Handicap intellettivo grave e
servizi.
Oltre l’assistenzialismo e l’irrecuperabilità
di Antonio Valentini
Direttore Centro socio educativo, Opera don Guanella, Nuova Ologno (So)
(da Gruppo Solidarietà: http://www.comune.jesi.ancona.it/grusol
Appunti sulle Politiche Sociali )
Prendersi cura senza guarire; così può essere definita la filosofia di riferimento nel lavoro con persone con grave handicap intellettivo. Recuperare la dimensione pedagogica ed educativa porta a puntare al benessere della persona, alla sua qualità di vita, alla luce della soddisfazione dei suoi bisogni; tendere ad un migliore e più adeguato assetto esistenziale, al massimo benessere possibile.
(..) Intendo dividere, per comodità espositiva e di comprensione, la mia relazione in tre punti (per ragioni di spazio riprendiamo parti del primo e del terzo punto, n.d.r.) che comunque sono tra loro strettamente correlati:1) Alcune riflessioni generali di filosofia dell'educazione con l'handicap
grave (dimensione pedagogica).
2) Quale organizzazione dei servizi per l'handicap grave per una qualità di
vita? (dimensione pedagogica e comunitaria).
3) Quali le caratteristiche di un ambiente accogliente per la persona con
handicap grave? (dimensione comunitaria).
Alcune riflessioni generali di filosofia dell'educazione con l'handicap grave…
Utilizzerò in questa prima parte il testo di M. Cannao e G. Moretti, Il grave handicappato mentale. (..) L'handicap intellettivo grave in età adulta è una disabilità di difficile definizione. Gli autori sopra citati suggeriscono una chiave di valutazione particolare e sottolineano comunque l'importanza di una valutazione fatta ai fini dell'attività educativa e riabilitativa e non solo rinchiusa in quelli medico-specialistici. La chiave generale, dicono gli autori, può essere identificata nel principio di comunicazione che a sua volta consiste di tre operazioni: decodificazione - elaborazione - codificazione con i relativi livelli di funzionamento neuropsichico e relativi aspetti strutturali (vettori e analizzatori) a cui si aggiungono il grado di rigidità del funzionamento mentale e la dimensione emozionale.
A monte occorre comunque fare almeno 2 considerazioni molto importanti: la
prima è che in nessun altro caso, come in quello della persona con grave
handicap intellettivo, è necessario tenere presente l'unità della persona
(visti i rischi di frammentazione insiti nella gravità); la seconda è che per
intraprendere strade riabilitative ed educative realmente efficaci occorrono
soluzioni nuove, nuovi strumenti.
Tralasciando gli aspetti della valutazione più di tipo tecnico medico, è
realistico dire che di fronte alla persona con handicap intellettivo grave il
disagio è molto forte, non si sa letteralmente che cosa fare. Si sperimenta
spesso un senso di angoscia perché ci si sente costretti in un ruolo
custodialistico inaccettabile che riporta ai paradigmi di assistenzialismo e
irrecuperabilità. Il rischio è quello di elaborare programmi in chiave
prevalentemente medico-naturalistica, che pure ha la sua importanza ma non è
esaustiva. Si avviano allora programmi di vita rigidi, schematici (es:
suddivisione e organizzazione della giornata) che poi normalmente si rivelano
fallimentari. Alla base di tali concezioni frequentemente stanno due modi
erronei di concepire ed affrontare la gravità.
- Il primo consiste nel non aver preso coscienza della condizione di gravità e
dei limiti che essa impone al recupero. In questo caso si continua ostinatamente
a tenere come riferimento la vita attiva della persona normale, e il disabile
rischia di diventarne una grottesca caricatura. E' importante invece, come
sottolineano Cannao-Moretti, prendere consapevolezza che la persona con handicap
intellettivo grave ha una visione/percezione della realtà non soltanto ridotta
o limitata ma strutturalmente diversa da quella della persona cosiddetta sana.
- Il secondo consiste nell'utilizzare una mentalità strettamente naturalistica che induce a valutare la persona con handicap intellettivo grave in base ai suoi deficit, considerandola come un insieme di errori da riparare o di mancanze da colmare. Anche se, in realtà, qualunque azione riabilitativa presuppone un substrato attivo su cui lavorare.
