Un quesito un po' curioso e, di fronte a problemi ben più drammatici, forse di scarso rilievo.
Sono il presidente di una cooperativa che gestisce, con presa d'atto e riconoscimento ufficiale della Provincia Autonoma di Bolzano, che rilascia e riconosce i diplomi, una scuola professionale privata nel settore cinetelevisivo, frequentata da un numero di alunni molto inferiore alla soglia di 100, che non verrà mai superata nemmeno in futuro (attualmente gli iscritti sono 25).
La scuola è in procinto di trasferirsi in una nuova sede.
Per quanto ai profani possa sembrare curioso, la scuola, che è a numero chiuso e richiede il possesso del diploma di maturità, è costretta a esigere dai/dalle candidati/e che partecipano all'esame di ammissione anche caratteristiche precise di idoneità psicofisica che vanno al di là del vero e proprio settore dell'handicap: è chiaro ad es. che un operatore/operatrice cinematografico/a non solo non può essere non vedente, ma nemmeno daltonico/a, che deve avere la forza
fisica sufficiente a portare per molto tempo in spalla una telecamera o una cinepresa che può pesare anche una quindicina di kg, che non esistono in commercio moviole e simili apparecchiature adatte ad essere usate da chi è purtroppo costretto su una carrozzella ecc.
Nella nuova sede (ricavata da un edificio preesistente) ovviamente sarà fatto tutto quanto richiesto dalla legge per l'eliminazione delle barriere architettoniche vere e proprie, ma ci rimane un dubbio: la nuova sede dispone di due normali toilettes, ma non di una toilette per handicappati. Crearla, date le particolari misure richieste per legge, è per la cooperativa un problema finanziario e architettonico di non facile soluzione.
Considerati questi dati, la scuola (inserita, ripeto, nella formazione professionale della Provincia Autonoma - dal tutto
assimilabile a una Regione -, privata ma riconosciuta dalla Provincia stessa) è obbligata a installare questa particolare attrezzatura a favore di portatori di handicap, o possono bastare le installazioni normali? Faccio presente che nemmeno fra il personale o fra i docenti esistono portatori di handicap, ragion per cui, almeno per il momento, costruire la toilette "speciale" costituirebbe solo un notevole spreco di spazio e di denaro.
Se però esiste un preciso obbligo, faremo di tutto per rispettarlo.
ESISTE UN OBBLIGO, CHE E' QUELLO VERSO LA PERSONA DISABILE CHE E' UN CITTADINO ALLA PARI DEL NORMODOTATO. LA COSTITUZIONE NON FA DIFFERENZE.
La legge punisce chi non rispetta la normativa che prevede obbligatoriamente l'esistenza di una toilette "speciale" in ogni edificio pubblico.
Dove posso trovare materiali , programmi o esperienze didattiche di docenti di sostegno da poter usare con una ragazza insufficiente mentale grave e afasica, o anche siti da cui scaricare qualcosa. Ringrazio per la gentile attenzione.
Vedi https://www.edscuola.it/archivio/handicap/hsoft.htm
Mio figlio, in conseguenza di un aneurisma, ha riportato un’invalidità del 100%. Necessita di fisioterapia e cure specifiche, in quanto non è autosufficiente ed ha bisogno dell’assistenza fisica continua. I medici dichiarano che con cure appropriate forse potrebbe comunque diventare autosufficiente. La neuropsichiatra del Centro di riabilitazione motoria, ove il bambino è in cura, consigliava vivamente di far frequentare l’asilo al bambino fin dall’età di tre anni, in quanto gli avrebbe dato importanti stimoli.
Per quanto riguarda la situazione scolastica del bambino, una maestra di sostegno veniva assegnata alla classe per due ore il giorno, dalle ore 10.45 alle ore 13.00.
Ciò limita fortemente l’orario scolastico del bambino, che non può frequentare le attività che si svolgono dalle 8.30 alle 10.45, per mancanza di personale qualificato, a differenza degli altri bambini che godono dell’orario pieno. Infatti, l’assenza di personale specializzato impedisce al personale generico (maestre ordinarie e bidelli) di garantire l’adeguata assistenza quando non c’è la maestra di sostegno.
Ciò, nonostante il fatto che l’ASL, in seguito a visita medica, abbia ritenuto di assegnare il totale delle ore settimanali a mio figlio in base alla gravità della patologia ed al grado d’invalidità riscontrato.
Inoltre, il fatto che la presenza della maestra di sostegno è garantito esclusivamente nella fascia oraria sopra indicata, si risolve in una ulteriore limitazione del diritto di frequentare l’asilo da parte di Nicola, per il fatto che a volte può trovarsi nelle condizioni psico-fisiche di partecipare alle attività dell’asilo nell’orario 8.30-10.45 e non nell’orario fissato.
Manca inoltre l’assistente sociale che garantisce al bambino ed alla maestra di sostegno l’adeguata assistenza per tutte quelle attività di supporto che sono necessarie in casi come questo, in altre parole, alla preparazione della merenda, della bevanda, al cambio del pannolino, e tutte le altre attività materiali che non rientrano nelle competenze delle maestre.
Da parte del Comune di residenza, non è stata assegnata alcuna Assistente Sociale ma, è stata delegata (dal Dirigente scolastico) la Bidella dell’asilo stesso. Inoltre la Maestra di sostegno e una persona Sessantenne (sicuramente avrà esperienza) ma non è in condizioni idonee da poter eseguire il trattamento di cui necessita il Bambino, cioè; manca dove far sedere il bambino che da solo non si regge, manca il materiale per poter effettuare l’idonea istruzione, manca dove appoggiarlo nell’eventualità (esempio) cambio del pannolino o/e pulizia, mancano giochi adeguati alle sue condizioni, è assolutamente inadeguato l’attuale spazio ove e stato posto il lettino (fornito alla scuola da noi genitori in mancanza di un idoneo piano d’appoggio per le necessità del b.
