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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

I LIVELLI ESSENZIALI DI ASSISTENZA SOCIOSANITARI

Studi Zancan 2/2003

 

Paolo Da Col*

 

Ogni giorno di più l'argomento dei livelli essenziali di assistenza (Lea) diventa attuale e rilevante. Ap­parentemente esauritasi una prima fase che ha portato alla ribalta quelli attinenti alle prestazioni sanitarie, a mio modo di vedere accettati e applicati con molto minor dibattito (o clamore) di quello che ci si sarebbe ragio­nevolmente dovuti attendere, rimane oggi ancora del tutto aperta la partita su quelli sociosanitari e su:quelli sociali (Liveas). Vicenda non piccola, sia per le fasce di popolazione coinvolte - tutte, per defInizione, in stato di fragilità e debolezza -, sia per gli aspetti economico­finanziari (ordine di grandezza, secondo alcune stime, di oltre 40 mila miliardi di vecchie lire), sia per la mol­teplicità (complessità) degli interlocutori che siederan­no al tavolo delle trattative (enti locali e aziende sanita­rie). A ben guardare, l'applicazione dei livelli essenziali di assistenza sanitari elencati in Gazzetta Ufficiale (Gu) produrrà cambiamenti ben inferiori - salvo «im­pazzimenti regionali» - a quanti non ne potrebbero ge­nerare quelli socio sanitari e sociali. E allora va subito affermato con chiarezza che questi cambiamenti at­tengono innanzitutto alla sfera dei diritti di cittadinan­za da garantire più che del numero delle prestazioni da assicurare, o del livello di spesa da contenere. Concre­tamente: se si è preoccupati di non vedere più erogate alcune prestazioni ambulatoriali di riabilitazione (dal­l'esito molto incerto) o di chirurgia estetica (ma davve­ro devono essere a carico del Servizio sanitario nazio­nale?), oppure di veder sparire qualche giornata di de­genza in ospedale per Drg (Diagnosis related groups, raggruppamenti omogenei di diagnosi) «spazzatura» «<mali di schiena e gastriti» non ben definite), che dire del fatto che persone in gravi condizioni di debolezza (ad esempio disabili gravi, persone non autosufficienti) potrebbero rischiare di perdere (potenzialmente per sempre) la possibilità di cure, in assistenza domiciliare o residenziale, in fase estensiva (molti mesi!) o di lun­goassistenza (molti anni!)?

 

Ciò che stupisce maggiormente è la quasi assenza di dibattito pubblico sull'argomento. Come mai non basta il richiamo alla problematica dei diritti civili e so­ciali da rispettare, e invece la preponderante attenzione cade oggi sugli aspetti del volume dei costi? Almeno questa fosse rivolta al tema dell'appropriatezza di mol­te di tali spese e all'efficienza di produzione dei servizi! Tanto più ci si meraviglia, inoltre, per il fatto che decisioni di grande rilevanza sono prese senza aver nemmeno tentato di udire non solamente la voce dei cittadini, ma spesso poco o per nulla quella degli addetti ai I lavori.

 

Questi appunti riassumono sinteticamente tre giorni di lavori seminariali cui hanno partecipato ope­ratori di molte regioni italiane, sia di aziende sanitarie che di amministrazioni comunali o provinciali. Tale re­soconto deriva dall'idea, rafforzatasi nel corso dei la­vori, che la Fondazione Zancan, in coerenza con le sue finalità e con la sua già cospicua mole di documen­ti sull'argomento, inizi a produrre una serie di docu­menti utili alla presentazione e all'approfondimento del tema in dibattiti pubblici o ai tavoli di lavoro degli esperti e dei decisori politici. Documenti quindi brevi, agili, di facile comprensione e lettura. Gli obiettivi: stimolare la riflessione e l'approfondimento; rendere l'argomento più comprensibile anche attraverso l'acquisizione di un linguaggio comune, focalizzando i termini in uso; allargare il dibattito su basi valide dal punto di vista tecnico-scientifico e consentire a una platea ben più vasta di quella attuale di partecipare a una materia a prima vista sterilmente «burocratica». Il tono di questa esposizione potrebbe quindi apparire di «basso profilo», talora a scapito di una perfezione for­male, ma ciò avviene per scelta consapevole.

 

