RAPPORTO
ISTAT 2001
21/05/2002
L’Italia
dal punto di vista delle famiglie: lavoro, consumi, accesso ai
servizi, partecipazione sociale
Delinea l'andamento e gli stili di vita delle famiglie
italiane il "Rapporto annuale dell'Istat - La situazione del
paese nel 2001", presentato stamani nella Sala della Lupa di
Montecitorio alla presenza del presidente della Camera,
Pierferdinando Casini.
Abbiamo scelto di presentarlo partendo dall'ottica del nucleo
familiare e non dal punto di vista individuale, analizzando quindi
la relazione delle famiglie con il lavoro (spesso atipico e talvolta
sommerso, soprattutto al sud) e la disoccupazione, con i consumi e
la fruizione culturale - in cui si accentua il divario tra nuclei
benestanti e disagiati specialmente riguardo all'uso di computer,
internet, e alle spese per tempo libero, cultura e giochi -, con i
servizi sanitari, scolastici e giuridici.
Infine, uno sguardo sul pianeta del non profit e dei
volontari, dell'alta partecipazione sociale che coinvolge un quarto
degli italiani in associazioni e partiti.
Prosegue nel 2001, anche se lentamente, l'aumento del numero di
figli per donna (da 1,24 a 1,25): secondo le stime relative allo
scorso anno, le nascite dovrebbero aggirarsi intorno alle 544.500,
con un incremento diffuso al nord (tranne Val d'Aosta e Veneto); al
centro e nel Mezzogiorno solo Toscana, Calabria e Campania
dimostrano un trend positivo, mentre nelle altre regioni si assiste
a un calo delle nascite. Tuttavia i dati del '99 evidenziano che i
valori più elevati di fecondità si registrano proprio al sud, ad
esclusione di Sardegna. Abruzzo e Molise. Una curiosità: nel 2001
la provincia autonoma di Bolzano detiene il primato del più elevato
numero di figli per donna (1,52), superando la Campania (1,49) che
storicamente è la regione più prolifica del paese. I valori più
bassi si registrano in Liguria e Sardegna; tuttavia la fecondità
recupera lievemente quota grazie alle regioni del centro-nord.
L'aumento della natalità corrisponde però a una
diminuzione dei matrimoni: 270mila nel 2001, 10mila in meno rispetto
all'anno precedente. Diminuisce la mortalità e la dinamica
complessiva della popolazione è positiva grazie al fenomeno
migratorio. In crescita gli anziani: l'indice di vecchiaia risulta
pari al 129%, cioè su ogni 129 persone ultra 64enni vivono in
Italia 100 minori di 14 anni (in Campania il rapporto è 75 anziani
su 100 bambini, in Liguria 239 su 100).
ISTAT - Istituto Nazionale di Statistica
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Attivo dal 1926, l'Istituto nazionale di statistica è il
maggior produttore di dati demografici, economici e sociali del
paese. Esso è articolato nella Direzione generale, nella Segreteria
centrale del Sistema statistico nazionale, in tre direzioni centrali
(statistiche su popolazione e territorio, statistiche su istituzioni
e imprese, gestione delle risorse) e in tre dipartimenti
(contabilità nazionale e analisi economica, informatica, diffusione
e banche dati).
E' presente sul territorio con i suoi uffici regionali che operano a
contatto con le autonomie territoriali. Gli organi di governo
dell'Istituto sono il Consiglio e il Presidente.
In 700 mila famiglie (2 milioni di persone) non lavora
nessuno. ''La disoccupazione è una delle più importanti cause di
disagio sociale''
La relazione tra famiglia e lavoro fotografata dal Rapporto
Istat 2001 evidenzia innanzitutto “l’opportunità di produrre
informazione e analisi del mercato del lavoro condotte secondo una
prospettiva familiare”, dato che l’ottica individuale si
dimostra insufficiente a cogliere che la disoccupazione, ad esempio,
“è una delle più importanti forme di disagio non solo economico,
ma anche sociale” e che il lavoro non rappresenta più soltanto
“un’opportunità di reddito aggiuntivo a quello familiare, ma
anche come un fondamentale aspetto di realizzazione della persona e
di inclusione sociale”.
Le famiglie con almeno un componente in età compresa tra i 15 e i
64 anni, appartenente alle forze di lavoro, costituiscono circa i
due terzi del totale delle famiglie italiane, che presentano varie
tipologie: dal single al monogenitore, dalla coppia senza figli a
quella con prole. Se il tasso di disoccupazione scende al 9,5% nel
2001, passando al sud dal 21 al 19,3% (18,8% nel dato più recente),
la crescita di occupazione non è distribuita in modo uniforme tra
le famiglie italiane: crescono infatti quelle in cui almeno 2 adulti
sono occupati (42,5%), mentre non si riducono quelle in cui nessun
componente è occupato (11,1%).
Quasi 700mila le famiglie in cui nessuna delle forze di lavoro
presenti è occupata: circa 2 milioni di persone, il 68% residenti
al sud, dove i nuclei familiari interessati sono 456mila, poco meno
di un milione e mezzo di persone. In 12 milioni e mezzo di famiglie,
invece, sono occupate tutte le forze di lavoro presenti. “Non ci
sono segnali di interventi né di ammortizzatori sociali sulle
famiglie disagiate, a maggior rischio di esclusione sociale”, nota
l’Istat. Si denota, inoltre, un forte aumento delle famiglie “jobless”
con un solo componente su tutto il territorio nazionale: fenomeno
(anche europeo) che al nord coinvolge soprattutto i single, mentre
nell’area meridionale tocca tutte le tipologie familiari.
Negli ultimi 8 anni le nuove lavoratrici sono donne nel 96% dei casi
(su oltre un milione di persone), ma la cura familiare è ancora un
ostacolo: il tasso di occupazione per le 30-39enni in coppia con
figli si riduce al 48,9% (senza figli: 72,7%). Il contesto
familiare, al contrario, condiziona poco la partecipazione degli
uomini al mercato del lavoro: il tasso di attività maschile tra i
30 e i 39 anni si mantiene molto alto indipendentemente dal contesto
familiare, passando dal 95% degli uomini soli al 97,9% degli uomini
che vivono in coppia. Il divario tra le donne, invece, è notevole:
lavorano l’89,7% delle single tra i 30 e i 39 anni. Le donne con
figli registrano anche un tasso di disoccupazione del 12,3%, più
alto rispetto alle donne senza prole (8%) o alle single (6%).
Ancora più evidente il maggiore utilizzo del lavoro a tempo
parziale da parte delle donne (16,6%) rispetto agli uomini (3,5%).
Il part-time viene scelto per conciliare il lavoro con impegni di
natura familiare; tra gli occupati di 30-39 anni che lavorano a
tempo parziale, le donne sono sempre la maggioranza: l’80,9% di
coloro che vivono in coppia ma senza figli, l’87,7% di chi ha
figli, il 57,4% dei single. “Nel Mezzogiorno – evidenzia l’Istat
– la scarsa partecipazione al mercato del lavoro delle donne
sembra essere principalmente influenzata da un modello ancora molto
tradizionale di vita in coppia, che spinge le donne a occuparsi solo
della cura della famiglia, indipendentemente dalla presenza di figli”.