Quanto alle barriere architettoniche, ci sono Gradinate all’ingresso che ci costringono a sospendere a braccia la carrozzina, Bagni non idonei, e tra le altre cose, senza acqua tiepida (solo fredda) e tante altre che andrebbero menzionate; e dire che i tempi c’èrano per attrezzare in modi idonei la scuola ad ospitare il b.
Sicuramente viene sottovalutato il fatto che e Assolutamente NECESSARIA la presenza costante di una Assistente sociale (in appoggio alla Maestra di Sostegno) trattandosi di Bambino, che tra le altre cose, vive con gravi problemi psicomotori (come dai certificati di cui la scuola è in possesso), per questo motivo necessita dell’assistenza di personale SPECIALIZZATO nella materia, d’appositi supporti strumentali, materiali, nonché di ambiente igienicamente attrezzato e pulito. Ciò viene recitato da tutte le vigenti leggi in materia d’integrazione scolastica, eguaglianza e parità di diritti ecc…ecc…(che tutti già conosciamo), per questi motivi si invita chi di competenza a provvedere con cortese urgenza a ciò che manca e magari effettuare un’ispezione (non annunciata) all’interno di queste scuole per capire come realmente funzionano alcune Istituzioni nel nostro Paese e, in che condizioni sono costretti ha lavorare gli Insegnanti ed operatori vari, nonché, le realtà che vivono i bambini, così da poter prendere i giusti provvedimenti.
In conclusione, credo che mio figlio, in un Istituto Statale nelle attuali condizioni, non potrà continuare a frequentare ancora per molto.
Pertanto, va anche considerato il fatto che tra qualche anno il Bambino dovrà iniziare la scuola dell’obbligo, chiedo alle competenti Autorità di adottare con urgenza le misure opportune per garantire nella scuola di Nicola condizioni tali da consentire a lui ed alla sua famiglia una migliore qualità di vita.
Oltre all'insegnante per il sostegno, è necessario pretendere dal Comune, per le altre due ore giornaliere, un "assistente per l'autonomia", di cui all'art 13 comma 3 L.n. 104/92. Inoltre il Comune ed anche la scuola debbono acquistare i sussidi e gli ausilii didattici, oltre che le attrezzature per poggiare il bimbo quando va cambiato(art 13 comma2).Quanto all'assistenza igienica, essa è di competenza dei bidelli ( Nota ministeriale prot 3390 del 30/11/01).Quanto alle barriere architettoniche, occorre predisporre subito un progetto per l'attivazione di un accessore accessibile o di un "servo-scala".In attesa, il Comune deve acquistare uno "scoiattolo" ( circa Euro 2500), un congegno a batteria che consente ad una sedia a ruote di salire rapidamente le scale.Tale strumento non deve necessariamente reestare alla scuola, quando il bimbo non vi sarà più; ma potrà essere spostato in altre scuole dove si dovesse presentare il problema.
Sono una studentessa di Scienze dell' Educazione e mi trovo momentaneamente a Preston, in Inghilterra, per una borsa di studio.
Devo scrivere un saggio sull' educazione scolastica dei bambini disabili, ripercorrendo le tappe del processo di integrazione nelle scuole italiane.
Sto cercando materiale utile per il mio lavoro e volevo chiederVi se gentilmente potreste inviarmi qualcosa in riguardo, se questo vi e' possibile.
Credo sia importante porsi prima di tutto la domanda del perchè l'integrazione scolastica e comprendere come si è arrivati all’odierno orientamento sulla tematica dell’handicap.
Bisogna risalire ai tre momenti che hanno caratterizzato lo sviluppo della psicologia sia da un punto di vista scientifico-concettuale sia sotto l'aspetto politico-sociale.
(Contributo dal sito della Provincia di Parma)
Parliamo di psicologia, come in questa fase si è posta come disciplina che si proponeva di studiare le leggi generali relative al funzionamento psichico e al comportamento, ma in particolare alle varie funzioni psichiche considerate isolatamente le une dalle altre: la percezione, la memoria, l'apprendimento. A questa prima fase, che ha avuto importanza determinante per lo sviluppo delle fasi successive e che ha consentito, anche per quanto riguarda i fenomeni psichici, di definire in termini precisi certe modalità' di funzionamento della mente umana, ne ha fatto seguito una seconda.
Al successo di questa fase hanno contribuito, certamente in modo significativo, spinte provenienti da altre discipline scientifiche, sia da certe problematiche relative al mondo sociale e alla realtà politica. Questa fase, che sinteticamente si può definire personalistica, ha sottolineato come il compito della psicologia non potesse essere soltanto quello di definire le leggi generali di funzionamento delle singole funzioni considerate isolatamente l'una dall'altra, ma come anche dovesse essere quello di studiare come le varie modalità di espressione comportamentale si realizzassero concretamente all'interno di ogni singolo individuo; cioè in questa fase la psicologia si proponeva di studiare ogni individuo nella sua globalità, sottolineando come il funzionamento psichico sia strettamente interdipendente dal funzionamento dell'organismo. A questa fase, detta anche differenziale ne ha fatto seguito una terza.
In questa terza fase, che possiamo definire come relazionale o sistematica, si sottolineano le interdipendenze che si realizzano fra i singoli individui e fra ogni individuo e le strutture dell’ambiente sociale in cui egli stesso è inserito. Qui si pone l'accento su come nella realtà della vita umana ciò che risulta non è il funzionamento di una attività considerata singolarmente, e non è neppure il funzionamento di un uomo estrapolato dalla realtà in cui vive, ma una interrelazione che si stabilisce tra ciascun individuo. L'individuo quindi non esiste più come entità isolata ma si pone come l'effetto e la causa, nello stesso tempo, di una serie di relazioni nella quale è inserito. Soltanto considerando il complesso di queste dinamiche è possibile comprendere il funzionamento di questo individuo, il perché di certe sue azioni, il significato di certe sue deficienze.