Contrariamente a quanto la stampa ha fatto in­tendere (provvedimenti «salvaspesa» di questo gover­no), l'argomento dei livelli essenziali non è emanazio­ne di un governo di «colore» diverso dal precedente, ma discende invece da progenitori illustri. Già la legge n. 833/78 aveva introdotto il concetto di livelli uni­formi di assistenza, ben ripresentati però anche nel­l'art. 1 del d.l. n. 502/92 (firmato da Amato, De Lo­renzo, Barucci) (ex c. 4: «livelli da individuare sulla ba­se anche di dati epidemiologici e clinici, con la specifi­cazione delle prestazioni da garantire a tutti i cittadini, rapportati al volume delle risorse a disposizione»). Nel successivo d.l. n. 517/93 (firmato da Ci ampi, Garava­glia, Barucci), si legge (art. 1, comma a), <<i livelli di as­sistenza da assicurare in condizioni di uniformità sul territorio nazionale e i relativi finanziamenti di parte corrente e in conto capitale sono stabiliti dal Piano sa­nitario nazionale, nel rispetto degli obiettivi della pro­grammazione socio-economica nazionale e di tutela della salute individuati a livello internazionale e in coe­renza con l'entità del finanziamento assicurato al Ser­vizio sanitario nazionale»; e più oltre, al punto g: «[Il Piano sanitario nazionale indica] i finanziamenti relati­vi a ciascun anno di validità del piano in coerenza con i livelli uniformi di assistenza». Dunque sembra allen­tarsi l'enfasi isolata sul mero aspetto economico. E ar­riviamo al più recente d.l. n. 299/99, preceduto dal Piano sanitario nazionale (Psn) 1998-2000. Qui i Lea sono presentati quale manifestazione della volontà del servizio sanitario, finanziato da denaro pubblico, di erogare esclusivamente prestazioni «che effettivamente servono per produrre salute», rispettando le tre nuove parole chiave: appropriatezza, evidenza scientifica, qualità. Nella logica di fondo che i primi sprechi da e­vitare sono quelli dei consumi inutili. Si cita solamente un passo a titolo di esempio: «La regione determina, sul­la base dei criteri posti dall'atto di indirizzo e coordi­namento di cui al comma 3, il finanziamento per le pre­stazioni sanitarie a rilevanza sociale) sulla base di quote capitarie correlate ai livelli essenziali di assistenza» (d.l. 229, art. 3-septies, comma 6). In conclusione, nell'arco di sei anni la rotta oscilla significativamente, passando da un approccio sostanzialmente monetario a un altro sensibilmente centrato sulla salute e sui diritti. E oggi?

 

In una sorta di conferenza di consenso, nel corso del seminario ci si è soffermati in dettaglio sul signifi­cato e sulle intenzioni dei tre termini: <<livelli», «essen­ziali», «di assistenza». Si è cercato di comprendere e approfondire cosa/quanto sia in essi più o meno im­plicitamente contenuto, per convergere su di un lin­guaggio comune appropriato, evitare di cadere in facili fraintendimenti, già eccessivamente favoriti dalla

stampa o da esuberanti interviste di alcuni personaggi politici. Alla ricerca di un approccio univoco all' argo­mento, si propone l'uso dei tre termini nelle accezioni e riferimenti qui illustrati.

 

Su questo punto il dibattito è proceduto spedito, senza grandi equivoci: al gruppo non è sembrato esi­stano sinonimi sostitutivi, possibilità di termini alterna­tivi, per cui non si incorre nel rischio di usare termini diversi, impropri o altro. Perché dunque il termine «li­velli»? Come ricordato prima, riguardo ai contesti e si­gnificati giuridici, nel vocabolo è bene cogliere un a­spetto fondamentale: con <<livelli» si fa riferimento a un concetto (e alla realtà) di gradualità degli interventi o, meglio, a quello di soglia variabile di accesso. È molto rilevante questo concetto di «soglia», perché in tal mo­do i livelli (e le prestazioni incluse) si configurano in un aspetto dinamico, modificabile; questi livelli sono quindi aggiornabili a seconda dell'introduzione di nuo­ve tecniche e opzioni assistenziali, oppure - soprattutto! - della disponibilità di nuove risorse, oppure ancora in base all'esito dei confronti tra amministratori-de­cisori e cittadini-stake holders (aspetto dei diritti e delle garanzie). È questa soglia che si configura (e va discus­sa) come eventualmente «minima»: quando/quanto servizi e prestazioni incluse sono idonei a garantire di­gnità e qualità di vita delle persone e delle famiglie in condizioni di svantaggio, a conferire pari opportunità di usufruire delle occasioni di progresso e di progetti per il futuro? Il concetto di soglia come «confine» di diritti esigibili racchiude in sé l'aspetto quantitativo e qualitativo delle prestazioni e dei servizi erogati, che saranno quindi non più minimi, bensì essenziali e uni­formi rispetto a un criterio ispiratore. Inoltre, la soglia è definita per un aspetto e una visione globale della persona, per un insieme di prestazioni e servizi, più che per singole specifiche voci; ciò ha attinenza con l'aspetto dell'assistenza globale alla persona, più che della sommatoria di singole prestazioni erogabili e fruibili (come si dirà più avanti).

 

Questo attributo genera attualmente ancora con­fusione: «essenziali» è sinonimo di <<minimi»? Di «uni­formi»? Non dovrebbe essere così. Innanzitutto l'es­senzialità» fa riferimento all'«essenza» dei diritti della persona. Durante i primi anni novanta il criterio fon­damentale era stato quello dell'uniformità dell'offerta dei servizi (principio dell'uguaglianza) nell'esercizio del diritto alla salute, da cui si era generata la distribuzione del Fondo sanitario nazionale (Fsn) per quota pro ca­pite. Questa aveva l'obiettivo di riequilibrare la spesa per abitante, ma non quello di soddisfare in modo a­deguato i bisogni, ovvero di garantire le stesse condi­zioni di accesso al sistema sanitario e/o lo stesso livel­lo di salute. Alla fine degli anni novanta cambiano i criteri di ripartizione, per tenere conto dei livelli quali­tativi dell'offerta e delle condizioni di salute (principio dell'equità). Sancire un diritto non equivale automati­camente ad avere identificato chi si fa carico del dove­re di salvaguardarlo. Di conseguenza oggi il termine «essenziale» dovrebbe fare riferimento a categorie di servizi o prestazioni (quindi atti e azioni concrete sulla persona in stato di bisogno) considerati nel modo se­guente.