In forza delle considerazioni sopra esposte occorre arrivare ad un piano più profondo, occorre cioè recuperare la filosofia dell'intervento con la persona con grave handicap intellettivo, e la prospettiva pedagogica, educativa e comunitaria. Semplificando possiamo dire che gli interventi tradizionali generalmente si suddividono in due grossi filoni: da una parte la prospettiva medica e dall'altra l'ottica riabilitativa ed educativa.
Nella prima l'intervento è orientato a vincere la malattia, ad eliminare i sintomi, a diminuire le sofferenze. Tale prospettiva è pressoché irrealizzabile nelle compromissioni cerebrali gravi perché sono caratterizzate da cronicità, perché il sistema nervoso è poco plastico e perché le alterazioni sono per lo più irreversibili. Questa prospettiva ha sicuramente un suo valore perché consente di impiegare strumenti atti a ridurre sintomi secondari (es. instabilità, ansia, comizialità) e a risolvere problemi clinici (ad esempio nel campo dell'odontostomatologia, della chirurgia, dell'ortopedia, ecc..) che permettono il raggiungimento di stati di benessere. Occorre però ammettere che è estremamente difficile prevedere provvedimenti medici risolutori.
L'ottica riabilitativa ed educativa si presenta come più multiforme e complessa, e non si vuole qui entrare nel merito delle varie tecniche riabilitative, ma concentrare l'attenzione sulle finalità di tale intervento. Tali finalità, come riportato nel testo sopra citato, si possono così riassumere in ordine decrescente:
1. Normalizzazione totale (guarigione);
2. Recupero che permette una reale integrazione sociale;
3. Ampliamento di capacità residue per una sufficiente autonomia;
4. Introduzione di comportamenti elementari integrati con modificazioni del contesto;
5. Mantenimento della situazione in rapporto alle possibili regressioni.
Generalmente per la persona con handicap intellettivo grave valgono le ultime due finalità anche se non si deve escludere la possibilità di accedere ai livelli superiori. Quest'ottica è sicuramente più efficace ed è intesa come traduzione nella pratica quotidiana dello spirito del prendersi cura e non come prassi riabilitativa meccanizzata o come terapia interminabile.
Qual è quindi la specificità della filosofia dell'intervento con il grave? Personalmente condivido la posizione degli autori sopra menzionati che identificano tale specificità nella capacità di prendersi cura senza guarire.
Occorre forse qui approfondire ulteriormente. Nel modo corrente di concepire gli stati di patologia esiste una continua logica consequenziale tra i processi di diagnosi - cura - guarigione. Questo tipo di modello è poco adatto ad affrontare condizioni come quella della persona con grave handicap intellettivo. In questi casi, fin dall'inizio, la guarigione appare assai improbabile se non impossibile e allora si evidenzia l'inutilità di mettere in atto il secondo termine della sequenza: la cura. Questa drastica posizione viene ad attenuarsi con il fattore tempo e, come dicono gli autori: "assistiamo quindi molto spesso ad una progressiva dilatazione della dimensione cronologica, che si estende a dismisura dando luogo a terapie interminabili ….. destinate a finire solo con la vita del paziente o con l'esaurirsi dell'energia psicologica di chi amministra la cura".
Proseguendo questa analisi si rileva che il modello: cura - terapia - guarigione si rifà ad una concezione della salute come parametro assoluto della normalità. Ma, se la diagnosi sicuramente si colloca nel campo naturalistico, la cura appartiene ad una sfera ben più ampia che attinge dalla filosofia e dall'antropologia. Con il termine cura si intende qui l'atteggiamento di chi possiede una interiore sollecitudine per la persona che soffre, di chi intende partecipare attivamente alla sofferenza altrui. Per questo il curare presuppone un atteggiamento mentale che non considera la malattia come qualcosa di mostruoso o abnorme, estraneo al fluire della vita. In questa prospettiva il destino della malattia diverge dal destino della persona, la quale rimane tale anche se gravemente e inguaribilmente malata, e il diritto alla cura è qualcosa di sostanzialmente diverso dal diritto a una qualche assistenza di cui fruire passivamente fino alla morte. Per questo curare la persona con grave handicap intellettivo è uscire dalla ristretta ottica medico-naturalistica, è porsi come persona autentica di fronte ad una persona che non guarirà per darle aiuto nonostante la malattia, e non contro di essa.
