PRESENTAZIONE
DELLA TERZA EDIZIONE L'ATLANTE DELLE PROVINCE
Giunge
alla sua terza edizione dopo l'esordio avvenuto nel 1995 in
occasione della XXIX Assemblea Generale dell'Unione delle Province
Italiane, e la seconda ristampa, riveduta e corretta, prodotta nel
corso dell'anno successivo. In questa terza edizione, che pure
conserva l'impianto e garantisce la continuità dei contenuti e dei
riferimenti delle due edizioni precedenti, si sono introdotte alcune
innovazioni significative a cui gli autori affidano l'aspirazione di
proporre nuove immagini ed interpretazioni dell'Italia delle
Province. La prima innovazione riguarda intanto la veste editoriale
con la quale il documento si presenta. La seconda innovazione
riguarda l'aggiornamento delle informazioni rappresentate
nelle diverse sezioni tematiche; gli indicatori proposti
dall'Atlante sono infatti riferiti sistematicamente al 1998 salvo
limitati argomenti per i quali
non è stato possibile disporre di informazioni più recenti che non
quelle riferite al 1996-97. Esito dell'aggiornamento è anche la
possibilità, che è stata sfruttata in questa terza edizione, di
riferire i numerosi confronti internazionali che l'Atlante propone
non più alla dimensione comunitaria dei 12 paesi della CEE, quanto
piuttosto al nuovo spazio politico ed economico dell'Unione
Europea e dei suoi 15 paesi membri. Infine, accanto a più
modeste puntualizzazioni e precisazioni editoriali, compaiono
nell'edizione 1999alcune significative integrazioni tematiche.
Argomento principale delle nuove esplorazioni condotte dall'Atlante
delle Province è innanzitutto il tema dei servizi, in
particolare nei settori dell'istruzione superiore e della assistenza
sanitaria che sempre maggiore rilievo rivestono nella attività
amministrativa delle Province. Così la dotazione di servizi è
analizzata in relazione alla loro concreta fruibilità da parte
della popolazione distribuita negli oltre ottomila comuni italiani
che quotidianamente si rivolgono ai centri – di numero assai
inferiore – nei quali è concentrata l'offerta di questi servizi
rari. Le dimensioni e la distribuzione della domanda e dell'offerta,
messe in relazione con l'impiego di sofisticati modelli di
simulazione delle condizioni operative della mobilità, consentono
di evidenziare le condizioni di disagio nella
fruizione dei servizi, condizioni che talora sono del tutto
indipendenti dalla ampiezza della offerta stessa, e di costruire un
panorama quanto mai significativo delle gerarchie e dei divari
territoriali leggibili nel paese. Nella versione informatica
dell'Atlante è riportata, in una apposita appendice,
una immagine regionale della articolazione e del dettaglio con il
quale sono stati costruiti gli indicatori relativi alla
accessibilità ai servizi ed alla modellizzazione della mobilità,
consentendo di apprezzarne l'efficacia e la assoluta novità. Un
secondo fronte "tematico" di particolare interesse è
quello che nasce dall'aggiornamento dei giudizi sulla distribuzione
della ricchezza, giudizio che trae alimento dall'inedita
iniziativa dell'Istituto Centrale di Statistica di dare corso ad un
censimento intermedio dell'industria e dei servizi a cadenza
intermedia rispetto al tradizionale intervallo decennale. Il nuovo
panorama informativo ci ha così consentito di elaborare un
aggiornato indicatore a base comunale sulla formazione del Prodotto
Interno Lordo (PIL) e di utilizzarlo come riferimento per una
articolata gamma di interpretazioni della posizione di ciascuna
delle province italiane in una virtuale graduatoria multidimensinale
che tien conto non solo delle dimensioni complessive della ricchezza
prodotta da ciascuna comunità provinciale
ma anche della sua interna e difforme distribuzione. Risalta, dal
confronto con quanto era emerso nelle edizioni precedenti,
l'approfondirsi del divario riscontrabile nella capacità di
generare ricchezza tra le diverse aree del paese, pur nel quadro di
una trasformazione dei sentieri di crescita dei diversi sistemi
locali che la dimensione regionale – e tanto meno quella della
grandi ripartizioni statistiche – fa fatica a spiegare, Altri
argomenti, proposti già nella seconda edizione, sono stati
arricchiti di nuove considerazioni e meritano di essere richiamati
per la loro attualità. In primo luogo il tema della mobilità,
sempre più centrale nell'organizzazione della vita contemporanea.
L'Atlante propone una intera sezione di rappresentazioni e di
indicatori che traggono origine da una articolata e realistica
modellizzazione delle relazioni tra insediamenti umani e
distribuzione delle funzioni residenziali, produttive e di servizio
sul territorio e fornisce immagini inconsuete del disagio (e
viceversa delle opportunità) che alla società derivano dalle forme
che nel tempo è venuta assumendo la sua organizzazione nello
spazio. Un secondo tema è quello dei parchi e della offerta
ambientale. Attraverso una puntuale ed aggiornata ricognizione delle
aree protette che sono state istituite ormai
in tutte le Regioni del Paese, l'Atlante offre una prima immagine
del rilievo demografico (ma anche economico e politico) delle
comunità locali che ospitano nel proprio territorio Parchi
nazionali e regionali. Una rappresentazione preliminare a più
approfondite valutazioni sul rapporto tra ambiente naturale ed
insediamenti umani ed alle sue implicazioni in termini di
organizzazione della offerta ambientale e di valorizzazione
economica, una rappresentazione che consente di fornire una inedita
misura dell'impatto sociale di una politica così importante. Per il
resto l'Atlante si ripropone nel solco della linea di lavoro e
riflessione sulla caratterizzazione delle 103 Province italiane che
già distingueva le precedenti edizioni, con l'intento di far
risaltare i differenziati e multiformi modelli di organizzazione
territoriale che le contraddistinguono. Diversità dei contesti
problematici e delle condizioni insediative, ambientali, culturali e
sociali; diversità che i modelli organizzativi e gli stessi
riferimenti istituzionali elaborati nella esperienza delle Regioni,
troppo spesso non hanno saputo cogliere e valorizzare. Tra le più
rilevanti ragioni di diversità che le condizioni ambientali e lo
sviluppo sociale hanno determinato nell'organizzazione territoriale
delle province sta l'estrema diversificazione
del rapporto con i comuni quanto a numerosità, dimensione e
caratterizzazione specifica. Una delle peculiarità dell'Atlante che
permane anche in questa terza edizione (oltre a quella di riferirsi
a tutte le 103 province oggi esistenti) è proprio quella di
considerare la provincia come una sorta di "federazione"
di comuni. Abbiamo così cercato di caratterizzare le province non
limitandoci a descrivere i valori medi che ciascun fenomeno presenta
in ambito provinciale (stemperando così statisticamente le
differenze interne) ma puntando invece a misurare il diverso rilievo
che nel contesto provinciale assumono le comunità locali che sono
specificamente caratterizzate da quel fenomeno. Un esempio: per
descrivere la caratterizzazione industriale delle province abbiamo
scelto di rappresentare non il valore medio provinciale di un
indicatore di industrialità (il numero di occupati all'industria
per 100 abitanti o l'incidenza percentuale del Valore Aggiunto
Industriale sul Prodotto Interno Lordo), ma piuttosto di
rappresentare il peso delle comunità locali marcatamente
caratterizzate nella propria fisionomia dalla presenza industriale:
concretamente, i comuni che superano tanto una soglia di
concentrazione di addetti all'industria (300 unità), quanto una
soglia di intensità della presenza industriale (15 addetti per
100 abitanti) e nei quali le attività industriali contribuiscano
per oltre il 40% della formazione del P.I.L. Non è forse questa
l'unica particolarità di questo Atlante che lo distingue da altri e
più ricorrenti approcci. La scelta stessa dei temi da affrontare ha
cercato di dare spazio a profili di indagine meno consueti, che
privilegiano la dimensione organizzativo-istituzionale sulla più
tradizionale analisi socio-economica. Nelle sue quattro sezioni,
l'Atlante discute, tra i modelli interpretativi possibili, il modello
insediativo delle province italiane, per cercare di misurare il
peso delle diverse tipologie territoriali, il modello
organizzativo, per mettere a fuoco le condizioni strutturali del
rapporto con gli attori locali di livello comunale e sovracomunale,
il modello socio-economico per fornire una caratterizzazione
delle dinamiche locali e il modello fisico-ambientale per
aprire una riflessione sui quadri ambientali presenti nei diversi
contesti provinciali. Anche in questa terza edizione, nonostante il
rilievo degli sforzi compiuti e l'esperienza redazionale ormai
accumulata, emergerà evidente dalla lettura il carattere largamente
provvisorio ed asistematico dello sforzo sin qui compiuto: più
vecchi di un anno, non possiamo non riproporre ai lettori la
preghiera di accogliere con benevolenza il contriuto di riflessione
e ricerca che essa proponei,
e l'invito a partecipare con suggerimenti e considerazioni
sull'impianto e la struttura dell'opera a farle acquisire una
fisionomia sempre più matura e compiuta. Già in occasione della
prima uscita dell'Atlante delle Province non nascondevamo
l'ambizione di giungere nel tempo ad edizioni più mature ed
articolate, capaci di fornire immagini e riflessioni più
sofisticate sull'evoluzione di questo nostro multiforme Paese.
Questa ambizione ha trovato nella seconda edizione dell'Atlante, e
nel successo di pubblico che ha incontrato, una conferma della
propria legittimità, e la ragione per proseguire nell'impegno che
questa terza edizione testimonia, fornendo al tempo stesso una
misura della molta strada che è ancora da compiere per arrivare a
risultati pienamente soddisfacenti. Una strada che ci ripromettiamo
di percorrere con i nostri lettori e con le Province d'Italia, per
consolidare nel tempo, se ciò ci sarà concesso dagli eventi e
dalle istituzioni, un periodico appuntamento con l'Atlante delle
Province, che proponga via via nuovi spunti tematici e nuove
rappresentazioni e promuova una consapevolezza non consueta e una
immagine non rituale della geografia dei sistemi territoriali e
delle realtà istituzionali del nostro paese.
