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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
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GIOVANNI PAOLO II E LE PERSONE CON DISABILITA’

            Ora che il rumore assordante del bombardamento mediatico sul Papa, che ha impudicamente ostentato la sua immagine sofferente, sembra essersi abbastanza allontanato, desidero comunicare una mia piccola testimonianza del suo rapporto con le persone con disabilità.

            Moltissime volte nei suoi discorsi , nei suoi documenti e negli incontri diretti, ha parlato alle e con tali persone. Però , mentre nella lettera apostolica “Salvifici doloris”  egli sembra    ripetere una pastorale preconciliare rivolta all’esaltazione del dolore, in molti altri scritti, primo fra tutti l’enciclica “Laborem exercens”, egli ha con forza  affermato la dignità delle persone con disabilità che si realizza tramite il riconoscimento dei loro diritti all’integrazione scolastica, lavorativa e sociale ed anche nella comunità ecclesiale  non come  oggetto passivo di assistenza, ma come soggetti attivi.

            Fondamentale in tal senso resta la predica  pronunciata in occasione del Giubileo straordinario  delle comunità con le persone handicappate,  svoltosi  il 31 Marzo 1984.

            Tale suo illuminante discorso mi aiutò a svolgere il mio intervento al Sinodo mondiale  sui laici del 1987, in cui dovevo affrontare il difficile tema del “ valore salvifico della sofferenza e della croce” nell’esperienza di vita delle persone con disabilità. Il rischio era, allora, di dover ripetere  i tradizionali orientamenti pastorali che , anche  per molti di noi credenti, risultavano vcchi ed alienanti. Fu allora il ricordo di quel famoso discorso del Papa a suggerirmi un taglio diverso, fortemente sentito  nel mondo delle persone  con disabilità che credono nel Cristianesimo e che pertanto  è facilmente comprensibile a loro, ma forse può avere pure un certo interesse per quanti  hanno la fede nel sentirsi laici più che in una confessione religiosa.

            Mi permetto riportarlo, affinché si possa giudicare se la sbornia mediatica sulla sofferenza sarebbe stata gradita al Papa che la viveva profondamente, ma con un senso che, a mio avviso, è quello contenuto nella sua predica di allora, rivolta a noi.

 

 

SOLO LA TESTIMONIANZA DI GESU’ RISORTO DA’ SENSO ALLA CROCE DELLA SOFFERENZA

di Salvatore Nocera

(testo dell'intervento al sinodo mondiale sui laici del 7/10/1987)

Reverendissimi Padri Sinodali,

siamo soci e dirigenti del Movimento Apostolico Ciechi, as­sociazione ecclesiale riconosciuta dalla Conferenza Episcopale Italiana e dallo Stato, composta da oltre 5000 laici volontaria non vedenti e vedenti, che operano in moltissime Diocesi italiane con iniziative di cooperazione sanitaria e scolastica.

Da dopo il Concilio Vaticano II, noi soci del MAC lavoriamo per favorire l'integrazione sociale ed ecclesiale dei milioni dì disabili in Italia e nel Terzo mondo.

In queste attività abbiamo incontrato, in Italia e nel Terzo mondo, migliaia di disabili; abbiamo conosciuto credenti che hanno trovato nella fede in Gesù il senso della loro vita di minorati; abbiamo conosciuto non credenti che si sforzano di trovare nel valore della persona umana l'antidoto all'angoscia nichilista che li attanaglia; abbiamo conosciuto non credenti che, dopo un faticoso cammino interiore hanno incontrato sulla loro strada di sofferenza Gesù; abbiamo conosciuto pure, però, credenti che sono caduti sotto il peso della croce delle loro sofferenze fisiche e morali e non hanno trovato un cireneo che li abbia soccorsi e non sono più riusciti a rialzarsi; Dio solo conosce il dolore abis­sale di quanti precipitano, a causa delle minorazioni, dalle cer­tezze della fede in Dìo, alla nausea di vivere.

Anche molti di noi hanno attraversato, in certi momenti determinanti della vita, l'angusto sentiero del dubbio, della dispe­razione e della ribellione.

