone
condannate, adottata a Strasburgo il 21 marzo 1983. Nel
rigettare la questione, proposta dal Tribunale di sorveglianza
di Roma nei confronti delle norme che hanno dato esecuzione a
quella Convenzione, la Corte ha escluso che da questa possa
ricavarsi la regola secondo cui il soggetto trasferito dallo
Stato di condanna a quello di esecuzione della pena detentiva,
possa essere sottoposto a un vero e proprio regime di esecuzione
speciale e personale, concernente i diritti, oltre che i doveri,
che lo riguardano come detenuto.
2.4.-I diritti inviolabili e le libertà
2.4.1. - La libertà personale (art.
13 Cost.)
Con una pronuncia interpretativa di rigetto
la Corte ha ritenuto che (anche in assenza di una espressa
previsione) il diniego di convalida, da parte del giudice, del
provvedimento che dispone il trattenimento dello straniero
presso i centri di permanenza temporanea travolge, insieme con
tale provvedimento, anche la misura dell’espulsione, nella sua
specifica modalità esecutiva dell’accompagnamento dello
straniero alla frontiera a mezzo della forza pubblica, che è,
appunto, causa immediata della limitazione della libertà
personale e insieme fondamento della successiva misura del
trattenimento, proprio in quanto l’atto motivato dell’autorità
giudiziaria costituisce il presidio della libertà personale (sentenza
n. 105).
2.4.2. - Il diritto al nome (artt. 2 e
22 Cost.)
Quale primo e più immediato segno distintivo
che caratterizza l’identità personale, il diritto al nome -
secondo un principio ormai consolidato - appartiene al novero di
quei diritti, definiti «inviolabili», protetti dall’art. 2
della Costituzione. La Corte ha perciò riconosciuto
illegittima, risolvendosi essa in un’ingiusta e irrazionale
privazione, la mancata previsione della possibilità per l’adottato
maggiorenne, figlio naturale non riconosciuto dai propri
genitori, di aggiungere il proprio originario cognome, ormai
radicato nel contesto sociale e trasmesso ai figli, a quello
ricevuto in virtù dell’adozione; mentre ha reputato non
irrazionale e non lesivo del diritto all’identità personale
che il cognome dell’adottante preceda quello originario dell’adottato
maggiorenne (sentenza n. 120).
2.4.3. - La libertà associativa (art.
18 Cost.) E’ stata dichiarata l’illegittimità
costituzionale dell’art. 271 del codice penale, che puniva le
condotte di promozione, costituzione, organizzazione e direzione
delle associazioni che si propongono di svolgere o svolgono
attività dirette a distruggere o deprimere il sentimento
nazionale (sentenza n. 243). Con tale decisione – che,
come espressamente sottolineato, non coinvolge il significato e
la portata dei valori costituzionali della Nazione e dell’unità
nazionale espressi dagli artt. 5, 9, 67, 87 e 98 Cost., né le
relative forme di tutela – la Corte espunge dall’ordinamento
anche la fattispecie associativa direttamente correlata alla
condotta individuale corrispondente, poiché, se non costituisce
illecito penale il fatto che il singolo svolga opera di
propaganda antinazionale, la quale non trasmodi in violenza o in
attività che vìolino altri beni costituzionalmente garantiti
sino ad integrare altre figure criminose (sentenza n. 87 del
1966, relativa all’art. 272, secondo comma, del codice
penale), non può costituire illecito neppure l’attività
associativa volta a compiere ciò che è consentito all’individuo.
2.5. -La tutela giurisdizionale e diritto
di difesa(art. 24 Cost.) E’ stata affrontata la
problematica dell’estinzione automatica dei giudizi pendenti
di opposizione a sanzioni comminate per violazioni alla legge
sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali (sentenza n.
223); la previsione è stata ritenuta conforme al diritto
alla tutela giurisdizionale garantito dall’art. 24 Cost., in
quanto direttamente conseguente alla stabilita estinzione delle
sanzioni ed alla correlativa soddisfazione ex lege delle
pretese ad ottenerne l’annullamento, così da determinare la
cessazione della materia del contendere. Nella stessa occasione
sono state viceversa dichiarate illegittime l’esclusione del
rimborso delle somme corrisposte per il pagamento delle sanzioni
e la compensazione delle spese processuali, che avrebbero
lasciato la pretesa azionata dal lavoratore del tutto priva di
tutela giurisdizionale e determinato una disparità di
trattamento tra lavoratori, in relazione ad una circostanza
meramente accidentale, quale l’intervenuta applicazione o no
della sanzione.
Contrastante con il diritto alla tutela
giurisdizionale (ed in singolare dissonanza con la tendenza,
presente in tutta la legislazione vigente, volta ad eliminare
ogni impedimento fiscale al diritto dei cittadini di agire in
giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi
legittimi) è stata ritenuta la norma che poneva, quale
condizione per la messa in esecuzione del provvedimento di
rilascio dell’immobile locato ad uso abitativo, la
dimostrazione, da parte del locatore, della regolarità della
propria posizione fiscale; onere, questo, imposto non già per
assicurare al processo esecutivo uno svolgimento conforme alla
sua funzione e alle sue esigenze, ma esclusivamente per
perseguire impropri fini di controllo fiscale (sentenza n.