Ovviamente l'ottica in cui ci si deve porre non è quella di escludere la
dimensione del recupero ma quella di stabilire delle precise priorità di
intervento e collocare tutto ciò in una articolata visione dell'uomo. Significa
sostanzialmente effettuare la distinzione fra prendersi cura della malattia e
prendersi cura della persona. Per approfondire questa distinzione ci facciamo
aiutare dalle scienze neurologiche e dagli studi rispettivamente di Jackson e
Goldstein. In un ottica naturalistica il primo afferma che la salute è la norma
e quindi la malattia è sempre regressione, per il secondo in un ottica
umanistica la malattia è un nuovo modo di vita. (..) Occorre comunque stare
attenti a non negare l'esistenza stessa della malattia come fattore biologico
affermando che la condizione di gravità neuropsichica si può eliminare
semplicemente modificando l'assetto sociale. Questo sarebbe una profonda
mancanza di rispetto per la persona con grave handicap intellettivo, infatti,
rispettare una persona significa anche impegnarsi a riconoscere i suoi bisogni
reali e cercare di rispondervi.
E' quindi necessario interrogarsi sui bisogni, sul vero significato della
sofferenza.
La persona adulta con grave handicap intellettivo soffre di una diminuita
capacità contrattuale nei confronti dell'ambiente, di enormi pericoli di
frammentazione del sé, del collasso di minimi spazi mentali, della scomparsa
degli strumenti di comunicazione. Per questo ha necessità di aiuto ed è nostro
dovere offrirglielo, quindi l'intervento, indipendentemente da qualsiasi istanza
di guarigione, si pone obiettivi primariamente esistenziali.
Bisogna saper porre al centro la persona nella sua globalità rifacendosi a modelli e valori etici/filosofici e antropologici e collocandosi lontani dal criterio di efficienza. Vero è che l'attuale dimensione socio-culturale peggiora la situazione della persona in condizione di handicap perché è condizionata da un meccanismo di produttivismo efficientistico. Occorre rifocalizzare il problema esistenziale della persona che è anche e soprattutto problema di comunicazione e quindi di cultura, perciò riabilitare è modificare il rapporto soggetto-ambiente.
Occorre quindi puntare al benessere della persona, alla sua qualità di vita, alla luce della soddisfazione dei suoi bisogni; tendere ad un migliore e più adeguato assetto esistenziale, al massimo benessere possibile, con realismo. Senza dubbio la persona con grave handicap intellettivo colpisce chi lo avvicina per la sua condizione di estrema povertà, sembra quasi di entrare in un deserto psichico, relazionale, sociale e suscita l'impulso immediato di abbandonarla al proprio destino o di assisterla passivamente, perché la promozione sembra una utopia e sembra data per scontata l'ineducabilità.
Se però si cambia prospettiva e ci si rifà a criteri di relazionalità, convivenza e felicità allora la dimensione educativa assume un nuovo e forte significato nel quadro globale del trattamento. E questo avviene se si recupera l'accezione primitiva del termine educazione: processo destinato a guidare un individuo verso tappe di economia esistenziale più avanzate.
Un intervento educativo così inteso deve rifarsi a due presupposti:
1) Qualsiasi intervento, a qualunque livello si realizzi, deve avere come fine il benessere della persona (il suo equilibrio nel rapporto con la realtà), e di conseguenza i risultati si devono valutare in termini di facilitazione dell'esistenza di quel soggetto specifico e non in riferimento a modelli teorici di sviluppo, né a criteri di produzione sociale o di altro tipo.
2) Valutare con precisione e realismo l'utilità effettiva delle capacità funzionali che si intende evocare o potenziare. Infatti alcune acquisizioni strumentali possono rimanere estranee all'assetto globale della persona o addirittura rappresentare un fattore peggiorativo…. E qui gli esempi potrebbero essere molti….