- Necessari, perché attinenti a diritti (pur condizionati) costituzionalmente tutelati e garantiti per assunzione di responsabilità pubblica, pur se non necessariamente sempre e totalmente gratuiti, per tutti i cittadini, senza esclusione o discriminazione alcuna. È evidente che in tutto questo è contenuto un preciso giudizio politico.

- Appropriati, perché congrui rispetto a un bisogno non auto-interpretato e riferito, ma che si intende va­lutato con la mediazione di tecnici, per farlo emergere da una soggettività e anche dal rischio di una sottova­lutazione per incapacità della persona a riconoscere i propri bisogni (si pensi, ad esempio, alle persone de­contrattualizzate, in primis alle persone con disturbo mentale grave). In questo aspetto va colta l'ineludibi­lità del giudizio tecnico nella valutazione del bisogno.

- Di provata efficacia, come documentabile dalla lette­ratura e dall'evidenza scientifica, e di verificabile effi­cienza, in quanto l'erogazione avviene secondo stan­dard definiti di impiego ottimale delle risorse assegnate

(concetto di economicità: non si sottolinea mai abba­stanza la rilevanza del tema della conoscenza dei costi delle decisioni da parte degli operatori).

- Uniformi, perché garantiti su tutto il territorio nazio­nale e per tutte le persone (equità); è chiaro che la regionalizzazione dei servizi, a seguito della riforma del titolo V della Costituzione o di una più spinta devolu­tion, rappresenta un forte elemento di criticità a ri­guardo.

- Sostenibili dalle risorse assegnate dalla collettività al sistema di copertura pubblica: in merito si ricorda che purtroppo contestualmente alla definizione del decreto sui Lea sociali non sono state stabilite con pari chia­rezza e precisione (e quindi certezza per il cittadino, l'operatore o l'amministratore dell'ente pubblico) le fonti e le modalità di finanziamento, a differenza di quanto avviene, ad esempio, nel Psn 1998-2000 nella definizione della quota capitaria. A ciò si collega, e an­drebbe approfondito contestualmente, il problema dei fondi integrativi, in cui sono da coinvolgere gli enti lo­cali, da considerare lo strumento che potrebbe colmare il divario bisogno-domanda-offerta. Va poi sempre de­finita, coerentemente, la quota di compartecipazione di spesa a carico del cittadino, notoriamente spesso e­levata nei servizi sociosanitari e con aspetti contraddit­tori in un sistema di servizi pubblici alla persona che vuole (vorrebbe, ma per quanto ancora?) essere uni­versalistico e solidaristico, pur con elementi di seletti­vità. Né si scordi che questa selettività (e dalla defini­zione della soglia di cui sopra - vedi i livelli) discende anche dall'entità della compartecipazione alla spesa degli utenti. Va qui citata e colta l'esigenza di risolvere e superare le contraddizioni attuali tra prestazio­ni/ servizi erogati nel medio-lungo termine in ambito sanitario (gratuitamente o quasi per l'utente, indipen­dentemente dal reddito; si veda ad esempio la reiterata «lungodegenza» inclusa nel livello ospedaliero, oppure anche l'assistenza domiciliare, del tutto e sempre gra­tuita se di tipo sanitario), in ambito sociale (assistenza residenziale per gli anziani non auto sufficienti, dal co­sto fortemente dipendente dal reddito della persona o dei civilmente obbligati) o in ambito sociosanitario (mix tra le due situazioni).

- Compatibili con l'allocazione delle risorse negli altri settori del sistema di protezione e benessere sociale (al di fuori di quelli peculiarmente «socioassistenziali», ad esempio casa, trasporti, viabilità, lavoro, istruzione, previdenza ecc.).

 

Da quanto fin qui esposto si dovrebbe poter fa­cilmente evincere che si tratta dunque di livelli essen­ziali di assistenza e non certo di spesa; la spesa dovreb­be seguire infatti la determinazione dei bisogni e delle modalità di loro copertura, collegandosi alla scelta di assicurare le risorse necessarie ex ante, non ex posto Dovrebbero quindi essere livelli di spesa comunque garantiti per «quella» determinata tipologia di bisogno e conseguente assistenza, individuata e qualificata co­me irrinunciabile. Altro discorso è invece identificare gli standard organizzativi di produzione ed erogazione dei servizi quale momento di controllo della spesa e conseguente possibile contenimento dei costi. Tutta­via, a questo proposito è necessario introdurre non so­lamente indicatori di struttura e di processo (da rende­re obbligatori da subito), ma anche di esito (outcome) di tali azioni, da adottare eventualmente in una fase suc­cessiva, a funzionamento consolidato dei servizi.­

Ma verso quale assistenza? Nel seminario si è po­sto l'accento su: assistenza come insieme coordinato continuativo unitario e globale di azioni positive sul­la(e) persona(e) - quindi integrate tra di loro - svolte da vari settori produttivi; senz'altro da quello istituzionale - sanitario, sociale, sociosanitario - ma anche da quello informale (terzo settore). Le prestazioni e i servizi considerati nei <<livelli» elencati nelle tabelle della Gu devono infatti costituire un insieme unitario incluso in un «contenitore» unico e coerente, in cui queste reci­procamente si correlano, interagiscono e si integrano, con il fine ultimo di farli giungere in maniera unitaria alle persone con bisogni complessi (ovvero prestazioni inscindibilmente legate tra loro, spesso indistinguibil­mente a rilevanza sociale o sanitaria). Il decreto mini­steriale individua tali azioni appartenenti a tre macro ambiti, da cui ne discende l'obbligo di ricollocare e sa­per riconoscere al loro interno ciascuna delle presta­zioni erogate da un servizio/struttura: ambulatoriale o domiciliare; residenziale; semiresidenziale- intermedio. Tuttavia, i partecipanti al seminario suggeriscono di aggiungere un quarto macroambito, di pari rilevanza: prevenzione sulla collettività. Al momento non è stabili­to in quale area organizzativa si posizioni e con quale copertura finanziaria, ma in esso già si identificano dei microlivelli di ambito di intervento (ad esempio in spe­cifici gruppi di persone: anziani, minori, disabili ecc.).

