Indagine Ires-Spi sul rapporto tra
lavoro e pensione: italiani contrari all'aumento legale dell'età di
pensionamento
"Lavoro e
pensione”, un rapporto critico secondo l’indagine Ires-Spi che per la
prima volta in Italia indaga su come esso è vissuto dai lavoratori e
dai pensionati. Gli intervistati sono stati complessivamente 800,
tutti oltre i 45 anni d’età suddivisi in tre diverse fasce d’età
diverse anche per status: lavoratori-lavoratori, lavoratori quasi
pensionati; pensionati lavoratori.
Alla base dell'indagine, spiega l’Ires, l’esigenza di conoscere le
opinioni e le motivazioni dei lavoratori dipendenti e dei pensionati
sull’allungamento dell’età lavorativa. Una necessità nata intorno alla
consapevolezza che esiste in Europa “una divaricazione crescente tra
l’evoluzione demografica, caratterizzata dall’aumento della speranza
di vita, e la riduzione dell’età effettiva di pensionamento”. Forbice
che rende difficile finanziare i sistemi pensionistici nazionali in
quasi tutti i paesi europei, ma in particolare in Italia dove il
fenomeno è accentuato a causa della longevità della popolazione, una
tra le più longeve del mondo, e a quote basse di popolazione occupata
oltre i 50 anni.
Al campione è
stato chiesto un giudizio su come è regolato attualmente il regime
pensionistico e sulle motivazioni che hanno spinto a rimanere a lungo
nel lavoro o a riprendere l’attività retribuita dopo il pensionamento.
I dati hanno evidenziato soprattutto l’importanza che ha per gli
intervistati la prospettiva del pensionamento, che fa dichiarare la
maggior parte di loro contraria nettamente all’aumento legale dell’età
di pensionamento, che per molti rappresenta un traguardo ambito e
desiderato. La fine del lavoro infatti viene spesso caricato di
aspettative positive, legate all’idea di potere realizzare finalmente
se stessi, di aver più tempo per sé e la propria famiglia, spesso per
sviluppare una “seconda carriera”, con maggiore libertà e
gratificazione personale.
Allo stesso tempo
l’indagine dimostra che, se è vero che oggi si può continuare a
lavorare oltre i limiti attuali dell’età di pensionamento, questo
accade in presenza di particolari condizioni lavorative che includono
la formazione e la qualificazione della persona, l’ambiente di lavoro
e il grado di autonomia e realizzazione di sé che l’attività
lavorativa permette.
Si torna a lavorare dopo la pensione
per motivi economici e per mantenersi attivi
Ecco cosa
pensano gli italiani della pensione, secondo i dati dell'indagine
Ires-Spi.
Lavoratori-lavoratori
Sono persone in piena attività lavorativa, tra i 45 ed i 65 anni,
impiegati e operai con un titolo di studio di scuola media superiore.
Hanno complessivamente un giudizio positivo del proprio lavoro
(interessante per il 60%), ma quasi la metà desidera lasciare il
lavoro non appena possibile (46,1%). La ragione per le donne è la
stanchezza, mentre per gli uomini l’incertezza delle norme
previdenziali. Il 54,2% del campione è contrario a fissare l’età del
pensionamento oltre i 65 anni, contro un 29,4% che considera invece
questa proposta interessante; la maggioranza degli intervistati
ritiene comunque che l’età del pensionamento dipenda soprattutto dal
tipo di lavoro svolto. Tra coloro che invece hanno dichiarato di voler
lavorare oltre i 65 anni, la fascia di età è quella più vicina alla
scadenza dell’impegno lavorativo (55–65): sono soprattutto maschi,
spesso laureati, e svolgono professioni intellettuali ad elevata
specializzazione. Sul “dopo lavoro” invece gli italiani che lavorano
sono quasi tutti d’accordo: viaggi, famiglia, riposo e coltivare i
propri interessi personali.
Quasi–pensionati
Sono ormai vicini all’età della pensione ed hanno già presentato la
domanda per anzianità. Per il 53,2% di loro il lavoro è faticoso e
stressante anche se una percentuale significativa (il 42,4%) lo
ritiene interessante. Le ragioni principali della richiesta del
pensionamento sono stanchezza e noia, sollecitazioni aziendali (per le
donne), motivi di salute, incertezza delle norme pensionistiche (per
gli uomini). Quasi la metà degli intervistati reputa che la soglia
pensionabile a 65 anni sia stata fissata “troppo tardi” (49,2%) mentre
il 37,6% ritiene che “dipende dal tipo di lavoro”. Fra le diverse
modalità pensionistiche, la formula più conosciuta è il
prepensionamento, seguito dal pensionamento di anzianità, mentre solo
il 30% conosce il pensionamento graduale. La metà di coloro che hanno
scelto la pensione lo ha fatto come libera scelta, gli altri la
considerano una scelta “obbligata” (quasi il 26%) o “indotta”; il
26,2% del campione tornerebbe comunque sui propri passi se il lavoro
fosse meno pesante e stressante, il 14,8% rimarrebbe se potesse
contare su un sistema di servizi migliore. La maggior parte degli
intervistati (oltre il 30%) infine ha dichiarato di non aver
intenzione di svolgere alcun tipo di attività retribuita dopo il
pensionamento.