E'
ormai profondamente avvertita, crediamo, l'esigenza di
"disegnare" una nuova geografia politica, una geografia
per le politiche che superi immagini ormai stereotipe prodotte da
interpretazioni dicotomiche dello sviluppo del Paese: dalla
contrapposizione Nord-Sud (solo parzialmente messa in discussione
dal discorso sulla "terza Italia"), a quella tra città e
campagna (o tra urbano e rurale, nel linguaggio più avvertito delle
politiche europee), dalla contrapposizione tra montagna e pianura a
quella tra le città metropolitane e le altre. Tutti tentativi di
isolare un solo aspetto, per quanto cruciale, e di organizzare
attorno a questo, politiche la cui efficacia è minata alle
fondamenta dalla eccessiva semplicità dell'approccio. Certo, una
diversa categorizzazione richiede un rinnovamento del linguaggio ed
anche un maggiore sforzo di cooperazione per la sua definizione, ed
implica una ricerca non scontata sui confini dei paesaggi tipizzati.
Ma già ora si può cominciare a discutere di alcune categorie
territoriali che possono essere pensate come punto di partenza,
assolutamente preliminare, di una riflessione che traguardi un
Atlante utile alla decisione politico-amministrativa. Si può,
perciò, a nostro parere, cominciare a discutere dei sistemi urbani
e della loro dimensione ormai sistematicamente
"più che comunale", ad inventare una strategia per le
reti urbane e per le "città capitali", a ripensare al
territorio rurale finalmente nella sua dimensione europea, a
riconoscere le aree marginali con una selettività che aiuti
l'intervento e ne valorizzi il connotato di risorsa ambientale
nazionale, a concepire i paesaggi culturali (e i centri storici tra
questi) come "fattori influenti" nelle politiche di
ri-organizzazione del territorio. Solo alcuni spunti che ci sentiamo
di proporre per un "progetto editoriale" che immagina di
attuarsi per tappe, mantenendo un legame continuo con lo sviluppo
delle politiche del territorio, verificando così continuamente la
propria efficacia ed utilità come strumento per l'orientamento, la
comprensione, la scelta consapevole. Uno strumento di riflessione
che aiuti a riconoscere nelle "differenze", in una nuova
geografia delle specificità (dei caratteri distintivi e delle
discontinuità), una risorsa utile per fondare nuovi modelli di
cooperazione e nuove regole di concertazione, coinvolgendo in questo
l'intero sistema delle autonomie locali, che si dovrà assumere,
nella prospettiva, gran parte dell'onere di una riproposizione
"sostenibile" ed efficace della funzione di Servizio
Pubblico
L'ACCESSIBILITÁ
AI SERVIZI
Il
tema della disponibilità e della diffusione sul territorio
nazionale dei servizi compare in primo piano in questa terza
edizione dell'Atlante delle Province. Si tratta di un tema che
conosce un momento di grande attualità nel dibattito politico e che
l'Atlante affronta, secondo la sua tradizione, nell'ottica di
valutare lo "stato di salute" delle province italiane
"misurandolo" non solo in relazione alla dotazione
complessiva di importanti servizi sociali quali gli istituti
scolastici e i presidi ospedalieri, ma soprattutto in rapporto alla
accessibilità che questi servizi mostrano in relazione alla
effettiva dislocazione sul territorio della popolazione che ne
determina la maggiore o minore fruibilità. L'attenzione è stata
quindi concentrata sulla offerta dei servizi più rari tra quelli di
uso quotidiano, focalizzandosi in particolare sulla distribuzione
dei presidi scolastici dell'istruzione secondaria superiore e sulla
offerta del settore ospedaliero e selezionando le sedi in grado di
offrire una soglia di offerta minimamente articolata e significativa
(in merito ai criteri di selezione impiegati si veda il Glossario in appendice). La distribuzione territoriale dei presidi scolastici e
sanitari consente di evidenziare i problemi e le situazioni di
disagio che sfuggono ad una
considerazione meramente quantitativa delle dotazioni disponibili
nelle diverse province del paese. Basti osservare, a questo
proposito, la distribuzione relativa alla istruzione secondaria
superiore: se infatti le province del centro sud presentano nella
generalità dei casi una dotazione scolastica (misurata dal numero
di classi di scuola media superiore in rapporto alla popolazione
residente) significativamente superiore al dato medio nazionale, in
queste stesse province è talvolta presente una grave condizione di
disagio determinata dalla scarsa accessibilità alle strutture
scolastiche da parte della popolazione distribuita nel territorio.
Emblematico è il caso delle province di Nuoro, Potenza, Matera che
compaiono ai primi posti della graduatoria nazionale per il numero
di classi per 1000 abitanti (cfr.
tav. 01)
ma che contemporaneamente sono tra le province nelle quali è
maggiormente diffuso il disagio nel raggiungere le sedi scolastiche.
Questa condizione di disagio è misurata dalla percentuale di
popolazione che impiega un tempo maggiore di trenta minuti per
raggiungere la sede scolastica più vicina (cfr.
tav.0.2, tav.0.3).
Una considerazione più generale del fenomeno fa emeregere come le
province situate sulla dorsale appenninica e – sia pure in minor
misura - lungo la catena alpina,
sono quelle che presentano le situazioni di maggiore svantaggio.
Leggermente diversa è la situazione territoriale che si presenta
quando, in luogo del disagio, si voglia indagare l'altro lato della
medaglia, descrivendo le realtà caratterizzate da una ottima
accessibilità ai servizi; come indicatore di questa situazione è
stata selezionata la percentuale di popolazione per la quale i tempi
di accesso alle strutture scolastiche sono contenuti entro la soglia
di 20 minuti che rappresenta una durata del pendolarismo per motivi
di studio del tutto accettabile. Le tavole statistiche e le
rappresentazioni cartografiche elaborate al riguardo (cfr.tav.0.4)
propongono una gerarchia
delle province italiane che presentano una buona accessibilità al
servizio nettamente più favorevole alle province del nord,
oltrechè nelle grandi concentrazioni demografiche delle maggiori
aree metropolitane meridionali. Il confronto fra gli indici basati
sulla popolazione totale e quelli calcolati sulla base della
popolazione in età scolare (anni 15-24, cfr.tav.0.5), non mostra differenze
sostanziali pur rimarcando una generale diminuzione di popolazione
svantaggiata nel caso di popolazione in età scolare; quando ciò
accade si è in presenza di aree marginali all'interno del
territorio provinciale abitate da una percentuale relativamente più
alta di popolazione anziana.
Raffrontando queste tavole (cfr.
tav.0.1 tav.0.2 tav.0.3 tav.0.4 tav.0.5 )
a quelle relative all'accessibilità ai presidi ospedalieri (cfr.
tav.0.6 tav.0.7 tav.0.8) si osserva una maggiore
capillarità del servizio scolastico. Anche la presenza della rete
di presidi ospedalieri e la sua distribuzione in relazione alle sedi
della popolazione residente, è stata infatti valutata misurando i
tempi impiegati per il raggiungimento del servizio, utilizzando la
soglia dei trenta minuti per delineare una condizione di disagio (cfr.
tav.0.7)
e quella di venti minuti per indicare viceversa la presenza di una
condizione favorevole (
cfr. tav.0.8).
Le province con il maggiore disagio nella accessibilità al servizio
ospedaliero si collocano in corrispondenza delle aree interne e
delle catene montuose degli Appennini e delle Alpi (cfr.
tav.0.7 ) e in
particolare nelle regioni del centro-sud. In questo caso le
condizioni di disagio territoriale si associano e si sovrappongono
frequentemente alla insufficiente dotazione dei servizi in campo
ospedaliero: la distribuzione dei posti letto nei presidi
ospedalieri pubblici e nelle case di cura private accreditate,
rapportata alla popolazione (
cfr.tav.0.6).
segnala una geografia assai diversificata dalla quale risalta però
una dotazione media nelle regioni meridionali assai più bassa che
nel resto del Paese.
0. L'ACCESSIBILITÁ AI SERVIZI
TAVOLE
TAV.
0.1 – Dotazione
scolastica in termini di numero di classi (istruzione secondaria)
per 1000 residenti
TAV.
0.2 – Incidenza
percentuale della popolazione residente dei Comuni accessibile ai
centri scolastici (istruzione secondaria) in oltre 30 minuti
TAV.
0.3 – Incidenza
percentuale della popolazione in età scolare dei Comuni accessibile
ai centri scolastici (istruzione secondaria) in oltre 30 minuti
TAV.
0.4 – Incidenza
percentuale della popolazione residente dei Comuni accessibile ai
centri scolastici (istruzione secondaria) in meno di 20 minuti
TAV.
0.5 – Incidenza
percentuale della popolazione in età scolare dei Comuni accessibile
ai centri scolastici (istruzione secondaria) in meno di 20 minuti
TAV.
0.6 – Numero dei posti
letto nei presidi ospedalieri (pubblici e privati) per 1000
residenti al 1998
TAV.
0.7 – Incidenza
percentuale della popolazione residente accessibile ai presidi
ospedalieri in oltre 30 minuti
TAV.
0.8 – Incidenza
percentuale della popolazione residente accessibile ai presidi
ospedalieri in meno di 20 minuti
1.
IL
MODELLO INSEDIATIVO
1.0. CENTRALITA' E
PERIFERICITA'
Uno degli elementi di maggiore
originalità del presente lavoro è costituito dall'indagine
sull'accessibilità dei Comuni italiani. Con tale concetto si
intende la misura della centralità o perifericità di una
determinata località, tenendo conto sia della distribuzione della
popolazione sia della funzionalità delle varie reti di trasporto.
In pratica, per ogni località considerata - comune o frazione
comunale - si riesce così a calcolare il numero dei residenti che
possono accedervi entro un determinato arco di tempo, ad esempio 30
o 60 minuti. Sia che si valuti la centralità di una località
riguardo a una popolazione accessibile di 200 mila abitanti in 30
minuti (cfr.
tav. 1.0.1), sia
che tale raffronto sia fatto con 1 milione di residenti nell'arco di
60 minuti (cfr.
tav. 1.0.2), i
risultati confermano la medesima geografia delle province italiane.
