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Rapporto Caritas sul disagio a Roma. La città perde abitanti ma il 6% delle famiglie ''tira avanti con difficoltà''. Crescono le ''povertà invisibili'' e indebitamento
Rapporto 2003 sulla povertà e il disagio a Roma. Presentate oggi le anticipazioni, che puntano ovviamente sulla situazione capitolina ma gettano uno sguardo anvche sulla situazione internazionale, con riferimento generale anche alla realtà italiana. Il Rapporto parte dall’ottobre del 2001: dopo aver elaborato uno studio di fattibilità, l’équipe incaricata della redazione del Dossier “Disagio e Povertà a Roma”, ha avviato la seconda fase del Programma di lavoro. Lo studio ha anche consentito di prendere coscienza della necessità di dotare il circuito dei servizi Caritas di un sistema informativo sociale (Sis) in grado di restituire ai responsabili dei servizi e delle aree le informazioni utili per una più accurata conoscenza della realtà con cui si entra in contatto, e di uno strumento di programmazione di interventi ed azioni specifici ed innovativi.
La capitale costituisce, senza dubbio, un interessante polo di attrazione per la popolazione immigrata. “Molti di questi immigrati lavorano in nero, senza una copertura assicurativa o contributiva. Le donne sono impiegate, prevalentemente, nelle attività domestiche, di assistenza agli anziani, e di assistenza bambini; gli uomini nel settore edilizio”. Se, poi, si osservano i dati relativi agli inserimenti scolastici dei bambini nelle scuole, il Rapporto osserva che “nel 2000 degli oltre 23.000 bambini che risultano residenti nella città, solo il 37%, ossia 8785 risultano iscritti nelle scuole romane. E’ evidente, quindi, il fenomeno dell’ evasione scolastica che pone dei seri problemi all’effettiva integrazioni di questi futuri cittadini nel tessuto connettivo della città”.
Attualmente si stimano nell’ordine di 2000 le persone che vivono in strada a Roma. Tra i 3000 e i 4000 coloro che vivono in alloggi precari e ricoveri di fortuna. Prendendo a modello di riferimento l’utenza dell’Ostello gestito dalla Caritas di Roma, il Rapporto osserva che essa è costituita prevalentemente da persone adulte, italiane, residenti e non, senza fissa dimora, molto frequentemente con problemi di alcolismo, o disturbi psichiatrici. Sempre più spesso si affacciano persone con processi di esclusione recenti, causati dall’improvvisa perdita del lavoro e della casa, con pregresse cause di separazione e divorzio. Tra gli ospiti dell’Ostello gli uomini sono più del doppio delle donne, ed in particolare colpisce il rapporto di quasi 4 a 1 nella fascia di età 36-55. “Si tratta di un fenomeno nuovo, cui occorre dedicare tutta l’attenzione necessaria”. Numerosi anche i giovani di età tra i 18 ed i 35 anni non residenti, che approdano nella capitale con la speranza di trovare un lavoro: giovani che spesso finiscono a fare la vita di strada.
Fonte: Caritas di Roma, 2003
Fonte: Caritas di Roma, 2003 L'1,3% della popolazione laziale trattata presso i Dsm. Problemi per i minori nelle nuove aree urbane La situazione dei disabili dalle anticipazioni del Rapporto 2003 su povertà e disagio a Roma. In Italia si stima che vivano poco più di 2.800.000 persone disabili, di cui 2.615.000 di 6 anni e più, vivono in famiglia; 43.600 sono di età compresa tra i 0-5 anni; circa 165.000 sono non autosufficienti e vivono presso presidi socio-assistenziali. “In base ad una stima plausibile, contenuta nel documento base per il Piano regolatore del sociale, i disabili con una o più forme di disabilità, nella capitale, ammonterebbero a circa 130.000 – rileva la Caritas -. La disabilità è fortemente associata alla variabile età: al crescere dell’età aumenta, infatti, il rischio di disabilità. Basti pensare che nella popolazione di 65 anni e più, il 19,3% presenta una qualche forma di disabilità. Tra coloro che hanno superato gli 80 anni, raggiunge il 47,7%”. E, rispetto al sesso, si evidenzia una prevalenza delle donne disabili rispetto agli uomini.