Ancora alta la disoccupazione femminile in Italia (13%) rispetto
alla media dell’Unione europea (9%); al centro-nord è al 7,2%,
cioè meno della metà di quella maschile nel Mezzogiorno. Resta
elevata anche la disoccupazione giovanile: le persone in cerca di
occupazione con meno di 29 anni sono il 51,4% e il tasso di
disoccupazione tra i 25 e i 29 anni è ancora quasi il doppio
rispetto a quello degli adulti tra i 30 e i 39 anni; quello dei
20-24enni è oltre il triplo.
Famiglie
con tutti occupati come lavoratori temporanei e/o part-time
sul tot. delle famiglie con almeno un componente
appartenente alle forze di lavoro per ripartizione
geografica
Anni 1993/2001
- Valori %
|
INCIDENZA
|
|
Nord
ovest
(%)
|
Nord
est
(%)
|
Centro
(%)
|
Mezzogiorno
(%)
|
ITALIA
(%)
|
1993
|
2,3
|
2,3
|
2,4
|
5,1
|
3,3
|
1994
|
2,5
|
3,1
|
2,9
|
5,7
|
3,8
|
1995
|
2,9
|
3,2
|
3,0
|
6,1
|
4,0
|
1996
|
2,8
|
3,1
|
3,2
|
6,0
|
4,0
|
1997
|
3,3
|
3,3
|
3,5
|
6,3
|
4,3
|
1998
|
3,5
|
3,7
|
4,1
|
6,7
|
4,7
|
1999
|
3,6
|
4,4
|
4,6
|
7,6
|
5,3
|
2000
|
4,2
|
4,5
|
4,9
|
7,9
|
5,6
|
2001
|
4,0
|
4,4
|
4,9
|
8,0
|
5,6
|
COMPOSIZIONE
|
1993
|
19,5
|
13,7
|
14,3
|
52,5
|
100,0
|
1994
|
18,9
|
15,5
|
14,8
|
50,8
|
100,0
|
1995
|
20,4
|
14,9
|
14,7
|
50,0
|
100,0
|
1996
|
19,7
|
14,9
|
15,5
|
49,9
|
100,0
|
1997
|
21,1
|
14,8
|
15,5
|
48,6
|
100,0
|
1998
|
20,9
|
14,8
|
16,7
|
47,6
|
100,0
|
1999
|
19,4
|
15,9
|
17,0
|
47,7
|
100,0
|
2000
|
21,0
|
15,6
|
17,1
|
46,3
|
100,0
|
2001
|
20,1
|
15,4
|
17,2
|
47,3
|
100,0
|
Fonte:
Rapporto Istat 2001, Indagine sulle forze di lavoro
Famiglie
"polarizzate"* sul totale delle famiglie con
almeno
due componenti in età di lavoro (15-64
anni) per ripartizione geografica - Anni 1993/2001
- Incidenza %
|
N O R D O V E S T
|
Tipo
di famiglia
|
1993
|
1996
|
1999
|
2001
|
Senza
occupati
|
9,7
|
10,4
|
9,5
|
8,8
|
Con
due o più occup.
|
42,6
|
44,4
|
46,8
|
50,8
|
Totale
|
52,2
|
54,7
|
56,3
|
59,6
|
N O R D E S T
|
Tipo
di famiglia
|
1993
|
1996
|
1999
|
2001
|
Senza
occupati
|
7,7
|
8,2
|
8,0
|
7,5
|
Con
due o più occup.
|
45,6
|
46,8
|
50,9
|
54,6
|
Totale
|
53,4
|
55,0
|
58,8
|
62,1
|
C E N T R O
|
Tipo
di famiglia
|
1993
|
1996
|
1999
|
2001
|
Senza
occupati
|
9,1
|
10,1
|
10,0
|
9,1
|
Con
due o più occup.
|
41,1
|
41,3
|
43,8
|
47,2
|
Totale
|
50,2
|
51,5
|
53,8
|
56,3
|
M E Z Z O G I O R N O
|
Tipo
di famiglia
|
1993
|
1996
|
1999
|
2001
|
Senza
occupati
|
15,2
|
18,2
|
18,0
|
15,9
|
Con
due o più occup.
|
25,2
|
23,9
|
25,3
|
27,3
|
Totale
|
40,4
|
42,1
|
43,3
|
43,2
|
I T A L I A
|
Tipo
di famiglia
|
1993
|
1996
|
1999
|
2001
|
Senza
occupati
|
11,1
|
12,7
|
12,3
|
11,1
|
Con
due o più occup.
|
36,8
|
37,0
|
39,4
|
42,5
|
Totale
|
47,9
|
49,7
|
51,7
|
53,6
|
Note:
(*) Famiglie con almeno due componenti in età 15-64 senza occupati
o famiglie con due o più occupati in età 25-64 anni
Fonte: Rapporto Istat 2001, Indagine sulle forze di lavoro
Consumi: per tempo libero, cultura e giochi, alle famiglie
disagiate ''bastano'' 29 euro al mese
Come cambiano i consumi e la fruizione culturale all’interno
delle famiglie italiane? Dall’ultimo Rapporto Istat, presentato
oggi a Montecitorio, nel 2000 la spesa media mensile delle famiglie
italiane risulta pari a 2.178 euro, con un aumento del 7,6% rispetto
al ’97, dovuto all’inflazione per il 6,1%. Ma, indipendentemente
dal tenore di vita, si nota un mutamento negli stili di consumo, in
cui trasporti e comunicazioni (carburanti, trasporti pubblici e
telefoni cellulari in testa) diventano voci insostituibili accanto
ad alimentari, abitazione, assorbendo complessivamente il 63% della
spesa familiare.
Se crescono i consumi per tutte le famiglie, non così per i nuclei
disagiati, che spendono 29 euro mensili per tempo libero, cultura e
giochi, mentre le famiglie benestanti destinano a questo scopo 244
euro al mese. Le famiglie del nord-est spendono complessivamente
2.520 euro al mese, quelle del centro 2.148 e quelle del sud 1.857,
quindi si accentuano le differenze territoriali. In aumento i soldi
destinati a vacanze e pasti fuori casa, ma anche per assicurazioni
vita e malattia, sostenute da un numero crescente di famiglie; nelle
regioni del nord, oltre alle spese per i mobili e gli
elettrodomestici, in salita quelle per la collaborazione domestica,
il baby-sitting e l’assistenza agli anziani.
Le uniche spese in calo sono quelle per istruzione e sanità, quest’ultima
dovuta al costo diminuito degli accertamenti diagnostici; solo nelle
regioni del nord-est si verifica un trend inverso, in particolare
per le visite mediche specialistiche e per le cure dentistiche.
Trattandosi di una zona in cui sono diffusi il benessere e la
crescita economica, il dato segnala probabilmente “un maggior
ricorso alle strutture private e all’attività di prevenzione”,
ipotizza il Rapporto Istat 2001.
Gli stili di vita delle diverse generazioni si traducono in
comportamenti di spesa molto diversi: le famiglie di anziani
destinano una quota maggiore delle loro spese all’alimentazione e
all’abitazione, mentre i nuclei composti da giovani e adulti
spendono di più per tempo libero e cultura, trasporti e
comunicazione. Riducono in modo consistente la spesa mensile le
persone sole giovani o adulte (tra i 35 e i 64 anni) e le famiglie
monogenitore; in quest’ultimo caso crescono gli investimenti in
istruzione, tempo libero e cultura, sanità, servizi di baby-sitting
e/o asili nido.
