a cura di Rolando Alberto Borzetti


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FAQ
Domande e Risposte su Handicap e Scuola

Sorveglianza e Responsabilità

di Leonardo Venturini
MAGGIOLI EDITORE  vol. 82 Legale

Le tipologie di responsabilità

La varietà e l'importanza dei compiti affidati agli apparati amministrativi, comporta, come necessaria conseguenza, un intenso rischio di danno derivante dall'errato o dal mancato perseguimento delle finalità assegnate alla cura delle pubbliche amministrazioni. E' palmare constatazione la quotidiana e rile­vante incidenza dell'attività dell'operatore pubblico nella vita del cittadino, il correlarsi della prima con le aspettative dell'ammi­nistrato medesimo alla fruizione di un servizio pubblico effi­ciente e pronto a sollecitare o ad accompagnare le evoluzioni e gli sviluppi della società, dei suoi valori, della mutevole nozione di utilità collettiva; e, ancora, sempre I'interferenza dei compiti della pubblica amministrazione nella sfera patrimoniale del cit­tadino, come la problematica della gestione delle risorse e dei beni collettivi, porta il pubblico operatore ad un onere legato ad un ampio ventaglio di responsabilità, il cui peso risulta aggrava­to per una pluralità di motivi:

·        la complessità, la varia articolazione, l'incessante evoluzione dell'organizzazione amministrativa, con il difficile e non delinea­to riparto di competenze fra poteri statali, i poteri locali e, nel­l'ambito dei primi, fra il modello amministrativo di tipo mini­steriale e gli enti del decentramento (esempio eclatante, la costituzione in persona giuridica degli istituti scolastici) unitamente alle autorità di controllo;

·        la sempre crescente mole di produzione normativa, con la . proliferazione di fonti: leggi, regolamenti di varie autorità, con­tratti collettivi, per non tacere dell’importanza degli atti genera­li, delle circolari e dell'interpretazione giurisprudenziale;

·        lo sviluppo tecnologico, rilevante anche nell'erogazione dei servizi pubblici, e la necessità di una sempre più compiuta ca­pacità e professionalità tecnica (va segnalata anche la creazione di nuove figure mansionali).

La scuola come servizio pubblico, e le istituzioni scolastiche, soggetti giuridici autonomi, tramite i quali detto servizio si arti­cola e viene erogato, non si sottrae alle esposte problematiche, anzi le esalta. Ciò sia per 1'importanza del fine pubblico che al sistema dell'istruzione è affidato, sia per la peculiarità conte­stuale che cede al contempo 1'esigenza di sinergie collaborative, tutela e sensibilità verso la delicatezza del momento formativo, garanzia di pluralità e libertà nel rispetto del dovere di trasmis­sione di saperi e valori consolidati e condivisi (1) Il contesto sco­lastico, proprio per le peculiarità descritte e la pregnanza dell'elemento relazionale e definito come comunità scolastica, che deve assumere carattere interagente con la più vasta comunità sociale e civica (2); di qui l'assunzione di responsabilità insite nella complessità degli apparati pubblici più evoluti. Deriva da quan­to detto che il personale della scuola, ed in particolare l’insegnante, sia in ragione del suo stato di dipendente pubblico, quan­do sia inserito in una struttura pubblica, sia per i suoi delicati compiti di formazione e trasmissione del sapere, ed allora il momento responsabilizzante coinvolge anche il dipendente di istituzione privata, è esposto ad una serie di responsabilità, va­rie nella loro caratterizzazione, struttura e finalità.

Vi è, in prima, luogo, la responsabilità civile, verso terzi, per i danni causati da detto personale violando generali obbli­ghi della vita di relazione, così arrecando ingiustamente lesioni ad altrui interessi giuridicamente protetti; all'interno dei gene­rali obblighi di relazione, nel settore della scuola assistiamo poi, come in seguito meglio si illustrerà, a un particolare regime di responsabilità connotato da un peculiare obbligo di vigilanza e da una specifico onere di prova.

La responsabilità amministrativa e quella contabile colpi­scano i dipendenti e gli amministratori pubblici, e quindi anche la classe docente, che arrecano un danno a pubblici beni ed in­teressi, in correlazione causale con un comportamento attivo o di omissione privo di perizia professionale, diligenza e pruden­za; nell'ambito del genere responsabilità amministrativa vi e quella contabile, caratterizzata dalla particolare situazione e dal particolare stato del soggetti sottoposti alla stessa, in quanto il presupposto fondante della medesima è la consegna formaliz­zata - per la custodia e la gestione - di denaro o beni dell'ammi­nistrazione. Non è fuori luogo menzionare anche la responsabi­lità di tipo contabile, poiché, data che nella stessa incorre anche il c.d. "contabile di fatto", ovvero colui che abbia anche tempo­raneamente, per momentanea delega o per mera ingerenza (an­che illecita) un "maneggio" di beni o denaro pubblico, allora, anche il docente che debba, per vari motivi, amministrare o cu­stodire una somma o dei beni può essere, per la fattispecie, defi­nito come cantabile.

La responsabilità penale comporta - salvo ipotesi di san­zioni pecuniarie per reati di minor valenza sociale - la pena della privazione della libertà personale, scelta ultima dell'ordina­mento di fronte ad atti di particolare gravità; segna la pesante soluzione nel conflitto fra il principio della predetta libertà e la necessità di preservare ed ammonire la collettività con l'habeas corpus di chi ha gravemente violato prioritarie regole di convi­venza e di rispetto della vita e dei beni degli altri membri della società. E’ affidata, quindi, ad una "riserva di legge" come me­glio si spiegherà.

Alle tre esposte tipologie di responsabilità se ne affiancano altre due, nella presente trattazione appena lambite nei loro tratti essenziali, quella disciplinare e quella dirigenziale: è usuale quin­di oggi, in dottrina e giurisprudenza (3) strutturare lo scenario delle responsabilità dei pubblici impiegati, e quindi anche degli operatori delle istituzioni scolastiche, secondo cinque ambiti di regole e doveri di osservanza.

La responsabilità disciplinare si configura come violazio­ne ai propri doveri mansionali tale da provocare un'alterazione del fisiologico svolgimento del rapporto di impiego e le fattispe­cie, con le gradazioni secondo gravità, sono definite dalla con­trattazione collettiva (4).

La responsabilità dirigenziale cui oggi, dato il loro nuovo status, sono soggetti anche i capi delle istituzioni scolastiche, prevista dall'art. 21 del d.lgs. n. 165 del 2001, attiene al persona­le con qualifica dirigenziale, quando consegue risultati negativi, non raggiunge gli obiettivi prefissati o incorre in grave inosser­vanza delle direttive impartite (5).

Tale essendo la comune definizione - nelle sue articolazioni ordinamentali - di e delle responsabilità, bisogna avvertire che la nozione non può essere contemplata di per sé stessa ma acquista rilevanza solo nell'alveo della triade categoriale di illeci­to, sanzione e, per l'appunto, responsabilità, nozioni intrinseca­mente collegate; il nesso mostra i suoi ferrei vincoli e la sua imprescindibilità logica poiché responsabilità e soggezione alla sanzione applicata all'autore dell'illecito (6).