Se non siamo rimasti anche noi schiacciati, lo dobbiamo all'e­sperienza di vita d'impegno apostolico vissuto nel MAC ed in al­tre comunità che ci hanno dato una formazione fondamental­mente basata sulla gioia della Risurrezione.

Reverendissimi Padri, ecco quello di cui chiediamo di parlarVi, perché Voi, comprendendo il retto desiderio che ci guida, vogliate dare una parola di speranza e di fiducia, non patemalistica e pietistica, ma promozionale, a quanti quotidianamente speri­mentano nella loro carne e nel loro spirito il pungolo del dolore. Ancora oggi, troppo spesso, molte persone educate religiosa­mente e, talora, anche troppi sacerdoti e vescovi, sì rivolgono ai disabili dicendo loro: «voi soffrite su questa terra, ma sicuramen­te godrete in Cielo».

A noi non vedenti, più particolarmente, troppo spesso ancora dicono: «non avete la luce degli occhi, ma certamente avete quella dell'anima». Addirittura talora, quando siamo nelle fasi più acute delle nostre ricorrenti crisi esistenziali ci sentiamo an­nunciare una grande verità di fede, che però, trasmessa spesso a noi da chi in quel momento non soffre, viene da noi rifiutata; ci si dice cioè «voi siete dei prediletti del Signore, perché parteci­pando alle sofferenze del Cristo, contribuite col vostro dolore al­la redenzione del mondo».

Questa formazione è stata di più facile accettazione per le persone handicappate ed i loro familiari che oggi sono anziani; per i giovani d'oggi, questo atteggiamento pastorale non raggiunge lo scopo di riconciliare le persone disabili con quelle non handicappate.

Noi andiamo verificando sempre più negli altri e in noi stessi che oggi i disabili incontrano più facilmente Gesù risorto, prima di riconoscerLo crocifìsso.

Per questo a nome di tutti i disabili che conosciamo in Italia e nel Terzo Mondo, Vi chiediamo di completare i paragrafi 49 e 72 dell’Instrumentum laboris, laddove si parla solo del valore salvi­fico della Croce di Cristo, con il discorso della Sua Risurrezione e con ciò che per noi disabili la Risurrezione di Gesù significa, non solo nell'altra vita, ma già a partire da questa come anticipazione della gioia eterna.

Quest'annuncio di gioia, lo abbiamo sperimentato nella soli­darietà dei volontari, degli obiettori di coscienza e di tutti coloro che condividono con noi la loro vita, per aiutarci a superare l'e­marginazione purtroppo ancora imperante in molti ambienti, an­che ecclesiali.

Questo senso salvifico, già su questa terra, della Risurrezione di Gesù ce lo ha annunciato il Santo Padre Giovanni Paolo II nell'omelia dell'indimenticabile incontro della «Giornata Giubi­lare della Comunità con le persone handicappate» del 31 Marzo 1984.

Consentiteci di ripetere quelle parole, da noi accolte come un vero annuncio di rinnovamento e che consideriamo come il capi­tolo conclusivo della lettera apostolica Salvifici Doloris: «Le vostre attese, pur passando attraverso il mistero del dolore in­nocente, sono rivolte verso la  Risurrezione dell'uomo intero, verso la liberazione anzitutto dai condizionamenti del peccato, ma a che da quelli della malattia e di ogni forma di menomazione fisica e psichica».

«.Cristo Gesù offre la salvezza totale dell'uomo».

«Il Regno di Dio tende alla pienezza dell'incontro dell'uomo col suo Creatore e Padre, ma la fede nella reale possibilità di tale in­contro è suscitata dalle opere dell'amore».

«Tocca a noi, chiesa, comunità messianica, continuare tale opera di redenzione compiuta dal Signore, operando con fede perché i nostri fratelli più deboli - qualunque sia la loro menomazione -siano sollevati e anche liberati dalle loro pesanti situazioni».

«Un aiuto fondamentale che dobbiamo offrire ai nostri fratelli e sorelle sofferenti è quello di essere noi credibili mediante opere d'amore, affinchè essi siano aiutati ad accettare il misterioso disegno divino sulla loro croce».

