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INTEGRAZIONE? DI CHI ? IN CHE SCUOLA? IN QUALI MODI ?

di Salvatore Nocera

INTEGRAZIONE - In questi ultimi anni, è stato sottoposto a critiche il termine “integrazione” scolastica degli alunni con disabilità, più che il suo concetto. Anzi la contestazione del termine è vista proprio in funzione di un più approfondito concetto della stessa.

E’ però da tener presente che , quando , verso i primi anni Settanta , cominciammo a parlare di “integrazione”, intendevamo contrapporre tale termine , ed il concetto ad esso sotteso, a quanto era avvenuto verso la fine degli anni Sessanta, con l’immissione tumultuosa e non preparata organizzativamente e didatticamente, di migliaia di alunni con disabilità nelle scuole elementari e che noi definimmo “inserimento”, talora anche “selvaggio”.

Per noi “ integrazione “stava a significare proprio il contrario di inserimento, cioè l’ingresso preparato degli alunni con disabilità nelle classi comuni , in modo che loro riuscissero a superare l’handicap con la coeducazione coi compagni non disabili e l’organizzazione della scuola dovesse adattarsi ad accogliere convenientemente questi nuovi alunni.

Però, con l’andar del tempo, la prassi dell’integrazione venne sempre più focalizzandosi sulle modalità di adattamento degli alunni con disabilità alla classe, tramite la presenza degli insegnanti per il sostegno, degli assistenti per l’autonomia e la comunicazione,sussidi ed ausili tecnologici, etc. Si è puntato quindi più ad una forma di “ inserimento qualificato”, più che di integrazione, come la intendevamo inizialmente. Così è stato facile cominciare a contestare questa modalità di pseudo integrazione, recuperando le critiche degli oltranzisti all’integrazione di allora che avevano coniato lo slogan spregiativo di “ integrati nel sistema”, per intendere che l’integrazione avveniva in senso unico, cioè facendo adattare gli esclusi nel ” sistema”, senza ottenere invece la modifica del sistema.

E’ comparso ora all’orizzonte culturale il termine anglosassone “ inclusion”, che sta soppiantando il termine italiano di “integrazione”. In vero la traduzione italiana del termine in “inclusione “ letteralmente significa “ chiudere dentro” e quindi è decisamente più vicino al termine “inserimento” che avevamo abbandonato per quello decisamente più significativo di “ integrazione”, cioè rendere integro. Ma se vogliamo dare al termine “inclusione” il senso originario di “ integrazione, convenzionalmente possiamo pure starci, purché si recuperi il valore biunivoco di reciproco influsso fra singola persona con disabilità e società.


 

CHI INTEGRARE – Originariamente la L.n. 108/71 consentiva l’inserimento dei soli alunni con disabilità fisica non grave. Con la L.n. 517/77 si è pervenuti all’integrazione di tutte le persone con disabilità,qualunque fosse la minorazione e la sua gravità. Però allora mancavano all’appello persone con disabilità particolari che sono negli ultimi sei o sette anni cominciarono a frequentare le scuole anche superiori. Mi riferisco agli alunni con grave ritardo mentale, con cerebrolesioni, con autismo. Anche per questi alunni si applicano le norme volute inizialmente per gli alunni con minore complessità e la scuola sia pur con difficoltà , impreparazione e contraddizioni, si sta attrezzando anche per la loro accoglienza, sforzandosi di farlo tentando livelli di qualità.

Però i docenti e gli esperti dei servizi sociosanitari ci documentano sempre più frequentemente che nelle scuole c’è un crescente numerosi alunni con difficoltà di apprendimento non derivanti da minorazioni “stabilizzate o progressive” e quindi non certificabili ai sensi dell’art 3 comma 3 L.n. 104/92,ora ripreso dal DPCM n.185/06. A questi alunni, come alunni con dislessia, disgrafia, discalculia, con disagio esistenziale, culturale, familiare, socioambientale, che ormai raggiungono circa una percentuale del 20%, rispetto al 2% degli alunni con disabilità certificata, l’organizzazione istituzionale e specie scolastica non riservano particolari risorse, come avviene invece per gli alunni certificati con disabilità.Eppure talora creano problemi molto maggiori nella scuola degli altri, essendo anch’essi portatori di bisogni educativi speciali.

Una revisione radicale della teoria dell’integrazione scolastica dovrebbe inserire anche questi alunni fra quanti hanno bisogno di specifici interventi didattici e di taluni servizi territoriali. Però c’è il rischio che si spalmino su questi bisogni le risorse, sino ad oggi, riservate per legge esclusivamente agli alunni con disabilità certificata.