Assistenza in quanto attiene ad attività agite nell'ambito di un'organizzazione a questo scopo dedi­cata, volta a dare risposte concrete, appartenente a un particolare settore produttivo di servizi alle persone, in cui è richiesta la presenza di specifiche competenze tecnico professionali (il concetto collegato è quello dell'accreditamento); poiché ci troviamo nel subsiste­ma sociosanitario, necessariamente l'integrazione diventa prerequisito ed elemento cruciale, strumento ir­rinunciabile per la continuità delle cure.

Assistenza come organizzazione dell'offerta (output) coerente con le risorse e i fattori produttivi impiegati (input) ma, fattore innovativo, in grado di misurare gli esiti attesi (outcome). A riguardo si è rileva­to che l'offerta dei servizi sociali e sociosanitari inclusi nei Lea deve oggi soprattutto risolvere l'ostacolo del «fattore tempo di intervento»: la tempestività delle a­zioni, il pronto intervento per una concreta capacità di (re)agire in modo contestualmente conseguente all'insorgenza dello stato di bisogno in persone che spes­so non possono attendere il sostegno e la protezione.

È stato altresì rilevato che questa lista di «cose da includere» (ben più difficile da compilare rispetto a una «lista negativa» di pratiche escluse) genera il ri­schio di andare (tornare) verso una logica di intervento frammentato, esasperata dalle divisioni sorte nella ri­partizione di copertura dei costi tra aziende USL ­comuni-utenti. Questo è un palese ostacolo a un pro­cesso di integrazione socio sanitaria che, in linea molto generale, può trovare compensazione in due direzioni.

- Nella creazione di fondi sanitari e sociali riunificati, perlomeno per aree di bisogno, a seguito di deleghe o specifici accordi di programma (richiamandosi ad e­sempio alle aree ad alta integrazione), o di qualsiasi al­tro atto istituzionale finalizzato a realizzare una gestio­ne unitaria dei servizi (vedi ad esempio, per quelli so­ciali, l'art. 8, c. 3, della legge n. 328/00). Quantomeno vanno identificate le responsabilità sul caso, ferma re­stando la presa in carico globale e unitaria. In questa logica potrebbero sorgere i fondi integrativi con l'intervento degli enti locali o altre organizzazioni pubbliche.

- Nell'immissione dei Lea in una forte logica pro­grammatoria (ad esempio piano di zona, programma delle attività territoriali o, meglio, nel piano di salute integrato) che conferisce maggiori possibilità di tentare di governare i costi e le spese rispetto ai risultati attesi.

La definizione dei Lea socio sanitari, lungi dal ras­sicurare i decisori politici e gli amministratori sull' ef­ficace contenimento dei costi e delle spese, rappresen­ta una vicenda che deve riportare alla ribalta i diritti «dimenticati», l'obbligo di decidere su cosa il nostro si­stema di weifare vuole dare e fare, soprattutto per le ca­tegorie di persone in condizioni di svantaggio. Per o­peratori e cittadini partecipare alle scelte e decisioni si­gnifica anche muoversi in sintonia e con linguaggi condivisi. Attendiamo gli sviluppi del dibattito.

 

 

 

* Testo elaborato a seguito di un seminario svolto a Malosco (Trento) dal 7 al 10 luglio 2002 sul tema «Definizione e attuazione dei livelli essenziali di assistenza sociale e sociosanitaria».


Livelli essenziali di assistenza e servizi alle persone

Studi Zancan 2/2003

 

di Tiziano Vecchiato

 

Il quadro attuale

 

Il dibattito sui livelli essenziali di assistenza (Lea) ha avuto un'accelerazione quando le modifiche del ti­tolo quinto della Costituzione hanno delimitato le competenze centrali, concentrandole sostanzialmente su questa materia. Questo rende necessaria una nuova definizione dei rapporti tra amministrazione centrale e altri centri di responsabilità, in particolare regionali e comunali, su questo argomento.

Astrattamente si può pensare che le cose siano già chiare. Al governo centrale spetta la definizione dei li­velli essenziali: in termini di contenuti e di quantità as­sistenziali da erogare, c.on riferimento a bisogni priori­tari a cui far corrispondere diritti da tutelare. Alle re­gioni, insieme con i comuni, spetta l'organizzazione delle risposte, il governo delle risorse, la definizione delle priorità, la verifica dell'attuazione.

Concretamente le cose non sono così semplici, per­ché quando, con questa «chiara» separazione delle competenze, si passa dalle affermazioni di principio al­le scelte concrete, può succedere sostanzialmente que­sto: lo stato per definire i livelli essenziali di assistenza è costretto a chiedersi se quanto va a definire in forma di diritti da tutelare (livelli essenziali da garantire), po­nendolo a carico di altre amministrazioni, corrisponda alla loro effettiva capacità di finanziarli.