Con la sola esclusione delle metropoli centro-meridionali (Roma,
Napoli, Bari, Palermo e in parte Catania) che presentano valori
simili a quelli riscontrabili nell'area padana e nel sistema della
Val d'Arno per le quali vale il modello della metropoli reticolare,
vi è uno stacco netto fra il nord da un lato ed il centro-sud
dall'altro. I migliori livelli di accessibilità - con alte
percentuali di popolazione nei comuni selezionati rispetto al totale
provinciale - si concentrano
nelle province lombarde e del basso Veneto, in tutta l'Emilia-Romagna,
nella Toscana settentrionale: sono aree densamente abitate e dove
oltre il 70% dei residenti usufruisce di condizioni agevolate negli
spostamenti a breve e medio raggio. Anche al nord, peraltro, non
mancano le debite eccezioni, rappresentate dall'estrema cornice
alpina, che evidenzia valori critici di perifericità: Aosta,
Sondrio, Trento, Bolzano, Belluno sono, da questo punto di vista, in
tutto assimilate alle zone appenniniche centro-meridionali.
Basandosi sui dati censuari è anche possibile verificare
l'evoluzione dell'accessibilità in tutta Italia, nell'arco di un
quarantennio nel secondo dopoguerra. Non può non suscitare qualche
sorpresa il fatto di trovare in vetta alla graduatoria delle
province con le maggiori perdite di centralità (
cfr. tav. 1.0.3),
alcune di quelle segnalate per gli alti valori assoluti misurati nel
1991. Ad esempio, Rovigo, Ferrara, Mantova pur facendo parte
dell'area padana denunciano rilevanti perdite di accessibilità. Per
contro, zone evidenziate per la loro perifericità hanno avuto buone
performance, come Cagliari, Crotone, Imperia e l'intero arco alpino,
dove la situazione, tutt'altro che ottimale, non è comunque
peggiorata. Negativa invece la tendenza di località già fortemente
penalizzate (Campobasso, Enna, L'Aquila, Isernia, tutta la Sardegna
settentrionale) che vedono ulteriormente
diminuire gli standard di centralità nell'arco di tempo
considerato. Il raffronto con le province che presentano invece una
dinamica positiva (cfr.
tav. 1.0.4) non
dà risultati esattamente speculari: il motivo è che, all'interno
della medesima provincia, possono esistere comuni con evoluzioni
fortemente disomogenee. Così, ad esempio, Forlì-Cesena, Modena,
Pescara e Palermo appaiono quasi "dilaniate" da due trend
opposti: verso la crescita della centralità delle zone urbane e/o
costiere, verso un aumento della perifericità delle aree interne
e/o montuose. A questa immagine strutturale delle condizioni di
centralità e perifericità delle diverse parti del territorio
nazionale è quanto mai interessante associare le considerazioni
sulle concrete modalità con cui i sistemi di trasporto presenti nel
territorio e la dislocazione delle attività umane consentono alla
popolazione di muoversi quotidianamente con maggiore o minore
disagio. L'indagine sulle Origini e sulle Destinazioni dei movimenti
pendolari che è stata rilevata dal Censimento, fornisce una mappa
delle condizioni e del disagio, della mobilità quanto mai
eloquente. Le aree di massima centralità del paese (il sistema
padano e del Valdarno, le concentrazioni metropolitane del centro
sud) sono anche le aree di massima mobilità territoriale, quelle,
per intendersi, dove in un numero significativo di realtà comunali
oltre il 60% degli spostamenti per motivi di lavoro avviene
valicando i confini comunali (cfr.
tav. 1.0.5).
Una limitata eccezione a questa corrispondenza la si ha nelle aree
pugliesi ed emiliano-romagnole caratterizzate dalla presenza di
comuni di grande vastità, che ovviamente assorbono al proprio
interno percentuali di spostamenti più elevate di quelle dei comuni
lombardi o campani di assai più ridotta dimensione territoriale e
talora anche demografica. Nel Nord del Paese, le aree del disagio
nella mobilità si collocano frequentemente all'interno di queste
zone di più frequente mobilità intercomunale: così i comuni nei
quali la mobilità di medio-lungo raggio che impegna i pendolari in
un viaggio di oltre 30 minuti, supera la soglia
"fisiologica" del 20%, assumono un rilevante peso
all'intorno dell'area metropolitana milanese e nelle "Province
metropolitane" di Genova, Firenze e Venezia, oltre alle realtà
periferiche dell'imperiese e del Verbano-Cusio-Ossola. Nel
Centro-sud, invece, l'area del disagio si allarga, ed oltre alle
aree metropolitane di Roma e Napoli (ed alle molte province
confinanti che di queste aree sono tributarie) molte province
siciliane, pugliesi, lucane, molisane e sarde presentano una elevata
incidenza di comunità con un elevato livello di disagio nella
mobilità (cfr.
tav. 1.0.6).
Congestione e concentrazione
territoriale da un lato, rarefazione delle opportunità di impiego e
difficoltà di esercizio dei sistemi di trasporto dall'altro, sono
quindi le ragioni di un disagio che si manifesta ai suoi minimi
termini solo nelle aree del centro e del nord-est caratterizzate da
un assetto territoriale più distribuito. Condizioni ancora più
disagiate nell'esercizio della mobilità pendolare, che implicano
tempi di percorrenza di oltre 60 minuti (si ricorda, per il solo
viaggio di andata) coinvolgono quote non trascurabili della
popolazione in un numero ristretto di comunità che si concentrano
tutte all'interno degli ambiti di gravitazione delle grandi aree
metropolitane di Milano, Roma e Napoli (cfr.
tav. 1.0.7). Una
minore ma non trascurabile incidenza la si riscontra in altre due
province, molto particolari: quella di Venezia, con la sua mobilità
lagunare, e quella di Verbania, caratterizzata dalla più eccentrica
collocazione nello scenario insediativo padano. Paradossalmente (ma
non troppo) l'Italia che ha minimizzato il disagio dei propri
spostamenti per lavoro è anche l'Italia che a lavorare va in
automobile (e ci va da sola). E' proprio l'Italia del centro e del
nord-est quella in cui la maggior parte delle comunità locali si è
organizzata per spostarsi in auto (e come conducente) per
raggiungere i luoghi di
lavoro (cfr.
tav. 1.0.8). Sono
le province dello sviluppo diffuso, quelle dei "distretti
industriali" Prato, Pordenone, Perugia, Biella e Modena ad
occupare i 5 posti della graduatoria dei pendolari più motorizzati.
Significativa è anche la geografia degli spostamenti non
motorizzati (cfr.
tav. 1.0.9)
che segnala le aree di maggiore ruralità del Sud (le Province di
Nuoro, Enna, Vibo Valentia, Crotone, Salerno, Benevento, Isernia,
Campobasso) come del Nord del Paese (Imperia, Vercelli, Alessandria,
Piacenza, Rovigo, Ferrara e Ravenna). Il peso delle aree
metropolitane risalta anche quando si cerchi di individuare le aree
del disagio nella mobilità studentesca: sono le aree tributarie dei
grandi atenei di Milano-Pavia e Roma (e in misura assai più ridotta
di Padova - Venezia e Firenze - Pisa) a generare pendolarismi
significativi oltre l'ora. Non così per i grandi atenei del
Meridione dove una organizzazione dei trasporti sicuramente più
"faticosa" sembrerebbe addirittura escludere la
possibilità stessa di pendolarismi di lungo raggio obbligando gli
utenti a trasferirsi nelle sedi universitarie (cfr.
tav. 1.0.10).
1.0 CENTRALITA' E PERIFERICITA'
TAV.
1.0.1 - Incidenza percentuale della
popolazione residente dei Comuni con oltre 200.000 abitanti
accessibili in 30'
TAV.
1.0.2 - Incidenza percentuale della
popolazione r esidente dei Comuni con oltre 1.000.000 di abitanti
accessibili in 60'
TAV.
1.0.3 - Incidenza percentuale della
popolazione residente dei Comuni con variazione dell'accessibilità
inferiore al –20% nel Secondo Dopoguerra
TAV.
1.0.4 - Incidenza percentuale della
popolazione residente dei Comuni con variazione dell'accessibilità
superiore al 20% nel Secondo Dopoguerra
TAV.
1.0.5 - Peso demografico dei comuni
nei quali gli spostamenti per motivi di lavoro esterni al comune
sono superiori al 60% degli spostamenti totali per motivi di lavoro
TAV.
1.0.6 - Peso demografico dei comuni
nei quali gli spostamenti per motivi di lavoro a medio-lungo raggio
(>30') sono superiori al 20% degli spostamenti totali per motivi
di lavoro
TAV.
1.0.7 - Peso demografico dei comuni
nei quali gli spostamenti per motivi di lavoro a lungo raggio
(>60') sono superiori al 5% degli spostamenti totali per motivi
di lavoro
TAV.
1.0.8 - Peso demografico dei comuni
nei quali gli spostamenti per motivi di lavoro in auto come
conducente sono superiori al 60% degli spostamenti totali per motivi
di lavoro
TAV.
1.0.9 - Peso demografico dei comuni
nei quali gli spostamenti per motivi di lavoro a piedi ed in
bicicletta sono superiori al 25% degli spostamenti totali per motivi
di lavoro
TAV.
1.0.10 - Peso demografico dei comuni
nei quali gli spostamenti per motivi di studio a lungo raggio
(>60') sono superiori al 5% degli spostamenti totali per motivi
di studio
1.1.