Quest'ultimo è definibile, in un'accezione molto ampia, come la violazione di un dovere collegato alla vita di relazione. Poiché i doveri sono posti a salvaguardia di altrui beni e altrui legittimi interessi, e dei rapporti giuridici ad essi connessi, il fatto illeci­to, cui meglio corrisponderebbe la qualificazione di atto, in quan­to riconducibile ad un comportamento umano, e ciò che lede situazioni giuridiche protette (7).

Lo spazio dell'illecito, nel mondo del diritto, è stretto fra due confini; perchè questo sia configurabile, in linea generale, come si afferma tradizionalmente nella dottrina e nella giurispruden­za, deve essere compiuto:

-                        non iure, cioè il comportamento deve essere posto in esse­re in assenza di cause definite "di giustificazione" (esercizio di un diritto, adempimento di un dovere, legittima difesa, stato di
necessità (8);

-                        contra ius ovvero in lesione di interessi che 1'ordinamento specificamente protegge. Non pare possa distinguersi fra la no­zione di illiceità e quella di antigiuridicità, in quanto ambedue indicative della rottura di un equilibrio ordinativo (9).

Cosi delineata la categoria dell'illecito acquista più chiara luce quella di responsabilità, nozione ambivalente, in quanto sotto un primo profilo, antecedente al compimento del fatto lesivo, questa indica la posizione del soggetto sul quale vanno ad inci­dere le conseguenze dei propri comportamenti liberi e consape­voli, sotto un altro, dinamico, mostra la conseguenza sanziona­toria nell'ipotesi di ingiusta lesività di detti comportamenti. Nell'accezione comune l'individuo responsabile viene individuato come colui che è capace di dare concrete ed equilibrato signifi­cato al contesto esterno (capacità di intendere) e vigile controllo e direttiva sulla propria volontà (capacità di volere); responsabi­le e allora colui che, in assenza di uno stato di incapacità di intendere e di volere e quindi liberamente determinatosi nel pro­prio agire, assume su di sé l'onere del rischio e dell'eventuale danno legato al proprio comportamento (10).

Il riferimento, poc'anzi fatto, alla capacità di intendere e di volere introduce quindi un ulteriore elemento di rilievo, in ne­gativo, nella nozione di responsabilità, ovvero lo stato soggetti­vo psicologico dell'agente e la sua imputabilità, che di per sé non elimina oggettivamente 1'illecito, ma rende esente da respon­sabilità a titolo di esimente personale (11) ("'. Il valore fondante della qualificazione di illiceità e il principio di autoresponsabilità, ovvero la possibilità data al singolo di operare liberamente (agere licere) rispettando gli spazi ed i confini etico-giuridici dell'al­trui persona e della collettività (12).

 

 

  1. Per le esposte tematiche si veda Potoschnig, Insegnamento, Istruzione, Scuola, in Giur.cost. 1961, p. 351
  2. Così, espressamente, l’art. 3 del d.lgs. 4 aprile 1994, n. 297. Ma vale anche ricordare l’art. 1, comma 2, del d.P.R. 24 giugno 1998, n. 249 (regolamento recante lo Statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria, in G.U. 29 luglio 1998, n. 175): “La scuola è una comunità di dialogo, di ricerca , di esperienza sociale, informata ai valori democratici e volta alla crescita della persona in tutte le sue dimensioni. In essa ognuno, con pari dignità e nella diversità dei ruoli, opera per garantire la formazione alla cittadinanza, la realizzazione del diritto allo studio, lo sviluppo della potenzialità di ciascuno e il recupero delle situazioni di svantaggio, in armonia con i principi sanciti dalla Costituzione e dalla Convenzione Internazionale sui diritti dell’infanzia fatta a New York il 20 novembre 1989 e con principi generali dell’ordinamento italiano”.
  3. Si veda DE BRANCO, La responsabilità del pubblico impiegato, Padova, 2004, GARRI-GIOVAGNOLI, Responsabilità civile delle amministrazioni e dei dipendenti pubblici, Itaedizioni, 2003.
  4. Sul tema, NOVIELLO-TENORE, La responsabilità e il procedimento disciplinare nel pubblico impiego privatizzato, Milano, 2002.
  5. ANGIELLO, La valutazione dei dirigenti pubblici, Milano, 2001.
  6. MAIORCA, I fondamenti della responsabilità, MILANO, 1990, con recensione di BIANCA in Riv. Dir. Civ.1991, I, p. 790
  7. Per una esaustiva trattazione dell’illecito in sede dogmatica generale del diritto si veda PIETROBON, Illecito e fatto illecito, Inibitoria e risarcimento, Padova, 1998; MAIORCA, Responsabilità 8teoria generale), in Enc. Dir., XXXIX, p. 1004 e I fondamenti della responsabilità, cit., FRANZONI, Dei fatti illeciti, in Commentario al codice civile, a cura di SCIALOIA e BRANCA, Bologna-Roma, 1993;TRIMARCHI, Illecito, in Enc.dir., XX, p. 90; SCOGNAMIGLIO, Illecito, in Noviss. Dig.it., vol. VIII, p. 164, VISINTINI, I fatti illeciti, Padova, 1990.
  8. Negli studi penalistici si rinvengono i più interessanti approfondimenti circa le situazioni scriminanti che impediscono il costituirsi dell’illiceità: si veda DELPINO, Diritto penale, parte generale, Napoli, 1998, p. 174 ss.e gli artt. 50 ss. Del codice penale. Successivamente verranno illustrate le singole cause di giustificazione di rilevo ai fini del presente lavoro.
  9. SCADUTO-RUBINO, Illecito (Atto – Diritto moderno), in Noviss, dig. It., VI, Torino, 1938, p. 702.
  10. VENTURINI, La responsabilità civile amministrativa e disciplinare nella scuola, in TENORE (a cura di), La dirigenza scolastica, Milano, 2002, p. 322.
  11. BIANCA, Diritto civile V, La Responsabilità, Milano, 1994, p. 636 ss.
  12. ALPA-BESSONE-ZENCOVICH, Obbligazioni e contratti, I fatti illeciti, in Trattato di diritto privato, VI, 14, a cura di RESCIGNO, Torino, 1995, p. 7 e MADDALENA, Azione dei pubblici poteri e costruzione di una società solidale, il problema della giurisdizionalizzazione dei valori etici nella prospettiva dei diritti fondamentali e della legalità costituzionale, in Trib. Amm. Reg., 2001, 12, II, p. 3 e in www.amcorteconti.it

 

In conclusione, quindi, così come suggerisce l'accezione seman­tica, il termine responsabilità (da respondeo, ovvero rispondere ed habilitas cioè attitudine, idoneità), nel lessico giuridico, intende l’individuazione e la sottoposizione di un soggetto alle conseguenze di determinati fatti od azioni.