Nel ’97 erano le coppie con 3 o più figli a registrare le spese
più elevate, nel 2000 sono le coppie con 2 figli, anche per la
progressiva concentrazione delle famiglie più numerose nel
Mezzogiorno, che registra i livelli più bassi di spesa per consumi
e in cui risiede il 57,4% delle famiglie disagiate. In sintesi, nel
2000 il 20% delle famiglie più disagiate (coppie con 2 o più
figli, anziani soli o in coppia) spendeva mensilmente meno di 972
euro, mentre l’equivalente delle famiglie più benestanti (il
65,4% risiedenti al nord, per lo più persone sole, coppie in età
giovane e adulta e con un solo figlio) superava i 2.574 euro
mensili.
Per quanto riguarda l’uso delle nuove tecnologie, il “cultural
divide” persiste tra nuclei benestanti e disagiati: il 27,2% delle
famiglie italiane possiede un personal computer, ma solo l’11%
delle disagiate e ben il 42% delle benestanti, che per acquistare pc
e attrezzature informatiche spendono quasi il doppio rispetto alle
disagiate (le quali, comunque, accorciano le distanze, avendo
acquistato più spesso un computer dal ’97 al 2000). Se il 30%
della popolazione con più di 6 anni di età usa il pc, il 19% degli
ultra 11enni si collega a Internet. Con il computer si lavora, si
gioca e si studia, mentre Internet è usato soprattutto per svago
(69%), per lavoro (52%) e solo nel 16% dei casi per studio.
Ben il 60% dei navigatori on line cerca informazioni su riviste e
giornali elettronici, oltre 3 milioni e 800mila persone leggono il
quotidiano in rete e il 22% cerca informazioni su servizi di
pubblica utilità; il 20% si connette per dialogare tramite chat,
forum e newsgroup; solo il 9% fa acquisti in rete (circa 870mila
persone).
Tuttavia l’uso del computer non esclude altri media,
anzi, si integra con essi e si e accompagna a livelli più alti di
lettura e ascolto della radio, mentre diminuisce il tempo dedicato
alla tv. Ben 8 milioni di persone usano la rete e i cd-rom per
fruizione culturale (quasi il 40% sono giovani tra i 14 e i 19
anni). Meno tv e più radio, meno quotidiani e più settimanali; l’informazione
diventa sempre più veloce e personalizzata.
Persone
di 11 anni e più che usano internet per tipo di attività
svolta e per sesso* -
Anno 2000 - valori %
|
|
Maschi
|
Femmine
|
TOTALE
|
Partecipare
a chat, newsgroup e forum
|
20,0
|
19,4
|
19,8
|
Avere
informazioni (giornali, riviste)
|
60,3
|
58,5
|
59,6
|
Acquistare
documenti e informazioni varie
|
48,4
|
45,0
|
47,1
|
Utilizzare
servizi pubblici
|
24,3
|
19,3
|
22,3
|
Fare
acquisti
|
11,6
|
5,5
|
9,2
|
Cercare
lavoro
|
6,3
|
7,8
|
6,9
|
Giocare
o altro divertimento
|
28,3
|
24,5
|
26,8
|
Attività
finanziarie
|
5,3
|
1,4
|
3,7
|
Note:
(*) Per 100 persone dello stesso sesso
Fonte: Rapporto Istat 2001, Indagine multiscopo. I cittadini e il
tempo libero
Spesa
media mensile delle famiglie - Anno 2000
Valori
percentuali
|
Spesa
media famiglie
|
Tipologia di spesa -
valori %
|
Alimentari
|
Abitazione
|
Trasporti e
comunicazioni
|
Altre spese
|
Spesa
media tot.
€ 2.178
|
19
|
27
|
18
|
36
|
Spesa media famiglie benestanti
€ 4.282
|
12
|
23
|
22
|
43
|
Spesa media famiglie
disagiate
€ 921
|
30
|
33
|
14
|
23
|
Fonte:
Rapporto Istat 2001 , indagine sui consumi delle famiglie
Scuola, giustizia, sanità. Per analisi e visite
specialistiche attese più lunghe se si è anziani o si ha scarsa
disponibilità economica
Qual è la richiesta di servizi da parte delle famiglie
italiane? Il Rapporto Istat 2001 indaga anche sulla relazione del
nostro paese con il mondo della scuola, della sanità e della
giustizia.
Le bocciature aumentano nel primo anno di ciascun ciclo, che
rappresenta una sorta di “sbarramento” tra segmenti in cui “gli
standard di profitto e le difficoltà sono fortemente differenziate”,
osserva l’Istat; il punto critico sembra una “mancanza di
continuità tra i diversi livelli scolastici”. I bocciati al
secondo anno delle superiori scendono al 12,8% (aumentano di nuovo
al terzo anno dei licei e degli istituti tecnici), mentre al termine
del primo anno scolastico alle superiori 2000/2001 quasi uno
studente su 5 (il 18,8%) è stato respinto.
Si rileva un aumento della frequenza e di conseguenza una
diminuzione dell’evasione scolastica, in particolare nella scuola
secondaria superiore, dove gli iscritti erano l’83,6% nell’anno
scolastico ’99-2000: il 13% in più rispetto al ’91-’92.
Cresce anche il numero di giovani con un titolo di studio secondario
che consente l’accesso all’università (71%). Ben l’88% degli
docenti si dichiara “molto soddisfatto” del rapporto con gli
studenti; tra gli aspetti più critici del sistema scolastico, il
24% ravvisa l’eccesso di burocrazia, il 19% la bassa retribuzione
e il 16% l’inadeguatezza delle strutture. Per gli studenti,
invece, il principale motivo di soddisfazione viene dai contenuti
didattici dei corsi (86%), ma anche dalla relazione con gli
insegnanti (84%), mentre le strutture sono definite “insoddisfacenti”
da oltre la metà (54,2%).
Meno ottimistico il quadro che emerge dal pianeta sanità: nel
sistema sanitario nazionale, infatti, i tempi di attesa per accedere
all’assistenza diagnostica e a quella medico-specialistica sono
maggiori per le categorie più deboli. I rilevamenti statistici sul
Servizio sanitario nazionale evidenziano infatti un “evidente
svantaggio di alcune categorie sociali”, che hanno meno
alternative al sistema pubblico “in quanto più disagiate dal
punto di vista economico, più anziane e con un livello di
istruzione medio-basso”. In ogni caso “le persone con un cattivo
stato di salute accedono in tempi più brevi ai servizi,
indipendentemente dalle loro condizioni socio-demografiche”,
rileva l’Istat. Tuttavia i tempi di attesa per accertamenti
diagnostici e visite specialistiche, nel 2000, erano maggiori di 60
giorni rispettivamente nel 2,4% e nell’1,2% dei casi, minori di 60
giorni nel 50,7% e 31,2%, oppure programmati (quindi senza alcuna
attesa) nel 46,9% e 67,6%.
