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La legge 67/06, quali opportunità per il disabile? In Italia l'inciso dell'art 3 comma 1 della Costituzione , secondo il quale tutti sono uguali senza distinzione di condizioni "personali", riferito alle persone con disabilità, ha richiesto molto tempo per affermarsi a livello legislativo ed amministrativo. E' stato necessario un intervento sempre crescente ed incisivo della Corte costituzionale per stimolare il legislatore a muoversi. Ed ancora più lenta è stata l'emersione del principio di eguaglianza sostanziale , contenuto nel secondo comma dell'art 3 Cost, secondo cui è compito della repubblica, cioè Stato, Regioni, Enti locali e non territoriali e soggetti della società e del privato sociale, rimuovere gli ostacoli che impediscono di fatto l'eguaglianza, anche nei confronti delle persone con disabilità.La L.n. 104/92 recepisce buona parte di questi orientamenti costituzionali, ma , essendo una legge di principi, ha avuto bisogno di leggi regionali per calare nel concreto l'esigibilità di molti aspetti dei diritti conclamati.In Europa intanto andava affermandosi un principio più concreto di eguaglianza, articolato in duplice senso: positivo, cioè di "pari opportunità" che dovevano essere offerte alle persone con disabilità rispetto alle altre ; ed in senso negativo, cioè di " non discriminazione" rispetto alle altre persone. Così fu emanata una Direttiva che imponeva agli Stati membri l'adozione di norme interne esplicitamente articolate nei due aspetti, positivo e negativo, indicati. Tale Direttiva consente così al cittadino con disabilità di chiedere il risarcimento dei danni non solo nei confronti del diretto autore delle discriminazioni, ma anche nei confronti del proprio Stato , se inadempiente nell'approntare concreti strumenti normativi "antidiscriminazione". Così , finalmente, anche l'Italia ha approvato questa recentissima legge n 67/06 sulla non discriminazione. Essa, sulla base della Direttiva europea, definisce nell'art 2 il concetto di "discriminazione", fondata sul mancato rispetto dell'art 3 Cost, espressamente citato nell'art 1 della legge; nell'art 3 indica gli aspetti procedurali per fornire al giudice le prove della discriminazione subita. e Nell'art 4 indica, oltre all'interessato, i soggetti che possono tutelare i suoi diritti e cioè le associazioni di persone con disabilità e loro familiari. E' importante questa norma perchè, finalmente si supera il monopolio della "tutela e della rappresentanza" attribuito dalla nostra legislazione alle sole associazioni "storiche" ANMIC, UIC, ENS. Ormai la tutela e la rappresentanza anche in giudizio e nei procedimenti amministrativi sarà attribuita a tutte le associazioni individuate in un elenco predisposto dal Governo. E' però questo elenco governativo che lascia perplessità; infatti le scelte di qualunque Governo sono sempre dettate da valutazioni politiche e talora anche partitiche. In secondo luogo , le associazioni italiane " non storiche", avevano negli ultimi anni ottenuto numerose sentenze della Magistratura che le legittimavano a stare ingiudizio accanto ai loro iscritti ed a difendere "interessi diffusi" di non discriminazione. Tale giurisprudenza si era condensata nell'art 27 della L.n. 383/00, sulle associazioni di promozione sociale, secondo il quale tali associazioni potevano perseguire la tutela dei diritti e degli interessi diffusi relativi al perseguimento delle proprie finalità statutarie. Questo è il principio, ormai denominato di "advocacy", che quindi tale norma ha affermato in modo definitivo nel nostro sistema giuridico. La previsione di un decreto governativo che elenca quali associazioni svolgeranno advocacy nel campo della disabilità è riduttivo rispetto all'art 27 che si applica a tutti i campi di tutela dei diritti. Conseguentemente la nuova legge sotto questo profilo potrebbe considerarsi anche arretrare rispetto alle conquiste normative precedenti; occorre precisare però che l'art 3 sugli aspetti procedurali è certamente migliorativo ed offre maggiori tutele concrete rispetto alla normativa precedente. Infatti , in mancanza di prove evidenti, basta fornire elementi di fatto gravi, precisi e concordanti, che permettono al giudice , come in presenza di “presunzioni” di decidere. Sulla base della formulazione dell’art 2 sul concetto legale di discriminazione diretta, posso aggiungere che, approfondendo la comprensione del testo, comincio ad intravedere l'emersione di un principio nuovo anche in merito alla partecipazione ai costi dei servizi sociosanitari. Ed il principio mi pare sia questo: Per tutto ciò che le persone con disabilità utilizzano come consumatori al pari degli altri ed in condizioni di parità con gli altri, non ci debbano essere differenze. Ad es. per gli asili-nido, per la mensa scolastica, per le gite scolastiche, se gli altri utenti pagano una quota , anche le persone con disabilità debbano pagare la stessa quota. Se però per fruire degli stessi servizi, le persone, con disabilità, a causa della loro minorazione, necessitano di un servizio aggiuntivo che costa ( ad es. un accompagnatore) , questo non dovrebbe essere a loro carico economico, perchè altrimenti non vi sarebbero pari opportunità, ma anzi discriminazione economica, espressamente vietata dall’art 2. Sarà da verificare come si comporterà l’interpretazione dei giudici. Salvatore Nocera |
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