Se dalla premessa di cui sopra si passa a considerare le implicazioni che sono derivate e derivano dal modo di considerare e di affrontare il problema dell'handicap, si può rilevare che:
La prima impostazione, vede l'handicap essenzialmente come una anomalia statistica rispetto al comportamento di una data funzione, di una data attività in una certa popolazione. Oggi, però, non si limita all'annotazione statistica e nosografica della medicina tradizionale, ma tende a considerare sempre da vicino e in modo sempre più approfondito il problema dell'eziopatogenesi dell'handicap e della sua prevenzione. In questa ottica si prospetta, in termini nuovi, un problema da molti anni in discussione e non ancora pienamente risolto, quello connesso alla polemica fra fattori ereditari e fattori ambientali del comportamento, il problema legato alla necessità di chiarire quanto ciò che appare come deviante, rispetto alla norma del comportamento, sia connesso a meccanismi essenzialmente genetici e quanto invece sia legato a influenze essenzialmente ambientali.
La seconda impostazione: l'handicap costituisce essenzialmente una alterazione rispetto al funzionamento di un dato individuo. Essa tende a dimostrare come una disabilità o disfunzione presente in un individuo si configuri quale una realtà non statica ma dinamica non autolimitata ma interdipendente con tutte le altre funzioni della personalità ebbene questo tipo di impostazione tende a considerare la necessità di superare la concezione di natura tipologica che classica tutti i portatori di uno stesso tipo di handicap come una categoria esistenziale definita sulla base di un elemento disfunzionale e non tenendo conto di tutti gli altri elementi, potenzialmente o attivamente presenti, di tipo essenzialmente positivo all'interno di quella personalità. Questo nuovo modo di intendere la situazione ha portato, da un lato, a evitare una classificazione rigida degli handicap dall'altro a sottolineare e a dimostrare come il portatore di un handicap , di una anomalia, di una Disfunzione, diventa un handicappato solo se la sua disfunzione influenza negativamente altri aspetti della personalità, attuando una specie di contagio sull'individuo in toto; e che al contrario l'effetto che l'handicap esercita sul comportamento e sulla personalità può essere circoscritto, può essere attenuato, può essere, nei casi più fortunati, anche annullato se esiste la possibilità di valorizzare in senso positivo tutta una serie di potenzialità o di realtà che caratterizzano ciascun individuo, anche il meno fortunato, e "l'ambiente" in cui vive e cresce. Quindi non classifichiamo nessun uomo in funzione degli aspetti deficitari del suo comportamento, della sua personalità e preoccupiamoci invece di realizzare un recupero di certe funzioni, il raggiungimento di un equilibrio maturativo valorizzando quelle potenzialità che sono sicuramente presenti.
La terza impostazione: In quella di tipo relazionale o sistematico, l'handicap costituisce un segnale che un individuo trasmette ai componenti del suo gruppo, della società. Questa impostazione porta a considerare come le implicanze che l'handicap determina non riguardino soltanto il portatore dell’handicap stesso, ma si estendano a tutto l'ambiente umano in cui egli è inserito e come l'intensità di tale estensione sia proporzionale, al livello di relazione esistente, tanto sul piano formale che su quello psicologico, fra il portatore di handicap e le altre persone. Questa relazione si presenta sempre più come una interrelazione, o relazione a due vie: l'handicap costituisce lo strumento di una comunicazione <non verbale> che si trasmette da chi è il portatore agli altri e che da questi, attraverso un feedback, o circuito di retroazione, ritorna al trasmettitore, che successivamente emetterà un secondo segnale che risulterà in qualche misura modificato dal segnale di ritorno della sua prima comunicazione. In questo senso l'evoluzione del portatore di handicap, l'auto valutazione e l'autopercezione che egli avrà di se stesso e del suo handicap, sarà nettamente e chiaramente influenzata dalle informazioni che egli riceverà come risposta a quella comunicazione che la presenza del suo stesso handicap da' in modo continuativo agli individui appartenenti all'ambiente in cui è inserito ,a seconda che la risposta che egli riceverà sia serena o angosciata , di accettazione o di negazione , di fiducia o di sfiducia.
Prevenzione: L'evoluzione che ha caratterizzato la ricerca psicologica ci consente, oggi, nell'affrontare la realtà del portatore di handicap, di affrontare problemi che si riferiscono ad una prevenzione:
Primaria: necessità di stabilire linee generali che consentiranno di svolgere una prevenzione per le future generazioni <eziopatogenesi e sua prevenzione>;
Secondaria: opportunità, sulla base di un apporto essenzialmente interdisciplinare , di realizzare tutto quanto è possibile per potenziare le possibilità positive esistenti nel portatore di handicap ;
Terziaria: l'impostazione di "tipo sistemico" ci consente di sottolineare, sempre di più, che il problema del portatore di handicap non è il problema di un solo individuo, ma il problema di un gruppo sociale, di una società che , a seconda del modo in cui si porrà di fronte al problema stesso, contribuirà al suo superamento o alla sua persistenza.
Veniamo ora un attimo alla contestazione degli anni 68/69.
Uno degli aspetti più significativi del movimento che si è sviluppato nel mondo occidentale negli anni '68 '69 riguarda la contestazione di tutte le forme discriminative ed emarginati della società contemporanea: e fra le
vittime del "SISTEMA" il riconoscimento, accanto agli svantaggi sociali, e agli svantaggi per età(vecchi e bambini),degli handicappati psico-fisici. Per quanto riguarda in modo specifico il problema degli handicappati, è da ricordare come per molti decenni esso sia stato affrontato in un ottica esclusivamente medico-specialistica, che comportava da un lato l'architettura di ogni persona in funzione del suo deficit (infatti tutti gli appartamenti ad una categoria nosografica venivano percepiti e trattati come relativamente omogenei fra loro),dall'altro lato il suo inserimento in una struttura monospecialistica e la sua separazione dai coetanei e spesso anche dalla famiglia.