Ricordando come
nel mondo circa il 20-35% della popolazione con più di 18 anni soffre
nel corso di un anno di almeno un disturbo mentale clinicamente
significativo, e che in Italia, in un anno,
si stima che il 2-2,5% della popolazione adulta è trattato dai servizi
pubblici o privati, la Caritas rileva che
nel 1999 circa l’1,3% della popolazione adulta del Lazio è stata
trattata presso i DSM. Infine le nuove e vecchie generazioni. “La popolazione che invecchia pone alla società interventi sempre più pertinenti rispetto ai bisogni espressi ed inespressi. Si rendono necessari maggiori interventi di protezione e cura, così come anche interventi volti a favorire l’integrazione e la socializzazione di queste persone. Tra gli interventi più specificamente sanitari si rintracciano: l’accesso ai farmaci; gli accertamenti diagnostici; i ricoveri ospedalieri; la medicina specialistica; i servizi integrati socio-sanitari; le strutture di lungodegenza; le case di riposo; l’assistenza domiciliare; gli interventi per le persone non auto-sufficienti. Tra gli interventi integrativi: i servizi per il godimento del tempo libero; l’informazione; la sicurezza”. Ma fronte di una popolazione che invecchia, si affacciano le nuove generazioni. “Dall’osservazione effettuata all’inizio di contributo dello sviluppo demografico della popolazione nei diversi Municipi – afferma la Caritas -, si è rilevato il fenomeno della concentrazione delle residenze delle nuove coppie nelle aree municipali più nuove. In queste aree, che hanno costituito negli ultimi anni, luogo di sperimentazione di una edilizia popolare che ha originato dei bacini di degrado fuori controllo, si rileva al contempo il maggior numero di bambini nella fascia di età 0-5 anni E’ in queste aree che si concentrano le nuove nascite della nostra città. Sono territori in cui sarebbe quindi necessario dedicare più risorse finanziarie e umane per favorire e promuovere la socializzazione, fin dalla prima infanzia, di bambini che potrebbero, con estrema facilità passare dal degrado a forme serie di devianza, cadendo in età adolescenziale nei giri della microcriminalità”. Il Rapporto ricorda che queste sono anche le zone dove le giovani coppie “scoppiano” più facilmente: è alto il numero delle separazioni non consensuali, cui seguono situazioni conflittuali che travolgono la vita dei minori coinvolti. Come segnala il XII Municipio, nell’ultimo anno, si è venuto manifestando un fenomeno nuovo: aumentano le assegnazioni da parte del Tribunale dei Minori agli Uffici dei Servizi Sociali, dei c.d. incontri protetti. Se si considera, infine, l’attività dei Centri Caritas per i minori, si presenta il seguente quadro: nel 2000 i servizi di quest’area hanno fornito sostegno complessivamente a più di 300 minori ed in particolare 215 nei 3 Centri PIM, 16 circa nella Casa S.Chiara e S.Francesco, 6 nel gruppo appartamento di Torre Gaia, e 70 nel Carcere di Casal del Marmo. I CPIM hanno complessivamente una disponibilità di 32 posti dislocati nelle 3 sedi distaccate. Dei 215 minori passati per i CPIM nel corso del 2000, l’88,8% sono stranieri: le nazionalità più rappresentate sono quella albanese (29,0%) e la rumena (25,3%), avvalorando ancora una volta il dato secondo cui i flussi migratori in entrata nel nostro Paese partono dall’Est europeo. Il rapporto maschi/femmine è di 3 a 1 (73% contro il 27%). Il 53,4% dei 215 minori accolti ha un’età media di 17 anni compiuti. La maggioranza dei ragazzi ha otto anni di scolarità, ma il livello di conoscenze scolastiche non corrisponde quasi mai al numero di anni di frequenza scolastica. Ed ancora: le segnalazioni e l’invio dei minori è, nel 61% dei casi, effettuata dalle Forze dell’ordine. Lo Spis (Servizio Pronto Intervento Sociale) del Comune di Roma ha assunto un ruolo di filtro rispetto alle richieste delle Forze dell’ordine, degli stessi ragazzi e del privato sociale. Nel 37% dei casi è lo Spis a valutare l’urgenza o meno del bisogno di ricovero protetto. Si tratta di giovani che non hanno una figura adulta di riferimento, e che versano in apparente stato di abbandono. Il più delle volte si tratta di minori clandestini non accompagnati che si rivolgono autonomamente alla polizia o che commettono un piccolo reato in seguito al quale vengono denunziati. Talora sono vittime di sfruttamento sessuale, abusi e maltrattamenti: sono “minori in fuga”. Questo è tanto vero che nel 53,9% dei casi si registrano allontanamenti non autorizzati dai centri PIM.
