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I giornali negli ultimi
tempi ci hanno raccontato le scuole di ogni ordine e grado a forza di
bulli, sesso in aula filmati col telefonino, droga, arrivo prossimo
venturo dei Nas. Ma la crisi dell'istruzione pubblica è lì? Non credo.
In teoria la scuola potrebbe essere sanissima, malgrado quegli episodi.
O malatissima, pur in assenza di quegli episodi. E' il suo trantran che
ci dice quale scuola abbiamo, non il caso straordinario che finisce sui
giornali. Cerco di chiarire ciò che voglio dire. Tutto il Novecento è attraversato da un lato dall'idea che l'istruzione di massa sia una necessità ormai improrogabile, dall'altro lato dall'idea che la scuola di massa comporterà la dequalificazione degli studi. Le odierne argomentazioni polemiche contro la scuola che non funziona non sono affatto nuove, ma vecchie di cento anni e più. Gli insegnanti - si scriveva già un secolo fa - sono ignoranti e incapaci, per di più abbrutiti dai bassi stipendi. I giovani - si scriveva già un secolo fa - sono inebetiti dalla lettura corruttiva dei romanzi, dai fumetti, persino dalla penna a sfera che distruggerà la bella pensosa grafia, senza la quale diventerà impossibile accedere a un impiego. Qual è allora il fatto veramente nuovo? Io direi così: negli ultimi quarant'anni, tra mille ostacoli, tra mille mediazioni, si è cercato di fare una scuola per tutti, una scuola rivolta a limitare gli effetti delle disuguaglianze di partenza. Questo tentativo generoso ha portato allo scoperto tutti i problemi dell'istruzione di massa senza risolverne nessuno. Come insegnare bene a tutti? Cosa insegnare? Come rimuovere gli ostacoli di partenza? Come imparare a non confondere la diligenza con l'intelligenza? Istruire tutti significa necessariamente il trionfo della semplificazione? Dare a tutti gli strumenti per accedere alla complessità è impossibile? A fine anni '70 gli insegnanti protagonisti di quel tentativo erano già finiti nell'ingorgo delle loro stesse buone intenzioni e cominciava il declino del docente innovatore pre e post sessantottesco, declino che dura fino a oggi. Qui è inutile scavare
nelle ragioni extrascolastiche di quel fallimento: economia, politica,
cultura di quegli anni. Restiamo a scuola e vediamo di capirci. Se sono
un insegnante volenteroso, vado in classe tutte le mattine per fornire
educazione e istruzione di qualità a tutti i miei studenti. Ma mi
accorgo presto che primo, nessuno mi sostiene veramente in questo mio
sforzo, tra l'altro mal remunerato, di non perdere nessuno dei miei
studenti; secondo, che io stesso non sono stato formato, non ho gli
strumenti - forse bisognerebbe dire non ho la testa - per perseguire un
obiettivo così alto; terzo, che l'istituzione dentro cui lavoro non è
stata pensata per questo, ma solo per prendere atto delle disuguaglianze
così come si manifestano attraverso incapacità e demerito; quarto, che
lo stesso sistema è incapace di assorbire intelligenza di massa, tant'è
vero che i miei alunni - ormai laureati - riappaiono di tanto in tanto a
scuola per dirmi che o sono disoccupati, o fanno lavori precari
lontanissimi dalla loro specializzazione o tentano la fuga all'estero.
Butto insomma le mie energie inseguendo un obiettivo che, anno
scolastico dietro anno scolastico, riesco sempre meno a raggiungere. Mi
trovo chiuso tra scuola di ratifica delle disuguaglianze e scuola facile
o, peggio, faccio una scuola facile e insieme di ratifica delle
disuguaglianze. Così oggi siamo fermi qui. Pretendiamo dagli insegnanti cose contraddittorie: gli chiediamo di dare a ciascun allievo una buona istruzione; ma lo mettiamo dentro un'istituzione che funziona solo se espelle coloro che non sa o non può integrare. Poiché non si capisce come fare bene la prima cosa e nessuno si sente di sposare fino in fondo una selezione rigorosa, l'intera macchina gira sempre più faticosamante e disperatamente a vuoto. La crisi dell'istruzione
oggi è né più né meno che la crisi dell'istruzione di massa, la crisi
del diritto di tutti allo studio. Ma nessuno lo dice con chiarezza
politica. E questo non è bene, perché i protagonisti della scuola -
studenti e insegnanti - hanno urgentissimo bisogno di un'idea chiara di
scuola. Che si venga, dunque, allo scoperto senza peli sulla lingua. Perché non dicono a chiare
lettere che la privatizzazione della scuola pubblica, totale o parziale
che sia, è l'unica soluzione per ottenere una scuola che torni a
selezionare i capaci e i meritevoli senza perdere tempo con tutti gli
altri? Perché non dicono che vogliono tornare a una scuola con
canalizzazioni precoci ed esplicitamente concepita per individiduare gli
eccellenti? Altrettanta chiarezza, per un dibattito politico proficuo, va chiesta a chi difende la scuola pubblica fino al punto di negarne la crisi. Tutto funziona per il meglio? Forniamo già istruzione di elevata qualità a tutti, dalle elementari all'università? Lavoriamo già efficacemente a limitare gli effetti delle disuguaglianze? Se la scuola deve restare rigorosamente pubblica, perché si flirta con le tesi neoliberiste? Se la scuola pubblica va sostenuta fino in fondo come un bene essenziale, perché le tagliamo i fondi? Se l'istruzione di massa deve essere di qualità elevata (e deve esserlo, altrimenti a che serve?), perché si bara, perché si semplifica, perché si fa una scuola facile che frustra gli insegnanti e annoia gli studenti, non li appassiona? E' urgente, insomma, riconoscere la crisi, analizzarla nella sua prassi quotidiana, nel rito degli atti dovuti. Temo invece che oggi si spari ogni giorno su falsi bersagli puntando in segreto a bersagli veri. Non giova. Va individuato come e dove e perché s'è arenata la grande esperienza di rinnovamento cominciata a fine anni '50. Intanto bisogna uscire da categorie generiche. Per esempio, non esistono i professori, non esistono gli studenti, non esiste la scuola. Ci sono solo realtà specifiche che andrebbero studiate per capire il da farsi. Per esempio, ci sono professori che lavorano bene, professori che lavorano male ma in condizioni diverse potrebbero lavorare bene, e professori che non lavorano affatto; studenti che studiano bene e benissimo pur essendo stati allevati nell'era dell'elettronica, altri che darebbero molta soddisfazione se le cose funzionassero diversamente, altri che si perdono; ci sono scuole ben organizzate e scuole dove regna il caos; c'è la scuola elementare, quella media, quella superiore, l'università e c'è un generale invecchiamento dell'età degli insegnanti, cosa che è sicuramente un male. Basterebbe un controllo serio sulle scuole peggio gestite. Basterebbe non lasciare soli gli insegnanti e gli studenti nelle situazioni più degradate o più a rischio. E già funzionerebbe un po' meglio il comune trantran. Ma funzionare un po' meglio dovrebbe servire solo a tirare il fiato, a riorganizzare l'esistente. Poi bisognerebbe andare al cuore dei problemi. Il cuore è questa domanda: quale scuola vogliamo? Una scuola di qualità per Franti, l'infame del Cuore, o una scuola di qualità per i soli capaci e i soli meritevoli? Una scuola di qualità che sia tale perché espelle i Franti o una scuola di qualità capace di trasformare Franti in capace e meritevole?
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