LE AGGLOMERAZIONI METROPOLITANE E I SISTEMI URBANI
Nell'Italia delle "Cento
Città" il rapporto fra territorio provinciale e fenomeno
urbano si presenta in misura estremamente variegata. Non solo,
infatti si differenzia notevolmente il rango dei comuni capoluoghi,
passando dai 2.697.131 abitanti di Roma ai 21.000 di Isernia (la cui
provincia, con 91.824 residenti al 1998, è anche la più piccola
d'Italia), ma muta anche il "peso" del capoluogo rispetto
al resto della provincia (cfr.
tav. 1.1.1):
Trieste, dove oltre l'87% della popolazione vive nel capoluogo, è
la provincia più polarizzata, seguita da Prato, mentre Caserta,
Frosinone, Cuneo detengono una popolazione pari ad appena l'8-10%
del totale provinciale. Se ci si limita al capoluogo persino centri
metropolitani come Milano e Napoli sembrano relegati ad un ruolo nel
complesso contenuto, contando circa un terzo della popolazione
provinciale. In realtà, per valutare appieno la valenza di tali
agglomerazioni occorre riferirsi ai sistemi urbani, la cui
definizione costituisce un elemento di originalità del presente
lavoro. Per l'individuazione dei sistemi urbani sono state valutate
quelle aggregazioni commerciali che, per l'intensità di relazioni,
per la densità abitativa e per la dinamica demografica,
presentino caratteristiche omogenee e spiccatamente urbane. Emerge
così (cfr.
tav. 1.1.5) la
rilevanza dei sistemi urbani di Napoli, Milano (in cui le
agglomerazioni urbane valicano addirittura i confini provinciali),
Roma e Genova. Di contro vi sono province dove i sistemi urbani
ricoprono un'importanza decisamente poco marcata: Potenza,
Agrigento, Enna, Vibo Valentia, Nuoro ed Oristano, ma anche
Frosinone, Sondrio, Belluno. Raffrontando il dato della superficie
dei sistemi urbani, in rapporto all'intera provincia (cfr.
tav. 1.1.9), si
sottolinea invece il ruolo delle concentrazioni di Torino e di
Palermo, dove le agglomerazioni urbane non pervadono le rispettive e
territorialmente grandi, province. I dati degli addetti
all'industria manifatturiera, al settore terziario e alla pubblica
amministrazione, nei capoluoghi (cfr.
tavv. 1.1.2, 1.1.3, 1.1.4)
e nei sistemi urbani (cfr.
tavv. 1.1.6, 1.1.7, 1.1.8)
confermano il ruolo di capoluoghi "pigliatutto" (Trieste,
Prato) perché sostanzialmente identificati con la loro
"piccola" provincia, di centri metropolitani di grande
rango (Milano, Napoli, Roma, Palermo, Genova), di province
"decentrate" (Frosinone, Caserta, Cuneo). Quest'ultima è
il caso emblematico per la presenza di numerosi poli commerciali di
buon calibro (
cfr. tav. 1.1.13)
senza che la rete urbana raggiunga livelli e dimensioni
soddisfacenti e competitivi.
Un'ulteriore sfaccettatura del
rapporto fra città e provincia viene dal rapporto fra residenti nel
maggior comune e in quello che lo segue nella scala demografica (cfr.
tav. 1.1.14). E'
una conferma per le metropoli, ma è anche una "sorpresa"
per città medie come Padova e Verona, che presentano un rapporto di
1:10 fra comune leader e chi occupa la seconda postazione. Sul
versante opposto si mettono in evidenza le province bipolari (Massa-Carrara,
Varese-Busto, Trapani-Marsala, Macerata-Civitanova,
Caltanissetta-Gela, Ragusa-Modica, Forlì-Cesena, Ascoli-S.
Benedetto, Enna-Piazza Armerina), dove il rapporto demografico è
paritario o quasi. L'analisi del numero dei comuni superiori ai 30
mila, ai 40 mila e ai 50 mila residenti (cfr.
tavv. 1.1.10, 1.1.11, 1.1.12) evidenzia nuovamente le
aree metropolitane, ma anche le province pugliesi (Bari, Foggia,
Taranto, Brindisi), nonchè Salerno, Catania, Firenze, Perugia, come
aree dove la rete di centri urbani è più fitta e consistente. Per
contro, ben 48 province italiane su 103 non contano sul loro
territorio più di un centro con oltre 30 mila residenti: una
polverizzazione degli insediamenti urbani che riguarda in modo
prevalente, anche se non esclusivo, il nord del Paese.
1.1 LE AGGLOMERAZIONI
METROPOLITANE E I SISTEMI URBANI
TAV.
1.1.1 - Incidenza percentuale della
popolazione residente nel Comune capoluogo al 1998
TAV.
1.1.2 - Incidenza percentuale degli
addetti all' industria manifatturiera nel Comune capoluogo
TAV.
1.1.3 - Incidenza percentuale degli
addetti ai servizi vendibili nel Comune capoluogo
TAV.
1.1.4 - Incidenza percentuale degli
addetti alla Pubblica Amministrazione nel Comune capoluogo
TAV.
1.1.5 - Incidenza percentuale della
popolazione residente nei sistemi urbani al 1998
TAV.
1.1.6 - Incidenza percentuale degli
addetti all' industria manifatturiera nei sistemi urbani
TAV.
1.1.7 - Incidenza percentuale degli
addetti ai servizi vendibili nei sistemi urbani
TAV.
1.1.8 - Incidenza percentuale degli
addetti alla Pubblica Amministrazione nei sistemi urbani
TAV.
1.1.9 - Incidenza percentuale della
superficie territoriale dei sistemi urbani al 1998
TAV.
1.1.10 - Numero Comuni con oltre
30.000 residenti al 1998
TAV.
1.1.11 - Numero Comuni con oltre
40.000 residenti al 1998
TAV.
1.1.12 - Numero Comuni con oltre
50.000 residenti al 1998
TAV.
1.1.13 - Numero Comuni individuati
quali poli di 4° livello dall' Atlante Commerciale d' Italia (Somea)
TAV.
1.1.14 - Rapporto tra i residenti
nel primo e nel secondo Comune al 1998 (ordinati per ampiezza
demografica decrescente)
1.2.
LE AREE RURALI
I parametri scelti per l'analisi
delle aree rurali consentono di evitarne l'immediata identificazione
con le zone a vocazione agricola. Il dato significativo è quello
che emerge dalla densità di popolazione; la rarefazione degli
insediamenti umani è certamente un indice di perifericità
dell'area, di conservazione di un paesaggio e di un sistema sociale
che presentano ancora rilevanti tratti di ruralità. Le graduatorie
stilate sulla base della quota di territorio con meno di 50 abitanti
per Kmq (cfr.
tav. 1.2.1) e con
meno di 100 abitanti per Kmq (cfr.
tav. 1.2.2) sono
dominate dalle province dell'arco alpino ed appenninico, della
Sardegna interna (Nuoro e Oristano), con alcune significative ma
comprensibili eccezioni (Grosseto e Viterbo). Sul versante opposto
non sono soltanto le aree metropolitane a distinguersi nella
densità abitativa, ma un po' a sorpresa anche le province padane
(Treviso, Padova, Ravenna, Mantova) e pugliesi (Brindisi, Lecce,
oltre alla metropoli Bari). Peraltro sono le aree intorno al Po e
sul Tavoliere, insieme alla Sicilia (specialmente sud-orientale:
Agrigento, Trapani, Ragusa), alla Sardegna centrale (Oristano,
Nuoro), alle già citate e "rarefatte" Grosseto e Viterbo,
a Cuneo e Imperia, le zone dove prevalgono i comuni con una
popolazione occupata nel
primario in misura superiore alla media europea (cfr.
tav. 1.2.3):
risalta dunque la divaricazione fra province con un'agricoltura
altamente strutturata e aree dove l'attività agricola corrisponde
ad un modello insediativo propriamente rurale. L'opposto è
rappresentato anche in questo caso non solo e non tanto dalle
metropoli (Milano, più che Roma o Torino), quando da aree
manifatturiere come Prato, Trieste, Varese, Lecco, Como, Biella,
Massa-Carrara, Pisa dove l'apporto dell'economia agricola è poco
significativo. Nel raffronto fra popolazione prevalente dedita al
primario e rilievo della superficie agricola utilizzabile (
cfr. tav. 1.2.4)
emergono alcune "curiosità". Province come Imperia,
Salerno, Cosenza, Latina presentano un'agricoltura in cui -per
ragioni diverse, e legate sia alle pratiche colturali che al ruolo
più o meno residuale del primario - il livello occupazionale è
sensibilmente sganciato dalla quota di territorio riservata a questa
attività: ad un forte rilievo occupazionale del settore agricolo
non corrisponde affatto un'alta quota di territorio destinata a tale
uso. Un ulteriore elemento è rappresentato dall'identificazione,
all'interno del settore primario, dei sistemi agricoli specializzati
- nelle diverse colture - e dalla misurazione del grado di
coinvolgimento dei comuni nelle realtà provinciali (cfr.
tav. 1.2.3).
Così, ad esempio, Ferrara come Cuneo non compaiono più ai vertici
della graduatoria delle province agricole, per la presenza di un
settore agricolo diversificato, mentre Ravenna e Brindisi uniscono
alla rilevanza del primario ivi presente la peculiarità di una
marcata specializzazione.
1.2
LE AREE RURALI
TAV.
1.2.1 - Incidenza percentuale della
superficie territoriale dei Comuni con densità demografica
inferiore a 50 ab./Kmq al 1998
TAV.
1.2.2 - Incidenza percentuale della
popolazione dei Comuni con densità demografica inferiore a 100
ab./Kmq al 1998
TAV.
1.2.3 - Incidenza percentuale della
popolazione residente dei Comuni con una quota di occupati in
agricoltura superiore alla media CEE
TAV.
1.2.4 - Incidenza percentuale della
superficie dei Comuni con incidenza della S.A.U. sulla superficie
territoriale superiore al 60%
TAV.
1.2.5 - Incidenza percentuale della
S.A.U. dei Comuni appartenenti ai principali sistemi agricoli
specializzati
1.3.
LE AREE MONTANE
La presenza della montagna è una
dominante in numerose province italiane, e condiziona le tipologie
insediative e le caratteristiche socio-economiche di moltissime
aree. Per un'analisi corretta il problema è rappresentato da una
non univocità di definizione del termine "aree mont ane".