Fonte: Caritas Roma 2003 - Comune di Roma Dipartimento XI
Fonte: Caritas Roma 2003 Italia seconda in Europa per minori poveri. Al Sud il 63% delle famiglie indigenti. Riguardo all’Italia, il Rapporto Caritas sulla povertà fa ricorso a due fonti “eccellenti”: l’indagine Istat sui consumi (anno 2000) ed il Rapporto Annuale della Commissione sull’Esclusione Sociale (anno 2000). Il rapporto ricorda anche che l’indagine Istat, nel valutare il fenomeno povertà, tiene conto sia della soglia di povertà relativa che assoluta. La povertà relativa si calcola in base alla spesa media mensile per persona nel Paese (nel 2000 pari a 1.569.000 di lire). Questo valore costituisce la soglia della linea di povertà relativa per una famiglia di 2 componenti. Per confrontare le spese di famiglie più grandi o più piccole (1 solo componente) occorre ricorrere alle “scale di equivalenza” che tengono conto delle cosiddette economie di scala predefinite.
Venendo ai dati,
il Rapporto ricorda come nell’anno 2000, in Italia, si stima che circa
2.707.000 famiglie (pari al 12,3% di tutte le famiglie residenti)
vivessero in condizioni di povertà relativa, per un totale di
7.948.000 individui (il 13,9% di tutta la popolazione – indice di
diffusione). Ma quali sono le caratteristiche delle famiglie in cui è maggiormente diffuso il fenomeno della povertà relativa? “Innanzitutto – si afferma - è bene precisare che le famiglie più numerose sono quelle maggiormente interessate da questo fenomeno: in tutte le grandi ripartizioni geografiche la povertà è più diffusa tra le famiglie con 5 o più componenti. Si tratta per lo più di coppie con 3 o più figli minori. Tuttavia la povertà relativa interessa anche un ampio numero di famiglie in cui sono presenti 1 o più persone anziane, oppure quei nuclei composti da persone anziane che vivono sole. La presenza di figli minori e anziani caratterizza, quindi, senza alcun dubbio, le famiglie povere”. A queste variabili si aggiungono i bassi livelli di istruzione e l’esclusione dal mercato del lavoro. Un basso livello di scolarizzazione costituisce un fattore di rischio molto forte: i più bassi livelli di istruzione osservano proprio tra le persone più anziane. La condizione di povertà si associa, inoltre, all’esclusione dal mercato del lavoro: la percentuale di famiglie povere è più bassa se la persona di riferimento è occupata (7,9% – 9,8%); mentre aumenta se è ritirata dal lavoro (14,0%) o se è in cerca di occupazione (33,0%). Se, invece, si tiene conto della povertà assoluta con cui si individua un sottogruppo di famiglie relativamente povere caratterizzate da condizioni economiche particolarmente disagiate, complessivamente si stima che 954.000 famiglie (4,3% del totale) e 2.937.000 individui (5,1% della popolazione) vivono in tali condizioni. Nel Mezzogiorno l’incidenza è del 9,4%, mentre al centro ed al Nord è pari al 2,7% e all’1,6%. L’intensità della povertà assoluta a livello nazionale è del 19,3%; al centro e nel Mezzogiorno i valori sono prossimi al 20%, mentre al Nord l’intensità è pari al 15,4%. Anche rispetto alla povertà assoluta le famiglie più colpite sono quelle con 4 o più componenti (7%). Le condizioni di maggior disagio si registrano tra coppie con 3 o più figli; o con membri aggregati (anziani); o con anziani soli (categoria ad alto rischio). Sul fronte delle povertà estreme, inoltre, si registra un abbassamento dell’età dei senzatetto. Il Rapporto Annuale della Commissione sull’Esclusione Sociale riferisce che il 70% dei senzatetto non ha compiuto i 50 anni di età. Dei 17.000 senzatetto stimati in Italia, la percentuale dei giovani aumenta drammaticamente. Molti sono stranieri, immigrati che non riescono a trovare casa, anche quando hanno un lavoro. Tra gli italiani le ragioni sono più complesse e vanno ricercate nella fuga da casa, l’alcolismo, la disoccupazione improvvisa, i rapporti familiari interrotti. Un altro aspetto preoccupante è dato dalla crescita della povertà minorile: un fenomeno che si concentra prevalentemente al Sud. I minori che vivono al di sotto della soglia di povertà rappresentano il 17% del totale. L’Italia occupa il 2° posto in Europa per la più alta percentuale di minori “poveri”. A differenza di quanto accade nei Paesi Nord-Europei, dove la povertà minorile è concentrata in famiglie monoparentali o con pochi figli, in Italia la povertà infantile è diffusa nelle famiglie biparentali, con più di 2 figli e residenti al Sud. La condizione di povertà del minore è fortemente associata alla posizione lavorativa dei genitori: se un genitore è disoccupato il valore si aggira intorno all’80%, per scendere al 36% se almeno uno dei due genitori lavora.