«La croce, a sua volta, contiene un intrinseco ed insopprimibile orientamento verso la vittoria della Risurrezione, La meta della salvezza redentrice è il recupero dell'intero essere umano: spiri­tuale e fisico, dell'anima e del corpo. Così sarà nella fase definitiva del Regno di Dio. Da qui nasce l'urgenza imprescindibile dell'im­pegno del cristiano per anticipare la pienezza di vita e di gioia che costituirà l'esperienza dell'eternità».

«Come anticipare tale esperienza dì vita e di gioia, tale vittoria sul­la sofferenza anche nel corpo?».

«Ciò si realizza anzitutto nell'unione degli animi e dei cuori, nel­l'effettiva condivisione della sofferenza».

«Questi nostri fratelli e sorelle devono sentirsi effettivamente tali in mezzo a noi e non solo degli assistiti. Le comunità cristiane devo­no offrire segni evidenti di credibilità».

Di "questa vittoria" della Risurrezione siamo testimoni tutte le volte che vediamo la comunità coordinare i suoi sforzi, le sue leggi, i suoi mezzi finanziari, per garantire ai disabili l'integrazione scolastica, lavorativa, sociale ed ecclesiale, anche per il tramite delle moderne tecnologie e attraverso la programmazione dei servizi pubblici o delle convenzioni con Enti privati e con Orga­nismi di volontariato.

"Questa vittoria" della Risurrezione l'abbiamo sperimentala tutte le volte che abbiamo partecipato, come membri attivi, anche se minorati, alla vita delle comunità ecclesiali, come alunni delle lezioni di catechesi o come catechisti (in questo istante il nostro pensiero va a tutti i ciechi che sono catechisti nelle comu­nità ecclesiali in tanti Paesi del Terzo mondo), come lettori du­rante le celebrazioni eucaristiche o come partecipanti al sacra­mento dell'Eucaristia e della Confermazione, anche se taluni di noi sono gravi minorati fisici o mentali; come partecipi del mini­stero della diaconia della carità, nelle Caritas diocesane, nelle as­sociazioni parrocchiali, nelle comunità ecclesiali di base, ove an­che noi, solitamente considerati oggetti passivi dell'amore altrui, diventiamo soggetti attivi.

La nostra croce non e tanto l'handicap che portiamo, quanto l'atteggiamento emarginante a cui la comunità civile ed ecclesia­le spesso ci costringe.

Reverendissimi Padri, formate il clero e i laici a questo modo rinnovato di sentirci, noi disabili, soggetti attivi che collaborano all'avvento del Regno di Gesù, già a partire da questa nostra vita terrena, attingendo forza e speranza dalla Risurrezione di Gesù.

Invitate i sacerdoti, gli ordini religiosi, gli Istituti secolari che gestiscono grossi Istituti speciali, in ciascuno dei quali sono ospi­tati centinaia dì handicappati, a ristrutturarli in day-hospital, in comunità alloggio, case famiglia e servizi di consulenza domici­liare alle famiglie che si trovano in gravi difficoltà e spesso si smembrano perché lasciate ancora troppo sole nell'educazione particolare dei loro figlioli handicappati.

Date questo annuncio anche a quella parte del mondo che, ri­tenendoci "invalidi", secondo la logica del consumismo e dell'ef­ficientismo, ci vuole eliminare con l'aborto o l'eutanasia.

Vi chiediamo scusa se ci siamo permessi di sottoporVi questi problemi nel momento in cui milioni di uomini di tutte le razze muoiono per la guerra, la fame, le malattie, le torture.

Ma proprio perché questi flagelli creano ancora più numero­se schiere di disabili, sottoponiamo l'urgente necessità di procla­mare al mondo la gioia e la speranza di costruire insieme il "Re­gno di giustizia, di amore e di pace" indicato dai profeti, cantato dalla Madonna nel Magnificat, instaurato da Gesù e fortemente richiamato dal Concilio Ecumenico Vaticano II.

Salvatore Nocera

 


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