Che questa fosse la tendenza è documentato dal fatto che proprio in quegli anni si riscontrava un notevole aumento delle "classi differenziali", di "scuole speciali" e "istituti per minori" come risposta a due bisogni
sociali emergenti collegati uno con il fenomeno dell'emigrazione e l'altro con l'istituzione della scuola media unica .
Inoltre, fra gli handicappati "venivano" compresi anche i "disadattati del carattere e del comportamento": il termine "veniva" cosi estensivamente applicato ad individui portatori di gravi lesioni organiche e/o di gravi
deficit psicologici e/o riconducibili a particolari condizioni socio-familiari.
La contestazione ha giustamente sottolineato l'importanza dei fattori socio-politico-culturali nella genesi e nel recupero degli handicappati e criticato l'impostazione puramente medico-biologico che caratterizzava il
problema e che appariva strumentalizzabile e in effetti strumentalizzata ai fini di una emarginazione di uomini ritenuti meno produttivi. Ma nel rifiuto di una "concezione settoriale" e nell'intento di determinare un rapido superamento della stessa la contestazione era portata almeno nelle sue frange estreme, a negare una qualsiasi incidenza ai fattori medico biologici e primi fra tutti a quelli genetici:
L'eguaglianza di diritti fra tutti i cittadini veniva intesa anche come uguaglianza di posizione di partenza, secondo l'orientamento di un ambientalismo esclusivista: il riconoscimento di caratteristiche ereditarie sembrava in tale ottica comportare l'accettazione di concezioni razzistiche.
Attualmente, tanto l'esclusivismo innatista che quello ambientalista sembrano superati a favore della tesi di interazione fra fattori genetici e fattori acquisiti. In base a tale principio i due gruppi di fattori non si possono dissociare gli uni dagli altri, proprio perché fin dall'inizio essi operano nei termini di una stretta interdipendenza. La contestazione ha presentato quello dell’handicappato come un problema non solo del singolo ma della società, alla quale viene ricondotta la responsabilità nella genesi degli handicap. L’handicappato deve vivere come tutti in mezzo agli altri, perché la sua diversità è un'etichetta impostargli dalla società. Il suo trattamento deve essere essenzialmente pedagogico-sociale e deve coinvolgere il gruppo sociale di cui egli fa parte
Orientamento degli ultimi anni e conseguenze sull'ordinamento scolastico.
L'orientamento che si è sviluppato negli ultimi anni ha valorizzato l'apporto positivo della contestazione, ma ha rivoluzionato quegli aspetti di tale apporto che sembrano sacrificare all'affermazione ideologica il benessere dei singoli individui : ha considerato la necessità che gli handicappati siano inseriti in strutture "normali" , ma ha anche ribadito che per ciascuno di essi dovrà essere studiato l'intervento terapeutico o rieducativo più appropriato e che tale intervento dovrà realizzarsi per quanto possibile nelle strutture "normali". Ciò si potrà conseguire, sempre di più, arricchendo tali strutture in primo luogo la scuola, degli strumenti e delle competenze necessarie.
Questo orientamento fa scaturire nell'istituzione scolastica sostanziali e progressive innovazioni, tra le quali:
a) L. 30/03/1971 n. 118: (Salvo i casi...)
Norme in favore dei mutilati e invalidi civili; il cui art. 28, dopo aver dettato norme sul trasporto gratuito, l'eliminazione delle barriere architettoniche e dell'assistenza degli invalidi più gravi, recita:
"...L’istruzione dell’obbligo deve avvenire nelle classi normali della scuola pubblica, salvo i casi in cui i soggetti siano affetti da gravi deficienze intellettive o da menomazioni fisiche di tale gravità da impedire o rendere molto difficoltoso l’apprendimento o l’inserimento nelle predette scuole normali..."
b) C.M. 08/08/1975 n. 227 : (anche i...)
Sulla scorta delle indicazioni emerse dalle analisi ed elaborazioni recentemente svolte sui vari problemi educativi e scolastici degli alunni handicappati, in uniformità ad analoghi criteri seguiti dal legislatore con riguardo ai mutilati ed invalidi civili, si è ritenuto di proporre l’adozione di misure e modalità organizzative utili e applicabili per facilitare, per quanto possibile, un sempre più ampio inserimento di detti alunni nelle scuole aperte a tutti gli allievi. Tale obiettivo - che non è incompatibile con la necessaria continuità dell’opera degli istituti speciali e delle strutture specializzate oggi esistenti - sarà reso possibile dalla stessa trasformazione e dal rinnovamento delle scuole comuni, che dovranno essere progressivamente messe in grado di accogliere anche i discenti che, nell'età dell'obbligo scolastico, presentino particolari difficoltà di apprendimento e di adattamento...";
c) Art.7 L. 4 Agosto 1977 n.517 : (..le classi differenziali...sono abolite.)
"Al fine di agevolare l'attuazione del diritto allo studio e la piena formazione della personalità degli alunni...
...sono previste forme d'integrazione e di sostegno a favore degli alunni portatori di handicap da realizzare mediante l'utilizzazione...
...In tali classi devono essere assicurati la necessaria integrazione specialista, il servizio psico-pedagogico e forme particolari di sostegno secondo le rispettive competenze dello Stato e degli enti locali preposti, nei limiti delle relative disponibilità di bilancio e sulla base del programma predisposto dal consiglio scolastico distrettuale.....
...Le classi d'aggiornamento e le classi differenziali previste dagli articoli 11 e 12 della legge 31 dicembre 1962, n.1859, sono abolite.".