E' chiaro che l'approccio pedagogico-educativo risulta fattibile se perseguito da persone (operatori, educatori, familiari) che si configurino come adulte e psicologicamente ben integrate. Emerge chiaramente qui il forte bisogno di formazione anche delle dimensioni psico-educative. E' comunque necessario che le persone che vivono e lavorano con la persona in condizione di handicap intellettivo grave si caratterizzino sempre più come equilibrate ed integrate. Basti pensare ad esempio a quanto è difficile saper attendere e cioè assistere senza intervenire e graduare la pressione dell'intervento secondo i bisogni attuali di chi è assistito e non di chi assiste …. Quante volte invece non sono i nostri bisogni …. Le nostre misure di autoefficacia!! Questa dimensione pedagogica è fondamentale per realizzare realistici e veramente promozionali interventi.
Mi piace qui richiamare un concetto espresso dal professor Vico in un convegno del 1998. In quell'occasione parlava di nostalgia dell'educazione e continuava dicendo che tale nostalgia è insidiata da due grossi rischi. Il primo è quello rappresentato dal problema del disincanto, dalla tentazione di vivere alla giornata, perdendo la prospettiva delle lunghe scadenze, lasciandosi sedurre dal qui ed ora del processo produttivo e dimenticandosi che l'educatore non si gratifica nel quotidiano; si giunge così a dire che educare è impossibile. Il secondo è rappresentato dalla caduta dell'educativo, la qual cosa si contrasta attraverso la creatività e la forza, attraverso la fede nell'educabilità della persona, attraverso il non lasciarsi frammentare le coscienze e avere il senso dell'altro. Vi sono sicuramente segnali positivi, incarnati da tante persone che intendono comunque non abbandonare il campo ma lavorare con impegno e serietà.
Quali le caratteristiche di un ambiente accogliente per la persona con handicap grave?
In un ottica comunitaria quali debbono essere le caratteristiche di un servizio per essere un ambiente accogliente per la persona in condizione di handicap intellettivo grave? Ma perché è importante parlare di ambiente?
L'ambiente ha un grande ruolo, può determinare in misura maggiore o minore l'handicap, quello che nel campo della pedagogia speciale viene definito handicap indotto. L'ambiente può essere considerato come un elemento catalizzante dello sviluppo del sistema nervoso centrale, soprattutto in particolari fasi e momenti.
A tal proposito gli studi neurobiologici degli ultimi 20 anni hanno tentato
di superare il dualismo determinismo genetico/influenza ambientale per formulare
delle ipotesi più avanzate ed integrate. Molte ricerche mostrano comunque la
stretta relazione fra ambiente e sviluppo del SNC e sue funzioni, tanto da
indurre addirittura delle alterazioni a livello morfologico (..).
Addirittura molti autori sostengono che anche nell'invecchiamento e nel
decadimento (in fasi regressive…) esperienze ambientali favorevoli permettono
il mantenimento di buoni livelli di performance. Tali ricerche e studi ci
confermano quindi l'importanza del tema in oggetto, soprattutto per la persona
in condizione di handicap intellettivo grave. Potrebbero sorgere ora numerose
domande circa quali esperienze, circa il come proporle ecc…
Ma cerchiamo di definire con chiarezza cosa si intende con il termine ambiente a cui possiamo ricondurre e a volte identificare la dimensione comunitaria.
Mi sono rifatto alle definizioni che il vocabolario Zingarelli dà al termine
ambiente.
Ambiente:
1) Ciò che sta attorno, che circonda.
2) Complesso delle condizioni esterne materiali, sociali, culturali nell'ambito delle quali si sviluppa, vive e opera un essere umano. 3) Insieme di persone distinte da interessi ed idee comuni.
Esaminerò ora, ampliandola e cercando di collegarla alla vita quotidiana dei servizi, ciascuna delle definizioni sopra riportate.
1) L'ambiente è ciò che sta attorno, che circonda, è l'insieme fatto dal tutto (materiale, personale, emozionale, relazionale,…..). Esso circonda la persona, è il tutto in cui essa è immersa (e che la plasma). E' quello che i pedagogisti chiamano il clima, il tono educativo di un contesto. Tale tono è fatto di elementi, a volte, impalpabili ma anche molto importanti. Pensiamo ad esempio galleggiare in un ambiente caldo, freddo, teso, rassicurante, …… Quindi la qualità del contesto ha un grosso valore. Impegno di creare un ambiente ricco di affetto, calore, attenzione, solidarietà, aspettative, promuovente, preventivo, ecc….
