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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

 

Indagine Cisp: è il Terzo Settore (57%) ad attivare servizi di mediazione culturale in Italia, soprattutto al centro-nord. Censite oltre 700 esperienze

 

Il Terzo Settore risulta il protagonista nell’avvio e nello sviluppo dei servizi di mediazione culturale, seguito di recente dalla volontà di tante amministrazioni pubbliche locali “di offrire servizi più adeguati agli utenti extracomunitari”. Infatti nel 57% dei casi è il privato sociale (associazioni, cooperative, organismi di volontariato e fondazioni) l’ente attuatore di servizi in tal senso. È uno degli aspetti emersi dall’indagine sulla mediazione culturale in Italia condotta dal Cisp (Comitato internazionale per lo sviluppo dei popoli) per conto del Ministero del Welfare.


La descrizione delle esperienze di mediazione, degli enti erogatori di tali servizi e della figura del mediatore è stata condotta su un campione di 248 unità, pari a circa il 35% dell’universo di riferimento (704). La maggioranza dei servizi di mediazione culturale è concentrata al Nord (54,1%) e al Centro (30,3%): una distribuzione territoriale che “rispecchia in larga misura gli insediamenti degli immigrati in Italia”. Il servizio si svolge prevalentemente in ambito locale: nel 39% dei casi a livello provinciale/regionale, nel 55,1% a livello distrettuale, municipale/circoscrizionale e cittadino.


Quindi sono state censite complessivamente dal Cisp 704 esperienze di mediazione culturale in Italia, “ma il loro numero è di sicuro molto superiore”, nota il Cisp, precisando che molte esperienze sfuggono alla rilevazione nazionale “in quanto non esistono centri a livello nazionale e regionale che raccolgano e sistematizzino dati sui servizi di mediazione. Inoltre, in molti casi si tratta di “progetti” o di servizi a termine, per cui al momento della rilevazione possono risultare cessati o prossimi alla chiusura”. E si assiste anche a “una vasta gamma di nomenclature che a volte possono rientrare e altre no nella categoria di mediazione e mediatori: promotori, educatori interculturali, operatori per stranieri, facilitatori, ecc.”. La ricerca, quindi, è circoscritta a quei servizi che in maniera esplicita fanno riferimento al concetto di mediazione culturale, concepiti sia per facilitare “l’accesso degli stranieri all’esercizio dei diritti fondamentali sia per la trasformazione della nostra società, con l’incontro di culture diverse che si mescolano e si modificano reciprocamente”, secondo quanto afferma l’Organismo nazionale di coordinamento per le politiche di integrazione sociale degli stranieri, istituito presso il Cnel.


Ai mediatori culturale viene richiesta dal privato sociale “una notevole flessibilità”, in quanto sono chiamati in causa nei più diversi ambienti: scuola, famiglia, servizi del territorio, sistema ospedaliero, giuridico e penitenziario. Il fatto di operare anche in settori istituzionali molto diversi “può rafforzare le competenze trasversali dei mediatori (relative appunto alla mediazione tout court), ma essi non possono non risentirne in termini di preparazione poco specifica sui servizi e sugli ambiti istituzionali in cui operano”, fa notare il Cisp.
Il Terzo Settore si profila quale attore principale della mediazione anche analizzando il dato relativo agli anni accumulati nel settore della mediazione: coloro che vantano più di 10 anni di lavoro provengono nel 77% dei casi dal privato sociale. Abbastanza alta è però anche la percentuale di amministrazioni pubbliche (23,1%) che figurano come enti attuatori. Generalmente i servizi sono attivati attraverso convenzioni tra enti pubblici e soggetti del privato sociale (118 casi su 178 organismi attuatori).

 

Mediazione culturale: ''Il servizio non ha superato il carattere emergenziale''. Irrisori i servizi in imprese e sindacati; il 34% supporta la prima accoglienza

 

La mediazione culturale non sembra ancora aver superato “il carattere originario di servizio emergenziale o sperimentale”, anche se il 41,4% degli organismi dichiara di svolgere attività di mediazione da oltre 5 anni e il 20,1% da più di 10 anni, finanziata attraverso fondi pubblici (soprattutto dal Fondo Nazionale per le Politiche Migratorie, previsto dal Testo Unico 286 del ’98, e dai fondi della legge 285), per lo più attraverso progetti o iniziative a termine (65,27%), la cui durata oscilla tra gli 8 e i 15 mesi.