Fonte: Caritas Roma 2003 su dati Istat Note Rapide 31 luglio 2001 POVERTA' – Il contesto europeo. ''Relazione fra spesa per protezione sociale e livello di povertà relativa'' Venendo al contesto europeo, il Rapporto Caritas sulla povertà evidenza come i dati più recenti disponibili in materia di reddito negli Stati Membri dell’Unione Europea mostrano che nel 1997 il 18% della popolazione dell’Ue, vale a dire oltre 60 milioni di persone, viveva in famiglie nelle quali il reddito era inferiore al 60% del reddito medio nazionale equivalente e che circa la metà di queste persone aveva vissuto al di sotto di questa soglia di povertà relativa per tre anni consecutivi (1995-1997). “Sebbene i dati relativi al reddito siano raccolti a livello dei nuclei familiari basandosi sul presupposto che esista un’equa distribuzione del reddito familiare fra tutti i membri adulti – si precisa -, i divari complessivi tra i sessi nei tassi di povertà relativa appaiono contenuti, il divario è particolarmente significativo per taluni gruppi: persone che vivono sole, in particolare donne anziane (il tasso di povertà relativo per gli uomini anziani è del 15%, per le donne anziane è del 22%) e per i genitori soli, in maggioranza donne (40%)”.
La povertà
relativa per quanto riguarda i redditi è sensibilmente più alta fra i
disoccupati, fra i bambini e i giovani, e tra alcuni tipi di famiglie
come quelle monoparentali e quelle con
prole numerosa. “La linea di povertà relativa del 60%
viene utilizzata in quanto rappresenta il
miglior indicatore attualmente disponibile per effettuare paragoni i
materia di povertà fra i vari paesi dell’UE, ma è generalmente ammesso
che un indicatore puramente monetario, per quanto importante, non
possa cogliere la complessità e il carattere pluridimensionale della
povertà e dell’emarginazione sociale , di cui il reddito costituisce
solo una delle dimensioni”.
Secondo il
Rapporto, “vi è una correlazione abbastanza evidente fra la spesa per
la protezione sociale e il livello di povertà relativa: gli Stati
membri con i sistemi sociali più avanzati e con alti livelli pro
capite di spesa sociale, vale a dire il Lussemburgo, Danimarca, Paesi
bassi, Svezia e Germania, sono in genere quelli che più riescono a
garantire la soddisfazione delle esigenze di base e a mantenere a
livelli sensibilmente inferiori alla media europea la quantità di
persone che si collocano al di sotto della
linea di povertà relativa. In questi Paesi, il problema della povertà
e dell’emarginazione sociale, si associa a fattori di rischio molto
specifici. I tassi più bassi di povertà relativa dell’UE nel 1997
erano quelli della Danimarca (8%), della Finlandia (9%), del
Lussemburgo e della Svezia”. Viceversa, negli Stati membri con sistemi
sociali meno evoluti e storicamente contraddistinti da livelli più
bassi di spesa per la protezione sociale e di
investimento nei servizi pubblici, la povertà e l’emarginazione
sociale rappresentano un fenomeno più diffuso: “in tali paesi il tasso
di povertà tende ad essere più elevato, in particolare in Portogallo
(23%), nel Regno Unito e in Grecia (22%). Inoltre alcuni di questi
paesi stanno vivendo una rapida transizione da una società rurale ad
una moderna e incontrano forme di
emarginazione sociale nuove che crescono accanto a quelle
tradizionali”.