 

la responsabilità penale si ricollega alla lesione di interessi di particolare pregnanza (in sostanza riconducibili ad indicazioni costi­tuzionali), lesione perpetrata con comportamenti già qualificati da uno schema legislativamente definito e con sanzioni predeterminate (nullurn crImen e nulla poena sine lege), secondo i canoni della tassa­tività e della nominatività;


quella civile tutela i soggetti - con modalità risarcitorie - a fronte di un danno ingiusto cagionato nei loro confronti, mentre la respon­sabilità disciplinare fa riferimento alla reazione di un'organizzazione in ipotesi di comportamenti che turbino le corrette dinamiche della stessa;


quella amministrativa, poi, sanziona l’inefficienza del soggetto inserito nell’apparato amministrativo e tutela i beni e le risorse collettive;

 


Infine, la responsabilità dirigenziale sanziona il dirigente che ottiene risultati negativi, non raggiunge gli obiettivi prefissati o in­corre in grave inosservanza delle direttive impartite.

 

 

 

Le responsabilità speciali. Generalità


    La peculiare responsabilità cui è chiamato a rispondere, sotto il profilo civilistico, colui che svolge attività di insegnamento, si  inserisce in una struttura ordinamentale dell'illecito civile che conosce alcune figure di responsabilità definita come speciale, in quanto retta,  appunto, da uno specifico regime; talune di que­ste, peraltro, derivano da  interventi legislativi extra codicistici, di carattere settoriale  (responsabilità del produttore, responsa­bilità da danni da esercente  compagnia aerea, per citare degli esempi), altre sono regolate dagli artt.   2047 e seguenti del codi­ce civile(1).

Bisogna precisare, per evitare fraintendimenti, che con il termine non si  vuole indicare la definizione di una precisa tipolo­gia di illecito  descritta nei suoi tratti fattuali (ciò che corrispon­de ad una nozione di  tipicità, ovvero la descrizione da parte del legislatore dell'illecito quale  vicenda fenomenica), e quindi la rigidità della fattispecie di queste forme  di responsabilità; inve­ro poiché il fatto causativo di danno può assumere  caratteristiche assolutamente eterogenee, così come il comportamento  san­zionato e la lesione stessa arrecata, che si qualifica come ingiu­sta,  si intende perciò far riferimento ad uno specifico settore della vita sociale che, per le caratteristiche dei soggetti che coin­volge, per le  relazioni umane intrattenute, per l'incidenza sodale arrecata esige una
regolamentazione differenziata che più si avvicini alle istanze sociali. Infatti, nella responsabilità degli in­segnanti (maestri e precettori, art.  2048, comma 2, c.c.), ad esem­pio, il concetto di responsabilità nasce dal  soggetto (insegnan­te), dall'attività compiuta (attività di insegnamento) da  un dovere (di vigilanza), da un'esposizione a responsabilità per un com­portamento altrui e non dal fatto che può assumere la forma di  un'indefinita ed imprevedibile serie di vicende (2).

Come è possibile arguire da quando sinora detto, la colpevo­lezza come  elemento centrale del sistema di imputazione delle responsabilità indica che  l'ordinamento non recepisce la regola, di per sé peraltro con potenzialità  incontrollabili sul piano effet­tuale, secondo la quale la semplice
causazione di un danno ob­bliga l'autore dello stesso al risarcimento (3)); d'altro canto, la cen­tralità della colpa subisce dei contemperamenti o  delle eccezio­ni. Vi è, infatti, si ripete, la responsabilità oggettiva,  riprenden­do il precedente accenno, quando il fatto dannoso è imputato ad un  soggetto - che l'abbia comunque causato - prescindendo da un'indagine sulla  sussistenza di colpevolezza. D'altro canto, l'assenza di tale requisito non  estranea la fattispecie dalla cate­goria dell'illecito, includendola  nell'alveo dei fatti leciti che com­portano la corresponsione di un indennizzo, poiché il fonda­mento della responsabilità in questione poggia su di una ratio unitaria all'interno del relativo sistema, cioè la violazione del dovere di rispetto altrui che causa un danno, quindi,  qualifica­bile come ingiusto o meno. Bisogna, a questo punto, definire una  convenzione terminologica: responsabilità indiretta può essere locuzione  utilizzala per indicare la responsabilità ogget­tiva, cioè l'addebito di  responsabilità per un comportamento di un altro soggetto senza che in capo  al responsabile stesso debba essere rinvenuto un qualsiasi criterio  comportamentale, ed os­sequio a diligenza, prudenza e perizia, seppur in relazione al comportamento nei confronti del diverso soggetto. Si tratta, e si parla, allora, evidentemente, di responsabilità oggettiva, ed in questa
impostazione, la responsabilità collegata ad altrui azio­ni, ma per un fatto  proprio, di omissione di vigilanza, ad esem­pio, o di adozione di misure preventive impeditive del fatto dan­noso, o, ancora, di deficienza nel dovere educativo, viene ad essere responsabilità diretta, per il fatto  proprio omissivo (4). In altra accezione, anche detta ultima fattispecie  viene qualificata come responsabilità indiretta per il suo riferimento ad un  atto illecito compiuto da altri.

Le responsabilità speciali previste dal codice civile, possono essere  inquadrate sotto distinti profili individuativi.

Un prima criterio discretivo riguarda la relazione fra il sog­getto agente e un determinato bene, od una particolare attività, o, ancora un altro soggetto, per cui:

- vi sono ipotesi normative che assumono un legame pecu­liare - di  istruzione, di lavoro, di assistenza, genitoriale - fra chi commette il  danno (che, in via generale, non è escluso anch'esso da un obbligo di  risarcimento) e chi (il soggetto di rilievo nella responsabilità speciale)  ne deve rispondere ed allora si parla di responsabilità per fatto altrui: è  la fattispecie che interessa la presente trattazione, perchè in essa vi è ricompresa la responsa­bilità degli insegnanti;

- ancora, il legislatore conferisce rilievo ad una particolare posizione  giuridica (proprietà, titolarità di altro diritto reale, veste di custode)  con beni od animali dai quali può derivare un danno a terzi (5);
- rilievo viene altresì attribuito, per definire un peculiare re­gime,  all'esercizio di attività che nel comune sentire, e nella prassi dei rischi  e degli incidenti verificatisi possono definirsi come pericolosi  (circolazione stradale, aerea, particolari attività in­dustriali)

- particolare sensibilità viene poi dimostrata per approntare tutela nei  confronti dei consumatori e della salvaguardia dell'ambiente (7)

    Sotto altra prospettiva di catalogazione, facendo riferimento all'onere  probatorio cui è chiamato colui cui sono mossi gli ad­debiti di  responsabilità si possono individuare:

- fattispecie in cui il soggetto viene ritenuto responsabile se non prova di  non aver potuto impedire il fatto (artt. 2047 e 2048, responsabilità per  fatto di incapace e per minore e sottoposto a tutela o ad attività, in senso lato, di insegnamento)

- ipotesi in cui il soggetto è chiamato responsabile a meno che non riesca a  provare che il danno è derivato da un caso for­tuito, da individuare e da  provare (artt. 2051, 2052, danno da cose in custodia, da animali, da attività pericolose);