Dunque, con la L. 517 emanata nel 1977, viene reso effettivo il principio dell'integrazione scolastica dei bambini disabili, vengono abolite le classi "differenziali" e di "aggiornamento", che erano state istituite da una legge del 1962. Per la scuola elementare, l'art. 2, prevede che nell'ambito delle attività didattiche si attuino forme di integrazione a favore degli alunni portatori di handicap con l'intervento di insegnanti specializzati di cui al DPR 970/75 (nel linguaggio comune definiti come insegnanti di sostegno).Per la scuola media, l'art. 7 dispone che "sono previste forme di integrazione e sostegno a favore degli alunni portatori di handicap da realizzare mediante l'utilizzazione di docenti di ruolo o incaricati a tempo indeterminato, in possesso di particolari titoli di specializzazione, .... entro i limiti di una unità per ciascuna classe che accolga alunni portatori di handicap e nel numero massimo di sei ore settimanali.
Sia nella scuola elementare che nella scuola media inferiore, nelle classi che accolgono portatori di handicap devono essere assicurati la necessaria integrazione specialistica, il servizio socio-psico-pedagogico e forme particolari di sostegno, secondo le relative competenze dello Stato e della ASL.
L'art. 12 della L. 270 del 20-05-1982, ha determinato che il rapporto medio tra insegnanti di sostegno e alunni portatori di handicap deve essere di 1 a 4; la legge di riforma dell'ordinamento della scuola elementare prevede la possibilità di deroghe a tale rapporto in presenza di handicap particolarmente gravi. Rapporto che è cambiato poi con il Decreto 331/98, che porta il rapporto a 1/138, cambiato poi ancora con l'ultima finanziaria ai giorni nostri, 1/145, facendo salve le deroghe per i gravi e i gravissimi.
I complessi problemi di ordine organizzativo nati dalla applicazione della L. 517/77 hanno richiesto al Ministero della Pubblica Istruzione la necessità di produrre una cospicua normativa amministrativa. Alla L. 517/77 hanno fatto seguito numerose Circolari Ministeriali che hanno di volta in volta specificato, ad esempio, il ruolo dell'insegnante di sostegno, le norme di valutazione degli allievi disabili negli esami di licenza media nonchè indicazioni per gli accordi tra Istituti Scolastici ed i servizi socio-sanitari della ASL.
Per quanto concerne l'inserimento dei giovani disabili nelle scuole superiori è opportuno fare riferimento alla sentenza della Corte Costituzionale del 1987 (n. 215) che dichiara illegittimo l'art. 28 della L. 118/71 ove viene dichiarato che "sarà facilitata" la frequenza alle scuole medie superiori anzichè disporre che tale frequenza "è assicurata" ( trovi la sentenza nelle norme della nostra rubrica).
A tale sentenza ha fatto seguito la Circolare del Ministro della Pubblica Istruzione n. 262 del 1988 la quale fornisce indicazioni finalizzate a consentire "l'effettività del diritto allo studio di alunni con handicap di qualunque tipologia in ogni ordine e grado di scuola".
Il 5 febbraio 1992 e' stato promulgato dal Parlamento un importante provvedimento legislativo: la "Legge-quadro 104/92 per l'assistenza e l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate".
L'approvazione di questa legge ha avuto lo scopo di sintetizzare in un unico testo le variegate normative preesistenti e di introdurre, mediante nuove disposizioni, significative risposte ai problemi delle persone disabili: in particolare viene attribuita importanza alla prevenzione e alla rimozione di situazioni invalidanti, prevedendo inoltre la piena partecipazione sociale dei disabili attraverso idonei interventi, ed il possibile miglioramento dell'autonomia personale e l'esercizio dei diritti civili.
Occorre precisare che questo provvedimento legislativo, proprio per le caratteristiche di "Legge Quadro", si propone di stabilire in linea di principio l'insieme dei diritti della persona disabile, senza per addentrarsi in specifiche indicazioni operative, la cui programmazione viene lasciata per lo più alle Regioni, talvolta senza precisare i tempi entro cui dovranno essere emanate tali indicazioni.
Credo di averti dato delle spiegazioni di massima, ma ti consiglio comunque la lettura di un libro di: Salvatore Nocera, Il diritto all'integrazione nella scuola dell'autonomia, Trento, Erickson, 2001.
Il libro di Salvatore Nocera - per anni consulente del Ministero della Pubblica Istruzione e già coautore di L'integrazione scolastica delle persone Down (2000) - ripercorre criticamente il cammino della normativa sull'integrazione degli alunni disabili nella scuola italiana, dalle origini sino ad oggi. Le prospettive dell'integrazione scolastica vengono rilette alla luce delle profonde innovazioni normative degli ultimi anni, come l'autonomia scolastica, la parità scolastica e il decentramento delle funzioni amministrative.
Sono mamma Carmela (si
ricorda?); Le vorrei umilmente porre questo
quesito: Mia figlia frequenta la 5 elementare, ogni anno l'insegnante di
sostegno con la cedola libraria prendeva un libro diverso dalla classe
(avendo mia figlia un notevole ritardo) senza nessun problema.
Quest'anno invece il dirigente ha imposto che
anche mia figlia dovesse avere il libro di 5 (non sapendo ancora né
leggere e né associare sillabe!). Tutto ciò
perché, detto da lui, è stata per gli anni passati una cosa illegale,
secondo il suo criterio. Mi chiedevo se ciò sia
vero? O se non sia una sua ripicca nei miei confronti, per l'accaduto del
mese di marzo c.a.,
se ricorda.
La ringrazio cortesemente, mi scuso per il mio
silenzio fino ad ora (sembrava che l'anno era cominciato bene).