2) L'ambiente è il complesso delle condizioni esterne materiali, sociali e culturali nell'ambito delle quali si sviluppa, vive e opera un essere umano. Scomponendo l'affermazione si parla di condizioni esterne, non quindi legate alla persona, materiali: l'ambiente fisico è molto importante perché testimonia l'apprezzamento della vita e il riconoscimento della dignità. Si parla di condizioni sociali: fatte di persone, delle loro relazioni, del rapporto con l'esterno. Ancora, condizioni culturali che si rifanno a quanto sopra ma in più offrono orientamenti, conoscenze, simboli, norme, valori e relative disposizioni di animo. Essi hanno una forte incidenza nella crescita e nello sviluppo delle persone svantaggiate, basti pensare al concetto di handicap. Essi possono per esempio offrire incoraggiamento o esercitare inibizione (desideri, fantasie, divieti, tabù, es….).
3) L'ambiente è un insieme di persone destinate ad interessi ed idee comuni. E' questa una definizione interessante perché riconduce ad un quadro di unità, es: gruppo di persone che condividono idee e valori quali per esempio la solidarietà, ambienti coagulati intorno a un nucleo ideologico. E' inevitabile qui fare un aggancio a quando sopra, nel contesto delle organizzazioni dei servizi, parlavo del condividere la filosofia generale secondo la quale si opera, consenso elaborato.
Ma per quanto riguarda l'ambito di cui ci stiamo occupando non basta riflettere sull'ambiente in generale ma occorre dargli un attributo che lo qualifichi e lo contestualizzi. Per me è necessario parlare di ambiente accogliente. Anche qui mi sono divertito a cercare sul vocabolario l'aggettivo accogliente e il verbo accogliere. Accogliente: ospitale, piacevole, comodo. Sono queste caratteristiche che rendono attraente un ambiente, lo rendono così prima, durante e dopo. Sono caratteristiche ben visibili, che si devono poter cogliere con chiarezza, Rappresentano un invito ad entrare e a rimanere. Sono caratteristiche spontanee ma che vanno anche costruite e mantenute, sono elementi che rassicurano, confermano, sostengono.
Accogliere:
1. Ricevere con varia disposizione di animo.
Il concetto di ricevere sottende forse ad altri significati quali quello di dono, di fare proprio, di curare, prendersi cura, farsi carico. Richiede un movimento interiore, una disposizione di animo. Il tutto si gioca sul termine varia (disposizione di animo) di quali significati lo riempiamo2. Approvare, accettare.
E' difficile accettare e non plasmare come vorremmo noi in modo ideale…eppure è così importante il realismo con la persona in condizione di handicap intellettivo grave. Per essa è difficile essere primariamente accettata per quel che è, accettata con disposizione profonda. Attenzione al fatto che qui non si intende la parola accettare come sinonimo di accontentarsi ma bensì: accettare per evolvere, perché non c'è reale progresso se non c'è accettazione iniziale.3. Contenere, ospitare.
E' interessante qui focalizzare l'attenzione sul significato e sul valore dell'ospitalità. Ancor più sul termine contenere che a ben vedere è uno dei bisogni primari della persona con handicap intellettivo grave. Contenere sia in senso figurativo, reale, sia in senso metaforico. Nel primo caso significa di volta in volta dare uno spazio dove…, offrire dei confini, delle sicurezze, stabilire chi sta dentro e chi sta fuori. Nel secondo significa offrire sicurezza, equilibrio, stabilità, contenere le ansie e le paure…
Ora cercherò di coniugare le due realtà concettuali sopra esposte cercando di raffigurare quali possono essere le caratteristiche di un ambiente accogliente per creare una vera ed efficace dimensione comunitaria.
Quindi esplicitando meglio:
quale ambiente per essere accogliente, in una dimensione comunitaria, per la persona adulta in condizione di handicap intellettivo grave?
Sicuramente, essendo la persona in condizione di handicap, prima che
handicappata, una persona, valgono tutti gli elementi sopra menzionati con
alcune sottolineature e con qualcosa in più. Darò più spazio a ciò che sta
attorno, che circonda più che alle condizioni esterne, sociali, culturali.