333).
2.6.-Il trattamento penale e la
responsabilità penale(artt. 25 e 27 Cost.)
Con riguardo alla norma che, innovando la
precedente disciplina, subordina alla loro collaborazione con la
giustizia l’applicabilità del beneficio della liberazione
condizionale ai condannati per determinati reati, la Corte ha
escluso la violazione del principio di irretroattività della
legge penale per quanti siano stati condannati prima della
entrata in vigore della norma stessa (sentenza n. 273).
In particolare ha specificato che l’introduzione del requisito
della collaborazione con la giustizia costituisce una scelta del
legislatore in armonia con il principio della funzione
rieducativa della pena, risolvendosi nel criterio legale di
valutazione di un comportamento che deve necessariamente
concorrere ai fini di accertare il «sicuro ravvedimento» del
condannato e la rottura dei collegamenti con la criminalità
organizzata, la quale comporta vincoli di omertà e segretezza
particolarmente forti.
2.7.-La tutela della maternità e del
minore(artt. 31 e 37 Cost.)
La protezione del minore è garantita, anche
a livello internazionale, da un insieme di norme che formano un
sistema integrativo di quello approvato, con la medesima
finalità, nell’ordinamento interno. La Corte ha chiarito -
respingendo i dubbi di costituzionalità sollevati nei confronti
della legge di esecuzione della convenzione dell’Aja del 25
ottobre 1980 - che l’ordine urgente di ritorno immediato del
minore (illecitamente trasferito o trattenuto in altro paese)
nel proprio Stato di residenza abituale, è fondato sulla
ragionevole presunzione che l’interesse del minore vada
innanzitutto tutelato mediante il ripristino della situazione qua
ante; sicché risulta del tutto coerente con la ratio
dell’istituto l’esclusione di qualsiasi possibilità di
riesame del relativo provvedimento, d’ufficio o su istanza di
parte, ad opera del medesimo giudice che lo ha emesso, per
evitare il consolidarsi di una situazione di fatto in danno del
minore, impregiudicato – peraltro – il riesame nel merito
dei provvedimenti di affidamento (sentenza n. 231).
Alla speciale protezione del valore della
maternità (da tutelare sempre, anche in assenza di un rapporto
lavorativo, secondo i princìpi dettati dagli artt. 31 e 37
della Costituzione) è diretta la pronuncia che ha reputato
irragionevole l’esclusione dell’indennità di maternità
anche nell’ipotesi di licenziamento della lavoratrice al quale
la norma dichiarata incostituzionalmente illegittima attribuiva
(nel negare la provvidenza) rilievo preponderante ed
irragionevole valenza punitiva, rispetto allo stato oggettivo
della gravidanza (sentenza n. 405).
2.8.-La tutela della salute e dell’ambiente
(art. 32 Cost.)
Circa il diritto dello straniero, non in
regola con le norme sull’ingresso ed il soggiorno, a ricevere
le cure mediche essenziali, la Corte – nel ribadire che la
Costituzione assicura a «tutti», stranieri compresi, la
garanzia di un «nucleo irriducibile» del diritto
costituzionale alla salute, come àmbito inviolabile della
dignità umana – ha riconosciuto alla vigente legge, oggetto
del giudizio, la capacità di apprestare, pure in favore di
quanti siano irregolarmente presenti nel territorio nazionale,
non solo gli interventi di assoluta urgenza, ma anche, nei
presidî pubblici ed accreditati, tutte le cure e le prestazioni
giudicate essenziali e necessarie ad evitare un irreparabile
pregiudizio alla salute (sentenza n. 252).
Il divieto di smaltimento nelle discariche
regionali di rifiuti di provenienza extraregionale, introdotto
nella Regione Friuli-Venezia Giulia con leggi del 1988 e del
1996, è stato oggetto di una pronuncia di accoglimento che ne
ha determinato la caducazione (sentenza n. 335). La Corte
ha ribadito quanto già aveva affermato in una precedente
decisione a proposito dei rifiuti "pericolosi", ai
quali vanno, appunto, assimilati sotto l’aspetto del regime di
smaltimento, i rifiuti "speciali" qui considerati:
anche per questi ultimi, infatti, si impone il criterio della
specializzazione dell’impianto di smaltimento ovvero dell’utilizzo
di «uno degli impianti appropriati più vicini»; criterio
perciò idoneo a conseguire la finalità di smaltimento come
richiesto dalla normativa statale di principio e che non
ostacola, poi, la libera circolazione di cose tra le Regioni
sancita nell’art. 120 della Costituzione: principio, questo,
che va salvaguardato in assenza di impedimenti di ordine
sanitario o ambientale (dovendosi pur sempre considerare il
rifiuto - anche alla stregua delle normative comunitarie - come
un «prodotto»).
E la tutela dell’ambiente ben può
giustificare la previsione, in una legge della Regione Veneto,
di condizioni (come il divieto di «esportazione» del materiale
di risulta fuori del terreno su cui insiste l’impianto) intese
a regolare l’attività agricola relativa alla costruzione
degli impianti di acquacoltura incidente sull’assetto del
territorio (sentenza n. 190).