Ma quali sono,
secondo il Rapporto, i più importanti mutamenti strutturali che stanno
avendo luogo in tutta l’UE e che probabilmente andranno ad incidere in
modo significativo sugli sviluppi dei
prossimi dieci anni? La Caritas ne
individua soprattutto quattro, mutamenti che “stanno creando
opportunità di ampliamento e rafforzamento
della coesione sociale ma anche nuove pressioni e nuove sfide per i
principali sistemi di integrazione e in alcuni casi stanno ingenerando
nuovi rischi di povertà e di emarginazione sociale per le categorie
più deboli”. Da qui le otto “sfide cruciali”. “La responsabilità che compete a tutte le politiche pubbliche – si afferma nel Rapporto - è quella di garantire che i principali meccanismi di distribuzione delle opportunità e delle risorse (mercato del lavoro, sistema fiscale, sistema di protezione sociale, educativo, degli alloggi, sanitario ecc.) divengano tali, nel contesto dei mutamenti strutturali in itinere, da poter rispondere alle esigenze delle persone più esposte alla povertà e all’emarginazione sociale, consentendo loro di godere dei propri diritti fondamentali”. Per questo, le otto sfide cruciali sarebbero quelle di: sviluppare un mercato del lavoro capace di integrazione e promuovere l’occupazione come diritto e opportunità per tutti; garantire un reddito adeguato e risorse per vivere in modo dignitoso; combattere lo svantaggio educativo; preservare la solidarietà familiare e tutelare i diritti dei figli; garantire una buona sistemazione per tutti; garantire un accesso paritario ai servizi di alta qualità (salute, trasporti, servizi sociali, assistenza, cultura, tempo libero, assistenza giuridica); migliorare l’erogazione di servizi; riqualificare le aree particolarmente svantaggiate. ''Nel mondo i fattori che generano indigenza si sono moltiplicati''. "La povertà – afferma la Caritas - è una condizione umana e sociale in cui una grave insufficienza del reddito economico, si abbina ad altri elementi tra loro correlati, quali la mancanza di salute, di famiglia, di lavoro, di casa, di conoscenza, la mancanza di esercizio della cittadinanza attiva, mancanza di libertà, che collocano la persona a i margini della società rendendone problematica l’integrazione. Viene a cadere così la concezione fatalistica della povertà, ad essa si sostituisce una rappresentazione più realistica, che coinvolge nell’attribuzione di responsabilità società civile e istituzioni”.
“Un’
altra importante ragione di considerare una più ampia serie di
dimensioni – continua -, è che i differenti aspetti della povertà
interagiscono e si rinforzano l’un l’altro in vari modi. Per esempio,
chi ha difficoltà a percepire un reddito, ne
avrà anche nel convertire quel reddito in possibilità di vita.
Quest’aspetto si aggrava quando
l’individuo svantaggiato ha intorno a lui persone con le stesse
difficoltà (effetto “grouping”). In questo
caso, è probabile che l’individuo entri in una condizione dove la
volontà, la determinazione ed il coraggio di lottare diventano sempre
più fragili tanto che la persona non riesce
ad affrontare la situazione. La povertà, quindi, non si configura come
una situazione statica ma piuttosto come una condizione che si aggrava
nel tempo”. Sulla situazione internazionale, esistono per la Caritas diverse proiezioni circa l’entità della popolazione che vive in condizioni di povertà nel mondo: stime condotte dalla Banca Mondiale in un rapporto di recente pubblicazione, indicano che 2,8 miliardi di persone – quasi la metà della popolazione mondiale - vivono con meno di due dollari al giorno. Di questi, 1,2 miliardi vivono al limite della sopravvivenza, con meno di un dollaro al giorno. Nei paesi ricchi, meno di un bambino su 100 muore prima di raggiungere i cinque anni di età, mentre nei paesi più poveri, il numero è cinque volte più alto. “L’ultimo allarme – ricorda la Caritas - è arrivato dall’Unicef nella sessione speciale dell’ ONU che si è tenuta a New York nel maggio 2002: ‘un bambino ogni 12 nel mondo muore prima di aver compiuto 5 anni, e i motivi di questi decessi sono in gran parte prevenibili’”. Il WDR sottolinea come questo stato d’indigenza persista nonostante le condizioni dell’umanità siano migliorate molto in questo ultimo secolo. Tuttavia questo miglioramento dove la ricchezza e la rete di contatti globali e le capacità tecnologiche sono aumentate in modo esponenziale. “Malgrado ciò – precisa la Caritas -, la distribuzione di questi miglioramenti è straordinariamente ineguale se si pensa che nei venti paesi più ricchi, il reddito medio è 37 volte più ampio della media di quello dei paesi più poveri: abisso che è raddoppiato negli ultimi 40 anni”.