Se si assume la classificazione ISTAT sono solamente 28 le province
che non accolgono all'interno del loro territorio ambienti di
montagna (cfr.
tav. 1.3.2). Sulla
base della definizione di aree svantaggiate di montagna data dalla
direttiva CEE 268/75, le province non-montane scendono a 21:
l'ISTAT, a differenza della CEE, considera estranee alla montagna
Asti, Treviso, Gorizia, Trieste, Ravenna, Napoli, Caltanissetta,
Cagliari, mentre Sassari è invece interessata dal fenomeno montano
secondo l'ISTAT ed esclusa dalla CEE (cfr.
tav. 1.3.4). Se la
direttiva comunitaria, volta ad indirizzare politiche di sostegno,
amplia lo spettro delle aree montane, si può più opportunamente
adottare la definizione, ancorata a criteri fisici, che considera
montani i comuni con oltre l'80% di superficie ad altitudine
superiore ai 600 metri s.l.m. In tal modo la graduatoria (
cfr. tav. 1.3.5)
vede primeggiare un gruppo di province che si potrebbero definire
compiutamente montane (Aosta, Bolzano, Sondrio, Trento, Verbania,
Belluno - per l'arco alpino - e L'Aquila, Isernia, Rieti - per
l'Appennino). Estranee alla montagna -ovvero senza alcuna porzione
di territorio ad altitudini superiori ai 600 metri - sono 34
province della pianura padana, della Toscana, delle Puglie, della
Sicilia meridionale, della Sardegna. L'esame dei dati relativi alla
popolazione residente in comuni montani (cfr.
tavv. 1.3.1 e 1.3.3.) incrociati con quelli
della superficie porta in rilievo le montagne scarsamente rilevanti
dal punto di vista socio-economico e demografico (Torino è il caso
emblematico con il 52% di superficie montana che accoglie il 6% di
popolazione), da quelle ancora ricche di insediamenti umani, e
veramente centrali per il modello di sviluppo dell'intera comunità
provinciale (Aosta, Sondrio, Bolzano, Trento, ma anche Isernia e
L'Aquila).
1.3
LE AREE MONTANE
TAV.
1.3.1 - Incidenza percentuale della
popolazione residente nei Comuni montani al 1998
TAV.
1.3.2 - Incidenza percentuale della
superficie territori ale dei Comuni montani
TAV.
1.3.3 - Incidenza percentuale della
popolazione residente in Comuni svantaggiati di montagna al 1998
TAV.
1.3.4 - Incidenza percentuale della
superficie territoriale dei Comuni svantaggiati di montagna
TAV.
1.3.5 - Incidenza percentuale della
superficie dei Comuni con oltre l' 80% del territorio al di sopra di
600 metri s.l.m.
2.
IL
MODELLO ORGANIZZATIVO
2.1.
L'ARTICOLAZIONE DEL TESSUTO COMUNALE
Se si punta lo sguardo
sull'organizzazione istituzionale delle province italiane, la
diversificazione dell'assetto comunale è almeno pari alla varietà
dei sistemi urbani. I confini amministrativi comunali sono
condizionati da elementi geo-fisici e storici, che rendono tale dato
relativamente persistente in un arco temporale assai vasto. Si va
dai 315 comuni della provincia di Torino ai 6 di Trieste, da una
dimensione media di 160 Kmq per i 28 comuni della provincia di
Grosseto ai meno di 8 Kmq per i 163 comuni della provincia di Como (cfr.
tav. 2.1.10), dai
41.500 residenti in media nei comuni triestini ai 1.621 abitanti che
conta ciascuno dei 74 comuni valdostani (
cfr. tav. 2.1.9).
L'indagine nei confronti dell'articolazione comunale si è orientata
su tre livelli demografici - 1.000, 5 mila e 15 mila abitanti -
rilevando sia la numerosità dei comuni nell'ambito di ciascuna
provincia, sia la popolazione degli stessi ( cfr. tavv. da 2.1.1 a 2.1.6).
Se si assume la soglia dei 5 mila abitanti come indicatore della
dimensione necessaria ad assicurare un buon livello di servizi, si
evidenzia la quota di paese con un robusto tessuto comunale,
identificata nell'area tosco-emiliana (in particolare Prato,
Pistoia, Firenze, Modena, Ravenna che presentano oltre il 55% dei
comuni con più di 5 mila abitanti, con una popolazione in essi
residente pari a oltre il 90% del totale provinciale), il Veneto
orientale (Venezia, Treviso), Latina, l'importante area pugliese
(Brindisi, Bari, Taranto e Lecce) e la Sicilia. Se l'analisi si
sofferma sulla popolazione vengono invece fuori le metropoli
(Napoli, Roma e Milano) che praticamente monopolizzano la quota
dell'intera provincia. Speculare è la situazione di
"polverizzazione" amministrativa e demografica, che trova
i suoi estremi nell'arco alpino, nel nord-ovest, lungo la dorsale
appenninica e in Sardegna (specialmente Oristano). Asti, Vercelli,
Alessandria, Imperia, Aosta, Verbania, Rieti, Cuneo, Trento guidano
la classifica, avendo più della metà dei comuni con meno di mille
abitanti (cfr.
tav. 2.1.2).
Oltre la soglia dei 15 mila residenti l'armatura urbana persiste
unicamente in Puglia, nell'area tosco-emiliana e nella Sicilia
meridionale (cfr.
tavv. 2.1.5 e 2.1.6).
Una nota particolare merita l'individuazione, operata da queste
analisi, dei "Piccoli comuni", per la cui definizione si
sono incrociati elementi di carattere demografico con dati relativi
alla dispersione territoriale e a fattori economici e produttivi.
L'immagine così ricostruita (cfr.
tavv. 2.1.7 e 2.1.8),
se raffrontata con la geografia che si limita al dato popolazione -
e in particolare alla popolazione di comuni con meno di mille
residenti -, mette in risalto la preponderanza del sud, lungo la
dorsale appenninica (Isernia, Benevento, Campobasso, Avellino,
Potenza), e della Sardegna (Nuoro, Oristano): tenendo conto delle
componenti del reddito si evidenzia il fenomeno dei comuni
meridionali "piccoli perché poveri", rispetto a quelli
semplicemente "piccoli perché piccoli" che si collocano
prevalentemente, anche se non unicamente, al nord.
2.1 L' ARTICOLAZIONE DEL TESSUTO
COMUNALE
TAV.
2.1.1 - Incidenza percentuale della
popolazione dei Comuni con meno di 1.000 residenti al 1998
TAV.
2.1.2 - Incidenza percentuale dei
Comuni con popolazione inferiore ai 1.000 residenti al 1998
TAV.
2.1.3 - Incidenza percentuale della
popolazione dei Comuni con oltre 5.000 residenti al 1998
TAV.
2.1.4 - Incidenza percentuale dei
Comuni con popolazione superiore ai 5.000 residenti al 1998
TAV.
2.1.5 - Incidenza percentuale della
popolazione dei Comuni con oltre 15.000 residenti al 1998
TAV.
2.1.6 - Incidenza percentuale dei
Comuni con popolazione superiore ai 15.000 residenti al 1998
TAV.
2.1.7 - Incidenza percentuale della
popolazione residente nei "Piccoli Comuni" al 1998
TAV.
2.1.8 - Incidenza percentuale dei
"Piccoli Comuni" al 1998
TAV.
2.1.9 - Dimensione demografica
media dei Comuni al 1998
TAV.
2.1.10 - Dimensione territoriale
media dei Comuni
2.2. I SOGGETTI SOVRACOMUNALI
L'altra faccia della medaglia,
rispetto alla frammentazione comunale che nel complesso prevale
sulle articolazioni storicamente più solide, è rappresentata dalla
cooperazione interistituzionale, ovvero da quegli organismi ai
quali, sia da parte dei soggetti del governo locale, sia da parte di
norme nazionali e regionali, è affidato lo svolgimento di attività
di rilievo sovracomunale. La presenza, il peso, le funzioni di
queste strutture sono estremamente difficili da valutare per la
mancanza di indagini a livello nazionale. Si può in ogni caso
affermare che - salvo rare eccezioni - livelli intermedi di governo,
interposti fra province e comuni, spesso limitati a ruoli
settoriali, costituiscono una presenza consolidata. Per la mancanza
di elementi che consentissero di offrire un'analisi d'assieme, si è
scelto il soggetto rappresentato dalle Comunità Montane, il cui
ruolo è stato ridefinito dalla L. 142/90 e dalla successiva
normazione regionale (in alcuni casi in modo drastico, come in
Sicilia, dove sono state soppresse). La presenza delle Comunità
Montane è comunque diffusa e, a parte la già citata Sicilia, ne
sono prive solo le province padane e il sud della Puglia (cfr.
tav. 2.2.1).
Quanto alla numerosità, si va dalle 13 Comunità Montane di Torino,
alle 12 di Salerno, alle 11 di Cosenza e Trento, alle 9 di Cuneo,
Belluno e Potenza, alle 9 della pur piccola Verbania. I dati sulla
percentuale di comuni e di popolazione residente in Comunità
Montana (
cfr. tavv. 2.2.2
e 2.2.3)
presentano forti analogie, con ai primi posti l'arco alpino (Aosta,
Sondrio, Bolzano, Trento, Belluno), l'Appennino centrale (L'Aquila,
Isernia, Perugia) e meridionale (Potenza, Cosenza) oltre a Nuoro.
Una discrasia fra numerosità dei comuni in Comunità Montane
(45,4%) e popolazione negli stessi residente (10,6%) vale per la
già segnalata Torino: Infine, si è voluta sottolineare la
rilevanza - in termini di popolazione - della singola provincia
rispetto alla regione di appartenenza (cfr.
tav. 2.2.4). A
parte il caso di "scuola" di Aosta (dove le due entità si
identificano), fra le metropoli solo Roma (72,5%), Genova, Napoli e
Torino raccolgono oltre il 50% della popolazione regionale, mentre
emergono presenze significative in realtà medie, dove gioca
l'esiguità della dimensione regionale: Perugia, Campobasso,
Potenza. Trento e Bolzano si dividono praticamente a metà la
popolazione di una regione bilingue.
2.2 I
SOGGETTI SOVRACOMUNALI
TAV.
2.2.1 - Numero di Comunità Montane
per Provincia
TAV.
2.2.2 - Incidenza percentuale dei
Comuni appartenenti a Comunità Montane
TAV.
2.2.3 - Incidenza percentuale della
popolazione al 1998 dei Comuni appartenenti a Comunità Montane
TAV.
