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"Liberare il lavoro" è il titolo del documento in cui il ministro espone gli obiettivi delle modifiche normative contenute nella manovra economica. In realtà si liberano le mani alle imprese, dall'abrogazione della norma anti-dimissioni in bianco all'allargamento delle assunzioni precarie. Eguaglianza &Libertàrivista di critica sociale
Lo scorso 19 giugno il
ministro del Lavoro ha presentato il documento sugli obiettivi delle
nuove norme in materia di lavoro inserite nella manovra economica. Il
titolo del documento è “Liberare il lavoro”: qual è il senso di questa
locuzione che pare assurgere a valore d’invocazione e,
contemporaneamente, di mistica “missione”? Credo sia opportuno, prima di
abbozzare una risposta, valutare nel merito le più significative tra le
misure che, secondo l’autore, “sono volte a incoraggiare la maggiore
propensione delle imprese ad assumere e a promuovere l’agevole
regolarizzazione dei rapporti di lavoro irregolari”.
Le nuove norme sono
contenute nel decreto legge 25 giugno 2008, nr. 112. Il primo punto
(particolarmente) interessante riguarda i contratti a tempo determinato
(art. 21); ci si preoccupa, in sostanza, di ampliare il cosiddetto
“causalone” che consente il ricorso a tale tipologia contrattuale. Per
il futuro le esigenze tecniche, produttive, organizzative o sostitutive,
potranno essere riferite anche all’ordinaria attività del datore di
lavoro. E’ sin troppo evidente che si è inteso “spuntare le armi” a quei
(troppo) solerti giudici che - accogliendo i ricorsi dei lavoratori -
avevano ritenuto non sussistenti le causali addotte dai datori di lavoro
per l’utilizzo di contratti a tempo determinato e convertito gli stessi
in rapporti di lavoro a tempo indeterminato.
Con il secondo punto,
in sostanza, si rende possibile - attraverso la contrattazione
collettiva, anche di tipo “aziendale” - ridurre gli “intervalli
temporali” previsti dalla legge tra la data di scadenza di un contratto
a termine e quella d’inizio del successivo; dieci o venti giorni di
“stacco” tra un contratto e l’altro a seconda che il precedente avesse
avuto una durata inferiore o superiore a sei mesi. Sembrerebbe una
modifica quasi irrilevante. Purtroppo (per i lavoratori), non è così.
Infatti, la riforma consente di derogare a una norma (gli intervalli
temporali) che era stata inserita dal legislatore per impedire il
sistematico (improprio) ricorso ai contratti a termine e, allo scopo, ne
sanzionava l’uso fraudolento riconoscendo al secondo rapporto - iniziato
prima della scadenza dei dieci/venti giorni - la natura di contratto a
tempo indeterminato.
Il terzo punto è
relativo al cosiddetto “diritto di precedenza”, era già stato modificato
in meglio dalla legge Finanziaria del precedente esecutivo. Attraverso
la nuova norma, invece, il diritto di precedenza - rispetto a nuove
assunzioni a tempo indeterminato, nei dodici mesi successivi - non è più
“assoluto”, ma, attraverso la contrattazione collettiva anche di tipo
territoriale o aziendale, può essere derogato. Evidentemente, anche
rispetto al diritto di precedenza, appare chiara la logica di
riferimento; le (inderogabili) “esigenze” delle imprese contano molto di
più che non le (residuali) “aspirazioni” dei lavoratori.
Al cosiddetto “lavoro
accessorio”, sono state apportate modifiche solo apparentemente
modeste, perché, in effetti, la riforma ha previsto il ricorso a tale
tipologia contrattuale per:
a)
tutte le attività stagionali agricole, (non solo per quelle
della vendemmia, come previsto in origine);
b)
per tutti i soggetti presenti sul mercato del lavoro, (a fronte
della precedente disposizione che limitava la possibilità del lavoro
accessorio ad alcune categorie di soggetti, in particolare quelle a
maggiore rischio di “emarginazione”);
c)
i giovani con meno di 25 anni di età, durante le vacanze
scolastiche, (operando, in sostanza, il “recupero” dell’impiego di quei
soggetti per i quali era stato “inventato” lo strumento -
successivamente abrogato con sentenza della corte Costituzionale nr.
50/05 - dei “Tirocini estivi di orientamento”).
Si è insomma molto
allargata la platea dei soggetti coinvolti e la natura delle prestazioni
riconducibili a una tipologia contrattuale definita, all’origine, “di
nicchia”.
Relativamente alla
disciplina sull’apprendistato professionalizzante, è stata cancellata la
norma che individuava in due anni la durata minima di tale istituto;
resta il limite massimo (sin troppo ampio, a mio parere) dei sei anni.
Come leggere questo provvedimento? Confessando di non credere
all’imparzialità del ministro del Lavoro, sostengo che si è inteso
legittimare il contratto di apprendistato anche per gli impieghi di
carattere stagionale. Penso questo perché, nel corso degli anni scorsi,
in qualità di “addetto ai lavori”, sono stato testimone di pressanti
richieste - provenienti da aziende a carattere stagionale - tese
all’utilizzo del contratto di apprendistato e del contratto di
formazione e lavoro anche nei loro settori di attività. Questa volta,
indiscutibilmente, si è inteso accogliere un’altra “esigenza”.