 

Se è forte la concentrazione della mediazione culturale in ambito pubblico, risulta irrisorio il numero di servizi nelle imprese, nei sindacati e nelle Università (2,4%), “anche se buona parte di queste realtà potrebbe essere sfuggita alla rilevazione nazionale”. Quindi la mediazione “non appare ancora pienamente radicata e legittimata nelle istituzioni che erogano servizi ai cittadini stranieri”. Gli ambiti principali di intervento riguardano in primo luogo i servizi sociali (35,5% delle 704 esperienze censite) ed educativi/scolastici (33,6%), seguiti da quelli sanitari (13,5%). Minore incidenza si registra invece nell’ambito penale/giudiziario (6,4%): nel campo del diritto, anzi, “il cammino delle pratiche di mediazione presenta in Italia un netto ritardo rispetto ad altri paesi europei (e ancor più nei confronti dell’area nordamericana)”, osserva l’indagine. Permangono interi settori della società e degli spazi di interazione culturale “sguarniti di servizi di supporto alla comunicazione e all’integrazione reciproca tra immigrati e comunità di accoglienza, come ad esempio il mondo del lavoro”. Un riscontro analogo si ha guardando i dati relativi all’“orientamento al lavoro” (non solo nelle aziende, ma anche in altri ambiti di intervento), indicato come principale tipologia di servizio solo nel 5% delle risposte fornite dagli enti contattati.

 

Rispetto alle tipologie di servizio, in primo luogo risulta l’area che va dalla prima accoglienza degli immigrati e dei richiedenti asilo al sostegno agli stranieri nel disbrigo di pratiche e all’informazione sui loro diritti (34,9%); al secondo posto l’area dei minori e della scuola (26,4%). Bassa è inoltre la percentuale di coloro che segnalano come tipologia principale il “sostegno agli operatori degli uffici pubblici per i rapporti con utenti stranieri e/o rom” (9%). Il servizio, dunque, viene ancora largamente improntato all’accoglienza, l’informazione e l’orientamento degli stranieri da parte di servizi pubblici; e alle fasi iniziali e basilari del rapporto tra utenti stranieri e servizi pubblici: un’impostazione che rispecchia “la situazione delle politiche immigratorie, ancora fortemente impegnate sul fronte dell’emergenza, ovvero per garantire l’accoglienza e l’accesso ai servizi basici da parte della popolazione immigrata”; oppure “un orientamento delle stesse istituzioni pubbliche, che ricorrono ai mediatori preferentemente per far fronte a situazioni problematiche, mentre non reputano necessario avvalersene per i servizi a carattere più ordinario”.


Tra le principali difficoltà incontrate dagli enti, il reperimento e gestione dei fondi spicca su tutte le altre possibili opzioni (15,5%), ma si arriva a più del 60% delle risposte se si somma questa percentuale a quelle relative al reperimento e gestione di risorse umane, alla diffidenza degli operatori, al coordinamento organizzativo degli interventi, al rapporto con altri enti/istituzioni, alla scarsa valorizzazione e uso improprio dei mediatori da parte dell'ente/istituzione entro il quale il servizio si attua e alla scarsa conoscenza del servizio nel territorio. Elementi che rafforzano la tesi del persistere di una logica “emergenziale” nella gestione della mediazione culturale.


Si scontrano, dunque, due diverse concezioni della mediazione culturale: “una ‘ridotta’ all’impiego del mediatore come figura di ‘traduttore’, più o meno ufficiale, nei diversi contesti di necessità (scuole, tribunali, ospedali, uffici pubblici, ecc.); una ‘ampia’, che vede nella mediazione il complesso di pratiche concrete di avvicinamento, negoziazione e facilitazione dei rapporti tra culture migranti e residenti”: nel secondo caso si punta a una sorta di ‘standard’ di formazione, statuto, riconoscimento professionale a tale categoria di operatori.