Avendo presente questo interrogativo, un gover­no con difficoltà di bilancio si guarderà bene dal pro­porre una definizione operativa «pro diritti di cittadi­nanza» dei livelli essenziali di assistenza, consapevole che la conseguenza può essere semplice e drammatica: la definizione centrale non coperta da finanziamento comporta un'inevitabile richiesta, da parte dei soggetti decentrati, di risorse per attuare quanto deciso in sede centrale.

In modo coerente con le proprie scelte, il livello centrale dovrebbe reperire le risorse aggiuntive neces­sarie ricorrendo a ulteriore imposizione fiscale o a ri­conversioni di spesa. Si tratta quindi di una decisione onerosa, che trae le sue motivazioni dal modello di weifare che si intende perseguire. Se esso è universalisti­co ed equo, cioè capace di formule selettive utili per dare priorità a chi ha più bisogno, si avrà necessità di maggiori risorse. Se esso è residuale, cioè mirato a dare risposte alla fascia di popolazione più in difficoltà, la­sciando a dinamiche di mercato le ulteriori risposte per tutti, avrà bisogno di minori risorse. Ma scegliendo una strategia meno solidale dovrà accettare il rischio di essere meno credibile e legittimato nel perseguire il bene comune.

È questa la principale ragione per spiegare come mai, a quasi tre anni dall'attuazione della legge n. 328/00, non sono ancora stati definiti i livelli essenziali di assistenza sociale. Altre ragioni per spiegare questo ritardo sono di natura tecnica, riguardanti cioè la scelta dei contenuti da garantire, tenendo presente che sul piano scientifico le conoscenze e le esperienze sul­l'argomento sono tali da non giustificare il ritardo ac­cumulato.

Le radici del dibattito sui livelli essenziali possono essere meglio comprese ricostruendo quanto è stato definito dalla legislazione e dalla programmazione re­cente su questo tema: faremo riferimento al d.lgs n. 229/99 e alla legge n. 328/00, al Piano sanitario nazionale (psn) 1998-2000 e al Piano sociale nazionale 2001-2003, ai decreti del 29 novembre e 12 dicembre 2001.

 

Un quadro più generale: dal d.1gs n. 229/99 e dalla legge n. 328/00

 

L'articolo 1 del d.lgs n. 229/99 ha come titolo «Tutela del diritto alla salute, programmazione sanita­ria e definizione dei livelli essenziali e uniformi di assi­stenza». Ne consideriamo una selezione dei contenuti che nel loro insieme è particolarmente utile per com­prendere gli aspetti definitori dei livelli, le modalità di individuazione e possibili modalità di valutazione.

Al comma 1 si dice che la «tutela della salute co­me diritto fondamentale dell'individuo e interesse della collettività è garantita, nel rispetto della dignità e della libertà della persona umana, attraverso il Servizio sani­tario nazionale, quale complesso delle funzioni e delle attività assistenziali dei Servizi sanitari regionali e delle altre funzioni e attività svolte dagli enti e istituzioni di rilievo nazionale». Si tratta cioè di definire l'archi­tettura delle responsabilità e le condizioni per il gover­no collaborativo delle risorse necessarie non solo al­l'erogazione delle prestazioni ma, in termini più ambi­ziosi e impegnativi, per tutelare la salute in quanto di­ritto della persona e in quanto interesse collettivo. È in questa interdipendenza costitutiva tra persona e co­munità che si può meglio comprendere il significato dei livelli essenziali e le ragioni etiche e politiche per cui nei sistemi solidaristi si fa ricorso a questa strategia.

Al comma 2 si esplicita in senso operativo questo obiettivo: «Il Servizio sanitario nazionale assicura, at­traverso risorse pubbliche e in coerenza con i principi e gli obiettivi indicati dagli articoli 1 e 2 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, i livelli essenziali e uniformi di assistenza definiti dal Piano sanitario nazionale nel ri­spetto dei principi della dignità della persona umana, del bisogno di salute, dell'equità nell'accesso all'as­sistenza, della qualità delle cure e della loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze, nonché del­l'economicità nell'impiego delle risorse».

Emerge in queste affermazioni il tormento della sostenibilità: garantire diritti di cittadinanza sociale si­gnifica trovare soluzioni e condizioni per finanziarli, cioè per far corrispondere al diritto a una prestazione la capacità professionale, organizzativa e finanziaria di garantirla su ampia scala, cioè a tutta la platea degli a­venti diritto, che nei sistemi solidaristi e universalisti rappresentano idealmente la totalità della popolazione e, concretamente, quella parte di popolazione che si trovasse in quella particolare condizione di bisogno ri­conosciuta come meritevole di tutela pubblica perché rispondente al criterio di <<Interesse della persona e del­la comunità>>.

Per questo il successivo comma 3 esplicita e fa del problema «sostenibilità» il principale nodo politico connesso all'attuazione dei livelli. Si dice infatti: <<L'individuazione dei livelli essenziali e uniformi di as­sistenza assicurati dal Servizio sanitario nazionale, per il periodo di validità del Piano sanitario nazionale, è effettuata contestualmente all'individuazione delle risor­se finanziarie destinate al Servizio sanitario nazionale, nel rispetto delle compatibilità finanziarie definite per l'intero sistema di finanza pubblica nel Documento di programmazione economico-finanziaria». In sostanza, se così sarà, si potrà ottenere l'effetto auspicato dai si­stemi solidaristi, quale è quello italiano, e cioè che le prestazioni comprese nei livelli essenziali di assistenza siano garantite a tutti a titolo gratuito o con eventuale partecipazione alla spesa.