2.9.-L’ordinamento universitario- Le
funzioni didattiche e di ricerca(art. 33 Cost.) La Corte ha
riaffermato l’esistenza di un preciso nesso funzionale tra l’attività
di assistenza ospedaliera e quella didattico-scientifica, in
termini non solo di stretta connessione, ma di vera e propria
compenetrazione, al punto che la scissione tra l’uno e l’altro
settore di attività (con la conseguente creazione di figure di
docenti medici destinati ad un insegnamento privo del supporto
della necessaria attività assistenziale) risulta lesiva del
generale criterio di ragionevolezza oltre che del principio di
buon andamento (sentenza n. 71). Ed è alla luce di
questi princìpi che la Corte ha ritenuto la necessità - con
conseguente dichiarazione di illegittimità costituzionale della
norma portata al suo vaglio - che le regioni e le università
stipulino preventivi protocolli di intesa per la individuazione
di quelle specifiche attività assistenziali strettamente
correlate all’attività didattica e di ricerca, che devono
rimanere affidate al personale docente pur dopo la cessazione
per limiti di età dalla attività assistenziale ordinaria.
2.10.-L’obbligo scolastico ed i diritti
dei portatori di handicap(art. 34 Cost.)
L’effettività del diritto all’istruzione
inferiore (obbligatoria) e l’integrazione scolastica (e,
tramite questa, anche nella società) degli alunni disabili sono
le due fondamentali esigenze congiuntamente valorizzate nella
decisione che affronta la questione riguardante la possibilità
per i portatori di handicap di assolvere l’obbligo scolastico
anche oltre il diciottesimo anno di età (sentenza n. 226).
La Corte ha riconosciuto che la disciplina vigente – la quale
già prolunga a diciotto anni l’ordinario termine di quindici
anni – è idonea al perseguimento delle finalità di
promozione della piena integrazione della persona handicappata e
di sviluppo delle sue potenzialità all’apprendimento, alla
comunicazione, alle relazioni e alla socializzazione; ciò anche
in considerazione del fatto che il diritto all’istruzione può
essere esercitato dagli alunni handicappati maggiorenni mediante
la frequenza, al di fuori della scuola dell’obbligo, di corsi
per adulti finalizzati al conseguimento del diploma, in un
contesto ambientale realmente più funzionale, anche sotto il
profilo dell’età, al successivo inserimento nella società e
nel mondo del lavoro.
2.11.- La tutela del lavoro (artt. 35
e 37 Cost.) e la previdenza (art. 38 Cost.)
Con riferimento al lavoro carcerario, la
Corte ha affermato il diritto al riposo annuale anche in favore
dei detenuti, da un lato osservando che la tendenza attuale è
quella di valorizzare il lavoro e le attitudini specifiche di
tali soggetti ai fini del loro recupero alla società, senza
più attribuire una connotazione afflittiva al loro lavoro; dall’altro
riconoscendo che il diritto alle ferie deve essere assicurato
inderogabilmente in ogni rapporto di lavoro subordinato (per
garantire il soddisfacimento di primarie esigenze del
lavoratore) e quindi, pur con differenti modalità, anche quando
il rapporto lavorativo si svolga alle dipendenze dell’amministrazione
carceraria (sentenza n. 158). Circa il tema del riscatto
del periodo di studi universitari - con riferimento alla
costituzione della posizione assicurativa presso l’INPS in
favore del dipendente statale che cessi dal servizio senza aver
maturato il diritto a pensione - la Corte, nel dichiarare la
illegittimità costituzionale della norma che subordina la
costituzione della posizione assicurativa alla condizione che
per gli stessi periodi "vi sia stata effettiva prestazione
di lavoro subordinato", ha proseguito sulla via della
completa parificazione di tutti i lavoratori nell’esercizio
della facoltà di riscattare i periodi di studio universitari,
in considerazione della generale tendenza dell’ordinamento
volta a valorizzare, in ogni caso, i periodi di studio che
precedono l’attività lavorativa, anche per non penalizzare i
lavoratori che abbiano dovuto ritardare l’inizio della loro
attività per acquisire il titolo necessario (sentenza n. 113).
La pronuncia riguardante il calcolo della
"quota aggiuntiva" eccedente il c.d. tetto
pensionabile per le pensioni anteriori al 1° gennaio 1988, si
fonda sul riconoscimento di àmbiti di discrezionalità
legislativa esercitata in modo non irragionevole né
contrastante con il principio di uguaglianza. Perciò la Corte
ha dichiarato non fondata la questione con la quale il
rimettente sollecitava il sindacato sull’esercizio della
discrezionalità del legislatore in tema di modulazione
temporale dell’applicabilità dei trattamenti previdenziali e
che, per il profilo della misura del trattamento, non teneva
conto del margine di discrezionalità che pure deve riconoscersi
al legislatore anche in relazione alle risorse disponibili (sentenza
n. 180).
2.12.-La libertà di organizzazione dell’impresae
il diritto di proprietà(artt. 41 e 42 Cost.)