- situazioni in cui il soggetto deve dimostrare, per essere immune da un  addebito di illecito, di aver fatto tutto il possibile per evitare il fatto  (art. 2054, in tema di circolazione di autovei­coli);

- ipotesi in cui la responsabilità è sancita solo sulla base della  sussistenza di un nesso di causalità fra fatto compiuto e dan­no,  prescindendo da un'imputazione in termini di colpevolezza (è la canonica definizione dell'istituto della responsabilità og­gettiva; esempi possono  essere rinvenuti nella responsabilità del proponente, nel danno da attività  nucleari, nel danno da ve­livoli a terzi sulla superficie).
    Vi è una specie di scolarità, nel rigore del regime, delle fatti­specie  cosi descritte: le prime due forme di responsabilità vengo­no definite come  "aggravate" e tale è l'interpretazione più sensi­bile ed adeguata ai canoni  generali della responsabilità civile (9); secondo taluni, infatti, al contrario, le fattispecie menzionate  definirebbero ipotesi di addebito a carattere oggettivo, poiché al soggetto  sarebbe richiesto uno sforzo probatorio tale -- do­vendo lo stesso dimostrare che il danno deriva da un evento as­solutamente estraneo alla  propria sfera di dominio - che, in de­finitiva, estraneo da imputazione  sarebbe solo il fatto cui il sog­getto non ha dato causa secondo principi  individuativi il nesso di causalità (10).

    Assolutamente condivisibile, invece, è ritenere, che, seppur con le  diversificazioni legate alle specifiche fattispecie, il sog­getto coinvolto  in un giudizio di responsabilità sia tenuto ad un onere probatorio più impegnativo (non aver potuto impedire il fatto, la riconducibilità del
danno al caso fortuito), e, in definiti­va, ad una responsabilità più  rigorosa sotto il profilo della dili­genza. Ciò è linearmente rilevabile  dalle ipotesi che, di seguito, verranno esaminate con maggior dettaglio. La  terza ipotesi pre­senta elementi di commistione fra la fattispecie di  responsabili­tà con colpevolezza a carattere aggravato e fattispecie di  respon­sabilità oggettiva, mentre la quarta rientra a pieno titolo in que­st'ultima qualifica (11).


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(1) BIGLIAZZI GERI, BRECCIA, BUSNELLI e NATOLI, Diritto civile, III,  Obbligazioni e contratti, Torino, 2001, p. 734.

(2) FRANCESCHETTI, La responsabilità, cit., p. 687.

(3) "Chi fa un danno deve risarcirlo", principio dell'antico diritto  germanico "Wer Schaden tut, muss Schaden bessern", citato da ENNECERUS U.  LEHMANN, Recht der Schuldverhaltnisse, 920, come ricordato da BIANCA, La  responsabilità, cit., p. 684.

(4) Si veda, anche per i richiami a giurisprudenza e dottrina, BIANCA, La  responsabilità, cit., p. 687.
(5) FRANZONI, La responsabilità oggettiva. Il danno da cose e da animali, in  I grandi orientamenti della giurisprudenza civile e commerciale (diretta da  GALGANO), 3, Padova, 1988; MATTEI, Tutela inibitoria e tutela risarcitoria.  Contributo alla teoria dei diritti sui beni, Milano, 1987.
(6) COMPORTI, Esposizione al pericolo e responsabilità civile, Napoli, 1965.

(7) RUFFOLO, La tutela individuale e collettiva del consumatore, I, Profili  di tutela individuale, Milano, 1979.

(8) Sull'argomento v. ALPA, La responsabilità civile, 1999, p. 667ss.;  COMPORTI, Esposizione al pericolo e responsabilità civile, Napoli, 1965;  FRANZONI, La responsabilità oggettiva. Il danno da cose e da animali,  PADOVA, 1988.

(9) SALVI, La responsabilità civile, cit., p. 130.

(10) CASTRONOVO, Responsabilità oggettiva - disciplina privatistica, in Enc.  giur. Treccani, XXVII, P. 12.

(11) Per un quadro completo dell'esposta sistematica si veda BIANCA, La  responsabilità, cit., p. 686.


 

L'art. 28 della Costituzione e la surroga dell'amministra­zione scolastica


Nell'azione della pubblica amministrazione, i soggetti espo­sti a  responsabilità civile per un fatto illecito sono due; 1'autore del fatto e  1'amministrazione stessa, che si avvale dell'operato dei dipendenti e ne risponde, in solido, con il soggetto tramite il quale ha agito; diversamente  si atteggiano le responsabilità am­ministrativa, penale e disciplinare, ove prevale it principio della personalità delle stesse e la sua componente  sanzionatoria, pre­ventiva e di monito.

Fondamentale, in tema, e la prescrizione contenuta nell'art. 28 della  Costituzione che - espungendo dal nostro ordinamento un'inammissibile immunità nascente, per il pubblico dipenden­te, della protezione della personalità giuridica dell'ente pubbli­co all'interno della quale agisce -sancisce che lo Stato e gli altri enti pubblici rispondono  (dando cosi tutela al cittadino di fron­te all'inosservanza dei pubblici  apparati nell'adempimento degli obblighi primari di cui sono onerati, come,  per quanto a noi interessa, l'erogazione del servizio scolastico) insieme al  pubbli­co dipendente.

Recita infatti cosi l'articolo in questione: "i funzionari e i di­pendenti  dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente re­sponsabili, secondo  le leggi penali, civili ed amministrative, de­gli atti compiuti in  violazione di diritti. In tali casi la responsa­bilità civile si estende  allo Stato e agli enti pubblici". Come detto la disposizione assume  un'evidente connotato etico e responsa­bilizzante, facendo venir meno  ingiustificate esenzioni derivan­ti dalla circostanza che il pubblico  dipendente veniva protetto dallo "schermo" della personalità della pubblica  amministrazione all'interno della quale agiva in virtù di un rapporto  organico o di mero servizio (12).

La normativa antecedente la Costituzione repubblicana esclu­deva la  responsabilità del dipendente pubblico nei confronti del danneggiato, salvo  il caso in cui lo stesso avesse agito con dolo, da cui si traeva la  conclusione di un comportamento egoistico e personale, in contrasto con i
fini dell'ente; si parlava allora di responsabilità diretta  dell'amministrazione, per fatto proprio, in virtù del rapporto organico,  per il quale la stessa agiva trami­te il dipendente.

Secondo una teoria (13), dopo l'intervento del legislatore costi­tuzionale  la responsabilità della pubblica amministrazione si presenta come  indiretta, per fatto altrui, coincidente con la responsabilità delineata  dall'art. 2049 c.c. (14); si è parlato, nel so­stenere detta tesi della  responsabilità indiretta, di una funzione di garanzia nei confronti della  collettività, e di un'assunzione del rischio degli illeciti comportamenti di  coloro dei quali la stessa si serve per il concreto adempimento dei propri obblighi (sin­tetizzato  nel broccardo cuius commoda et eius incommoda), as­similabile, come sopra accennato, alla specifica responsabilità di garanzia prevista dal predetto  art. 2049 del codice civile per il datore di lavoro riguardo all'operato dei  dipendenti o ausiliari (è sempre meno seguita la teoria per cui detta  responsabilità derivi da una presunzione di colpa in vigilando o in eligendo  come si suol dire, ovvero da una negligente sorveglianza o da un'in­cauta assunzione: basti pensare alla complessa struttura dei con­trolli nella  pubblica amministrazione e all'imparzialità ed effi­cienza nella scelta del  dipendente affidate a pubblici concorsi accessibili ad ogni cittadino).