 

 

ITALIA. Lavoratori soggiornanti e istanze 
di regolarizzazione per lavoro
(dati al 2002)

Aree territoriali

Istanze regolarizzazione

Lavoratori imm. provenienti dai paesi a forte pressione migratoria sogg. al 31/12/2001

Incid. domande regolar. su 100 lav. soggiornanti

Nord Ovest

233.943

242.016

96,7

Nord Est

132.291

177.874

74,4

Centro

203.852

191.451

106,5

Sud

111.216

64.223

173,2

Isole

20.854

30.765

67,8

ITALIA

702.156

706.329

99,4

Fonte: Dossier statistico Immigrazione Caritas/Migrantes su dati del Ministero dell'Interno, 2003    

ITALIA. Lavoratori soggiornanti e istanze 
di regolarizzazione per lavoro presso aziende 

(dati all'11/11/2002)

Aree territoriali

Istanze regolarizzazione

extracomunitari dichiarati all'INPS al 31/12/2001

Incid. domande regolar. su 100 lav. assic. all'INPS

Nord Ovest

135.410

113.309

119,5

Nord Est

73.683

162.100

45,5

Centro

91.807

55.503

165,4

Sud

50.929

11.928

427,0

Isole

9.206

7.008

131,4

ITALIA

361.035

349.848

103,2

Fonte: Dossier statistico Immigrazione Caritas/Migrantes su dati del Ministero dell'Interno, 2003    

 

Mediatori culturali: maggioritarie le donne (68,4%) italiane. Molti i laureati

 

IMMIGRAZIONE – Mediatori culturali: maggioritarie le donne (68,4%) italiane. Molti laureati, ma il ruolo principale è quello di prima ''interfaccia'' ROMA – Delinea un profilo dei mediatori culturali e dei loro utenti la ricerca sulla mediazione culturale in Italia condotta dal Cisp lo scorso anno e commissionata dal Ministero del Welfare. La presenza femminile è maggioritaria (68,4%) e la nazionalità più rappresentata è quella italiana (14,9%), a cui seguono Albania, Marocco, Cina e Romania, mentre tra i Rom compaiono pochissimi mediatori.


Per quanto riguarda i titoli di studio dei mediatori, ben il 44,6% possiede la laurea e/o il dottorato, appena il 6,3% non ha titoli o solo la licenza media. La maggioranza (77%) ha seguito corsi di formazione sulla mediazione culturale (finanziati spesso dal Fondo Sociale Europeo) e il 75% è convinto di essere in grado “di rappresentare allo stesso tempo l'istituzione pubblica e gli utenti”. Tuttavia, nonostante le loro competenze, i mediatori “fungono generalmente da primissima ‘interfaccia’ tra istituzione ed utenti stranieri, molto spesso come interpreti-traduttori”. A questo proposito la ricerca rileva che tra i mediatori “serpeggia un diffuso malessere, anche perché il loro status giuridico, professionale e retributivo non è stato ancora definito adeguatamente, nonostante il meritorio sforzo di tante istituzioni pubbliche e del privato sociale”: se il 43,8% degli enti mediatori dichiara la soddisfazione dei mediatori, nel 56,2% dei casi sono solo in parte soddisfatti o non lo sono affatto. E non esistono ancora “standard di qualità sia nel campo della formazione dei mediatori sia sul piano dell’erogazione dei servizi di mediazione nei differenti settori di intervento in cui essa si è diffusa”, precisa il Cisp, osservando che la “scarsa valorizzazione delle potenzialità di impiego della figura del mediatore” cammina di pari passo con una certa “tendenza alla deresponsabilizzazione delle istituzioni”, che in qualche modo delegano al mediatore “la gestione dei rapporti con gli utenti stranieri”.