Il principio sancito nell’art. 41 Cost. s’impone
anche alle autonomie regionali speciali: è ciò che afferma la
Corte, dichiarando l’illegittimità costituzionale, per
contrasto con tale articolo, della legge n. 13 del 1988 della
Regione Sardegna, che disciplina le agenzie di viaggio e
turismo, nella parte in cui subordina l’apertura di succursali
e filiali delle agenzie stesse al conseguimento di
autorizzazione dell’assessore regionale del turismo, con le
modalità e condizioni stabilite per l’apertura delle agenzie
(sentenza n. 54). Si ribadisce, quindi, che gli uffici,
le filiali e le sedi secondarie non costituiscono entità
separate dall’azienda, per cui l’autorizzazione conseguita
dall’impresa non può non estendersi alle filiali che l’imprenditore
intenda aprire sul territorio nazionale, giacché la decisione
circa l’estensione territoriale dell’attività di impresa è
espressione della libertà organizzativa dell’imprenditore ed
è affidata alle sue valutazioni.
Alla questione della legittimità di vincoli
previsti dai piani regolatori, se preordinati alla
espropriazione e sostanzialmente ablativi del diritto di
proprietà, si riferisce poi la sentenza n. 411, che
conferma l’indirizzo consolidato e, in particolare, la
precedente decisione emessa al riguardo (sentenza n. 179 del
1999), della quale ricalca il dispositivo. In sostanza, essa
afferma che, pur quando si ammetta la legittimità della
reiterazione dei vincoli, da intendersi essenzialmente
temporanei, non si può tuttavia ritenere consentito che essi
permangano senza conseguenze oltre il termine non irragionevole
fissato dal legislatore, sicchè, ove siano prorogati vincoli
scaduti, va comunque dichiarata illegittima la mancata
previsione di un indennizzo diretto al ristoro del pregiudizio
subìto dal proprietario del bene.
2.13.-La capacità contributiva(art.
53 Cost.)
Con riguardo all’imposta regionale sulle
attività produttive (IRAP), la Corte ha riconosciuto non
irragionevole la scelta del legislatore di assumere quale indice
di capacità contributiva il valore aggiunto prodotto dalle
attività autonomamente organizzate oppure dalla singola unità
produttiva (sentenza n. 156); ed ha ulteriormente
puntualizzato che essa non è un’imposta sul reddito, bensì
un’imposta di carattere reale, che colpisce un fatto economico
(e cioè la nuova ricchezza creata dalla singola unità
produttiva) comunque espressivo di capacità di contribuzione
(con ciò escludendosi sia la disparità di trattamento in danno
dei contribuenti assoggettati all’imposta che svolgono un’attività
di lavoro autonomo per professione abituale e non già
occasionalmente, sia una ingiustificata equiparazione tra
redditi di impresa e redditi di lavoro autonomo). La decisione,
peraltro, sottolinea come l’elemento organizzativo sia
connaturato alla nozione stessa di impresa, così da doversi
ritenere mancante il presupposto dell’imposizione nel caso di
attività professionale che difetti di tale elemento.
Con riferimento agli immobili non censiti, la
Corte ha ritenuto che la previsione di liquidazione dell’imposta
sulla base del valore venale dichiarato dallo stesso
contribuente - pur se in ipotesi uguale o superiore a quello
successivamente stimato dall’UTE - non introduce una
disparità di trattamento tra i contribuenti (per i quali vale
in ogni caso la regola della non rettificabilità della
dichiarazione da parte dell’ufficio finanziario), né intacca
il principio di capacità contributiva e quello di buon
andamento della pubblica amministrazione (sentenza n. 164).
3. - LE FONTI
3.1.-La delega legislativa e i decreti
delegati(art. 76 Cost.) Sull’ampiezza dei poteri conferiti
con delega legislativa, la Corte torna nuovamente a vagliare la
disciplina della circolazione stradale adottata dal Governo, su
delega del Parlamento, nell’opera di riordino del codice della
strada previgente (sentenza n. 251). Con questa
decisione, la Corte – che già aveva dichiarato l’illegittimità
dell’art. 120 del nuovo codice della strada, nella parte in
cui stabiliva la revoca della patente di guida nei confronti
delle persone che erano state in passato sottoposte a misure di
sicurezza personale – ha colpito la medesima disposizione
nella parte in cui la revoca viene inflitta ai soggetti già
sottoposti a misure di prevenzione. Anche in questo caso vale la
ratio seguita per la prima declaratoria di
incostituzionalità, in quanto non può consentirsi che il
legislatore, delegato per il mero "riesame e riordino"
del codice della strada, introduca norme sostanzialmente
innovative e improntate a maggior rigore rispetto al sistema
legislativo preesistente.