Contrapposta e invece la tesi che sostiene trattarsi di una re­sponsabilità  diretta, sussidiaria, in quanto, tramite il proprio dipendente è  l'amministrazione che agisce (secondo la teoria dell'immedesimazione  organica) (15). Si deve dar conto di una teoria mediana secondo cui bisogna  distinguere fra patti posti in essere nello specifico esercizio di una  funzione, ove sarebbe in pieno risalto il rapporto organico, con  conseguente responsabi­lità diretta dell'amministrazione ed attività
materiale di gestio­ne delle risorse o negoziale, che configurerebbe invece  una re­sponsabilità indiretta.

Preferibile è l'indirizzo interpretativo della responsabilità di­retta, che si correla alla costruzione teorica secondo la quale lo Stato, o l'ente  pubblico di riferimento agisce tramite i propri or­gani, dei quali componente fondamentale è la persona fisica che vi è incardinata. Per cui,  attraverso l'operato della medesima per­sona fisica e lo stesso ente che  agisce. Per l’art. 28 della Costitu­zione, quindi, la responsabilità del  pubblico dipendente si affian­ca a quella dell'ente, il quale non assume il  ruolo di garante (16) ma riveste un ruolo di corresponsabile solidale e sussidiario.

Peraltro, è importante reperire pragmatici criteri individua­tivi, nello  stabilire quando vi è questa duplice responsabilità: il presupposto, allora,  è la cosiddetta "occasionalità necessaria", che sussiste tutte le volte in  cui la condotta del dipendente sia strumentalmente connessa con l'attività d'ufficio. La riferibilità dell'atto  o del comportamento del dipendente alla p.a. va esclu­sa solo relativamente  a quelle attività strettamente personali del dipendente stesso in relazione  alle finalità istituzionali e non legate neppure da un nesso di occasionalità con i compiti affi­datigli (17).

Ed allora, un comportamento illecito, lesivo di un altrui di­ritto, anche se  posto in essere in violazione dei doveri di ufficio, comporta la  responsabilità dell' amministrazione se sia stato comunque, nelle  intenzioni, rivolto al raggiungimento dei pre­detti fini istituzionali;
nell'opposto caso in cui si ravveda una vera e propria modifica delle  prospettive finalistiche avendo il pubblico impiegato (per quanto qui  interessa il docente) sosti­tuito i suoi personali interessi a quelli propri  della p.a., quest'ul­tima rimarrà esente da ogni responsabilità civile.

Diversa interpretazione del portato dell'art. 28 della Costitu­zione avrebbe  la conseguenza di individuare il fondamento della responsabilità della p.a. non più in un illecito commesso nell'espletamento degli incarichi affidati (la detta "occasionalità necessaria") (18); va d'altro canto avvisato che l'abuso di potere o la commissione di un reato non è  sufficiente ad imputare la responsabilità solo al dipendente, poiché non vi  dove essere al­cun collegamento strumentale con 1'attività di ufficio.

Il docente che ponga in essere atti di vessazione o atti diffa­matori nei  confronti di alunni o di familiari degli stessi non esclu­de la  responsabilità dell'amministrazione ma solo, allora, se il comportamento è  posto in essere in una travisata intenzione educativa o comunque legata
all'attività dell'istituto; e solo del docente stesso se ha come fonte  dissidi o rancori personali;
atti di vandalismo nei confronti di beni di  terzi, all'interno dell'istituzione scolastica, attuati con l'istigazione e l'apologia di illecito di un insegnante non possono comportare la  re­sponsabilità della scuola.

Un diverbio, ancora per esemplificare, sceso ad atti diffama­tori o a  comportamenti lesivi di diritti fra il personale docente, ad esempio in  occasione della riunione di un organo collegiale, se verificatosi all'interno dell'istituto, ma nell'ambito di una di­scussione del tutto  personale, porta alle medesime conseguen­ze, diversamente della circostanza  in cui si discuta di questioni attinenti l'indirizzo di istituto. Il ritardo  o la mancata adozione di atti rivelatisi dovuti (certificazione ad esempio), affianca alla responsabilità del dirigente, che abbia opposto il rifiuto quando lo stesso è dovuto a mancanza di capacità professionale  nell'in­terpretare correttamente i propri compiti, quella
dell'ammini­strazione, mentre diversa e la soluzione quando il  comporta­mento è tenuto per danneggiare intenzionalmente (per ripicca,  risentimento personale, interessi di lucro o intento di favorire altra  persona) il richiedente (19).

In tema di definizione del concetto di occasionalità, la giuri­sprudenza ha  posto i seguenti principi di riferimento:

- presupposto della responsabilità diretta della p.a. per fatto del proprio  dipendente e la cosiddetta "occasionalità necessa­ria", che sussiste tutte le volte in cui la condotta del dipendente sia strumentalmente connessa con  l'attività d'ufficio. La riferi­bilità dell'atto o del comportamento del dipendente alla p.a. va esclusa solo relativamente a quelle attività  strettamente perso­nali del dipendente stesso in relazione alle finalità istituzionali e non legate neppure da un nesso di occasionalità con i  compiti affidatigli (20);

- la p.a. risponde del danno cagionato a terzi dal proprio di­pendente  quando la condotta di quest'ultimo sia strumentalmen­te connessa  all'attività d'ufficio. Tale nesso di connessione strumentale, però, non viene meno per il solo fatto che la condotta illecita sia consistita  nell'abuso di un potere o nella violazione di un ordine, commessi per scopi egoistici quando il mezzo, giuridico o materiale, utilizzato per arrecare danno sia rilevantemente connessa con  1'attività di pubblico impiego (20);

- la riferibilità all’ente pubblico dell'atto illecito deve ritener­si  esclusa nel caso di attività svoltasi ed ispirata da fini stretta­mente  personali del dipendente, in un contesto estraneo ai fini istituzionali, e  con azione, quindi, non collegata neppure con nesso di occasionalità  necessaria con le attribuzioni affidate (22).

II settore della scuola presenta però, in tale quadro di duplice  responsabilità, una peculiarità, perchè, per taluni soggetti ed in talune  ipotesi, risponde solo 1'amministrazione scolastica (salvo poi la rivalsa della stessa, in caso di dolo o colpa grave, nei con­fronti del colpevole. Giudice di quest'ultima vicenda e, con giu­risdizione esclusiva, la Corte dei conti).