L'unità di misura generale per la definizione dei livelli è necessariamente nazionale. Nello stesso tem­po, però, questa esigenza generale deve misurarsi con unità di misura regionali, chiamate a organizzare la rete di risposte per garantirli, con strumenti noti e per ora spesso inefficaci, e cioè i piani regionali (la legge a que­sto scopo prevede che le regioni trasmettano annual­mente al Governo la relazione sullo stato di attuazione di piani talvolta inesistenti). A questa carenza struttura­le suppliscono in modo talora efficace norme di setto re, quale ad esempio il Dpcm sulla definizione dei li­velli di assistenza del 29 novembre 2001.

Proseguendo nella nostra analisi, il comma 6 defi­nisce tre macro tipologie di assistenza, intese come un minimo denominatore comune per l'intero sistema di offerta: l'assistenza sanitaria collettiva in ambiente di vita e di lavoro; l'assistenza distrettuale; l'assistenza ospedaliera.

Questa distribuzione è utile per identificare centri omogenei di responsabilità e per garantire al cittadino unitarietà di riferimenti, utili per facilitare e semplifica­re l'accesso ai servizi.

Nel comma 7 si entra nel merito dei contenuti da garantire con i livelli, definendo le condizioni di «in­clusione» o di «esclusione». La regola fondamentale per l'inclusione è rappresentata dalle prove di efficacia. Pertanto vanno incluse nei Lea «le tipologie di assi­stenza, i servizi e le prestazioni sanitarie che presenta­no, per specifiche condizioni cliniche o di rischio, evi­denze scientifiche di un significativo beneficio in ter­mini di salute, a livello individuale o collettivo, a fronte delle risorse impiegate». I criteri di esclusione sono corrispondenti, e cioè intervengono quando non sono disponibili prove di efficacia tali da giustificare un cer­to intervento e di conseguenza un certo consumo di risorse. Nei criteri di esclusione entrano anche presta­zioni efficaci, ma che sul piano etico non rappresenta­no priorità da garantire su base universalistica, ad esempio le cure estetiche non derivanti da eventi trau­matici.

La sede dinamica per decidere queste cose è costi­tuita dal Piano nazionale (comma 10). Esso è chiama­to, su base periodica (tecnicamente triennale ma di fat­to a cadenza più estesa e discrezionale), a definire le aree prioritarie di intervento, i livelli essenziali di assi­stenza sanitaria da assicurare, le linee guida per meglio assicurare l'applicazione dei livelli essenziali di assi­stenza sulla base di criteri e indicatori comuni di verifi­ca.

 

Quest'ultimo aspetto è stato meglio definito con il Decreto interministeriale 12 dicembre 2001 «Sistema di garanzie per il monitoraggio dell'assistenza sanita­ria», cioè per il monito raggio dell'attuazione dei livelli essenziali di assistenza sanitaria e socio sanitaria nelle diverse regioni.

A queste coordinate definitorie possono essere aggiunti alcuni contenuti dell'articolo 3-septies del d.lgs n. 229/99, che tratta di integrazione sociosanitaria e di livelli essenziali integrati. A tale proposito esso parla di necessità di precisare «i criteri di finanziamento delle stesse per quanto compete alle unità sanitarie locali e ai comuni», di rendere cioè certo e consolidato l'apporto che i due responsabili del finanziamento dei Lea inte­grati - le regioni e i comuni - devono definire di co­mune intesa, anche grazie all'individuazione di livelli uniformi di assistenza per le prestazioni sociali a rilievo sanitario (comma 4), da finanziare sulla base di quote capitarie correlate ai livelli essenziali di assistenza.

Quando la legge n. 328/00 parla di livelli essenzia­li lo fa in termini di universalità di accesso (art. 2), di esigibilità del diritto, di valutazione del bisogno per conciliare universalismo e selettività, di impegno per la tutela dei soggetti più deboli.

Il quadro complessivo delle garanzie viene deline­ato dall'art. 22, in cui si identificano i bisogni me­ritevoli di maggiore tutela sociale, e cioè le misure di contrasto della povertà e di sostegno al reddito, le mi­sure economiche per favorire la vita autonoma e la permanenza a domicilio di persone totalmente dipen­denti o incapaci di compiere gli atti propri della vita quotidiana, gli interventi di sostegno per i minori in si­tuazioni di disagio, le misure per il sostegno delle re­sponsabilità familiari, le misure di sostegno alle donne in difficoltà, gli interventi per la piena integrazione del­le persone disabili, gli interventi per le persone anziane e disabili utili a favorire la loro permanenza a casa, le prestazioni integrate di tipo socio-educativo per con­trastare dipendenze da droghe, alcol e farmaci, l'informazione e consulenza alle persone e alle famiglie per favorire la fruizione dei servizi.

Questo quadro trova ulteriore esplicitazione al comma 3 dell' art. 16 per quanto riguarda le azioni di sostegno alla famiglia, attraverso «a) l'erogazione di as­segni di cura e altri interventi a sostegno della materni­tà e della paternità responsabile; b) politiche di conci­liazione tra il tempo di lavoro e il tempo di cura; c) servizi formativi e informativi di sostegno alla genito­rialità; d) prestazioni di aiuto e sostegno domiciliare, anche con benefici di carattere economico, in partico­lare per le famiglie che assumono compiti di acco­glienza, di cura; e) servizi di sollievo, per affiancare nella responsabilità del lavoro di cura la famiglia, e in particolare i componenti più impegnati nell'accu­dimento quotidiano delle persone bisognose di cure particolari, ovvero per sostituirli nelle stesse responsa­bilità di cura durante l'orario di lavoro; f) servizi per l'affido familiare».