La riduzione dell’attesa è tra gli obiettivi del Piano
sanitario nazionale 2002-2004, insieme al monitoraggio dei livelli
essenziali di assistenza. Al momento, i tempi di attesa per gli
accertamenti sono minori nel Mezzogiorno: 5 giorni al massimo nel
50% dei casi, contro i 7 del resto del paese. Anche per le visite
specialistiche le regioni del sud mostrano un’accessibilità
maggiore, registrando un’attesa che nella metà dei casi non
supera i 7 giorni, contro i 15 del nord-est e gli 8 del nord-ovest.
Diminuiti la degenza media e i ricoveri a rischio di
inappropriatezza, cioè per i quali sarebbe stato più adeguato il
day-hospital o l’uso di strutture ambulatoriali. Va ancora
monitorato l’eventuale miglioramento derivante dalle autonomie
regionali.
Il sistema giustizia sembra registrare i ritardi più consistenti:
nell’ultimo decennio la durata dei procedimenti civili al sud è
di 2 anni e 7 mesi, il doppio rispetto al nord (1 anno e 3 mesi).
Tuttavia il personale denota gravi deficit di organico previsto: i
giudici ordinali raggiungono il 92,9%, il personale tecnico e
amministrativo l’88%, infine i giudici di pace appena il 72,4% del
fabbisogno.
Respinti
nelle scuole superiori
per anno di corso e tipo di scuola*
Anno scolastico
2000/2001 - (per 100 scrutinati o esaminati)
|
Tipi
di scuola
|
Respinti
agli scrutini - Val. %
|
Respinti
agli esami di diploma - Val. %
|
1°anno
|
2°anno
|
3°anno
|
4°anno
|
Tot.
|
Scuola Statale
|
Non statale
|
Privatisti
|
Istruzione
classica, scientifica, magistrale
|
10,5
|
7,7
|
8,4
|
5,9
|
8,2
|
1,2
|
2,8
|
27,0
|
Istruzione tecnica
|
20,7
|
14,2
|
16,2
|
12,5
|
16,2
|
2,7
|
5,7
|
42,4
|
Istruzione
professionale
|
27,4
|
19,1
|
18,9
|
17,7
|
21,9
|
3,8
|
4,5
|
23,9
|
Istruzione artistica
|
22,1
|
14,1
|
12,2
|
12,4
|
16,1
|
1,6
|
5,6
|
21,5
|
Totale
|
18,8
|
12,8
|
13,1
|
10,7
|
14,2
|
2,2
|
4,6
|
31,6
|
* dati
provvisori
Fonte: Istat su
dati del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della ricerca
Ripetenti
per livello scolastico e anno di corso
Anni scolastici 1991/2000 - Valori %
(per 100 giovani dello stesso anno di corso)
|
Anni
scolastici
|
Elementari
|
Medie
|
Superiori
|
|
Tot.
|
al
1°anno
|
Tot.
|
al
1°anno
|
Tot.
|
al
1°anno
|
1991/1992
|
0,6
|
0,8
|
6,7
|
9,9
|
8,0
|
11,6
|
1992/1993
|
0,5
|
0,8
|
6,3
|
9,1
|
7,8
|
11,0
|
1993/1994
|
0,5
|
0,8
|
5,8
|
8,4
|
7,7
|
10,7
|
1994/1995
|
0,5
|
0,7
|
5,3
|
7,9
|
7,3
|
9,9
|
1995/1996
|
0,4
|
0,6
|
4,7
|
6,9
|
7,1
|
9,7
|
1996/1997
|
0,4
|
0,6
|
4,6
|
5,9
|
8,0
|
10,1
|
1997/1998
|
0,4*
|
0,5*
|
4,6
|
6,4
|
8,2
|
10,6
|
1998/1999*
|
0,4
|
0,5
|
4,4
|
6,1
|
8,1
|
10,6
|
1999/2000*
|
0,4
|
0,5
|
3,8
|
5,1
|
7,6
|
9,2
|
dati
provvisori
Fonte: Istat su
dati del Ministero dell'Istruzione, dell'università e della ricerca
Accertamenti
diagnostici e visite specialistiche per tipo di struttura
sanitaria e tempo di attesa - Anno 2000
|
|
Strutture
|
Tempi
di attesa
|
Pubblica
|
Privata
accreditata
|
Privata
a
pagam. intero
|
Totale
|
|
Accertamenti
diagnostici
|
|
|
Nessuna
attesa
o programmati*
|
43,3%
|
55,4%
|
49,1%
|
46,9%
|
Minore
di 60 giorni
|
53,7%
|
43,9%
|
49,0%
|
50,7%
|
Maggiore
di 60 giorni
|
3,0%
|
0,7%
|
1,9%
|
2,4%
|
Totale
|
100,0%
|
100,0%
|
100,0%
|
100,0%
|
|
|
|
|
|
Visite
specialistiche
|
|
|
Nessuna
attesa
o programmati*
|
76,1%
|
73,4%
|
47,0%
|
67,6%
|
Minore
di 60 giorni
|
20,4%
|
25,8%
|
52,3%
|
31,2%
|
Maggiore
di 60 giorni
|
1,5%
|
0,8%
|
0,7%
|
1,2%
|
Totale
|
100,0%
|
100,0%
|
100,0%
|
100,0%
|
·
Accertamenti
diagnostici per i quali non si è atteso nemmeno un giorno o facenti
parte di un percorso di analisi stabilito a priori
Fonte: Istat, Indagine multiscopo. Condizioni di salute
e ricorso ai servizi sanitari
810 mila famiglie fatte di ''atipici''. Una prima classificazione in 31
categorie. La mappa regionale del lavoro sommerso
Per
la prima volta il Rapporto Istat 2001 tenta una classificazione dei
lavori atipici, individuando 31 diverse tipologie, classificate
secondo la durata (permanente o temporanea), l’orario (pieno o
ridotto) e la maturazione dei diritti previdenziali (interi o
ridotti). Secondo questa griglia, tra il ’96 e il 2000 l’occupazione
dipendente atipica nell’industria e nei servizi privati è
aumentata del 40%, quella standard dell’1%.
Una
prima misura della progressiva diffusione del lavoro atipico viene
data dalla percentuale delle famiglie dove è presente almeno un
lavoratore atipico rispetto al totale di quelli presenti sul mercato
del lavoro: nel ’93 l’incidenza era pari al 9,2%, mentre nel
2001 si è attestata al 15,5%. Il fenomeno, quindi, coinvolge oltre
2 milioni e 200mila famiglie in cui vivono più di 7 milioni e mezzo
di persone; tra loro almeno un occupato temporaneo o part-time. Il
lavoro atipico risulta più diffuso nelle regioni nord-orientali
(18,4%), a nord-ovest e al centro la percentuale scende al 15% e al
sud si aggira intorno al 14,2%.
Quasi
810mila le famiglie – pari a circa 2 milioni e 400mila persone -
in cui tutti gli occupati sono “atipici”: l’incidenza sul
totale dei nuclei presenti sul mercato del lavoro è pari al 5,6%,
con un costante aumento nel corso degli anni (3,3% era la
percentuale del ’93). Circa la metà delle famiglie con tutti
occupati “atipici” abitano nel Mezzogiorno, mentre al nord-est
il fenomeno coinvolge poco più del 15% del totale: in queste
regioni, infatti, l’occupazione atipica “tende a coniugarsi,
nell’ambito familiare, con posizioni lavorative standard”. Gli
incrementi più significativi in questo campo hanno riguardato le
famiglie con un solo componente, in particolare i single, ma anche
le coppie (a prescindere dalla presenza di figli); in entrambi i
casi l’ampliamento si è verificato prevalentemente nell’area
nord-orientale e centrale del paese.