L'amministrazione scolastica assume in conseguenza, secon­do quanto detto,
una responsabilità diretta, per il menzionato rapporto derivante dal  collegamento organico con la stessa del personale dipendente, quando - come  si vedrà meglio esami­nando in prosieguo lo specifico regime di tale  responsabilità, nascente dall'assunzione di un obbligo di sorveglianza
collegato all'esercizio della funzione di insegnamento - sia cagionato a  minore un danno nel tempo in cui e sottoposto alla vigilanza di detto personale. L'onere probatorio del danneggiato, in tale ipotesi, è limitato  alla dimostrazione che il fatto si e verificato nel tempo in cui il minore è  affidato alla scuola, divenendo, sulla base di tale presupposto, operativa  la presunzione di colpa per inosservanza del predetto obbligo di  sorveglianza. Ciò di cui il codice civile esonera il docente, la prova liberatoria che è stato posto in essere sufficiente controllo sugli allievi  con una diligen­za idonea ad impedire il fatto, spetta, invece, nel settore dell'istruzione pubblica, solo all'amministrazione scolastica. Diver­samente, preme allora far notare, che nel regime ordinario della responsabilità della pubblica amministrazione per fatto del pro­prio  dipendente, come sopra illustrato, rispetto al quale si verifica l'immedesimazione organica, e vi e la possibilità di conve­nire a giudizio ambedue i soggetti.

E’ questa la conseguenza giuridica del disposto dell'originario art. 61, legge 11 luglio 1980, n. 312, che recava particolari  innovazioni nella disciplina della responsabilità del personale della scuola per i danni prodotti a terzi nell'esercizio delle pre­dette funzioni di  vigilanza degli alunni; e questo, lo si premette, sia sotto l'aspetto  sostanziale che processuale. Sotto il primo profilo, la norma ha limitato la responsabilità del detto perso­nale ai soli casi di dolo o colpa grave nell'esercizio della vigilan­za; sotto il secondo aspetto, invece, ha  previsto la "sostituzione" dell'amministrazione al personale scolastico  nell'obbligazione risarcitoria verso i terzi danneggiati, con esclusione  quindi della legittimazione passiva degli insegnanti (23).

La problematica menzionata e di particolare rilievo ed inci­denza pratica:  pare opportuno, quindi analizzarla più in detta­glio con qualche notazione  di maggior profondità esplicativa: vale anzitutto, allora, prendere le mosse  dal predetto dato nor­mativo, costituito, originariamente, si è cennato, dall'art. 61 della legge 11 luglio 1980, n. 312, disposizione poi ripresa,  senza modificazioni, nel tenore letterale, dall'art. 574 del successivo  de­creto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 (testo unico sull'ordina­mento scolastico). Il cennato art. 61 testualmente disponeva: "La responsabilità patrimoniale del personale direttivo, docen­te, educativo e non docente
della scuola materna, elementare, secondaria ed artistica dello Stato e  delle istituzioni educative statali per danni arrecati direttamente  all'amministrazione in connessione a comportamenti degli alunni è limitata ai soli casi di dolo o colpa grave nell'esercizio della vigilanza sugli alunni  stessi.

La limitazione di cui al comma precedente si applica anche alla  responsabilità del predetto personale verso l'amministra­zione che  risarcisca il terzo dei danni subiti per comportamenti degli alunni sottoposti alla vigilanza. Salvo rivalsa nei casi di dolo o colpa grave,  1'amministrazione si surroga al personale medesimo nelle responsabilità  civili derivanti da azioni giudi­ziarie promosse da terzi". Richiamando  quanto sopra succinta­mente esposto, dalla disposizione legislativa è
enucleabile un duplice contenuto. Sotto 1'aspetto sostanziale, quale ritraibile  dal primo comma e dalla prima parte del secondo comma, si evince:

- che la responsabilità del personale scolastico delle scuole statali,  per fatti commessi dagli alunni, è limitata ai soli casi di dolo o colpa  grave, per i danni arrecati all'amministrazio­ne, nell'esercizio dell'obbligo di vigilanza;

- che la limitazione di cui sopra si riferisce anche alla  re­sponsabilità del menzionato personale per danni subiti da ter­zi per comportamenti degli alunni sottoposti alla vigilanza. Il secondo contenuto, assume connotazione di carattere proces­suale ed è quello, ritraibile  dall'ultima parte del secondo comma del citato art. 61, ove, con  terminologia impropria, si fa riferi­mento ad un atecnico meccanismo di "surroga" nel senso che 1'amministrazione si sostituisce al personale dal
quale è pretesa attività di vigilanza per gli illeciti commessi dal  per­sonale medesimo.

Ed infatti, secondo univoca interpretazione data dalla giuri­sprudenza (24),  non di ogni tipo di illecito si tratta, come potrebbe apparire a prima  vista dalla lettura del testa legislativo, che, in effetti, contiene un riferimento del tutto generico alle respon­sabilità civili del personale scolastico, ma esclusivamente dell'il­lecito connesso alla culpa in vigilando; quest'ultimo indirizzo, è orientamento interpretativo più aderente - sul piano di logica formale e giuridica - alla luce dello stretto collegamento della disposizione in esame con le norme precedenti, che  disciplina­no appunto la culpa in vigilando del personale scolastico.

Compiuto suggello a questa incontrastata interpretazione vie­ne anche dalla  Consulta (25), la quale, ritenendo infondata la que­stione di illegittimità costituzionale dell'art. 61, comma 2, legge 11 luglio 1980, n. 312, sollevata in riferimento all'art. 28 Cost., ha posto in luce come in virtù
di tale normativa, gli insegnanti che, limitatamente alla materia di  responsabilità per culpa in vigilando, cessano di essere legittimati personalmente verso ter­zi, nei cui confronti risponde invece
1'amministrazione, sulla quale gravano, in via diretta, le responsabilità  civili derivanti da azioni giudiziarie promosse da terzi; ciò non si pone in violazio­ne del predetto art. 28 Cost., poiché la norma costituzionale per­mette la limitazione della responsabilità diretta del pubblico dipendente e la stessa esclusione di responsabilità in relazione a determinate situazioni oggettive o soggettive.

Lo Stato potrà rivalersi sugli insegnanti, ove il difetto di vigi­lanza sia  ascrivibile a dolo o colpa grave e, in tali ipotesi, potrà anche agire  contro di essi per i danni arrecatigli direttamente dal comportamento degli alunni.

Va sottolineato che, riprendendo la precisazione poc'anzi ri­levata, è orientamento giurisprudenziale (26) secondo il quale, con la norma di cui  agli artt. 61, legge 312/1980 e 574, legge 297/1994, si è esclusa la  legittimazione passiva degli insegnanti an­che con riguardo alle azioni di responsabilità promosse per danni subiti dagli alunni a causa di atti da loro stessi compiuti; a mag­gior ragione, sempre l'indirizzo delle Corti è  nel senso che il pre­detto difetto di legittimazione sussiste anche per i danni subiti dagli alunni, per fatti dolosi o colposi di terze persone
verificati­si durante il periodo di permanenza nell'istituto scolastico (27).