Viene anche evidenziato il fenomeno della rotazione dei mediatori culturali, che spesso offrono prestazioni limitate nel tempo e in più ambiti, per cui il loro numero può variare molto secondo i periodi, con una conseguente precarietà e mobilità. Nel 75,9% dei casi gli enti attuatori si avvalgono di mediatori “esterni”, con contratti di collaborazione occasionale nel 45,7% dei casi. Tra le funzioni dei mediatori, l’interpretariato e la traduzione occupano il primo posto (26,1%), seguite da “informazione”, “orientamento” e “accompagnamento”. Quindi le competenze principali dei mediatori, secondo gli organismi contattati, convergono su quella “linguistica” (italiano e lingue straniere, rispettivamente 46% e 20%): tuttavia è una risposta che finisce per “oscurare” altre competenze altrettanto importanti, rilevando che i mediatori “sono ancora o spesso impiegati in funzioni elementari, legate all’accesso ai servizi da parte degli stranieri e alla semplificazione dei rapporti degli operatori pubblici con gli utenti stranieri”, fa notare il Cisp. Infatti i servizi impiegano i mediatori nel 44,7% dei casi per esigenze di traduzione linguistica e nel 10,2% per richiedere assistenza nell’espletamento delle proprie funzioni, ma il 24,8% ricorre ai mediatori “per ricevere supporto nella comprensione di atteggiamenti e comportamenti dell’utenza straniera”.


Le condizioni di vita in Italia degli utenti appaiono “abbastanza precarie”: il 39,6% non possiede alcun titolo di studio o soltanto la licenza elementare, il 27,6% ha un diploma di scuola media; nel 34% dei casi si tratta di lavoratori in nero o disoccupati, nel 28,6% di studenti e solamente nel 20,6% di occupati regolarmente. Solo nel 32,8% dei casi si tratta di immigrati da non più di un anno; il 18,6% ha un permesso di soggiorno per lavoro subordinato, mentre il 24,4% è clandestino, senza permesso, richiedente asilo. Ben il 63% “necessita di figure che forniscano assistenza in una prima fase di inserimento, laddove le difficoltà linguistiche e la scarsa conoscenza dell’apparato istituzionale e amministrativo italiano rendono problematico l’accesso e la fruizione dei servizi”, mentre registrano un’incidenza minore (30%) i bisogni connessi a una seconda fase di integrazione.

 

CISP - Comitato internazionale per lo sviluppo dei popoli

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Tel: 06/3215498, Fax: 06/3216163

E-mail:cisp.inf@cisp-ngo.org

responsabile:Maura Viezzoli; addetto alla comunicazione:Anna Rocchi

http://www.cisp-ngo.org 

Il CISP è una ong europea nata nel 1982 e formalmente costituita nel 1983. Ha sede in Italia e opera nel campo della cooperazione internazionale. La sua filosofia e i suoi obiettivi sono sintetizzati nella Dichiarazione di Intenti (Il Cisp intende la cooperazione internazionale non come un mero trasferimento di risorse dai paesi ricchi a quelli poveri, quanto piuttosto come un agente catalizzatore di risorse umane e materiali esistenti nei paesi beneficiari, orientato fondamentalmente alla attivazione di processi locali di sviluppo...) e nel Codice di Condotta per i programmi di cooperazione.

Realizza, in stretta collaborazione con i propri partners locali, programmi di aiuto umanitario, di riabilitazione, di sviluppo e di ricerca sociale e applicata in circa 30 paesi africani, latinoamericani, mediorientali, asiatici e dell’est europeo. In Europa Occidentale realizza programmi di informazione, formazione, educazione allo sviluppo e all’intercultura, lotta al razzismo, lotta contro la povertà, iniziative di politica culturale e di promozione della solidarietà internazionale.
Nella cooperazione allo sviluppo, i settori prioritari sono: sviluppo rurale, sicurezza alimentare (agricoltura, pesca, acquacoltura e allevamento su piccola scala) e lotta alla povertà, salute rurale e urbana, educazione e formazione, gestione delle risorse naturali e ambiente, appoggio ai processi di pacificazione. Il Cisp ha anche svolto vari interventi in favore dei rifugiati, dei rimpatriati e sfollati. Insiema al VIS e al COOPI pubblica il mensile Piroga


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