Per l’Istat la diffusione delle posizioni lavorative atipiche “sembra
svolgere un ruolo rilevate nella distribuzione dell’occupazione
tra le famiglie, favorendo da un lato il contenimento delle tendenze
all’aumento delle famiglie ‘jobless’, e dall’altro
sostenendo la crescita del numero delle famiglie ‘all-employed’”.
Oltre
un quarto degli occupati dipendenti lavora con un orario flessibile,
soprattutto nelle imprese di piccole dimensioni; mentre al nord e al
centro la flessibilità viene regolata dal contratto, nel
Mezzogiorno si basa in prevalenza su accordi individuali. Cresce
anche l’interinale, soprattutto tra gli uomini con meno di 30 anni
(nel ’99, l’80% delle imprese ha siglato contratti per meno di 3
mesi), il 10% dei contratti è siglato da lavoratori extracomunitari
regolari: una quota “particolarmente consistente, soprattutto
tenendo conto di quanto il lavoro sommerso caratterizzi questo
segmento della popolazione”.
È una novità di quest’anno, per il Rapporto Istat sulla
situazione del paese, anche la presentazione della distribuzione
regionale del sommerso, che passa dal 14,5% (1995) al 15,1% dell’occupazione
totale (1999); nel Mezzogiorno il 22,6% delle unità di lavoro
complessive opera al di fuori delle regole fiscali e contributive;
al centro la quota scende al 15,2%, al nord-ovest e nord-est
raggiunge livelli inferiori alla media nazionale (rispettivamente, l’11,1%
e il 10,9%). Il peso del lavoro irregolare è più rilevante in
Calabria (27,8%), Campania (25,9%) e Sicilia (24,1%), contenuto a
poco più del 10% in Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia e
Piemonte.
Numeri
indice delle unità di lavoro non regolari per settore di
attività economica e tassi di irregolarità, per
regione
Anno
1999
|
Regioni
|
Settori
di attività economica
|
%
irregolarità
|
Agricoltura
|
Industria
|
Industr. in senso
stretto
|
Costruz.
|
Servizi
|
Tot. Economia
|
1995*
|
1999
|
Piemonte
|
89,0
|
89,7
|
86,7
|
83,1
|
109,9
|
104,8
|
10,3
|
10,6
|
V. d'Aosta
|
75,0
|
200,0
|
-
|
200,0
|
106,2
|
105,5
|
16,0
|
16,7
|
Lombardia
|
106,0
|
95,9
|
90,2
|
106,2
|
98,2
|
98,2
|
11,4
|
10,9
|
Trentino A.A.
|
90,1
|
92,0
|
72,2
|
142,9
|
105,1
|
102,7
|
12,8
|
12,5
|
Veneto
|
91,7
|
97,6
|
103,8
|
87,2
|
105,3
|
102,3
|
11,2
|
11,0
|
Friuli V. G.
|
87,2
|
55,6
|
64,3
|
46,2
|
100,0
|
94,3
|
11,5
|
10,6
|
Liguria
|
106,1
|
76,2
|
30,8
|
104,8
|
110,5
|
106,1
|
12,8
|
13,4
|
Emilia R.
|
90,9
|
83,2
|
92,3
|
47,2
|
106,1
|
100,8
|
10,7
|
10,4
|
Toscana
|
91,0
|
105,1
|
105,3
|
104,2
|
111,3
|
109,4
|
11,9
|
12,8
|
Umbria
|
84,8
|
88,7
|
90,3
|
85,7
|
111,7
|
104,5
|
14,7
|
14,7
|
Marche
|
86,4
|
94,3
|
100,0
|
80,8
|
120,7
|
113,4
|
11,7
|
12,8
|
Lazio
|
91,8
|
104,4
|
106,5
|
103,3
|
113,8
|
110,5
|
16,5
|
17,9
|
Abruzzo
|
87,1
|
113,1
|
128,6
|
107,9
|
114,8
|
108,9
|
12,1
|
13,2
|
Molise
|
75,0
|
132,4
|
129,2
|
138,5
|
134,2
|
118,6
|
14,2
|
16,5
|
Campania
|
84,5
|
92,0
|
94,8
|
88,3
|
125,3
|
111,7
|
23,8
|
25,9
|
Puglia
|
96,9
|
92,7
|
84,5
|
101,2
|
107,8
|
101,9
|
19,4
|
19,7
|
Basilicata
|
88,1
|
129,9
|
145,5
|
114,7
|
127,3
|
117,4
|
17,1
|
19,3
|
Calabria
|
91,1
|
81,7
|
82,2
|
81,4
|
104,1
|
95,2
|
28,1
|
27,8
|
Sicilia
|
99,2
|
113,6
|
129,0
|
102,1
|
133,4
|
122,0
|
20,3
|
24,1
|
Sardegna
|
83,8
|
108,6
|
94,8
|
121,2
|
149,6
|
130,0
|
16,4
|
20,6
|
ITALIA
|
92,1
|
96,7
|
96,5
|
96,9
|
112,4
|
106,9
|
14,5
|
15,1
|
Note:
(*) Base 1995=100
Fonte: Rapporto Istat 2001, Conti economici nazionali
Tipologie
di contratto atipico utilizzate nell'industria e nei servizi
privati, per orario di lavoro e carattere temporale del
rapporto di lavoro -
Anni 1996-2000 - Variazioni %
|
Tipologia
|
Orario
di lavoro
|
Pieno
|
Ridotto
|
Totale
|
TOTALE
DEI RAPPORTI DI LAVORO
|
Atipici
in senso stretto
|
Interinale
|
(b)
|
(b)
|
(b)
|
Solidarietà
esterna
|
-
|
-17,7
|
-17,7
|
A
tempo determinato
|
39,5
|
51,6
|
42,8
|
Contratto
formazione lav.
|
-14,4
|
20,7
|
-11,6
|
Piani
di inserimento prof.
|
-
|
(b)
|
(b)
|
Parzialmente
atipici
|
Part-time
|
-
|
42,8
|
42,8
|
Lavoro
a domicilio
|
23,3
|
-32,8
|
-25,6
|
Apprendistato
|
68,0
|
99,5
|
72,0
|
Totale
(c)
|
|
40,6
|
di cui PERMANENTI
|
Atipici
in senso stretto
|
Interinale
|
(b)
|
(b)
|
(b)
|
Solidarietà
esterna
|
-
|
-17,7
|
-17,7
|
Parzialmente
atipici
|
Part-time
|
-
|
42,8
|
42,8
|
Lavoro
a domicilio
|
-
|
-43,5
|
-43,5
|
Totale
(c)
|
|
41,6
|
di cui TEMPORANEI
|
Atipici
in senso stretto
|
Interinale
|
(b)
|
(b)
|
(b)
|
A
tempo determinato
|
39,5
|
51,6
|
42,8
|
Contratto
formazione lavoro
|
-14,4
|
20,7
|
-11,6
|
Piani
di inserimento professionale
|
-
|
(b)
|
(b)
|
Parzialmente
atipici
|
Lavoro
a domicilio
|
23,3
|
9,2
|
15,2
|
Apprendistato
|
68,0
|
99,5
|
72,0
|
Totale
(c)
|
|
39,9
|
Note:
(b) Variazione non calcolabile poiché nel '96 le tipologie di
contratto non erano ancora state regolamentate
(c) La variazione include le posizioni interinali, non ripartibili
per modalità dell'orario e assenti nel '96
Fonte: Istat, Contabilità nazionale, Min.del lavoro e delle
politiche sociali, Rapporto di monitoraggio sulle politiche
occupazionali e del lavoro, n.1/2001
La partecipazione sociale: un quarto degli italiani coinvolto nelle
attività di associazioni, sindacati, partiti
Alti
i livelli di partecipazione sociale nel nostro paese: circa un
quarto degli italiani è coinvolto in attività di associazioni e
partiti, con segnali di crescita sul versante del volontariato. Un
dato “non trascurabile” e stabile nell’ultimo decennio,
assicura l’Istat nel Rapporto 2001, presentato oggi a Montecitorio.