E’ considerazione da farsi che, trattandosi, nella fattispecie, di  responsabilità in vigilando, la norma in commento ha prevalentemente  riguardo al personale docente, al quale è principalmente demandato detto compito. Peraltro, la me­desima responsabilità è estensibile, in particolari  casi, al personale ausiliario che, per aspetti episodici, ed in casi di  particolare necessità e urgenza può avere compiti di sor­veglianza sugli  alunni (28). Quest'ultimo aspetto, sottolinea il profilo innovativo del predetto art. 574, legge 297/1994 rispetto al più volte citato art. 61, legge 312/1980: questa, contemplando nel proprio ambito applicativo il  personale statale non ricom­prendeva quello ausiliario ed amministrativo, dipendente dagli enti locali (fino alle recenti riforme, che hanno ricondotto, nella quasi totalità, i dipendenti delle istituzioni scolastiche
nell'alveo della dipendenza statale); la prima, invece, contiene un espresso riferimento a tutto "il personale amministrativo, tecnico ed ausiliario".

Questione ulteriore rispetto a quella ora affrontata, è che, proprio  dall'esposta legittimazione esclusiva dell'ente pubblico per danno da  carente vigilanza acquista ancora più rilievo, e quella del soggetto chiamato a rispondere, ovvero se questo sia il Ministero della pubblica istruzione (organo dello Stato con soggettività giuridica) oppure la singola istituzione scolastica (29).

E’ ratio di diffusa conoscenza che, prima delle recenti riforme le scuole  godevano di autonomia (30) - peraltro limitata e confi­nata a taluni profili organizzativi e didattici - e si configuravano come organi del Ministero; e ancora pin conosciuta l'innovazio­ne introdotta dall'art. 21 della legge delega n. 59 del 1997, che attribuisce personalità giuridica e autonomia organizzativa e didattica alle istituzioni scolastiche, una volta raggiunti i requi­siti di dimensione ottimale, attraverso piani di dimensionamen­to della rete scolastica.

Peraltro, ancora prima di questo radicale mutamento esiste­vano istituti di istruzione dotati di soggettività giuridica: le scuole di istruzione tecnica e professionale, di istruzione artistica, i convitti nazionali e gli educandati femminili.

L'orientamento giurisprudenziale formatosi in tale contesto può risultare di grande ausilio per ipotizzare soluzioni interpre­tative nel presente scenario.

Due tesi, sostanzialmente, venivano avanzate in relazione alla legittimazione degli istituti che gia in passato avevano persona­giuridica.

Secondo un prima orientamento, gli istituti statali soggetti giuridici costituiscono organi dello Stato muniti, appunto, di personalità giuridica ed inseriti nella organizzazione statale: ciò è reso palese sia dalla imputazione allo Stato di almeno una parte degli atti posti in essere da essi, sia dallo status del relativo personale, anche docente, che appartiene ai ruoli degli impiega­ti dello Stato, e, ancora, dalla fonte dei loro finanziamenti posti a carico dello Stato (marginali risultano e risultavano, anche sotto 1'aspetto quantitativo, i proventi ed i mezzi economici di altre fonti).

Decisiva è poi la circostanza che al personale della scuola provvede l'amministrazione della pubblica istruzione sia nella fase del reclutamento che della nomina, così come alla retribu­zione, per cui ne deriva il corollario che il rapporto organico non può che instaurarsi tra 1'amministrazione ed i singoli do­centi che sono impiegati dello Stato, dipendenti come tali gerar­chicamente e disciplinarmente dalla amministrazione della pub­blica istruzione.

Gli atti, quindi, anche illeciti, posti in essere dal personale docente statale nell'esercizio delle sue funzioni debbono riferir­si al Ministero dell'istruzione e non ai singoli istituti, la cui sog­gettività si traduce in autonomia amministrativa finalizzata alla didattica. In questo senso opera la sostituzione dell'amministra­zione al pubblico funzionario quale soggetto passivo dell'azione di danni (31).

La seconda linea di pensiero (32) muove dalla constatazione che  l'attribuzione della personalità giuridica agli istituti ha fina­lità di assicurare la concreta autonomia, gestionale e didattica, rispetto all'amministrazione centrale della pubblica istruzione; permane la  soggezione alle direttive, alla vigilanza ed ai control­li di questa. Correlato dell'attribuzione della personalità e la ti­tolarità di situazioni soggettive e in particolare di diritti sogget­tivi nei confronti di altri enti in relazione alla disciplina di contratti che comportano erogazione di spese, acquisti e somministrazioni.

Si parla correttamente di decentramento autarchico, ovvero di assunzione di funzioni dello Stato da parte di un ente che acquista poteri autoritativi e li esercita sotto la vigilanza ed il coordinamento dell'amministrazione rispetto alla quale sono state decentrate le funzioni.

Sorge quindi un ambito di dialettica caratterizzato dalla convivenza di un incardinamento nel generale sistema della pubbli­ca istruzione e, in contrapposizione, i conferiti autonomi spazi operativi: non è inappropriata, perciò, la connotazione di enti strumentali che detti istituti hanno in quanto preordinati alla realizzazione di fini principalmente di interesse generale. Gli enti strumentali sono caratterizzati dall'esercitare in proprio funzioni e servizi spettanti ad altro ente, con la caratteristica, come detto, dell'autarchia, ovvero 1'attribuzione di potestà au­toritative; seppur con un procedimento mediato, comunque, i risultati del proprio operato refluiscono nell'ambito del
generale settore di amministrazione di riferimento al quale riferiscono i risultati.

E’ stato giustamente sostenuto che la posizione delle istitu­zioni scolastiche rispetto al Ministero dell'Istruzione, li rende organi dello stesso, pur nella loro veste di ente. Non si tratta di un tertium genus di figura organizzatoria, ma di un doppio profilo ordinamentale (33).

Ricorre allora qui la figura dell'organo-ente alla quale si assi­ste allorché all'organo di una persona giuridica (1'amministra­zione statale) viene a sua volta attribuita la personalità giuridi­ca. La finalità di questa complessa costruzione giuridica, e lega­ta allo svolgimento di attività strumentali rispetto alla attuazio­ne delle competenze istituzionali dello Stato. Così, sulla scia di una impostazione teorica di autorevolissima dottrina (34), il rap­porto tra organo-ente e lo Stato si pone in modo diverso a se­conda che si tratti di rapporti con i terzi o di rapporti diretti organo-Stato.

Invero, rispetto allo Stato, l'ente mantiene la sua natura di organo, inserito nella medesima organizzazione sulla base della inerenza allo Stato dei fini cui quest'ultimo è preordinato. Ri­spetto ai terzi, invece, opera il connotato della personalità giuri­dica, che consente all'organo-ente di  poter gestire autonoma­mente il proprio patrimonio entrando in rapporti diretti con i terzi, nei confronti dei quali ha la capacità di assumere diretta­mente diritti ed obblighi.

Tale configurazione di enti strumentali e, in particolare, organi-enti si attaglia perfettamente alle istituzioni scolastiche. Tali istituzioni, infatti, mentre quali organi dello Stato esercita­no una serie di attribuzioni proprie di quest'ultimo (rilascio di titoli di studio, certificazioni, attività di amministrazione del per­sonale e di conduzione del rapporto con gli studenti), attesa la personalità giuridica di cui sono dotati, entrano in rapporto con i terzi, nei cui confronti possono assumere
diritti ed obblighi.