Pensionati–lavoratori
Sono pensionati che hanno svolto in passato attività di lavoro
dipendente e percepiscono il regolare assegno previdenziale (il 63,8%
per anzianità), ma continuano a lavorare. Hanno un’età media di 60,2
anni ed il titolo di studio più diffuso è quello di scuola media
inferiore (35,2%), mentre il 13,3%, possiede il diploma di laurea. Le
motivazioni del pensionamento sono motivi personali, incertezza delle
norme pensionistiche e le sollecitazioni o crisi aziendali. Oltre la
metà ritiene che l’età pensionabile posta a 65 anni sia “troppo
tardi”. A spingerli a riprendere il lavoro dopo la pensione
l’interesse per il lavoro, motivazioni economiche ed il desiderio di
mantenersi attivi. Per il 16,3% si tratta di un “proseguimento sotto
mutate spoglie del lavoro precedente”, per il 65,8% la situazione
attuale ha comportato miglioramenti rispetto alla precedente, il 61,3%
di sentirsi più libero, il 36,4% più realizzato. C’è però anche un
45,9% che si è “dovuto accontentare di un lavoro meno qualificato”. La
forma contrattuale più diffusa quella del “collaboratore” (55,7%),
seguita dai soci titolari e dai consulenti; presente anche una quota
di persone che lavorano senza contratto (5,2%), in cui risultano
particolarmente rappresentate le alte professionalità.
Indagine Ires-Spi "Lavoro e
pensione. Diagnosi di un rapporto critico": Giudizi degli
intervistati |
I "lavoratori-lavoratori"* |
I giudizi
sulle prerogative del lavoro |
Interessante |
60% |
Faticoso,
stressante |
35% |
Insignificante |
3% |
Altro |
2% |
Giudizi
sulle prerogative di lavorare oltre i 65 anni di età |
Assurde |
54,2% |
Interessanti |
29,4% |
Non lo so |
10,4% |
Altro |
6% |
Preferenze
sull'età del pensionamento |
Non
interviene rispetto allo standard dei 65 anni |
20,0% |
Andare in
pensione prima possibile |
46,1% |
Poter
continuare a lavorare oltre i limiti d'età stabiliti |
13,9% |
Vivere
contemporaneamente pensione e lavoro |
9,8% |
Non lo so |
8,5% |
Altro |
1,7% |
Dopo il
pensionamento |
Volontariato |
21,3% |
Lavoro
retribuito |
11,3% |
Famiglia,
nipoti |
20% |
Interessi
personali |
28,4% |
Viaggi |
9,3% |
Nessuna,
riposo |
6% |
Non so |
3% |
Altro |
0,7% |
Note:
* Sono persone in piena attività lavorativa, di età compresa fra i 45
ed i 65 anni, di cui erano completamente ignote le propensioni al
pensionamento.
Fonte: Indagine Ires - Spi, 2003
Indagine Ires-Spi "Lavoro e
pensione. Diagnosi di un rapporto critico": Giudizi degli
intervistati |
I "Quasi-Pensionati"* |
Motivazioni
della scelta |
Motivi di
salute/usura |
16,6% |
Esigenze
aziendali |
12,2% |
Incertezza
delle norme pensionistiche |
15,9% |
Preoccupazioni circa la stabilità dell'impiego |
3,1% |
Stanchezza,
noia |
16,9% |
Altri
interessi |
3,1% |
Motivi
personali |
15,9% |
Altro |
16,3% |
Giudizi
sulla soglia dei 65 anni per l'età pensionabile |
Dipende dal
tipo di lavoro |
37,6% |
Troppo
presto |
1,0% |
Troppo tardi |
49,2% |
All'età
giusta |
8,8% |
Non lo so |
2,4% |
Altro |
1,0% |
Giudizi sul
prepensionamento |
E' uno
spreco di risorse umane/competenze |
22,3% |
E' un giusto
strumento di sostegno del reddito |
33,0% |
Altro |
6,6% |
Non lo so |
12,2% |
E' un regalo
fatto alle aziende |
25,9% |
Attività
svolte dopo il pensionamento |
Famiglia |
34,2% |
Nessuna,
riposo |
34,6% |
Lavoro |
9,1% |
Volontariato |
14,8% |
Interessi
personali |
28,5% |
Note:
* Sono persone vicine all'età della pensione che hanno già presentato
la domanda di pensionamento di anzianità.