Secondo quanto
riportato dal Rapporto, il progresso nella riduzione della povertà
varia enormemente da regione a regione. Nel Sud-Est asiatico
(Indonesia, Tailandia Corea del Sud), il livello medio dei consumi è
calato notevolmente (da -13,6 della Thailandia
al -24 dell’Indonesia nell’anno 1997/98), ed è aumentato il numero
delle persone che si collocano al di sotto della
linea di povertà. In Indonesia ad esempio, la percentuale di persone
che vive al di sotto della linea nazionale
della povertà è aumentato di circa dieci punti, corrispondenti a 20
milioni di persone povere in più. A questo calo del livello dei
consumi, poi, si accompagna un peggioramento degli indicatori di
salute e di istruzione, con preoccupanti
effetti a lungo termine. L’impossibilità di procurarsi medicinali e
vaccinare i bambini aumenta la vulnerabilità delle famiglie più povere
alle malattie; un aumento della malnutrizione porta ad una riduzione
nelle capacità di apprendimento.
In India, un altro
paese con una fortissima concentrazione di persone che vive con meno
di un dollaro al giorno, non ci sono stati
progressi nella riduzione della povertà, la situazione è peggiorata in
Bangladesh a causa di una serie di
inondazioni che hanno devastato il Paese.
Chiudendo la
panoramica, si nota come in America Latina la manifestazione più
drammatica della povertà è rappresentata dall’esistenza di forti
disuguaglianze tra ricchi e poveri – cinque dei dieci paesi con la più
bassa percentuale di reddito o consumi sono in America Latina (gli
altri cinque sono in Africa). “In Guatemala, ad esempio, il 20%più
povero della popolazione detiene il 2.1% del reddito nazionale, mentre
il 20% più ricco detiene il 63 percento del reddito nazionale”. “In conclusione – precisa il Rapporto Caritas -, il quadro di fine secolo è di stallo contro la povertà estrema. Se la situazione non cambia, non sarà possibile raggiungere l’obiettivo stabilito dalla comunità internazionale in seguito alla conferenza delle Nazioni Unite sullo sviluppo sociale di Copenaghen di dimezzare la povertà estrema entro il 2015”. Mons. Di Tora ai candidati alla presidenza della Provincia di Roma: ''Occorre un ruolo strategico''. Mons. Guerino Di Tora, responsabile della Caritas di Roma, intervenendo alla presentazione della anticipazioni del Rapporto, si è soffermato sull’attività dell’organismo in questi anni e ha legato questo escursus ai motivi dell’invito ai due candidati alle prossime elezioni provinciali di Roma, Moffa e Gasbarra. Ha affermato Di Tora: “La Caritas romana svolge ormai da decenni un compito importante di assistenza alle categorie più svantaggiate. Un compito, che nel corso degli anni ha assunto sembianze diverse. Dapprima di sostituzione e supplenza alle responsabilità che sarebbero, di diritto e di fatto, spettate alle pubbliche amministrazioni, la Regione, la Provincia, il Comune, le Circoscrizioni; oneri e impegni, che la Caritas si assumeva in circostanze che vedevano le pubbliche istituzioni cronicamente in ritardo rispetto alle esigenze e alle emergenze. Così è stato per l’Aids, così per le prime ondate immigratorie, così per il fenomeno del barbonismo e in molti altri casi che hanno segnato nel tempo la storia della povertà, dell’emarginazione e dell’esclusione nella città di Roma. Questa fase si è in larga misura esaurita; per fortuna, perché questo significa che le amministrazioni locali hanno nel frattempo messo a punto strumenti più adeguati di riconoscimento e tutela rispetto ai problemi dell’assistenza e dei diritti dei cittadini più deboli. Più spesso, l’opera della Caritas ha potuto essere contenuta dentro le righe, nel rispetto, peraltro sempre richiesto ed auspicato dalla stessa Caritas, delle competenze. In questi casi, il suo è stato un intervento di integrazione rispetto ai programmi e alle responsabilità delle pubbliche istituzioni. Ed è un compito che perdura tuttora, nella consapevolezza, da entrambe le parti e peraltro sancita anche in importanti norme di legge (L. 328/2000), che i problemi sociali possono trovare soluzione soltanto