Fin
dal Documento
- Falcucci del '74, tutta la pedagogia ha
impostato l'integrazione nella scuola elementare in modo innovativo,
trattandosi di una scuola che non ha programma
ministeriali, ma ha l'obiettivo di rendere edotti i cittadini dei
principali mezzi di comunicazione, ove possibile scritta, ed in caso di
difficoltà o impossibilità, anche non verbale e prassica.
La scelta dei libri di
testo non è di competenza del Dirigente
scolastico, ma dei docenti della Classe.Il libro è unico se nella classe
non vi sono grandi difficoltà di apprendimento
fra gli alunni. Ma, nel caso di un alunno con
handicap intellettivo, è insensato e contro la logica dell'integrazione
pretendere lo stesso libro degli altri, così come sarebbe assurdo
pretendere lo svolgimento degli stessi programmi degli altri e la
valutazione degli stessi risultati.Il Regolamento per l'autonomia
scolastica, approvato con DPR
n. 275/99 è tutto basato sull'individualizzazione degli interventi
didattici ed educativi per tutti gli alunni e
quindi a maggior ragione per quelli con handicap intellettivo.
Questo principio, per gli alunni con handicap trova fondamento nelle
scienze umane, specificamente la pedagogia e la didattica. A livello
normativo esso trova fondamento nella Sentenza della Corte
costituzionale n.215/87.Proprio
prendendo spunto da tale sentenza la L.n.
104/92 all'art 16 commi 1 e 2 prevede
espressamente per la scuola dell'obbligo criteri valutativi diversificati,
basati sui progressi realizzati rispetto ai livelli di partenza. L'O.M.
n. 90/01 sulla valutazione ribadisce
espressamente per gli alunni con handicap frequentante la scuola
elementare questo principio.
Un DIrigente scolastico certamente dovrà tener
conto di tali orientamenti pedagogici e giuridici, se veramente
vuole realizzare una buona qualità del servizio scolastico.In mancanza,
risultato vano ogni tentativo di dialogo pedagogico, sarà necessario
l'intervento di un ispettore e, se del caso, il ricorso all'Osservatorio
ministeriale sull'integrazione scolastica.
Confido che, smussate le eventuali angolosità reciproche tra
famiglia e Dirigente, prevalga il buon senso e una vera cultura
dell'integrazione che non regala nulla ai più deboli, ma anzi richiede un
impegno maggiore di tutti, alunno e Dirigente
compresi.
Sono un'insegnante di sostegno della scuola elementare, da qualche tempo ho problemi con il preside dell'Istituto comprensivo in cui lavoro. Difatti, capita sempre più spesso che, in assenza di una collega della classe in cui svolgo il mio lavoro con un bambino portatore di handicap, il preside mi deleghi,illecitamente a mio parere, la supplenza della suddetta classe a discapito del mio alunno che ha continuo bisogno della mia attenzione. Ho più volte fatto presente al preside che tali provvedimenti possono nuocere al ragazzo portatore di handicap e che ,in assenza di una collega, ha il dovere di affiancarmi un'altra insegnante che possa badare al resto della classe, ma non sembra voglia darmi ascolto. Intanto assisto impotente al disagio del mio alunno. Vorrei sapere se il preside può realmente prendere tali decisioni per mere esigenze di "risparmio" e in caso contrario a quale legge dovrei appellarmi.
Può dire al suo Preside che quello che sta facendo è una cosa illegale. Quando è presente il bambino H, l'insegnante di sostegno non può fare da tappabuchi per eventuali assenze di personale anche se appartengono allo stesso circolo. Può dirlo a nome di Savatore Nocera e di Borzetti Rolando Alberto. Eventualmente rimanga inascoltato il nostro suggerimento, faccia intervenire la famiglia del ragazzo presso il GLIP del C.S.A della sua città e presso il Preside. Che lo diffidino.
A un mese dall'inizio delle lezioni, insegno in una scuola non statale materie letterarie in una prima media di 31 alunni della quale sono anche coordinatore. Un alunno di questa classe ci è stato, già dall'anno scorso, presentato come "malato" di una malattia degenerativa dell'apparato motorio. Il ragazzo è seguito da alcuni medici pare dalla nascita, che, ci è sembrato di capire, lo stanno passando ad altri medici per una nuova gestione, più adeguata all'età, i quali lo stanno sottoponendo a dei test di cui non conosco la natura: so solo che la madre mi ha chiesto di fotocopiare una prova di ingresso, dettato e prova ortocalligrafica, evidentemente per constatare come scriva a scuola.
Da quel che finora a noi del consiglio di classe è capitato di vedere e capire, questo ragazzino non ha mai tutto il materiale scolastico, e questo per noi è frutto di una trascuratezza della famiglia (a noi ben nota per via del fratello maggiore). In classe non riesce a star dietro alla scrittura sotto dettatura ed ha una calligrafia che spesso neanche lui sa leggere, non mostra di saper seguire una lezione perché interviene continuamente a sproposito per esternare i nessi che ciò che ascolta gli suggerisce, non sa parlare di un argomento se non in quanto espone solo ciò che sa leggere a partire dalla sua esperienza. A casa fa circa la metà dei compiti assegnati, e per quanto riguarda le mie materie scrive i testi col computer, ma sono produzioni ridottissime e che non centrano l'obiettivo didattico.