Nel
2000 l’associazionismo coinvolgeva il 21% delle persone con più
di 14 anni, coinvolte in attività nell’abito di organizzazioni
sindacali, di volontariato, di associazioni ecologiste, culturali o
che si occupano di diritti civili. Sono circa 7 milioni e 800mila le
persone che versano un contributo sporadico a un’associazione. Il
coinvolgimento personale sembra maggiore al nord: Trentino e Alto
Adige sono al primo posto nella partecipazione a riunioni di
associazioni culturali, mentre per quelle sindacali il primato
spetta a Emilia Romagna, Toscana e Friuli Venezia Giulia. Ancora
Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta registrano i livelli più alti
di attività gratuite per associazioni di volontariato; al sud si
colloca al primo posto la Sardegna.
L’associazionismo è più diffuso nei piccoli comuni (tra 2mila e
10mila abitanti) e quelli con meno di 2mila abitanti, coinvolgendo
più uomini adulti tra i 35 e i 54 anni e donne giovani (14-24
anni), anche se nell’ambito del volontariato le differenze di
genere sono meno accentuate. Rispetto al ’95 crescono
partecipazione a riunioni e attività gratuite nel volontariato,
soprattutto al nord-ovest (Valle d’Aosta e Lombardia), mentre al
nord-est il Trentino Alto Adige registra un calo e aumenta il
Veneto. Al sud si evidenzia un aumento in Campania e Basilicata (dal
5 al 7%). Si riducono le distanze tra aree metropolitane e piccoli
centri: i volontari si spostano più facilmente per le riunioni e le
attività.
Complessivamente,
le istituzioni non profit italiane sono 221.412, concentrate al 50%
nelle regioni del centro-nord (Lombardia, Veneto, Emilia Romagna,
Piemonte e Toscana). All’opposto, altre 5 regioni (Valle d’Aosta,
Molise, Basilicata, Umbria e Calabria) sfiorano il 6% del totale. I
volontari rappresentano l’80% delle risorse umane, impiegati
esclusivamente nel 70% delle istituzioni censite. In totale nel non
profit sono attivi oltre 3 milioni di volontari, quasi 100mila
religiosi, 30mila obiettori di coscienza, a cui vanno aggiunti
532mila lavoratori dipendenti (la maggioranza a tempo pieno), quasi
80mila con contratto di collaborazione coordinata e continuativa e
circa 18mila distaccati da altri enti: 4 milioni di persone, quindi,
gravitano in questo pianeta.
I
finanziamenti hanno un’origine privata nel 64% dei casi. Cultura,
sport e ricreazione i settori principali di intervento (63,3%); il
secondo settore è quello dell’assistenza sociale, di cui si
occupa l’8,7% delle istituzioni non profit (19.344); segue il
settore delle relazioni sindacali e rappresentanza di interessi
(7,1%). Tra le altre voci, tutela dei diritti e attività politica
(3,1%), promozione e formazione religiosa (2,7%), sviluppo economico
e coesione sociale (2%), ambiente (1,5%), cooperazione e
solidarietà internazionale (0,6%), filantropia e promozione del
volontariato (0,6%).
“Si
partecipa direttamente alla vita sociale e politica impegnandosi
nelle attività delle organizzazioni e dei gruppi politici e non –
spiega l’Istituto nazionale di statistica -, ma anche
interessandosi e coinvolgendosi sul piano della comunicazione, che
è strettamente collegata ai percorsi di formazione dell’opinione
pubblica”. Nel 2000, ad esempio, il 30,3% delle persone con oltre
14 anni si informava ogni giorno di politica, ma la percentuale sale
al 54,5% se si considera il tempo settimanale; il mezzo d’informazione
prescelto è la televisione (93,7%), quasi al 50% i quotidiani. Il
divario tra regioni è evidente tra centro-nord (Emilia Romagna
42,3%, Friuli Venezia Giulia 37,9%, Toscana 36,4%, Veneto 35,4%) e
regioni meridionali (Campania 16,8%, Calabria 18,5%), dove oltre il
30% non si informa mai di politica. A livello nazionale ben un
quarto della popolazione non si informa mai di politica (24,7%), e
la percentuale sale per le donne (32,7%), arrivando al 55,1% per le
anziane. Alte le quote anche tra i giovani tra i 14 e i 17 anni
(43,9%) e tra i 18-19 anni (31,7%).(lab)
Volontariato:
persone di 14 anni e più
per attività associativa e per regione
Anni 1995/2000 -
Per 100 persone della stessa regione
|
|
Attività
gratuita per:
|
|
Associazioni
non di volontariato
|
Sindacato
|
Associazioni
di volontariato
|
|
1995
|
2000
|
1995
|
2000
|
1995
|
2000
|
Piemonte
|
3,1%
|
2,9%
|
1,1%
|
1,4%
|
9,8%
|
9,8%
|
Valle
D'Aosta
|
5,6%
|
4,9%
|
1,5%
|
1,0%
|
12,2%
|
15,6%
|
Lombardia
|
4,4%
|
4,3%
|
1,7%
|
1,6%
|
9,6%
|
11,4%
|
Trentino
A. A.
|
7,5%
|
12,2%
|
1,4%
|
1,4%
|
22,1%
|
18,7%
|
Veneto
|
4,5%
|
5,3%
|
1,5%
|
2,0%
|
10,3%
|
14,8%
|
Friuli
V. Giulia
|
6,4%
|
5,6%
|
2,2%
|
1,8%
|
12,1%
|
10,2%
|
Liguria
|
1,9%
|
2,8%
|
1,7%
|
1,6%
|
7,2%
|
6,9%
|
Emilia
R.