Escludendo viceversa l’eccesso di delega
denunciato, la Corte ha dichiarato non fondata la questione
finalizzata a sottrarre al vigente divieto di arbitrato,
previsto per le controversie riguardanti i programmi di
ricostruzione dei territori colpiti da calamità naturali, le
controversie relative al programma straordinario di edilizia
residenziale per Napoli (sentenza n. 376). Osserva la
Corte che tale divieto, per inequivoca scelta del legislatore,
enuncia una regola di carattere generale riguardante le
controversie relative a tutti i programmi di ricostruzione di
territori colpiti da calamità naturali, in ragione sia del
rilevante interesse pubblico da cui risulta permeata la materia,
sia dell’elevato valore delle controversie e della conseguente
entità dei costi che il ricorso ad arbitrato comporterebbe per
le pubbliche amministrazioni interessate.
Con riguardo specifico all’osservanza dei
termini fissati per l’esercizio della funzione legislativa
delegata, la Corte riconduce al rapporto di necessaria
derivazione dalla originaria delega conferita al Governo, anche
il decreto legislativo che sia emanato in funzione di
"correzione o integrazione" delle norme delegate già
emanate e che non può, dunque, dare attuazione tardiva, cioè
per la prima volta, alla stessa delega legislativa (sentenza
n. 206).
La violazione dell’art. 76 Cost. può
inoltre costituire motivo di ricorso (nella specie proposto
dalla Corte dei conti) per conflitto di attribuzione tra poteri
dello Stato, a tutela del principio di legalità (che, secondo
la Costituzione, presiede all’ordinamento dei poteri della
Corte dei conti) quando l’intervento legislativo del Governo
sulla disciplina dei casi e delle forme del controllo attribuito
alla suddetta Corte non trovi giustificazione nella delega
legislativa (sentenza n. 139).
4. - ORDINAMENTO DELLA REPUBBLICA
4.1.-Princìpi in tema di elezioni
In tale materia, con due pronunce di
accoglimento delle prospettate questioni, la Corte ha fatto
applicazione del principio di eguaglianza-ragionevolezza e, in
un caso, anche della ratio decidendi di una precedente
decisione resa su norma analoga (sentenze n. 287 e n. 350).
Con la prima è stato dichiarato illegittimo,
in quanto irrazionale ed ingiustificato nel quadro di una
disciplina sostanzialmente unitaria della materia e di
depenalizzazione degli illeciti, che - per il reato di mancata
indicazione del nome del committente responsabile su determinate
pubblicazioni di propaganda elettorale, commesso in occasione di
elezioni amministrative - sia previsto un trattamento
sanzionatorio più severo rispetto a quello, invocato come tertium
comparationis, disposto per la corrispondente condotta
tenuta in occasione di elezioni politiche.
La seconda decisione - resa in tema di cause
di ineleggibilità nel sistema adottato nella Regione Valle d’Aosta
per le elezioni a sindaco e a vicesindaco - adotta la stessa ratio
che aveva condotto alla dichiarazione di illegittimità di un’analoga
norma statale, ritenendo contrastante con il principio di
eguaglianza-ragionevolezza l’aver riservato un trattamento
diverso e più gravoso, cioè l’ineleggibilità, ad una
circostanza impediente (l’essere cioè congiunto di un
appaltatore del Comune) di minor peso rispetto a quella (di
appaltatore in proprio) che dava, invece, luogo a semplice
incompatibilità in base alle stesse norme.
4.2.-Il Parlamento - L’immunità per i
voti e le opinioni (art. 68 Cost.)
La Corte ha confermato, al fine dell’immunità,
la necessità di un "nesso funzionale" tra l’attività
parlamentare e le opinioni espresse da membri del Parlamento al
di fuori della sede propria (delle attività parlamentari); ed
ha ribadito che non possono ritenersi coperte dalla garanzia
prevista dall’art. 68 della Costituzione le dichiarazioni rese
da un parlamentare, nel corso di un programma televisivo, del
tutto al di fuori di un’attività funzionale riconducibile
alla qualità di membro della Camera, dovendosene escludere ogni
carattere divulgativo di opinioni espresse in Parlamento e non
potendo avere rilievo altri atti compiuti dallo stesso deputato,
privi di una precisa relazione di contenuto con le dichiarazioni
incriminate (sentenza n. 289). Né la prerogativa
parlamentare può essere riferita a comportamenti materiali,
tipo quelli qualificati come resistenza a pubblico ufficiale (sentenza
n. 137).
4.3.-I princìpi sul pubblico impiego(art.
97 Cost.)
E’ stata dichiarata non fondata la
questione della compatibilità tra esercizio della professione
forense e condizione di pubblico dipendente in regime di tempo
parziale, nella quale venivano in evidenza i princìpi dell’integrità
ed effettività del diritto di difesa del patrocinato, e quelli
di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione,
nonché di eguaglianza tra professionisti (sentenza n. 189).