L'ambiente è fonte di messaggi, trasmettitore di sensazioni ed emozioni, è
importante quindi che in esso regni un clima, un tono educativo ricco,
rassicurante e non rigido anche perché la precisione programmatica mal si
accorda con la dimensione umana. Occorre comunque avere le idee chiare, anche se
è un impresa non facile ma obbligatoria per rispetto alle persone affidateci.
E' necessario avere intesa sulle finalità, anche e soprattutto sulle aperture
sociali e sulle proiezioni verso il futuro anche per non frammentare
l'intervento e di conseguenza la persona. Infatti la costituzione di un ambiente
non può prescindere dai contatti che tale ambiente ha con la realtà
circostante (le famiglie, le altre strutture, il territorio, ecc..). Il
"prodotto" di questo ambiente (educativo, benessere, socializzante) è
da "esportare" sui diversi "mercati"…. In quest'ottica
trova vera realizzazione il paradigma di restituire le persone al territorio.
Tornando al tema principale identificherò di seguito alcune delle caratteristiche che realizzano, in una dimensione comunitaria, una ambiente accogliente e realmente promuovente per la persona in condizione di handicap intellettivo grave.
Io ne identifico primariamente quattro.
1) Presenza di ordine. Ordine sia materiale che a livello di razionalità, comprensibilità, chiarezza e trasparenza. Questo ordine deve essere decodificabile anche da soggetti con ritardi profondi. In ogni momento e per ogni aspetto è importante chiedersi: questa o quest'altra situazione può essere "letta", capita, da tutte le persone. Se ciò non si realizza rischiamo di alienare la persona perché viene tenuta lontano dall'effettivo significato di quanto la circonda, perché perde il senso di quanto avviene attorno a lei. E' necessario quindi creare un ambiente a misura, facilitato ma non ridimensionato o ridotto. Un ambiente commisurato alle capacità di comprensione e di mentalizzazione delle persone che ci vivono
2) Massima cura della dignità del soggetto, che deve tradursi anche concretamente in realtà tangibili quali ad esempio la pulizia, l'alimentazione, l'arredamento, gli spazi, i colori, la possibilità di personalizzazione, ecc
3) Attenzione alla costruzione di una atmosfera felice, distesa, serena e non conflittuale. A tal proposito quanti esempi potremmo portare a conferma del fatto che la persona in condizione di handicap intellettivo (più o meno grave) percepisce l'atmosfera che la circonda e se essa è negativa, è indotta a rispondere con manifestazioni altrettanto negative (es: rifiuto ecc…). Vi è chi afferma che la crisi di una struttura, di un ambiente da il primo segno attraverso il disagio dei suoi ospiti. La "tenuta" della persona in condizione di handicap è fragilissima e la loro capacità di intuire quanto non va è straordinaria! Questo è dovuto sicuramente alle caratteristiche di iporiflessione, iporazionalizzazione, per un discorso di percezione diretta.
4) Necessità che ogni rapporto sia permeato da autenticità. Ma cosa significa essere autentici?
Utilizzo la definizione di Biswanger: "mettere da parte alcuni aspetti suggestivi per giungere al senso della persona con cui si tratta, per affrontarla liberamente, con sincerità, analizzando i problemi che ne derivano alla luce di una concreta adesione alla realtà".
Tutti questi aspetti devono inevitabilmente dare origine a strategie applicative immediate su dimensioni quotidiane (es: tempo libero, attività, gite, composizione gruppi, ecc..). Si potrebbero aggiungere altre considerazioni legate al fatto che la persona vive ed opera in molti ambienti, e valutare quali legami ed interazioni esistono fra di essi ponendo l'accento sull'attenzione al pericolo di una eccessiva frammentazione, parcellizzazione della persona e dell'intervento su di essa. E' importante qui confermare invece che tutto ciò è come un mosaico composto da tanti tasselli che più sono compenetrati più sono garanzia del fatto che la persona sia integra e integrata, e cioè che viva bene.
Il soggetto di tutte queste interazioni è la persona, e ancor di più il progetto che si ha su e per quella persona.
Un progetto globale, esistenziale.
Riferimenti bibliografici
M.Cannao e G. Moretti, Il grave handicappato mentale, Armando, Roma 1983
G.Carabelli (a cura di), Molti soggetti per un percorso, Unicopli, Milano 1993
M. Motta , F. Mondino, Progettare l'assistenza, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1994