La preside fin da subito si è preoccupata di dotarlo di un computer acquistato dalla scuola, che ancora non c'è. In un consiglio di classe di 15 giorni fa io ho posto alcune questioni, che sono riportate sul verbale, e che hanno dato luogo alla discussione che sommariamente riporto:
- il ragazzino è già indietro rispetto agli altri;
- probabilmente riuscirà a perseguire in un anno gli obiettivi del primo trimestre;
- i suoi compagni si rendono conto della diversità di comportamento e alcuni, probabilmente imitando i professori che continuamente lo devono richiamare per la non pertinenza dei suoi interventi, già lo trattano male;
- i colleghi concordano nel progettare un percorso personalizzato;
- è necessario sapere se con lui si può e si deve svolgere lo stesso lavoro degli altri o non si può e non si deve;
- nel secondo caso qualcuno ci deve dire quali sono i passi da compiere;
- lancio l'idea della dichiarazione di handicap lieve, alla quale mi viene risposto che probabilmente la famiglia non darà mai l'assenso;
- insisto, perché la dichiarazione di h rimanga una possibilità sempre aperta, anche perché dà luogo a diritti e finanziamenti;
- veniamo informati dalla preside dei tests in corso di cui sopra, sui quali la scuola attende che la madre porti la documentazione per poterne parlare insieme.
Non abbiamo ancora visto né un documento né ricevuto la visita di uno dei genitori, neanche per sapere come va, per cui non sappiamo come muoverci, anche perché non vorremmo fare danni irreparabili.
In seguito ho raccolto alcune informazioni, e mi è stato detto che un percorso personalizzato senza la cichiarazione di h non dà luogo ad un esame di licenza ad hoc. E ho ribadito alla preside, che mi sembra un po' imbarazzata e indecisa, che un percorso personalizzato è più giusto concordarlo con gli esperti che lo seguono o che l'hanno seguito, financo con le maestre delle elementari (che ha fatto nella stessa scuola).
Infine, nella stessa classe è presente un ragazzino con problemi caratteriali.
Insomma, capirete che è il primo caso di probabile handicap che mi si presenta, ma anche il primo che si presenta alla mia scuola. La quale per politica non ha mai accettato alunni handicappati, non ha progetti d'accoglienza nel p.o.f., non ha neanche lo psicologo.
DOMANDO: che possibilità ci sono perché l'apprendimento di questo ragazzino venga tutelato?
Ai sensi della c m n. 363/94 il Dirigente scolastico può invitare per iscritto i genitori a sottoporre a visita specialistica dell'ASL l'alunno per ottenere una dichiarazione di esistenza o meno di handicap. Il Dirigente deve indicare un termine di 10 giorni, trascorsi i quali, salvo contrario avviso esplicito dei genitori, l'alunno può venire sottoposto d'Ufficio alla visita del'ASL.
In mancanza di segnalazione dell'ASL, l'alunno deve essere trattato come tutti gli altri.In caso di certificazione, si potrebbe sviluppare un percorso sperimentale che, ad es., prospetti un percorso biennale per svolgere il programma di un anno, ricevendo la valutazione a lotti di avanzamento.
Premessa:
- docente di sostegno assente da diversi giorni, non sostituita perchè "graduatorie specifiche esaurite" e "prossimità della conclusione delle attività didattiche"
- classe con venticinque alunni tra i quali un portatore di handicap con rapporto di uno/uno dal carattere aggressivo che nel corso dell'anno ha malmenato e terrorizzato compagni, rotto il naso all'insegnante di sostegno, usato linguaggi sconci e aggressivi nei confronti di tutti.
Il fatto:
l'alunno portatore di handicap nel corso di uno dei suoi momenti aggressivi, scavalcando un banco si lancia urlando alla gola di una sua compagna poco distante: la docente in servizio in classe in quel momento da sola, cerca di porsi fra i due alunni facendo scudo all'aggredita e provando a trattenere l'aggressore il quale, per non farsi prendere, si appoggia con la schiena ad un banco portando contemporaneamente i piedi in aria e colpendo con un violento calcio la docente al viso provocandole un "violento trauma contusivo alla zona occipito-mandibolare destra" con blocco della mandibola, temporanea incoscienza e (come accertato ultimamente) una lesione alla retina.
Domanda: Quali sono i diritti della docente?
Esiste una tutela dei docenti in servizio che subiscono danni?
Il dirigente scolastico ha ragione quando dice che non poteva provvedere a sostituire l'insegnante di sostegno assente e che quindi non ha responsabilità nell'accaduto?
La famiglia dell'alunno portatore di handicap ha responsabilità?
L'art 2047 del Codice civile prevede espressamente che in caso di danno arrecato da un imncapace, rispondo i genitori.Inoltre la scuola è assicurata per i danni arrecati ai docenti presso l'INAIL.La responsabilità del Dirigente per non aver nominato un docente di sostegno è discutibile, anche perchè non è compito dell'insegnante di sostegno provvedere all'assistenza per l'autonomia degli alunni con handicap. Forse, conoscendo la diagnosi funzionale ed i precedenti, la scuola avrebbe potuto richiedere al Comune un assistente per l'autonomia.
Comunque questa non è materia da semplice faq; occorre una regolare consulenza con uno studio legale.
Sono un’invalida civile con riduzione permanente del 70% , mi è stato inoltre riconosciuto il grado di handicap di cui al comma 1 e 3 art. 3 della legge 5/2/92 n. 104, deambulo con il bastone a piccoli passi, ho grande difficoltà a salire sugli autobus e non guido.
Insegno in una scuola media superiore con riduzione di orario di sei ore. Quest’anno ho chiesto di usufruire di un orario distribuito su tre giorni alla settimana per limitare al minimo gli spostamenti che avvengono in parte in macchina - la prima ora di lezione - e per il resto in autobus ma ho ottenuto un rifiutato e le 12 ore di lezione mi sono state distribuite su 5 giorni. Premetto che altri insegnante nel mio istituto usufruiscono del part-time su tre giorni la differenza, mi è stato detto, è che loro subiscono una decurtazione dello stipendio mentre io no.
Vorrei chiedere se questa mia richiesta sia lecita ed io quindi abbia diritto ad usufruire dello stesso vantaggio concesso a coloro godono del part-time.
La normativa, per questi casi consente solo il godimento delle ore o dei tre giorni di permesso di cui all'art 33 comma 6 L.n. 104/92.