La Corte, nel rigettare la questione proposta dal Consiglio
nazionale forense, ha tra l’altro sottolineato come la norma
liberalizzatrice dev’essere inscritta in un contesto in cui,
da un lato, la disciplina del tempo parziale nel pubblico
impiego, quale in concreto disegnata dal legislatore, va
certamente nella direzione di promuovere il valore dell’efficienza
della pubblica amministrazione, e dall’altro, in modo tutt’altro
che irragionevole, tende a favorire l’accesso alla libera
professione (ossia ad un àmbito del mercato del lavoro che è
naturalmente concorrenziale per tutti i soggetti in possesso dei
prescritti requisiti); ciò tanto più considerando l’evoluzione
normativa in atto (d.lgs. n. 96 del 2001), riguardante proprio l’attività
forense, finalizzata a consentire l’esercizio permanente della
stessa attività da parte degli avvocati che siano cittadini di
uno Stato membro dell’Unione europea. In tema di
giurisdizione, è stata confermata la legittimità della
disposizione che espressamente ricomprende tra le controversie
relative ai rapporti di lavoro devolute al giudice ordinario
anche quelle concernenti il conferimento e la revoca degli
incarichi dirigenziali (sentenza n. 275). Osserva la
Corte che la scelta del legislatore di fondare e modellare tutti
i rapporti di lavoro dei dipendenti della amministrazione
pubblica, compresi i dirigenti (per i quali è scomparsa ogni
differenziazione relativa alla dirigenza generale), secondo il
regime di diritto privato, è coerente con l’affidamento, in
base ad una esigenza di unitarietà della materia, delle
relative controversie di lavoro alla giurisdizione del giudice
ordinario e si inquadra nella tendenza di rafforzare la
effettività della tutela giurisdizionale, in modo da renderla
immediatamente più efficace, anche attraverso una migliore
distribuzione delle competenze e delle attribuzioni
giurisdizionali.
La Corte non ha mancato, poi, di ribadire il
limite di applicabilità del principio di buon andamento dei
pubblici uffici, il quale non può riferirsi all’attività
giurisdizionale in senso stretto, bensì soltanto all’organizzazione
e al funzionamento dell’amministrazione della giustizia (sentenza
n. 115).
4.4.-Gli organi ausiliari: la funzione di
controllo della Corte dei conti(art. 100 Cost.) La Corte, a
tutela delle specifiche attribuzioni di controllo della Corte
dei conti ed accogliendo il ricorso dell’organo contabile, ha
annullato la disposizione contenuta in un decreto legislativo
delegato, con il quale - al di fuori della delega conferita
dalla legge - il Governo aveva inciso, riducendone l’àmbito,
in materia di controllo (spettante alla stessa Corte dei conti)
sulla gestione finanziaria degli enti cui lo Stato contribuisce
in via ordinaria (sentenza n. 139).
4.5.-Il rapporto tra competenze statali e
competenze regionali (o provinciali)
La materia risentirà in futuro delle
modifiche al titolo V, parte seconda della Costituzione,
apportate dalla legge costituzionale n. 2 del 2001, approvata
dal recente referendum popolare del 7 ottobre 2001. Le
richiamate decisioni sono tutte anteriori alla entrata in vigore
delle predette modifiche.
Circa la questione delle indebite
interferenze nelle competenze provinciali derivanti da atti
regolamentari dello Stato, la Corte – in continuità con una
linea giurisprudenziale di salvaguardia di tali competenze
(siano esse regionali o provinciali) nei confronti dell’attività
dell’esecutivo – ha giudicato illegittima la previsione di
legge riguardante un illimitato (riferibile cioè a tutto l’àmbito
delle rispettive competenze e non circoscritto alle norme
tecniche) obbligo di conformazione alla normativa secondaria
statale, posto a carico delle Province autonome (sentenza n.
84). Ed ha riaffermato che non può essere consentita l’emanazione
di atti ministeriali che invadano le funzioni amministrative
riservate alla competenza regionale e provinciale, lasciando a
quest’ultima soltanto lo spazio per la mera esecuzione,
contraddicendo quindi i canoni che devono informare il rapporto
tra la legislazione statale e quella regionale e provinciale (sentenza
n. 272).
La Corte ha invece respinto un altro ricorso
per conflitto sollevato dalla Provincia di Bolzano, ritenendo
che i controlli effettuati dal Comando dei carabinieri (NAS di
Trento) presso gli ospedali di Bolzano e Brunico, non
costituissero una illegittima invasione delle attribuzioni
spettanti alla Provincia di Bolzano in tema di vigilanza e
controllo sull’attività amministrativa e finanziaria degli
enti sanitari e ospedalieri (sentenza n. 97).
4.6.-I limiti alla potestà legislativa
regionale Si è già detto del principio unitario sancito
dall’art. 5 della Costituzione.
Altro limite inderogabile alla potestà
legislativa regionale (operante anche nei confronti delle
autonomie speciali) è costituito dalla riserva in via esclusiva
alla legislazione statale di determinate materie, sicché non
può essere consentito che sulle stesse materie legiferino le
Regioni. Così, la Corte ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale di una legge della Regione Siciliana che aveva
istituito un Comitato regionale per la sicurezza, disponendo
dunque nella materia dell’ordine e della sicurezza pubblica,
con attività che il Presidente della stessa Regione può
svolgere solo a mezzo della Polizia dello Stato e non attraverso
organi o uffici regionali (sentenza n. 55).