E’ la scuola che deve sapersi attrezzare come voleva don Milani;ma questo ancora la scuola non fa.

IN QUALE SCUOLA- La scuola d’oggi è ben diversa da quella della fine degli anni Sessanta e primi anni Settanta ed anni Ottanta che avviò il processo d’integrazione. Infatti la spinta propulsiva, ideale, culturale e talora pure ideologica, di allora è venuta meno ,sia per il naturale evolversi delle cose della vita, sia per il mutato clima politico e socioculturale, sia per il normale ricambio generazionale. Allora ci battemmo per ottenere le norme; oggi, chi opera trova le norme belle e fatte come cosa normale e routinaria; inoltre l’agenda politica è mutata. Oggi l’integrazione degli alunni con disabilità è “ fuori moda”, soppiantata da fenomeni nuovi come l’integrazione degli alunni stranieri che nel giro di pochi anni hanno raggiunto e superato di quasi il triplo il numero degli alunni con disabilità certificata, attestati intorno ai 180,190 mila. Oggi sono al centro di attenzione politica i casi di bullismo e si ritiene che ormai i problemi organizzativi dell’integrazione degli alunni con disabilità siano stati definitivamente risolti, senza pensare che tali problemi continuano a sussistere.

Inoltre con il crescere del numero degli insegnanti per il sostegno, specializzati e non, l’impegno dei docenti curricolari si è venuto sempre più riducendo, determinando,di fatto, una delega ai primi. Su questi insegnanti si abbatte impietoso il precariato, che, sommandosi, a retribuzioni inferiori alle aspettative poste negli studi svolti, determinano sfiducia, incertezza per il futuro e scarsa tensione di coinvolgimento.

CON QUALI MODALITA’ -

La scuola in cui tali docenti si trovano ad operare offre sempre meno certezze , tra riforme e controriforme sempre incomplete, decentramento ed autonomia incompiuti, fra conflitti di attribuzioni di competenze fra diversi soggetti istituzionali, centrali e locali.

Tutto ciò certo non giova ad un recupero ed all’innovazione della cultura dell’integrazione.

La ricerca didattica sul campo che aveva trovato le nuove modalità di scolarizzazione degli alunni con disabilità, non è più così diffusa. L’Università, tranne rare eccezioni, offre una formazione prevalentemente libresca,se non addirittura quasi solo “ on line” , senza un contatto diretto con gli alunni in fase di tirocinio.

La formazione iniziale dei docenti e quindi dei Dirigenti scolastici non prevede nulla o quasi che riguardi la pedagogia speciale,la didattica specifica per l’integrazione, le sperimentazioni didattiche e l’organizzazione a sostegno dell’integrazione scolastica.

Inoltre l’aggiornamento in servizio dei docenti, dopo l’assurda norma del Contratto collettivo del 2003 che stabilisce tale aggiornamento come un “ diritto, ma non anche un “ doveri” del personale della scuola , si è ridotto ad una scelta puramente opzionale e volontaristica, che certamente non giova al miglioramento della scuola dall’interno, cioè tramite la riscoperta del ruolo fondamentale di una nuova didattica “ cooperativa”, svilendo così sempre più gli interventi per l’integrazione degli alunni con disabilità coi compagni non disabili, e non trovando così un giusto equilibrio per migliorare il livello di eccellenza dell’insegnamento-apprendimento per gli alunni cosiddetti “ normodotati” e quelli con difficoltà di apprendimento.

Occorre recuperare la tensione morale e culturale degli anni delle riforme a partire dalla fine degli anni Sessanta. Quanti hanno accusato la “ Lettera ad una professoressa “ della scuola di Barbiana come causa del rilassamento della scuola italiana, non hanno neppure letto l’indice di quel libro rivoluzionario che voleva che nessuno fosse bocciato, perché pretendeva che la scuola nella sua complessità si impegnasse allo spasimo per far recuperare agli ultimi livelli di apprendimento tali che la costringesse a non bocciare.

L’integrazione degli alunni con disabilità fu il primo tentativo dal basso, seguito dalle istituzioni con la normativa, di tradurre in pratica, generalizzandoli, quegli orientamenti.

Si avrà la forza culturale e politica oggi di riprendere e sviluppare quegli orientamenti, adottandoli ad una società globalizzata anche nei mezzi e nei modi di insegnamento- apprendimento?


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