2.2.4 - Incidenza percentuale della
popolazione provinciale sul totale regionale al 1998
3.
IL
MODELLO SOCIO-ECONOMICO
3.1. LA DISTRIBUZIONE DEL
REDDITO
L'esame della ripartizione del
reddito pro capite, vagliata attraverso la geografia comunale e
provinciale, consente di costruire mappe della "povertà" (cfr.
tavv. da 3.1.1
a 3.1.4)
e della "ricchezza" (cfr.
tavv. da 3.1.5
a 3.1.8)
particolarmente interessanti e ricche di informazioni. Se viene
confermata la disparità nord-sud che divide il paese, emergono
anche le realtà "povere", seppure demograficamente
ridotte, dell'intero arco alpino. Una netta linea di demarcazione
attraversa l'Italia centrale sull'asse Pescara-Viterbo.A sud di tale
divisione sono un'eccezione le province (come Messina, Siracusa e
Ragusa) che abbiano meno del 90% dei comuni con un P.I.L. pro capite
inferiore alla media europea. Se l'analisi considera la soglia del
75% del P.I.L. pro capite europeo, la frattura è altrettanto netta:
a nord di Terni, solo Massa-Carrara ha tre quarti dei comuni al di
sotto di quella soglia, mentre l'intera Calabria, la Basilicata, la
Sicilia orientale presentano ben 9 comuni su 10 con redditi pro
capite inferiori al 75% della media UE. Le mappe della
"ricchezza", al contrario, sottolineano l'area centrale
padana (Bologna, Modena, Reggio Emilia, Parma, Mantova), ma anche
Aosta, le aree toscane e il nord-est, seppure in misura minore.
La disparità di distribuzione del
reddito si manifesta invece senza significative correlazioni con la
latitudine, bensì con le caratteristiche morfologiche del
territorio. Il rapporto fra il P.I.L. medio dei dieci comuni più
ricchi e dei dieci comuni più poveri della medesima provincia (cfr.
tav. 3.1.9), dà
un indice di squilibrio che vede primeggiare, al nord, Torino
(valore 26,87), Trento, Alessandria, Biella, Milano - ovvero aree
con un significativo territorio montano -, e al sud, Cagliari,
Cosenza, Potenza, Avellino. Equilibrata invece la distribuzione del
reddito fra le comunità provinciali di Rovigo, Modena, Agrigento,
Arezzo, Matera, Reggio Emilia, Perugia, Ancona, Venezia, Terni,
Verona, province dove indipendentemente dal livello assoluto di
ricchezza - che è assai vario - vi è un assetto socio-economico e
territoriale più omogeneo. Sfuggono a questo rilievo ben 19
province che non avendo più di 30 comuni non offrono raffronti
significativi. Una interessante conferma "istituzionale"
alla misura dei differenziali di sviluppo presenti nelle diverse
province, viene dalla geografia delle aree di intervento dei Fondi
strutturali europei (cfr.
tav. 3.1.10).
Tra le aree di maggiore concentrazione degli interventi, oltre alle
province meridionali integralmente ricomprese nell'obiettivo 1,
relativo alle regioni in ritardo di sviluppo, compaiono anche
numerose province del centro-nord (Latina, Perugia, Terni, Grosseto,
Livorno, Pisa, Prato, Massa-Carrara, La Spezia, Torino, Aosta,
Verbania, Belluno, Rovigo, Gorizia) dove sono significativamente
presenti problemi di declino industriale (obiettivo 2) o di sviluppo
rurale (obiettivo 5b).
3.1
LA DISTRIBUZIONE DEL REDDITO
TAV.
3.1.1 - Incidenza percentuale
della popolazione dei Comuni con P.I.L. pro capite inferiore al 75%
della media U.E
TAV.
3.1.2 - Incidenza percentuale
dei Comuni con P.I.L. pro capite inferiore al 75% della media U.E
TAV.
3.1.3 - Incidenza percentuale
della popolazione residente dei Comuni con P.I.L. pro capite
inferiore alla media U.E.
TAV.
3.1.4 - Incidenza percentuale
dei Comuni con P.I.L. pro capite inferiore alla media U.E.
TAV.
3.1.5 - Incidenza percentuale
della popolazione dei Comuni con P.I.L. pro capite superiore del 50%
alla media U.E.
TAV.
3.1.6 - Incidenza percentuale
dei Comuni con P.I.L. pro capite superiore del 50% alla media U.E.
TAV.
3.1.7 - Incidenza percentuale
della popolazione dei Comuni con P.I.L. pro-capite superiore del
100% alla media U.E.
TAV.
3.1.8 - Incidenza percentuale
dei Comuni con P.I.L. pro capite superiore del 100% alla media U.E.
TAV.
3.1.9 - Rapporto tra il
prodotto interno lordo pro capite dei primi e degli ultimi 10 Comuni
(solo Province con oltre 30 Comuni)
TAV.
3.1.10 - Peso demografico dei
comuni interessati agli obiettivi comunitari (fase 1994-99)
3.2. LE
SPECIALIZZAZIONI PRODUTTIVE
La distribuzione del reddito non è
l'unico elemento di varietà nel panorama sociale delle province
italiane. L'analisi delle specializzazioni produttive evidenzia le
caratteristiche basilari di ogni area. Per il settore primario si
mette in luce la differenza fra la vocazione agricola dell'area e la
sua caratteristica di ruralità (come definita al par. 1.2), due
elementi ben lungi dal coincidere. La specializzazione agricola (
cfr. tav. 3.2.1)
tocca aree con livelli diversi di reddito (Rovigo, Ferrara,
Forlì-Cesena, Brindisi, Ragusa, Crotone, Foggia, Benevento,
Siracusa, Enna, Agrigento), ma tutte quelle caratterizzate dal
"coinvolgimento" nel settore primario di comuni con oltre
il 95% della popolazione provinciale. Pure facilmente identificabili
sono i distretti manifatturieri, qui presentati secondo la complessa
definizione che ne da il decreto di attuazione della legge 317/91
che chiama in causa il rilievo della presenza industriale, la
presenza di specializzazioni produttive ed il prevalere della
piccola e media impresa, nel tentativo di ricostruire - anche per
via statistica - quella fitta trama di relazioni informali tra
economia, società e territorio che ha costituito una
caratteristica peculiare del modello
di sviluppo industriale italiano negli ultimi decenni. La geografia
dei comuni che presentano caratteristiche da distretto, taglia a
metà il paese lungo una diagonale che collega idealmente la valle
dell'Arno (Pisa-Firenze) e quella del Tevere (Perugia) alla valle
del Tronto (Ascoli P.-Teramo), e che separa le aree del centro-nord,
dove il fenomeno è dominante, da quelle meridionali dove esso è
praticamente assente (cfr.
tav. 3.2.2). Tuttavia
le aree in cui il modello del distretto è non solo territorialmente
diffuso ma anche prevalente nel paesaggio sociale, è
territorialmente più ristretto: Prato, Biella, Macerata, Lecco,
Como, Brescia, Varese, Vicenza, Treviso, Modena e Pistoia
costituiscono un ristretto club di province nelle quali i distretti
manifatturieri ospitano oltre un terzo della popolazione residente (
cfr. tav. 3.2.3). Se
poi si vuole misurare il peso economico dei distretti manifatturieri
in base al grado di concentrazione che al loro interno mostra la
occupazione industriale (
cfr. tav. 3.2.4), ci
si accorge non solo che il peso produttivo dei distretti è sempre
largamente superiore al loro peso demografico, ma anche che essi
rappresentano una manifestazione non del tutto trascurabile della
(modesta) presenza industriale nel Mezzogiorno: le Province di
Avellino, Lecce e soprattutto Bari, presentano infatti
concentrazioni produttive in aree di piccola e media impresa
specializzata, tutt'altro che trascurabili anche in valore assoluto.
Una citazione particolare merita in questo contesto la Provincia di
Prato, dove il ristretto territorio provinciale in pratica coincide
con il distretto industriale. E' la stessa Prato, però, a
segnalarsi fra le aree "a declino industriale" (cfr.
tav. 3.2.5), con
l'80% della popolazione coinvolta, seguita a grande distanza dalle
province di Varese, Gorizia, Vercelli, Verbania, Pavia, Biella,
Pistoia, Livorno, tutte sopra il 10%. Le province dove la
caratterizzazione turistica è più marcata (cfr.
tav. 3.2.6)
appaiono innanzitutto quelle del litorale romagnolo (Rimini,
Ravenna), dell'arco alpino (Bolzano e Aosta, ma anche Belluno,
Sondrio, Verbania), indi il litorale ligure (Savona, Imperia) e
adriatico (Gorizia, Teramo). Di rilievo la specializzazione
turistica delle zone termali (Pistoia, Parma, Padova, Siena), mentre
fra le grandi capitali del turismo italiano solo Venezia si avvicina
alle prima posizioni. L'incidenza del terziario avanzato (
cfr. tav. 3.2.7)
è un dato di assoluto rilievo a Trieste, Roma, Genova e Rimini,
spesso per effetto della presenza di poli di ricerca scientifica.
Seguono a ruota le metropoli, mentre il sud denuncia ancora una
volta il suo distacco: delle 37 province che non contano comuni
aventi le caratteristiche selezionate, quasi tutte - con le
eccezioni di Verbania, Prato, Imperia, Gorizia, Massa-Carrara,
Livorno - fanno parte dell'Italia centro-meridionale e insulare.
Infine, relativamente alla presenza di poli di formazione
universitari (cfr.
tav. 3.2.8), si
evidenziano sedi dove la formazione superiore rappresenta una
componente specializzata, che influisce sull'assetto economico e
sociale dell'area: Padova, Pisa, Trieste, Pavia, Perugia, Messina,
Parma e in misura minore L'Aquila, Cosenza, Siena, Ferrara e
Salerno. La "geografia" della cultura accademica
"ufficiale" non corrisponde quasi in nulla alla mappa del
terziario avanzato precedentemente tracciata. Al sud, in
particolare, dove la discrasia è più evidente, le università
appaiono sganciate dai settori di produzione e ricerca che
dovrebbero esserne il naturale sbocco.
3.2
LE SPECIALIZZAZIONI PRODUTTIVE
TAV.