Sono un'insegnante e anche consigliera municipale, vorrei sapere con precisione se è vero (e da quale norme ciò è confortato) che con la nuova finanziaria, i bambini portatori di h.vedranno ridotte le loro ore di sostegno, vorrei anche capire come mai i bambini ciechi (in particolare dell'Ist. Romagnoli di Roma) non possono più usufruire del progetto regionale che da sei anni permetteva che insegnanti di sostegno specializzate li seguissero nelle loro scuole d'appartenenza con una forma di tutoraggio e collaborazione nei confronti delle insegnante di sostegno delle scuole
stesse
Risposta di Iacopo Balocco:
Allora, la situazione e' molto complicata, o meglio, si è molto complicata in questo ultimo anno.
Iniziamo dal Romagnoli. L'Istituto Statale "A. Romagnoli" di "specializzazione per gli educatori dei minorati della vista", nasce nel 1960 dalla trasformazione della scuola di metodo fondata dallo stesso Romagnoli nel 1925. Come scuola di specializzazione aveva all'interno della stessa un convitto e le scuole dell'obbligo. Con la chiusura delle scuole speciali l'Istituto, accorpato ad una scuola elementare, e' sopravvissuto come fornitore di servizi e di consulenza. Il personale andato in pensione non e' mai stato sostituito e quello utilizzato veniva riconfermato ogni anno. Con l'avvio del nuovo anno scolastico il personale utilizzato non è stato ancora confermato dal CSA di Roma, ecco perché l'Istituto non è in grado di assistere i suoi naturali utenti (docenti, studenti e genitori). Non mi risultano progetti regionali, intesi come finanziati da enti locali, in quanto l'Istituto, da statuto, non può essere finanziato dall'esterno se non come partner. Credo che con il termine progetto regionale si intenda il lavoro svolto dagli operatori dell'Istituto, che comunque estendono il loro campo d'azione su tutta la regione.
Passiamo ora alla scuola e ai docenti per il sostegno.
Tutto ha inizio nel 1997, anno in cui il rapporto docenti/alunni è stato di 1:2 ca (1,88) con 113.133 alunni e 60.109 docenti (fonte Relazione annuale al Parlamento sullo stato di attuazione delle politiche per l'handicap in Italia, 1997). Con l'art. 40 della Legge n. 449/97 viene stabilito il rapporto docente/alunni 1:138 per la determinazione dei posti di sostegno. Con l'art. 22 della Legge n. 448/02 sembra abrogato il rapporto 1:138 e si rinvia ad un regolamento ministeriale la formulazione dei criteri di istituzione dei posti di sostegno. Quindi arriviamo alla C.M. n. 16 del 19 febbraio 2002 con la quale si trasmette ai Direttori scolastici regionali lo schema di decreto sugli organici. Ovvero 136.508 alunni e 56.954 docenti. Risulta evidente che in questi 5 anni e' aumentato il numero degli alunni in situazione di handicap ed e' diminuito il numero dei posti per il sostegno.Questo dato non può essere contestato, anche se recentemente il Ministro a dichiarato che il numero di posti assegnati per il sostegno e' stato di circa 70.000 e fronte di 140.000 alunni in situazione di handicap. Ovvero mantenendo sempre il rapporto 1:2. In realtà tutti sono a conoscenza del fatto che c'e' stato una riduzione dei docenti, in particolare, sembra che il rapporto sia più favorevole nella scuola elementare e meno favorevole nella scuola superiore.
La legge finanziaria
Attualmente il tanto temuto rapporto 1:145 di cui si parlava qualche settimana fa non è scritto nella legge, ma soltanto il fatto che sia stato pensato dovrebbe perlomeno preoccupare e mettere sull'avviso per le modifiche annunciate. E' certo invece che se gli enti locali riceveranno meno fondi da qualche parte dovranno risparmiare. Inoltre, c'è tutto il problema della riduzione degli organici legato al numero degli alunni per classe. Basta andare in qualsiasi scuola per accorgersi che le classi del biennio sono molto numerose (più di 25 alunni), anche in presenza di due alunni in situazione di handicap.
In generale si può affermare che i problemi riscontrati sono:
- carenza di risorse umane
- carenza di risorse finanziarie, in particolare per il ritardo nell'erogazione dei fondi(attualmente la maggioranza delle scuole deve ancora veder accreditati i fondi per l'a.s. 2001-2002)
- il 40% delle scuole non ha eliminato le barriere architettoniche (competenza degli enti locali) i disservizi si evidenziano nella:
- carenza di assistenza materiale e igienica da parte dei collaboratori scolastici (bidelli)
- carenza di formazione sull'integrazione scolastica degli insegnanti curriculari (la normativa non obbliga il docente a formarsi)
- carenza di formazione sull'integrazione scolastica dei minorati sensoriali degli insegnanti specializzati (la normativa, incredibilmente, non lo
prevede)
- insufficiente collaborazione delle unità multidisciplinari delle ASL nella formulazione e verifica dei singoli piani educativi individualizzati (pochi medici per tanti assistiti)
- carenza nell'accoglienza degli alunni che debbono assumere farmaci a seguito di terapie
- conflitti di competenza fra comuni, province e amministrazione scolastica per le divergenti interpretazioni dell'art. 139 del decreto Bassanini n. 112/98 Pertanto il rischio è il ritorno alle scuole speciali, in particolare per gli alunni in situazione di handicap grave o gravissimo (chi deciderà chi è educabile o no?).
Sono un genitore di un bambino, con handicap grave, che il prossimo anno frequenterà la scuola materna. Sto cercando informazioni sulla normativa che preveda ed autorizzi la copresenza dell'assistente all'educativo comunale e dell'insegnante di sostegno.
Vedi nella pagina Materiali (https://www.edscuola.it/archivio/handicap/hmateriali.html),