Di contro, è stata ritenuta conforme alle
direttive della legge di delegazione, la scelta compiuta dal
legislatore delegato di conferire ai Comuni le funzioni e i
còmpiti amministrativi - già di competenza del questore -
relativi al rilascio delle licenze concernenti le agenzie di
affari, poiché in questo caso non può dirsi che l’interesse
alla sicurezza e all’ordine pubblico assuma, rispetto allo
sviluppo delle comunità locali, un rilievo talmente preminente
da imporre, quale soluzione costituzionalmente obbligata, che le
funzioni e i compiti in materia siano attribuiti non all’autorità
locale, ma a quella di pubblica sicurezza (sentenza n. 290).
La stessa decisione ha sottolineato come debba escludersi che
ogni potestà amministrativa in campo economico debba essere
necessariamente posta sotto la tutela di quest’ultima
autorità.
4.7.-L’ordinamento degli enti locali
La Corte ha riconosciuto alla Regione Friuli-Venezia Giulia,
nell’esercizio della sua discrezionalità legislativa in tema
di "ordinamento degli enti locali", il potere di
disporre, oltre che della istituzione di altri enti locali non
necessari (quali sono le comunità montane), anche del potere
speculare della relativa soppressione, una volta ritenuta l’inutilità
della loro sopravvivenza ai fini per i quali siano stati
istituiti: non sussiste, infatti, un principio generale dell’ordinamento
o una norma fondamentale che precluderebbe alla Regione un
simile potere (sentenza n. 229). Così, ancora, è stato
ritenuto che rientra nelle competenze della Regione Sardegna l’istituzione
di nuove province nel suo territorio, nei limiti derivanti dalla
Costituzione e dai princìpi dell’ordinamento giuridico della
Repubblica, alla luce della riforma statutaria introdotta dalla
legge costituzionale n. 2 del 1993, e in virtù della capacità
derogatoria delle norme statutarie speciali rispetto alla
generale disciplina dettata dall’art. 133, primo comma, della
Costituzione per le regioni di diritto comune (sentenza n.
230).
4.8.-Il principio collaborativo tra Stato
e regioni Il consolidato principio di una doverosa e
"leale collaborazione" tra Stato ed enti regionali (o
provinciali) esige "procedimenti non unilaterali", che
contemplino la partecipazione della Regione interessata, nel
corso di determinate procedure (sentenza n. 288), nella
forma della "intesa" (sentenza n. 342) o
comunque di interventi consultivi.
A conferma di ciò sta la dichiarazione di
illegittimità costituzionale di un decreto legislativo adottato
senza che fosse stato previamente acquisito il parere della
Regione Veneto in ordine all’attivazione del potere in via
sostitutiva del Governo nei confronti della Regione medesima,
inadempiente rispetto ad interventi legislativi cui essa era
tenuta (sentenza n. 110); nonché della previsione di un
atto di indirizzo e coordinamento governativo adottato senza la
particolare procedura prescritta, la quale esige la
consultazione degli enti regionale e provinciali per la Regione
Trentino-Alto Adige (sentenza n. 314). Ancora, è stato
pronunciato l’annullamento di atti governativi impugnati per
conflitto di attribuzione, a cagione sia della rilevata mancanza
della prevista consultazione delle Regioni interessate nella
procedura di adozione dell’atto medesimo (sentenza n. 179),
sia della inosservanza della procedura di "intesa" o
in contraddittorio con la Provincia ricorrente (sentenza n.
313).
Vale ancora ad inficiare la validità dell’atto
legislativo statale il fatto che nella definitiva sua adozione
il Governo si sia discostato dalla intesa pur raggiunta (in
questo caso, nell’àmbito della Conferenza Stato-Regioni) e
non abbia poi motivato specificamente sulla difformità dal
testo dell’intesa (sentenza n. 206).
4.9.-La libera circolazione fra le Regioni(art.
120 Cost.) A conferma della inderogabilità del principio della
libera circolazione di persone e cose fra le Regioni, è stata
dichiarata costituzionalmente illegittima la norma della legge
della Valle d’Aosta che poneva la condizione della
localizzazione nel territorio regionale per la partecipazione
delle imprese ad appalti di lavori pubblici; condizione ritenuta
irragionevolmente discriminatoria a danno dei soggetti aventi
sede e organizzazione stabile fuori del territorio regionale (sentenza
n. 207).
4.10.-La "irresponsabilità" per
le opinioni e i voti dei consiglieri regionali (art. 122
Cost.)
In sintonia con la linea giurisprudenziale
cui sopra si è fatto ampio riferimento, emersa nei casi dei
conflitti (tra poteri) tra autorità giudiziaria e assemblee
parlamentari, la Corte ha definito un conflitto determinato dall’atto
propulsivo di un procedimento penale a carico di un consigliere
regionale (della Regione Veneto) per le dichiarazioni rese dallo
stesso ad un organo di informazione (sentenza n. 76). Nel
respingere il ricorso della regione, la Corte ha chiarito che
non può essere invocata la garanzia costituzionale della
"irresponsabilità" per le opinioni espresse e i voti
dati dai consiglieri regionali nell’esercizio delle loro
funzioni, sancita dall’art. 122, quarto comma, della
Costituzione, quando risulti evidente la valenza esclusivamente
"politica" delle opinioni espresse, del tutto avulse
dalle funzioni consiliari e da qualsiasi atto tipico relativo a
tali funzioni, neppure indirettamente evocate.