3.2.1 - Percentuale di
popolazione residente nei Comuni con incidenza del V.A. agricolo sul
V.A. totale ai prezzi di mercato superiore alla media UE
TAV.
3.2.2 - Incidenza percentuale
dei comuni aventi le caratteristiche da "distretto
industriale" ai sensi della L. 317/91
TAV.
3.2.3 - Peso demografico dei
comuni aventi caratteristiche da "distretto industriale"
ai sensi della L. 317/91
TAV.
3.2.4 - Incidenza percentuale
degli addetti all'industria manifatturiera nei comuni aventi
caratteristiche da "distretto industriale" ai sensi della
L. 317/91
TAV.
3.2.5 - Incidenza percentuale
della popolazione dei Comuni in "declino" industriale
TAV.
3.2.6 - Percentuale di
popolazione nei Comuni con oltre 100 addetti al turismo e con oltre
5 occupati nello stesso settore per 100 residenti
TAV.
3.2.7 - Percentuale
popolazione nei Comuni con oltre 500 addetti al terziario avanzato e
con oltre 3,5 addetti in questo settore per 100 residenti
TAV.
3.2.8 - Corsi di laurea
universitari per Provincia
4. LE CONDIZIONI
FISICO AMBIENTALI
Sono ancora troppo carenti le
statistiche relative ai dati ambientali per consentire una
valutazione se non esaustiva almeno soddisfacente del patrimonio
naturale e paesistico delle province italiane. Per un primo
approccio a queste tematiche si è scelta la strada di una
tripartizione classica, volta a individuare gli ambienti alto
montani, le pianure fertili e le aree costiere. A questo approccio
squisitamente descrittivo abbiamo voluto aggiungere qualche
preliminare considerazione sulla geografia delle politiche di
conservazione e valorizzazione ambientale, a partire dai Parchi
Nazionali e Regionali oggi presenti ed attivi. Per la montagna -
assumendo la discriminante dei 1.600 metri di altitudine per le zone
alpine e dei 1.200 per quelle appenniniche (cfr.
tavv. 4.1 e 4.2)
si evidenzia la grande rilevanza del fattore orografico per 17
province, che presentano una superficie con tali caratteristiche
superiore al 10% dell'intero loro territorio. Per 7 di esse (sulle
Alpi Aosta, Sondrio, Bolzano, Trento, Verbania, Belluno, e sugli
Appennini L'Aquila), il fattore montagna appare determinante, con
oltre un terzo del territorio (ma Aosta giunge ai tre quarti), in
area montana. Se l'attenzione si rivolge alle pendenze, la
graduatoria è sostanzialmente confermata con l'aggiunta di Lecco e
Como (cfr.
tav. 4.3), mentre
la relativa minore asperità appenninica fa arretrare nella
classifica le aree montane centro-meridionali. Per quanto attiene la
pianura, 10 province presentano il 90% del territorio con pendenze
inferiori al 10% (
cfr. tav. 4.4).
Sono le province padane (Ferrara, Venezia, Cremona, Mantova, Rovigo,
Padova), ma anche lombarde (Lodi, Milano) e pugliesi (Lecce,
Taranto, Bari). La rilevanza delle aree costiere è manifesta nella
penisola italiana: 56 province ne sono interessate, 25 presentano
comuni bagnati dal mare nei quali risiede oltre la metà della
popolazione provinciale (cfr.
tav. 4.5). Se si
estende l'analisi anche ai comuni che, pur senza detenere costa
marina, ne distano soltanto 5 Km., Trieste è la provincia più
"coinvolta" fra le aree costiere, seguita da Livorno,
Trapani, Genova, Ragusa, Imperia: in Italia almeno il mare è
fenomeno che non conosce latitudini! La rappresentazione dei
territori e delle comunità locali interessati da politiche di
conservazione della natura e di valorizzazione delle risorse
ambientali che si sono consolidate nella veste istituzionale del
Parco Nazionale o del Parco Naturale Regionale, mostra una geografia
articolata ed una presenza dei parchi ormai diffusa in tutto, o
quasi, il territorio nazionale. La semplice istituzione di un'area
protetta è indicatore ancora troppo sommario della efficacia delle
politiche di conservazione e valorizzazione poste in essere, ma è
comunque significativo che in trentadue delle 103 province italiane
oltre un quinto delle comunità locali ospiti nel proprio territorio
un parco (cfr.
tav. 4.7);
altrettanto significativo è il fatto che queste Province sono
distribuite pressoché in tutti i contesti geografici ed ambientali
del Paese, dall'arco alpino (Varese, Belluno, Bolzano, Sondrio,
Bergamo, Lecco) a quello appenninico (Massa-Carrara, Lucca, Perugia,
Terni, L'Aquila, Pescara, Teramo, Potenza, Reggio Calabria), dalle
aree costiere (Livorno, Teramo, Salerno, Foggia), a quelle
metropolitane (Roma, Milano). Ancora più esteso è il novero delle
province nelle quali le comunità locali che ospitano le aree
protette rappresentano una quota rilevante dell'intera popolazione
provinciale (cfr.
tav. 4.8), oltre
il 50% degli abitanti per Massa Carrara, Roma, Reggio Calabria,
Terni, Parma, L'Aquila, Lecco, Livorno, Torino, Belluno e comunque
oltre un quinto per altre 28 realtà provinciali.
4.
LE CONDIZIONI FISICO AMBIENTALI
TAV.
4.1 - Incidenza percentuale della
superficie territoriale ricadente oltre i 1.600 metri s.l.m. (1.200
per l' Appennino)
TAV.
4.2 - Incidenza percentuale della
superficie territoriale ricadente oltre i 1.200 metri s.l.m. sul
totale nazionale
TAV.
4.3 - Incidenza percentuale della
superficie territoriale con pendenza superiore al 50%
TAV.
4.4 - Incidenza percentuale della
superficie territoriale con pendenza inferiore al 10%
TAV.
4.5 - Incidenza percentuale della
popolazione residente dei Comuni strettamente costieri al 1998
TAV.
4.6 - Incidenza percentuale della
popolazione residente dei Comuni costieri al 1998 (con territorio
che tocca il mare o entro 5 Km dalla costa)
TAV.
4.7 - Incidenza percentuale dei
comuni interessati da parchi nazionali e regionali
TAV.
4.8 - Peso demografico dei comuni
interessati da parchi nazionali e regionali
GLOSSARIO: DEFINIZIONI, METODOLOGIE DI CALCOLO E FONTI DELLE
VARIABILI UTILIZZATE
POPOLAZIONE RESIDENTE
Fonte ISTAT
- Popolazione e movimento anagrafico dei comuni al 1998
NUMERO
DI REPARTI E DI POSTI LETTO NEI PRESIDI OSPEDALIERI
Fonte MINISTERO
DELLA SANITÁ – Banca dati sui presidi opedalieri pubblici e sulle
case di cura accreditate diffusa al pubblico per via telematica
tramite Internet aggiornata al 1997. I poli
ospedalieri significativi, ai fini del calcolo dell' accessibilità,
sono stati selezionati in base al numero complessivo dei reparti
(superiore a 3) e in base alla tipologia di prestazioni mediche
fornite (presenza dei reparti che rispondono alle più comuni
esigenze dell' utenza quali medicina generale, chirurgia generale,
ostetricia … ).
NUMERO DI CLASSI NEGLI ISTITUTI
SUPERIORI
Fonte ISTAT
– Statistiche delle scuole secondarie superiori – Anno
scolastico 1996 -97 Ai fini della selezione dei poli scolastici
significativi per il calcolo dell' accessibilità, sono stati presi
in considerazione solo quei centri scolastici che contano almeno 10
classi, in considerazione del fatto che un normale ciclo di scuola
superiore comprende 5 classi.
ADDETTI ALL'INDUSTRIA
MANIFATTURIERA
Definizione Persone
indipendenti e dipendenti, occupate (a tempo pieno, part-time o con
contratto di formazione e lavoro) nelle attività economiche
classificate nella sezione D (classificazione ATECO91)
Fonte ISTAT
- Censimento Intermedio dell'Industria e dei Servizi 31/12/1996
SERVIZI VENDIBILI
Definizione
Servizi destinati alla
vendita
Fonte ISTAT - Censimento Intermedio dell'Industria e dei Servizi 31/12/1996
SISTEMI URBANI
Definizione Ambiti
di norma sovracomunali caratterizzati dalla presenza di un comune
sede di offerta di servizi di rango urbano cui possono essere
associati comuni contermini caratterizzati da integrazione
relazionale con il polo urbano e da elevati livelli di densità
dinamica e demografica che ne qualificano la partecipazione al
sistema urbano. Fonti M.I.P.A. - Progetto Atlante Nazionale
del Territorio Rurale SOMEA - Atlante Economico e Commerciale
d'Italia
POLI DI 4°
LIVELLO Fonte SOMEA -
Atlante Economico e Commerciale d'Italia
SUPERFICIE TERRITORIALE
Fonte ISTAT
- Popolazione e movimento anagrafico dei comuni al 1998
OCCUPATI IN AGRICOLTURA,
SILVICOLTURA E PESCA
Definizione
Media CEE al 1991 degli occupati in agricoltura, silvicoltura e
pesca sul totale degli occupati è pari a 5,8
Fonte EUROSTAT
- Confronto fra i principali partner dell'Unione Europea - 1993
SUPERFICIE AGRICOLA UTILIZZATA (S.A.U.)