Il quadro descrittivo dei livelli essenziali di assi­stenza proposto dalla legge n. 328/00 si arricchisce di contenuti erogativi e organizzativi identificati come «requisiti essenziali di offerta» per ogni sistema di welfare locale, e cioè (comma 4, art. 22): «a) servizio socia­le professionale e segretariato sociale per informazione e consulenza al singolo e ai nuclei familiari; b) servizio di pronto intervento sociale per le situazioni di emer­genza personali e familiari; c) assistenza domiciliare; d) strutture residenziali e semiresidenziali per soggetti con fragilità sociali; e) centri di accoglienza residenziali o diurni a carattere comunitario».

Come si può notare, questa legge non si preoccu­pa di qualificare i livelli in termini di significato e stra­tegia (l'aveva appena fatto il d.lgs n. 229/99) e non si pone il problema dei criteri di inclusione e di esclusio­ne e della sostenibilità, che è in parte affrontato nel Piano sociale nazionale 2001-2003.

 

Strategie e metodi

 

Il Piano sanitario nazionale 1998-2000

Nel definire il sistema delle garanzie il Psn 1998­-2000 parla dei livelli di assistenza in termini di un  processo decisionale articolato in alcuni <<momenti >>:

- la selezione e l'esplicitazione dei principi e dei valori guida delle politiche;

- le funzioni e le aree di attività proprie dei livelli di as­sistenza;

- gli interventi e le prestazioni da assicurare;

- i criteri di valutazione dell'appropriatezza delle scelte: dei cittadini e dei prescrittori;

- l'entità del finanziamento, a quel tempo riferito alla quota capitaria coerente con la stima del fabbisogno;

- la valutazione di congruità a partire dal confronto tra bisogni rilevati e offerta disponibile;

- gli strumenti per governare l'erogazione dei livelli di assistenza (standard e strategie per garantirli).

Come si può notare, si tratta di un processo deci­sionale necessariamente dinamico, che deve tener con­to delle disponibilità economiche, dell' evoluzione delle conoscenze, delle innovazioni tecnologiche, delle con­dizioni di efficacia, grazie alla condivisione di linee guida basate sulle evidenze scientifiche disponibili.

In particolare per quanto riguarda il primo punto, relativo ai principi e valori ispiratori delle politiche di welfare solidale e universalistico, il Psn 1998-2000 sin­tetizza quelli che hanno ispirato il dibattito e le scelte politiche a partire dalla legge n. 833/78, e cioè: il prin­cipio della dignità umana, a prescindere dalle diversità e dalla posizione sociale della persona; il principio della tutela preventiva, che giustifica e valorizza le azioni di prevenzione necessarie a non pregiudicare la salute personale e collettiva; il principio del bisogno, cioè ne­cessità etica e strategica di anteporre alle risposte di welfare una sistematica valutazione del bisogno; il prin­cipio della solidarietà nei confronti dei soggetti più vulne­rabili, anche in questo caso per motivi etici e strategici al fine di coniugare ragioni di giustizia con ragioni di solidarietà; il principio dell'efficacia e dell'appropriatezza degli interventi, che privilegia gli interventi di cui si conosca l'efficacia; il principio dell'efficienza produttiva, che privilegia le condizioni organizzative che la favori­scono; il principio dell'equità, che, soprattutto in un as­setto federalistico delle responsabilità erogative, diven­ta la chiave di lettura e di valutazione della capacità dei sistemi regionali di welfare di garantire uguali opportu­nità di accesso e di assistenza, a parità di bisogno.

Per questo da molte parti si sollecitano azioni di riequilibrio e di riallocazione delle risorse: dalla cura al­la prevenzione, dagli interventi indifferenziati ai gruppi di popolazione più a rischio, dall'assistenza ospedaliera all'assistenza domiciliare e territoriale.

Sotto questa luce viene posto anche il problema del rapporto tra gratuità e partecipazione al costo del servizio. Se da una parte si afferma il principio che le prestazioni vanno garantite senza oneri a carico del­l'utente al momento della fruizione del servizio, si è in certi casi pensato che il pagamento di una quota limita­ta del costo del servizio o della prestazione (in forma di ticket) avrebbe potuto rivelarsi utile: per promuove­re la consapevolezza dell' onere economico comunque sotteso alla garanzia di un diritto e per scoraggiare consumi opportunistici e non necessari. Questa strate­gia si è rivelata efficace quando l'entità della partecipa­zione di fatto non è diventata un ostacolo all'utilizzo di servizi necessari da parte del cittadino ed è stata bi­lanciata dalla gratuità comunque garantita a persone e a famiglie con basso reddito.

Un'ulteriore condizione di efficacia delle strategie solidaristiche basate sui livelli essenziali di assistenza è rappresentata dalla questione «uniformità effettiva», che richiede 1'eliminazione non solo delle barriere e­conomiche all'utilizzo delle prestazioni, ma anche il superamento di altre barriere, che di fatto limitano l'ambito effettivo delle garanzie. In particolare due so­no i principali fattori di disuguaglianza: l'inadeguata presenza e offerta di strutture e servizi nei territori re­gionali e la presenza di ostacoli e barriere all'accesso per carenza di informazioni, per mancanza di orienta­mento e accompagnamento dei soggetti più deboli, per i tempi di attesa non giustificati.