in un tessuto di integrazione fra organi centrali dello Stato, amministrazioni regionali, enti locali e organismi del volontariato e del terzo settore, semplici cittadini”. “A queste due direttrici – ha continuato - , lungo le quali si è incanalata l’attività della Caritas di Roma, se ne è sempre accompagnata una terza, che in modo un po’ forte direi di “denuncia”, denuncia di ciò che si faceva e di ciò che non veniva fatto, e che con espressione appena più morbida direi di stimolo e sollecitazione rivolte alle istituzioni responsabili affinché prendessero atto di quanto si doveva fare e fornissero le adeguate risposte alle attese dei cittadini, degli ultimi e dei primi. Ed è in questa veste, un po’ censoria e un po’ pretoria, che la Caritas si è assunta, accanto alle sue attività assistenziali, anche il compito di informare, studiare, documentare ed approfondire i problemi e le patologie della società. Lo testimoniano gli innumerevoli rapporti e volumi pubblicati nel corso degli anni sui temi della povertà e del disagio, dell’immigrazione, dei giovani, dei senza fissa dimora, delle periferie… Ebbene, è in questa linea, in coerenza con questo percorso, che oggi la Caritas di Roma ha ritenuto di dover, poter, esprimere ai due candidati l’invito a partecipare a questo incontro di riflessione. Titolo e scopo dell’incontro, dunque, coincidono; e sono quelli di presentare a chi dagli elettori riceverà il mandato di amministrare la Provincia di Roma per i prossimi cinque anni i propri programmi, le cose che ha fatto e che sta facendo e, con una punta di legittima presunzione, il proprio punto di vista su che cosa si dovrebbe e potrebbe fare nei campi in cui la Caritas esercita da sempre la propria funzione e la propria missione pedagogica e di esempio di solidarietà e di carità”. A queste considerazioni, mons. Di Tora ne ha aggiunte altre due, stavolta esterne all’attività della Caritas. “Una è il riordino delle funzioni della provincia a seguito delle modifiche apportate al Titolo V della Costituzione dalla legge costituzionale 18 Ottobre 2001 n. 3 e da altre norme, nazionali e regionali; norme, che nel complesso hanno precisato i poteri e i compiti delle province e ne hanno notevolmente ampliato le competenze in nuovi importanti ambiti del territorio...”. La seconda, ha ricordato Di Tora, “riguarda i risultati dell’ultimo censimento generale della popolazione, da poco resi noti, che confermano ampiamente il perdurare di quelle tendenze di cambiamento della demografia della Provincia di Roma alle quali sono inevitabilmente associate importanti trasformazioni dei bisogni dei cittadini e nuove sfide per i futuri amministratori”. Di Tora, infine, ricordando lo spopolamento a cui sembra soggetta la capitale a vantaggio della provincia, ha ricordato come “in questi ultimi vent’anni, la popolazione della provincia sia cambiata, ed è cambiata un po’ a pelle di leopardo: alcuni comuni, pochi in verità, hanno assistito ad una crescita relativa della popolazione sotto i 18 anni, altri, la maggior parte sono invecchiati o hanno continuato ad invecchiare (...).Degli oltre 3,7 milioni di abitanti, il 70% circa è concentrato nel territorio della Capitale. Il resto è formato per il 70% da comuni che hanno meno di 10.000 abitanti e di questi quasi un terzo ne ha meno di 1.000, per lo più abitati da persone avanti o molto avanti negli anni. Che c’entra con la prossima tornata elettorale? C’entra, naturalmente. Per diversi motivi. Primo, perché comuni di queste dimensioni non sono in grado di fare quasi niente, né politiche del territorio, né politiche di sostegno allo sviluppo economico, né cultura, né servizi. Per poterlo fare debbono associarsi, debbono consorziarsi. E qui interviene il ruolo strategico della Provincia. Il secondo motivo è che di regola questi comuni soffrono di quella sindrome che i demografi chiamano “malessere demografico”. Popolazioni sempre più vecchie che tendono a “deperire” anche sotto il profilo sociale, culturale, economico e urbano”. |
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