Definizione Insieme
di terreni investiti a seminativi, orti familiari, prati permanenti
e pascoli, coltivazioni legnose agrarie e castagneti da frutto. Essa
costituisce la superficie investita ed effettivamente utilizzata in
coltivazioni propriamente agricole. E' esclusa la superficie
investita a funghi in grotte, sotterranei ed appositi edifici
Fonte ISTAT - IV Censimento Generale dell'Agricoltura 1990
PRINCIPALI SISTEMI AGRICOLI
SPECIALIZZATI
Definizione Ambiti
di norma intercomunali caratterizzati da un'elevata specializzazione
in uno dei principali settori di produzione agricola
(cerealicoltura, viticoltura, frutticoltura, olivicoltura, zootecnia
bovina, zootecnia suina) misurati in termini di incidenza della
coltura o dell'allevamento sul totale della S.A.U. o del R.L.S.
comunale ed in termini di apporto del comune alla S.A.U. o al R.L.S.
del settore
Fonte M.I.P.A. - Progetto Atlante Nazionale del Territorio Rurale
COMUNI MONTANI
Definizione Comuni
appartenenti alla zona altimetrica di montagna. Per zona altimetrica
di montana, ai fini statistici, si intende il territorio
caratterizzato dalla presenza di notevoli masse rilevate aventi
altitudini, di norma, non inferiori a 600 metri nell'Italia
settentrionale e 700 metri nell'Italia centro-meridionale e insulare
Fonte ISTAT
- Annuario Statistico Italiano 1993
COMUNI SVANTAGGIATI SECONDO DIR.
CEE 268/88
Definizione Le
tipologie di aree svantaggiate individuate dalla direttiva sono le
seguenti. Articolo 3 paragrafo 3: zone di montagna composte di
comuni o parti di comuni che devono essere caratterizzati da una
notevole limitazione delle possibilità di utilizzazione delle terre
e un notevole aumento dei costi dell'attività agricola. Articolo 3
paragrafo 4: zone svantaggiate minacciate da spopolamento e nelle
quali è necessario conservare l'ambiente naturale. Articolo 3
paragrafo 5: limitate zone nelle quali ricorrono svantaggi specifici
e nelle quali il mantenimento dell'attività agricola è necessario
per assicurare la conservazione dell'ambiente naturale e la
vocazione turistica o per motivi di protezione costiera.
Fonte Dir. 75/268/CEE del 28 aprile 1975 e successivi aggiornamenti
PICCOLI COMUNI
Definizione Comuni
con popolazione residente al 1998 inferiore a 2.000 abitanti o con
reddito disponibile inferiore a quello di un comune di 2.000
abitanti con reddito pro capite uguale alla media U.E. o con
popolazione compresa tra 2.000 e 10.000 abitanti e densità
inferiore a 50 abitanti per Kmq.
Fonte CAIRE
- I piccoli comuni come soggetti di strategia per il governo del
territorio; comunicazione al Convegno di Rieti del 2/12/1994.
COMUNITA' MONTANE
Definizione
L'appartenenza dei comuni alle Comunità Montane è stata aggiornata
sulla base dei diversi provvedimenti legislativi regionali emanati
in attuazione della L. 142/90 che ha modificato i criteri di
partecipazione dei Comuni alle Comunità Montane stabiliti in sede
di istituzione delle Comunità medesime dalla L. 1102/70. In
particolare sono stati considerati i seguenti provvedimenti: Regione
Piemonte L.R. 28/92 Regione Valle d'Aosta L.R. 16/94 Regione
Lombardia L.R. 13/93 Regione Veneto L.R. 19/92 Regione
Emilia-Romagna L.R. 1/93 Regione Toscana L.R. 39/92 Regione Marche
L.R. 12/95 Regione Campania L.R. 31/94 Regione Abruzzi L.R. 92/94
Regione Basilicata L.R. 9/93 Regione Lazio L.R. 9/99 Regione Liguria
L.R. 20/96
Fonte G.U.
- 3^ Serie Speciale
PRODOTTO INTERNO LORDO (P.I.L.)
Definizione Somma
del valore aggiunto dei diversi settori di attività produttiva al
lordo delle imposte dirette e dei contributi diretti alla
produzione. Coincide con la somma dei redditi distribuiti dalle
unità produttive, ma senza riguardo alla residenza dei titolari dei
fattori della produzione, che sono in parte non residenti. La media
U.E. del P.I.L. pro capite è pari a 31,97 milioni di lire.
Metodologia di calcolo Ripartizione
del valore aggiunto regionale per branca di attività economica
sulla base della partecipazione di ciascun comune all'occupazione
regionale della branca; per il settore agricolo il valore aggiunto
è stato riproporzionato sulla base del R.L.S.
Fonte ISTAT
- Conti Economici Regionali 1995-96 ISTAT - Censimento Intermedio
dell'Industria e dei Servizi 31/12/1996 EUROSTAT - National accounts
ESA - 1970-97
DISTRETTI INDUSTRIALI
Definizione Ambiti
sovracomunali caratterizzati da elevati livelli di specializzazione
ed integrazione delle attività manifatturiere, prevalentemente
sviluppatesi in unità di piccole e medie dimensioni, e da forti
legami comunitari che rappresentano un tessuto di coesione sociale
ed un ambiente che consente una efficace circolazione della cultura
industriale e del know-how. Nel presente lavoro sono stati
individuati i comuni che rispondono alle condizioni individuate dal
decreto di attuazione della L. 317/91, e cioè che presentano: - un
tasso di industrializzazione superiore del 30% alla media nazionale
(o alla media regionale ove questa sia inferiore a quella
nazionale); - un indice di densità imprenditoriale superiore alla
media nazionale; - un indice di specializzazione produttiva in uno
(o più) settori, superiore ad 1,3; - una incidenza della
occupazione nel settore di specializzazione superiore al 30% della
occupazione totale; - una incidenza degli occupati nelle piccole
imprese (inferiori ai 200 addetti), superiore al 50% del totale
della occupazione del settore di specializzazione.
Fonte ISTAT - VII Censimento Generale dell'Industria e dei Servizi 1991
COMUNI IN "DECLINO
INDUSTRIALE"
Definizione Comuni
appartenenti alla categoria dei "distretti industriali"
caratterizzati da una variazione negativa dell'occupazione tra il
1991 ed il 1981 uguale o maggiore al 20%
Fonte ISTAT
- VII Censimento Generale dell'Industria e dei Servizi 1991
ATTIVITA' CONNESSE AL TURISMO
Definizione Nel
presente lavoro sono state considerate come connesse al turismo le
attività comprese nella divisione economica 55 (alberghi e
ristoranti) della classificazione ATECO91.
Fonte ISTAT
- Censimento Intermedio dell'Industria e dei Servizi 31/12/1996
TERZIARIO AVANZATO
Definizione Nel
presente lavoro sono state considerate nell'ambito del terziario
avanzato le attività comprese nelle divisioni economiche 72
(informatica ed attività connesse), 73 (ricerca e sviluppo), 74
(altre attività professionali ed imprenditoriali)
Fonte ISTAT - Censimento Intermedio dell'Industria e dei Servizi 31/12/1996
CORSI DI LAUREA
Fonte ISTAT
- Statistiche dell'Istruzione universitaria n° 3 1998 I dati si
riferiscono ai corsi di laurea attivati nell'A.A. 1996/1997
SUPERFICIE TERRITORIALE OLTRE
I ....... METRI S.L.M.
Fonte M.I.P.A. - Progetto Atlante Nazionale del Territorio Rurale
SUPERFICIE CON PENDENZA
SUPERIORE AL .....%
Fonte M.I.P.A. - Progetto Atlante Nazionale del Territorio Rurale
COMUNI COSTIERI
Definizione Un
comune viene definito costiero se una parte del suo territorio tocca
il mare. Sono considerati costieri anche i comuni che hanno una
parte del territorio entro cinque chilometri dalla costa
Fonte ISTAT - Comuni, Comunità Montane, Regioni Agrarie al 31 dicembre 1988
POPOLAZIONE ACCESSIBILE Definizione
Insieme della popolazione
in grado di accedere entro una soglia temporale determinata ad un
dato punto del territorio. La soglia temporale utilizzata è quella
di 30'.
Metodologia di calcolo Il
calcolo dell'accessibilità è stato ottenuto mediante un modello
matematico di simulazione delle condizioni di mobilità applicato ad
un grafo rappresentativo del sistema di trasporto dei mezzi privati
su strada, il vettore dei valori di accessibilità a diverse date e
per diverse soglie temporali è stato calcolato per un insieme di
punti corrispondenti alle frazioni geografiche censite al Censimento
ISTAT della popolazione del 1971, l'indicatore comunale è stato
ottenuto come media ponderata dei valori frazionali.
Fonte M.I.P.A. - Progetto Atlante Nazionale del Territorio Rurale T.C.I. -
Grande Carta Stradale d'Italia 1:200.000 (aggiornamento 1990- 1992)
ISTAT - XI Censimento Generale della Popolazione e delle abitazioni
1971 - popolazione delle frazioni geografiche e delle località
abitate dei comuni ISTAT - XIII Censimento Generale della
Popolazione e delle abitazioni 1991
PARCHI NAZIONALI E REGIONALI
Definizione Sono
parchi nazionali i territori costituiti da "aree terrestri,
fluviali, lacuali o marine che contengono uno o più ecosistemi
intatti o anche parzialmente alterati da interventi antropici, una o
più formazioni fisiche, geologiche, geomorfologiche, biologiche, di
rilievo internazionale o nazionale per valori naturalistici,
scientifici, estetici, culturali, educativi e ricreativi tali da
richiedere l'intervento dello Stato ai fini della loro conservazione
per le generazioni presenti e future" (L. 394/91, art. 2, comma
1). Essi sono istituiti con legge o provvedimento dello Stato. Sono
parchi naturali regionali i territori costituiti da "aree
terrestri, fluviali, lacuali ed eventualmente da tratti di mare
prospicienti la costa, di valore naturalistico ed ambientale, che
costituiscono, nell'ambito di una o più regioni limitrofe, un
sistema omogeneo individuato dagli assetti naturali dei luoghi, dai
valori paesaggistici ed artistici e dalle tradizioni culturali delle
popolazioni locali " (L. 394/1991, art. 2, comma 2). Essi sono
istituiti con legge regionale. Nell'Atlante sono stati evidenziati
tutti i comuni il cui territorio è ricompreso interamente o
parzialmente, entro i confini di un parco di cui alla precedente
definizione.
Fonte TOURING CLUB ITALIANO, Parchi e aree naturali protette d' Italia, agosto
1999. Nel più ampio panorama delle aree protette italiane (parchi e
riserve naturali nazionali, parchi e riserve naturali regionali,
parchi provinciali, parchi di interesse sovracomunale, parchi
comunali, ecc.) sono stati selezionati i parchi nazionali e
regionali.