 

Il Piano sociale nazionale 2001-2003

Anche il Piano sociale nazionale fa propria la stra­tegia della sostenibilità e definisce le risposte con riferimento alle risorse del Fondo sociale nazionale e alle risorse ordinarie già destinate dagli enti locali alle poli­tiche sociali.

Per definire i livelli essenziali vengono utilizzate tre dimensioni: le aree di intervento; le tipologie di servizi e prestazioni; le direttrici per l'innovazione nella costruzione della rete, precisando che «La prima di­mensione (aree di intervento) contribuisce a risponde­re al quesito Livelli essenziali per chi? Per rispondere a quali bisogni? La seconda dimensione (tipologie di ser­vizi) contribuisce a rispondere al quesito Livelli essen­ziali per erogare quali prestazioni e servizi? La terza di­mensione (direttrici per l'innovazione) contribuisce a risponde al quesito Livelli essenziali garantiti come? Con quali criteri organizzativi e di erogazione dei servizi e del­le prestazioni?».

Ai fini della distribuzione del fondo viene indivi­duata una soluzione basata sul bilanciamento della di­mensione «aree di intervento» con quella della distri­buzione territoriale delle risorse, a partire da macro in­dici ricavati mettendo in rapporto la popolazione complessiva con la popolazione obiettivo, ottenendo in questo modo quote capitarie «corrette» sulla base di indici di fabbisogno regionale.

Nel fare questo si tiene conto di un problema proprio dell'area sociale, che viene definito «avvio del­la riforma». Si tratta in sostanza di riservare una quota di risorse per facilitare l'avvio dei mutamenti previsti dalla legge n. 328/2000 e dal Piano sociale, preveden­do «il finanziamento di azioni e progetti specificamen­te destinati all'avvio del sistema integrato di interventi e servizi. Devono essere elaborati dalle regioni o dagli enti locali», con lo scopo di creare una dotazione di minima di servizi in ogni territorio, facilitando l'asso­ciazione degli enti locali, così da realizzare un governo collaborativo dei sistemi locali di welfare entro ambiti territoriali omogenei.

La sintesi di questa strategia è rappresentata dallo schema di riparto del Fondo sociale nazionale sintetiz­zato nella tavola 3.4.3 del Piano nazionale, che rappre­senta un esempio di come si può analogamente proce­dere su scala regionale.

 

 

 

Aree di intervento

%

Indicatori

 Responsabilità familiari

15

Popolazione residente

 Diritti dei minori

10

Popolazione <18 anni

 

Popolazione < 4 anni
 

 Persone anziane

60

Popolazione> 65 anni

 

Popolazione> 75 anni
 

 Contrasto povertà

7

Tasso disoccupazione

 

% poveri
 

 Disabili

7

N. disabili gravi

 Immigrati

-

N. immigrati

 Droga

-

Popolazione obiettivo

 Avvio della riforma

1

Popolazione residente

 

La raccomandazione costante del piano è quella di integrare le politiche ai diversi livelli, in particolare con quelle per la casa, quelle socio-educative e formative. A tutto questo si aggiunge un'indicazione strategica, che si collega all'attuazione delle carte per la cittadi­nanza sociale. Il piano afferma che la carta dei servizi sociali deve essere «intesa e realizzata» come «carta per la cittadinanza sociale». Essa è tale quando «non si limi­ta a regolamentare l'accesso ai servizi», ma «si concen­tra sulle persone che hanno bisogno di accedere ai ser­vizi» e crea le premesse per facilitare l'incontro tra di­ritti e doveri sociali, cioè: «viene a caratterizzarsi come percorso progettuale finalizzato a conseguire gli obiet­tivi di promozione della cittadinanza attiva, consape­vole nella popolazione, nelle istituzioni e nei servizi. Il termine cittadinanza si collega strettamente ai diritti che ogni persona ritiene le debbano essere riconosciuti nella vita quotidiana e nelle situazioni di bisogno. La logica dei diritti sociali nella carta per la cittadinanza si collega strettamente con la logica dei doveri, o meglio ancora dell'incontro tra diritti e doveri sociali».

 

Conclusioni

 

Le precedenti considerazioni hanno messo in evi­denza gli aspetti relativi alla definizione dei livelli es­senziali di assistenza in quanto diritti a cui far corri­spondere contenuti assistenziali di erogazione.

Ma la riflessione e la ricerca stanno cercando di collegare fra loro i problemi propri dei loro contenuti con i problemi propri del sistema di garanzie per ren­derli esigibili, farne cioè dei veri livelli essenziali di as­sistenza e di cittadinanza sociale.

Non a caso il Piano sociale nazionale 2001-2003, parlando delle carte per la cittadinanza sociale, le ha indicate, per ora in termini generali, come una strada promettente e da esplorare. Ci sono già esperienze su questo tema, anche se quasi esclusivamente in Tosca­na.

Altre potranno svilupparsi, se sapranno darsi le condizioni necessarie per affrontare i Lea come meri­tano, e cioè governando le loro tre dimensioni costitutive (finanziamento, organizzazione della rete di rispo­ste, indici di efficacia), nonché impegnando unitaria­mente i diversi soggetti istituzionali e sociali a fare ve­rifica sistematica e partecipata sulla loro attuazione.

 

 

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