L’ultimo indirizzo riferito risulta, ad oggi, minoritario: si opi­na, d'altro canto, che se l'autonomia delle istituzioni scolastiche acquisirà una solida concretezza, la prospettiva potrebbe ribal­tarsi. E’ agevole constatare che, pur dipendendo quando a rappor­to di impiego dall'amministrazione del dicastero dell'Istruzione, l'insegnante, quando svolge le sue mansioni è funzionalmente incardinato nella singola scuola, ora persona giuridica, e chia­mata ad esporsi con piena ed autonoma soggettività verso terzi.

 

 

La gita scolastica


 Presenta particolare complessità la definizione di un com­piuto regime di responsabilità in relazione al momento educati­vo comunemente qualificato come "gita scolastica". Com’è noto, durante lo svolgimento delle stesse, gli insegnanti fungono da docenti ed accompagnatori . Alla peculiarità ed articolazio­ne della vicenda vanno quindi interpretati i canoni in tema di responsabilità da vigilanza dei tutori e precettori. Va precisato che si tratta, (o si dovrebbe trattare), nel caso di specie, di tut­t'altro che di una "gita", ma di uno specifico evento didattico ­culturale, più esteso temporalmente e che conduce i discenti al­l'interno di una metodica cognitiva fondata sulla diretta espe­rienza della realtà e dei luoghi oggetto di studio; va peraltro ag­giunto che non va sottaciuto il momento ludico e relazionale legato alla novità del contesto educativo, ai tempi di svago con­cessi, alle possibilità di vita comunitaria.

Pare opportuno allora, sottolineare i momenti focali che ca­ratterizzano - e cui dove incentrarsi un vaglio sul sistema di re­sponsabilità - le gite delle scolaresche:

-            le varie attività si svolgono al di fuori dell'ambiente scola­stico;

-            vi è comunque un profilo didattico definito ed individuabi­le (anche senza la rigida griglia degli orari di lezione e l'ambien­te della classe con i connessi suppellettili e strumenti di didatti­ca), ove, peraltro maggiore si presenta il rischio di incidenti;

-            circoscrivono in momenti di insegnamento veri e propri ampi momenti di vita in comune o di prassi quotidiana, anche se al di fuori delle abitazioni proprie degli alunni.

In primo luogo non pare possa essere contestato che durante i momenti di insegnamento diretto ed in loco, pur se al di fuori dei locali scolastici, si assista ad attività rientrante a pieno titolo nella funzione docente, e quindi si debba applicare alla situazione il regime dell'art. 2048 c.c. ed il connesso obbligo di porre in essere, come si è avuto modo di analizzare, tutte le iniziative e gli accorgimenti organizzativi volti a prevenire ed evitare ogni prevedibile evento dannoso agli e da parte degli scolari. Si dovrà poi tener conto della specifica realtà dei luoghi, del grado di maturazione degli stessi, delle modalità con cui degli stessi è da attendersi ii confronto con il peculiare momento educativo in questione; va quindi, sotto tale profilo, anche sindacata l'idoneità della scelta della durata, dei luoghi e delle modalità di svolgi­mento della gita.

Vi è poi la questione legata ai momenti non propriamente di istruzione. In ogni caso, va premesso, e ribadito, vi è una tradi­tio degli alunni da parte dei genitori verso la scuola e gli insegnanti che conferisce a questi ultimi una posizione di garanti con obbligo di protezione e salvaguardia, cosicché, come si esa­minerà nella responsabilità penale, gli stessi sono chiamati a rispondere per omissione in relazione alle eventuale verificazione di disgrazie (lesioni ed omicidio colposo in caso di traumi o di eventi luttuosi, abbandono di minorenni), ma anche di re­sponsabilità civile. Si tratta di definire se ai sensi dell'art. 2043 o del predetto art. 2048. Prendendo spunto dai non copiosi indi­rizzi giurisprudenziali in merito, che affermano che l'obbligo di sorveglianza sugli alunni da parte dell'insegnante non è limitato a determinare attività della vita scolastica, ma ha carattere ge­nerale ed assoluto, poiché l'insegnante é tenuto ad osservarlo in ogni momento in cui l'alunno sia a lui affidato, tanto da incorrere in penale responsabilità ogni volta che l'incidente occorso ad alcuno degli alunni debba essere attribuito, in rapporto di causa o di concausa, ad omessa sorveglianza , ed anche sviluppando le ripetute precisazioni secondo le quali la responsabilità della p.a. ex art. 28 Cost., 2043 e 2048 c.c. per le lesioni riportate da un alunno minore all'interno di un istituto di istruzione in con­seguenza della condotta colposa del personale scolastico ricorre anche nel caso in cui il fatto sia awenuto al di fuori dell'orario delle lezioni, e anche ove ne sia consentito 1'anticipato ingresso nella scuola o la successiva sosta, sussistendo 1'obbligo delle autorità scolastiche di vigilare sul comportamento degli scolari per tutto il tempo in cui costoro vengono a trovarsi legittima­mente nell'ambito della scuola fino al loro effettivo licenziamen­to , si sostiene qui la tesi che sia la seconda disposizione a dover essere applicata. Milita poi, e pare argomento decisivo, la considerazione che la "gita scolastica" è un momento educativo tutt'affatto unitario, ove all'aspetto dell'insegnamento diretto si aggiunge il momento educativo della vita di relazione, dell'edu­cazione dell'alunno all'autonomia, all'autocontrollo ed alla so­cialità. Obiettivo in cui, nel peculiare contesto di cui si tratta, è chiamato l'insegnante. Si tratta ora di individuare fin dove l'in­segnante stesso è chiamato a sorvegliare e prevenire. Le espe­rienze considerabili come conoscenze comuni indicano come momenti critici le ore notturne e i momenti di svago. Preceden­te giurisprudenziale esclude responsabilità dell'insegnante du­rante le prime, dedicate al riposo e non alla vigilanza .  Ci si permette di obiettare che non vi può essere una risposta astrattamente canonizzata. La specifica caratterizzazione della scola­resca (età, irrequietezza di alcuni suoi membri, episodi ed indi­zi che possano indurre ad aumentare il tasso di vigilanza e l'at­tenzione nella presenza e nello sguardo) farà ritenere, a seconda dei casi, se era dovere del docente rinunciare a qualche ora di sonno a fronte di rischi di particolare rilievo così come un eleva­to livello - con impegno nervoso e dispendio intellettuale-emo­tivo particolarmente intenso - di attenzione verso le modali­tà (rispettose delle cose e dei beni altrui così come, con recipro­ca sensibilità, delle proprie dignità) di svolgimento degli svaghi ricreativi degli alunni. Vale la pena ricordare, da ultimo, come spesso le gite scolastiche abbiano come momento locale l'edu­cazione sportiva ed il recupero di energie psico-emotive, in par­ticolar modo sotto l'aspetto motivazionale dell'impegno allo stu­dio: si tratta delle c.d. "settimane bianche". In questo caso del tutto legittimo è l'affidamento, nelle ore proprie al maestro di sci, sul quale incombe il compito di un normale svolgimento delle stesse . 


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