L’articolo 39 del
decreto legge ha, almeno, il merito di aver (finalmente) chiarito quello
che intendeva dire il ministro del Lavoro quando sosteneva di voler
procedere alla “deregolamentazione della gestione dei rapporti di
lavoro”. Infatti, tra le tante norme abrogate in materia di libri
obbligatori, spiccano, in particolare, quelle relative al contrasto al
lavoro irregolare.
Naturalmente, come già
ampiamente annunciato, è stata cancellata la legge 188/2007 che, nelle
intenzioni del precedente esecutivo, era destinata a impedire
l’aberrante uso delle cosiddette “dimissioni in bianco”, prevedendo che
le stesse dovessero essere presentate esclusivamente attraverso un
modello ministeriale, con “data di scadenza” a 15 giorni. Si rende
possibile così il ripristino di una pratica che tornerà a mortificare
tanti lavoratori; in particolare le lavoratrici-madri e i soggetti più
deboli del mercato del lavoro.
Inspiegabilmente, è
stata abolita la norma che, al fine di promuovere un incremento dei
contratti con un maggior numero di ore di lavoro, prevedeva un aumento
della contribuzione per quelli con orario inferiore alle dodici ore
settimanali. Sono state, invece, “recuperate” le disposizioni -
precedentemente abrogate dal governo Prodi - che regolavano
l’inserimento dei soggetti svantaggiati attraverso convenzioni con le
cooperative sociali. Così com’è stato anche ripristinato il “lavoro
intermittente” che, attraverso la legge 247/2007, era stato ampiamente
ridimensionato rispetto ai settori interessati.
Un’altra (improvvida)
abrogazione - che mal si concilia con le dichiarazioni del ministro
Sacconi, circa l’intenzione di “agevolare la regolarizzazione dei
rapporti di lavoro” - ha interessato i commi 47, 48, 49 e 50 della
legge 247/2007. Le norme cancellate, in estrema sintesi, prevedevano,
attraverso la contrattazione collettiva, la stipula di specifici
rapporti di lavoro - nei settori del turismo e dello spettacolo, in
determinati periodi dell’anno - proprio allo scopo di contrastare forme
di lavoro irregolare o sommerso. Risponde, evidentemente, alla stessa
logica l’abrogazione dei commi 1173 e 1174, dell’art. 1 della legge
296/2006. I suddetti commi prevedevano, infatti, la previsione di
“indici di congruità”, in rapporto ai lavori svolti e ai lavoratori
impiegati, in tutti quei settori in cui risultavano maggiormente elevati
i livelli di violazione delle norme in materia d’incentivi e
agevolazioni contributive e in materia di tutela della salute e
sicurezza dei lavoratori.
Sorvolando sulla
ridicola esiguità delle sanzioni pecuniarie (amministrative) a carico
dei consulenti del lavoro e degli altri professionisti che non
ottemperino alla richiesta degli organi di vigilanza di esibire le
documentazioni dei datori di lavoro loro clienti, è opportuno
evidenziare almeno altre due questioni di grande rilevanza.
Relativamente al
collocamento obbligatorio, di cui alla legge 68/99, la prima novità è
rappresentata dal superamento dell’obbligo (annuale) di trasmissione del
prospetto informativo da cui risultino:
1)
il numero complessivo dei dipendenti;
2)
il numero e i nomi dei “computabili” nella quota di riserva;
3)
i posti di lavoro disponibili e le relative mansioni.
Grazie alle nuove
norme, il prospetto non andrà più inviato entro il 31 gennaio di ogni
anno (con la “fotografia” della forza lavoro al 31 dicembre precedente)
ma solo al verificarsi di variazioni tali da incidere sulla quota
d’obbligo. Si tratta, in sostanza, di un parziale “ritorno all’antico”;
il ritorno, cioè, a quella legge 482/68 che, nel corso della
sua trentennale vigenza, ha stabilito tutti i record possibili, in
termini di elusioni ed evasioni.
Restando alla stessa
legge, un’altra sconsiderata abrogazione ha riguardato l’art. 17.
E’ stata infatti soppressa la certificazione circa l’ottemperanza
alle norme che disciplinano il diritto al lavoro dei disabili per le
imprese pubbliche e private che richiedano la partecipazione a bandi per
appalti pubblici. In futuro, quindi, sarà sufficiente
un’autocertificazione. Anche questo è un provvedimento che si
commenta da solo.
La scure delle
abrogazioni è calata anche sul Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro.
Contemporaneamente alle tante lacrime di coccodrillo che quotidianamente
accompagnano l’infinita lista dei morti sul lavoro, è stato modificato
l’art. 14 del decreto legislativo 9 aprile 2008, nr.
Non conforta,
purtroppo, “l’assordante silenzio” che si registra rispetto a questi
temi; tanto dal versante dell’opposizione parlamentare, quanto da quello
dei sindacati. Considerati i precedenti, le previsioni volgono al
peggio. Renato Fioretti
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