|
3,8%
|
4,2%
|
2,0%
|
2,3%
|
11,1%
|
9,9%
|
Toscana
|
3,8%
|
4,1%
|
2,3%
|
1,7%
|
9,4%
|
9,3%
|
Umbria
|
3,3%
|
4,7%
|
1,5%
|
1,8%
|
7,1%
|
8,9%
|
Marche
|
2,5%
|
3,7%
|
1,8%
|
1,5%
|
6,6%
|
7,0%
|
Lazio
|
1,7%
|
2,8%
|
1,2%
|
1,4%
|
4,0%
|
6,0%
|
Abruzzo
|
1,7%
|
2,0%
|
1,3%
|
2,1%
|
3,1%
|
4,3%
|
Molise
|
1,9%
|
2,7%
|
1,6%
|
1,7%
|
4,9%
|
5,6%
|
Campania
|
1,9%
|
2,0%
|
1,3%
|
1,0%
|
4,3%
|
5,1%
|
Puglia
|
1,8%
|
2,0%
|
1,6%
|
2,0%
|
5,1%
|
5,2%
|
Basilicata
|
1,5%
|
2,8%
|
2,3%
|
1,9%
|
3,5%
|
5,9%
|
Calabria
|
2,2%
|
1,9%
|
1,6%
|
1,6%
|
4,7%
|
4,7%
|
Sicilia
|
1,2%
|
1,4%
|
1,1%
|
1,2%
|
4,2%
|
4,9%
|
Sardegna
|
3,5%
|
3,7%
|
1,7%
|
1,2%
|
8,2%
|
8,5%
|
Italia
|
3,0%
|
3,4%
|
1,5%
|
1,6%
|
7,6%
|
8,5%
|
* Hanno svolto
una delle attività associative indicate almeno una volta negli
ultimi 12 mesi
Fonte: Istat -
Indagine multiscopo sulle famiglie. Aspetti della vita
quotidiana
Istituzioni
nonprofit, volontari,
dipendenti e risorse finanziarie
- Anno 1999
|
Regione
|
Istituzioni
nonprofit
|
Volontari
|
Dipendenti
|
Entrate
(in euro)
|
|
V.
a.
|
%
|
V.
a.
|
%
|
V.
a.
|
%
|
V.a.
|
%
|
Piemonte
|
18.700
|
8,4
|
288.077
|
8,3
|
36.770
|
69
|
3.046,49
|
8,1
|
Valle
D'Aosta
|
833
|
0,4
|
8.150
|
0,3
|
1.109
|
02
|
68,06
|
0,2
|
Lombardia
|
31.120
|
14,1
|
150
|
19,8
|
121.491
|
228
|
9.594,38
|
25,4
|
Trentino
A. A.
|
8.308
|
3,8
|
636.229
|
5,0
|
10.012
|
19
|
674,50
|
1,8
|
Bolzano
|
4.461
|
2,0
|
161.238
|
3,2
|
4.152
|
08
|
340,23
|
0,9
|
Trento
|
3.847
|
1,7
|
102.265
|
1,8
|
5.860
|
11
|
334,28
|
0,9
|
Veneto
|
21.092
|
9,5
|
58.979
|
9,5
|
45.358
|
85
|
2.779,06
|
7,4
|
Friuli
V. Giulia
|
6.119
|
2,8
|
305.043
|
4,0
|
9.853
|
19
|
560,62
|
1,5
|
Liguria
|
7.841
|
3,5
|
128.403
|
3,0
|
18.551
|
35
|
1.158,09
|
3,1
|
Emilia
Romagna
|
19.160
|
8,7
|
95.359
|
10,9
|
31.076
|
58
|
2.168,50
|
5,7
|
Toscana
|
18.021
|
8,7
|
350.150
|
9,5
|
24.853
|
47
|
2.046,15
|
5,4
|
Umbria
|
4.347
|
2,0
|
305.403
|
1,8
|
5.466
|
10
|
462,93
|
1,1
|
Marche
|
7.476
|
3,4
|
58.195
|
2,9
|
9.161
|
17
|
587,64
|
1,6
|
Lazio
|
17.122
|
7,7
|
94.966
|
6,5
|
117.927
|
221
|
9.012,50
|
23,9
|
Abruzzo
|
5.841
|
2,6
|
207.903
|
1,7
|
5.680
|
11
|
387,14
|
1,0
|
Molise
|
1.021
|
0,5
|
55.071
|
0,3
|
1.716
|
03
|
86,72
|
0,2
|
Campania
|
11.411
|
5,2
|
10.148
|
3,7
|
14.929
|
28
|
976,04
|
2,6
|
Puglia
|
12.035
|
5,4
|
117.927
|
3,8
|
20.038
|
38
|
1.271,75
|
3,4
|
Basilicata
|
1.271
|
0,6
|
121.952
|
0,4
|
2.295
|
04
|
134,61
|
0,4
|
Calabria
|
5.300
|
2,4
|
13.687
|
1,9
|
6.742
|
13
|
351,94
|
0,9
|
Sicilia
|
16.524
|
7,5
|
61.890
|
3,5
|
35.799
|
67
|
1.735,06
|
4,6
|
Sardegna
|
7.870
|
3,6
|
111.283
|
3,4
|
13.531
|
25
|
689,52
|
1,8
|
Italia
|
221.412
|
100,0
|
110.181
|
100,0
|
531.926
|
100,0
|
37.781,71
|
100,0
|
Fonte:
Rapporto Istat 2002
Istituzioni
nonmarket e market*
mutualistiche e di pubblica utilità** per tipo
di finanziamento prevalente per regione - Anno 1999
|
Regione
|
NONMARKET
|
MARKET
|
|
Mutualistiche
|
Di
pubb. utilità
|
Mutualistiche
|
Di
pubb. utilità
|
|
finanz.
privato
|
finanz.
pubblico
|
finanz.
privato
|
finanz.
pubblico
|
finanz.
privato
|
finanz.
pubblico
|
finanz.
privato
|
finanz.
pubblico
|
Piemonte
|
22,1
|
1,1
|
33,5
|
4,9
|
10,8
|
0,4
|
22,5
|
4,7
|
Valle
D'Aosta
|
17,3
|
6,7
|
31,1
|
14,0
|
8,5
|
0,8
|
12,8
|
8,8
|
Lombardia
|
20,6
|
0,8
|
38,2
|
4,6
|
8,3
|
0,6
|
20,6
|
6,3
|
Trentino
A. A.
|
18,3
|
3,9
|
34,0
|
16,5
|
5,2
|
0,9
|
16,9
|
4,3
|
Bolzano
|
20,0
|
5,3
|
33,9
|
17,4
|
4,9
|
0,9
|
14,2
|
3,4
|
Trento
|
16,4
|
2,3
|
34,0
|
15,4
|
5,6
|
1,0
|
19,9
|
5,4
|
Veneto
|
25,7
|
1,4
|
33,0
|
4,9
|
10,2
|
0,8
|
18,4
|
5,6
|
Friuli
V. Giulia
|
23,3
|
1,4
|
36,4
|
7,8
|
7,0
|
1,0
|
18,3
|
4,9
|
Liguria
|
21,1
|
0,9
|
35,3
|
4,0
|
10,0
|
0,4
|
23,2
|
5,2
|
Emilia
R.