Viceversa, possono dirsi coperte dalla
garanzia della insindacabilità, ai sensi della stessa
disposizione costituzionale, le affermazioni che rappresentino
una illustrazione, in chiave divulgativa, di quanto ha formato
oggetto di un atto tipico delle funzioni esercitate dal
consigliere regionale, anche in ragione della contestualità
degli atti (sentenza n. 276).
Non trova, in ogni caso, copertura
costituzionale, e non può quindi essere ammessa un’estensione
ai consigli regionali della deroga alla giurisdizione contabile,
qual è sancita nei confronti delle Camere del Parlamento, data
la riconosciuta non assimilabilità delle assemblee elettive
regionali alle assemblee parlamentari (sentenza n. 292).
5. - I PRINCÌPI SULLA GIURISDIZIONE E SUL
PROCESSO
5.1.-L’interesse alla speditezza del
procedimento giudiziario
Chiamata a risolvere un conflitto tra poteri
dello Stato, che vedeva contrapposte la Camera dei deputati e l’autorità
giudiziaria, nel quale veniva in evidenza il delicato
bilanciamento dei valori, di pari rango costituzionale, dell’interesse
alla speditezza del procedimento giudiziario e dell’interesse
dell’Assemblea parlamentare allo svolgimento delle sue
attività, la Corte - accogliendo il ricorso della Camera dei
deputati ed annullando i singoli e contestati provvedimenti del
giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano (per
aver questo affermato in termini generali, e senza la concreta
valutazione del contingente impedimento, la priorità di un
interesse costituzionale rispetto ad un altro) - ha riconosciuto
il pari valore dell’interesse del Parlamento, ma non la sua
assolutezza, come era nelle richieste della ricorrente,
escludendo nel contempo la configurabilità di possibili regole
derogatorie del diritto comune (sentenza n. 225).
5.2.- La terzietà e l’imparzialità
della giurisdizione
In applicazione di princìpi ormai
consolidati, e in particolare di quelli relativi alle norme sull’incompatibilità
del giudice, aventi la funzione di presidiare i valori
costituzionali della terzietà e dell’imparzialità della
giurisdizione, la Corte ha nuovamente inciso sull’art. 34,
comma 1, del codice di procedura penale, dichiarato illegittimo
nella parte in cui non prevede l’incompatibilità alla
funzione di giudice dell’udienza preliminare del giudice che
abbia pronunciato o concorso a pronunciare sentenza, poi
annullata, nei confronti del medesimo imputato e per lo stesso
fatto (sentenza n. 224). Si ribadisce, così, la
necessità di evitare il pericolo che le valutazioni demandate
al giudice dell’udienza preliminare siano (o possano anche
solo apparire) condizionate dalla cosiddetta «forza della
prevenzione», e cioè dalla naturale propensione a tenere fermo
il giudizio precedentemente espresso in ordine alla medesima res
iudicanda.
5.3.- I diritti dell’imputato
Sono state dichiarate non fondate le
questioni riferite all’art. 438 del codice procedura penale,
in ordine ai poteri del giudice e del pubblico ministero nella
fase introduttiva del giudizio abbreviato, in particolare dopo
le modifiche dell’originaria disciplina introdotte dalla legge
n. 479 del 1999, la quale ha inciso profondamente sulla
disciplina di tale rito anche a séguito di interventi della
giurisprudenza costituzionale e degli inviti al legislatore a
superare la rilevata «distonia dell’istituto con i princìpi
costituzionali» (sentenza n. 115). In particolare, la
Corte ha escluso la configurabilità di una irragionevole
discriminazione tra le parti nella mancata attribuzione all’organo
dell’accusa di uno specifico potere di iniziativa probatoria
onde «controbilanciare» il diritto dell’imputato al giudizio
abbreviato, poiché la posizione del pubblico ministero risulta
caratterizzata dal ruolo svolto nelle indagini preliminari e
dall’assolvimento del dovere di compiere tutte le attività
necessarie in vista delle determinazioni inerenti all’esercizio
dell’azione penale, oltre che dal diritto all’ammissione
della prova contraria.
Con la dichiarazione di illegittimità
costituzionale dell’art. 302 del codice di procedura penale,
nella parte in cui non prevede che le misure cautelari
coercitive diverse dalla custodia cautelare e quelle
interdittive, perdano immediatamente efficacia ove il giudice
non proceda all’interrogatorio entro il termine previsto (dall’articolo
294, comma 1-bis), la Corte sottolinea - richiamando i
propri precedenti sul tema - l’identità di funzione dell’interrogatorio
con riguardo a tutte le misure cautelari personali, custodiali e
non, poiché tutte limitano la libertà della persona, incidendo
negativamente sulla sua attività di lavoro e sulla vita
sociale, e dunque identica deve essere la sanzione processuale
quando non si ottemperi all’interrogatorio nel termine
prescritto (sentenza n. 95).
PROSPETTI STATISTICI
Pronunce del 2001
omissis |