Fonte: Indagine Ires - Spi, 2003
Indagine Ires-Spi "Lavoro e
pensione. Diagnosi di un rapporto critico": Giudizi degli
intervistati |
I "Pensionati-Lavoratori"* |
Cause del
pensionamento |
Sollecitazione, crisi aziendale |
21,9% |
Preoccupazioni circa la stabilità dell'impiego |
5,6% |
Incertezza
delle norme pensionistiche |
28,6% |
Poter
cominciare una nuova attività |
10,2% |
Motivi
personali |
30,6% |
Altro |
11,7% |
Opinioni
sulla soglia pensionistica stabilita dall'ultima riforma |
Troppo tardi |
50,1% |
All'età
giusta |
11,7% |
Troppo
presto |
1,5% |
Dipende dal
tipo di lavoro |
35,2% |
Non lo so |
1,5% |
Cause che
hanno indotto a lavorare dopo il pensionamento |
Motivi
economici |
44,6% |
Interesse
per questo lavoro |
32,3% |
Fare una
nuova esperienza diversa dal passato |
15,4% |
Mantenermi
attivo |
27,2% |
Altro |
2,1% |
Note:
* Sono pensionati nuovamente attivi nel mondo del lavoro retribuito,
hanno svolto in passato attività di lavoro dipendente e allo stato
attuale percepiscono il regolare assegno previdenziale.
Fonte: Indagine Ires - Spi, 2003
Miniati (Uil pensionati): ''Sempre più gravi le condizioni di milioni
di pensionati.
"Alle campagne di
aggressione al sistema previdenziale pubblico siamo ormai abituati.
Questa volta, però, la manovra appare molto più pericolosa rispetto al
passato, perché al battage pubblicitario si aggiungono fatti
concreti". È quanto dichiara Silvano Miniati, segretario generale
della Uil Pensionati.
Secondo Miniati,
"la delega previdenziale contiene punti inaccettabili come la
decontribuzione e l’obbligatorietà di utilizzo del tfr, e assume
significati allarmanti se collocata in un contesto che vede la
Confindustria all’attacco, mentre cresce il coro di coloro che,
facendosi scudo della Banca Europea, pensano all’abbattimento dei
diritti previdenziali come soluzione per ridurre la spesa pubblica.
Contemporaneamente – continua Miniati - , diventa sempre più grave la
situazione di milioni di pensionati, vittime di un processo di
erosione del valore reale delle pensioni. Solo dieci anni fa milioni
di pensionati percepivano trattamenti modesti, ma tuttavia tali da
consentire una esistenza dignitosa. Oggi questi milioni di anziani
stanno progressivamente scivolando verso una condizione di povertà e
miseria, che, oltretutto, sembra destinata ad aggravarsi
ulteriormente. Parallelamente, i prezzi aumentano, le tariffe sociali
si riducono progressivamente, i ticket tornano e sono sempre più
numerose le prestazioni sanitarie e assistenziali che richiedono una
compartecipazione ai costi”.
Sempre secondo
Miniati, “il prelievo fiscale sulle pensioni, considerando anche le
imposte locali, aumenta invece che diminuire. Non si affronta la
drammatica condizione degli anziani non autosufficienti e delle loro
famiglie. Non si dà piena applicazione alla legge quadro di riforma
dell’assistenza 328/2000”. E, prosegue, “in presenza di una situazione
così grave per milioni di cittadini anziani, il Governo rifiuta ogni
confronto con i sindacati dei pensionati. Su tutti i temi importanti
per gli anziani, (dall’aumento al milione delle pensioni più basse,
agli indebiti Inps, all’assistenza, al recupero del potere d’acquisto)
il ministro Maroni periodicamente annuncia alla stampa incontri con le
organizzazioni sindacali dei pensionati, che regolarmente poi non si
realizzano. In questo contesto – conclude – l’annunciato incontro tra
le Confederazioni e il Governo per il prossimo 17 aprile ha una grande
importanza per tutti i lavoratori italiani, ma ne ha ancora di più per
tutti i pensionati. Solo all’interno di un confronto più ampio,
infatti, i pensionati potranno porre con forza il problema di un
miglioramento dei trattamenti pensionistici così duramente penalizzati
negli ultimi anni”.