|
21,5
|
0,6
|
35,1
|
3,1
|
12,2
|
0,7
|
21,7
|
5,1
|
Toscana
|
21,5
|
0,9
|
33,1
|
4,9
|
12,1
|
0,7
|
19,7
|
7,1
|
Umbria
|
21,7
|
1,3
|
36,3
|
4,8
|
9,2
|
0,7
|
21,2
|
4,8
|
Marche
|
26,9
|
1,3
|
33,5
|
5,3
|
10,3
|
0,8
|
16,1
|
5,9
|
Lazio
|
22,5
|
1,1
|
36,6
|
3,9
|
8,0
|
0,5
|
217
|
5,7
|
Abruzzo
|
23,1
|
1,3
|
37,1
|
5,6
|
8,5
|
0,7
|
19,0
|
4,7
|
Molise
|
21,8
|
2,7
|
37,3
|
7,3
|
4,9
|
0,5
|
16,9
|
8,6
|
Campania
|
25,8
|
1,0
|
32,8
|
4,1
|
10,5
|
0,3
|
21,6
|
3,9
|
Puglia
|
24,6
|
0,9
|
37,4
|
3,7
|
5,4
|
0,5
|
23,4
|
4,1
|
Basilicata
|
21,9
|
2,0
|
35,5
|
8,2
|
8,2
|
0,9
|
15,7
|
7,6
|
Calabria
|
19,1
|
1,3
|
37,9
|
7,3
|
5,7
|
0,6
|
22,3
|
5,8
|
Sicilia
|
15,1
|
2,3
|
37,5
|
4,8
|
3,6
|
0,7
|
30,0
|
6,0
|
Sardegna
|
22,9
|
2,9
|
35,0
|
11,7
|
6,8
|
0,5
|
13,5
|
6,7
|
Italia
|
21,9
|
1,4
|
35,4
|
5,4
|
8,8
|
0,6
|
21,0
|
5,5
|
* Le Istituzioni
nonprofit sono classificate market o nonmarket a
seconda che presentino un rapporto tra ricavi delle vendite di beni
e servizi e costi di produzione superiore al 50%
** Le Istituzioni nonprofit sono classificate mutualistiche o
di pubblica utilità a seconda che svolgano la loro attività
nell'interesse dei soci/iscritti o di un gruppo di individui più
esteso dei propri associati.
Fonte: Istat -
Istituzioni nonprofit in Italia - Anno 1999
Organizzazioni
di volontariato per settore di attività caratteristico* e
regione - Anno
1999
|
Regioni
|
Settori
di attività caratteristici*
|
|
1°
Settore
|
2°
Settore
|
Piemonte
|
Sanità
|
Assistenza
sociale
|
Valle
D'Aosta
|
Assistenza
sociale
|
Protezione
civile
|
Lombardia
|
Sanità
|
Assistenza
sociale
|
Trentino
A. A.
|
Ricreazione
e cultura
|
Protezione
civile
|
Bolzano
|
Ricreazione
e cultura
|
Protezione
civile
|
Trento
|
Assistenza
sociale
|
Altri
settori
|
Veneto
|
Sanità
|
Assistenza
sociale
|
Friuli
V. G.
|
Ricreazione
e cultura
|
Tutela
e protez. dei diritti
|
Liguria
|
Assistenza
sociale
|
Protezione
dell'ambiente
|
Emilia
R.
|
Sanità
|
Assistenza
sociale
|
Toscana
|
Sanità
|
Assistenza
sociale
|
Umbria
|
Ricreazione
e cultura
|
Attività
sportive
|
Marche
|
Sanità
|
Protezione
civile
|
Lazio
|
Protezione
civile
|
Protezione
dell'ambiente
|
Abruzzo
|
Assistenza
sociale
|
Istruzione
|
Molise
|
Protezione
dell'ambiente
|
Istruzione
|
Campania
|
Protezione
civile
|
Attività
sportive
|
Puglia
|
Protezione
civile
|
Protezione
dell'ambiente
|
Basilicata
|
Tutela
e protez. dei diritti
|
Istruzione
|
Calabria
|
Protezione
civile
|
Istruzione
|
Sicilia
|
Sanità
|
Ricreazione e cultura
|
Sardegna
|
Sanità
|
Assistenza
sociale
|
(*) Per ogni
regione sono stati selezionati i primi due settori di attività
delle organizzazioni di volontariato ordinati secondo il valore
assoluto dell'indice di Jaccard. L'indice misura l'associazione tra
la distribuzione delle organizzazioni di volontariato per regione e
quella secondo la tipologia del settore di attività.
Fonte: Istat -
Istituzioni nonprofit in Italia - Anno 1999
Settori
di attività prevalente delle Istituzioni nonprofit, Dati
per regione - Anno 1999
|
Regione
|
Cultura
sport e ricreazione
|
Istruzione
e ricerca
|
Sanità
|
Assistenza
sociale
|
Relazioni
sindacali e rappres.
di interessi
|
Altro(*)
|
|
Val.
%
|
Val.
%
|
Val.
%
|
Val.
%
|
Val.
%
|
Val.
%
|
Piemonte
|
63,1
|
4,9
|
4,3
|
9,8
|
6,5
|
11,4
|
Valle
D'Aosta
|
58,3
|
2,6
|
5,0
|
7,4
|
9,1
|
17,6
|
Lombardia
|
57,5
|
7,0
|
6,4
|
10,8
|
6,1
|
12,2
|
Trentino
A. A.
|
70,5
|
2,7
|
2,3
|
11,7
|
3,3
|
9,5
|
Bolzano
|
69,7
|
3,3
|
1,9
|
12,4
|
2,7
|
10,0
|
Trento
|
71,6
|
1,9
|
2,7
|
11,0
|
4,0
|
8,8
|
Veneto
|
65,9
|
6,8
|
4,4
|
7,6
|
5,7
|
9,6
|
Friuli
V. Giulia
|
68,4
|
4,6
|
2,2
|
7,,8
|
7,0
|
10,0
|
Liguria
|
64,0
|
5,7
|
3,9
|
8,7
|
7,9
|
9,8
|
Emilia
Romagna
|
656
|
5,0
|
4,8
|
7,5
|
6,3
|
10,8
|
Toscana
|
64,7
|
4,3
|
7,1
|
7,3
|
6,4
|
10,2
|
Umbria
|
64,0
|
4,3
|
3,6
|
7,3
|
8,0
|
12,8
|
Marche
|
68,5
|
2,7
|
4,1
|
7,4
|
6,1
|
11,2
|
Lazio
|
55,7
|
7,3
|
2,8
|
8,2
|
12,2
|
13,8
|
Abruzzo
|
66,9
|
38
|
3,0
|
7,1
|
9,2
|
10,0
|
Molise
|
57,9
|
3,7
|
5,2
|
14,2
|
9,7
|
9,3
|
Campania
|
66,2
|
5,2
|
2,6
|
8,9
|
6,4
|
10,7
|
Puglia
|
64,9
|
3,6
|
3,4
|
8,1
|
8,7
|
11,3
|
Basilicata
|
52,6
|
4,7
|
4,9
|
10,9
|
12,5
|
14,4
|
Calabria
|
60,5
|
6,1
|
3,3
|
9,1
|
9,1
|
11,9
|
Sicilia
|
66,0
|
4,7
|
3,1
|
7,5
|
6,7
|
12,0
|
Sardegna
|
62,5
|
4,2
|
5,4
|
11,4
|
6,5
|
10,0
|
Italia
|
63,3
|
5,3
|
4,4
|
8,7
|
7,1
|
11,2
|
(*) Comprende:
ambiente, sviluppo economico e coesione sociale, tutela dei diritti
e attività politica, filantropia e promozione del volontariato,
cooperazione e solidarietà internazionale, religione, altre
attività produttive
Fonte: Istat -
Istituzioni nonprofit in Italia - Anno 1999
|