Indagine
Cisp: è il Terzo Settore (57%) ad attivare servizi di mediazione
culturale in Italia, soprattutto al centro-nord. Censite oltre 700
esperienze
Il Terzo Settore
risulta il protagonista nell’avvio e nello sviluppo dei servizi di
mediazione culturale, seguito di recente dalla volontà di tante
amministrazioni pubbliche locali “di offrire servizi più adeguati agli
utenti extracomunitari”. Infatti nel 57% dei casi è il privato sociale
(associazioni, cooperative, organismi di volontariato e fondazioni)
l’ente attuatore di servizi in tal senso. È uno degli aspetti emersi
dall’indagine sulla mediazione culturale in Italia condotta dal Cisp
(Comitato internazionale per lo sviluppo dei popoli) per conto del
Ministero del Welfare.
La descrizione delle esperienze di mediazione, degli enti erogatori di
tali servizi e della figura del mediatore è stata condotta su un
campione di 248 unità, pari a circa il 35% dell’universo di
riferimento (704). La maggioranza dei servizi di mediazione culturale
è concentrata al Nord (54,1%) e al Centro (30,3%): una distribuzione
territoriale che “rispecchia in larga misura gli insediamenti degli
immigrati in Italia”. Il servizio si svolge prevalentemente in ambito
locale: nel 39% dei casi a livello provinciale/regionale, nel 55,1% a
livello distrettuale, municipale/circoscrizionale e cittadino.
Quindi sono state censite complessivamente dal Cisp 704 esperienze di
mediazione culturale in Italia, “ma il loro numero è di sicuro molto
superiore”, nota il Cisp, precisando che molte esperienze sfuggono
alla rilevazione nazionale “in quanto non esistono centri a livello
nazionale e regionale che raccolgano e sistematizzino dati sui servizi
di mediazione. Inoltre, in molti casi si tratta di “progetti” o di
servizi a termine, per cui al momento della rilevazione possono
risultare cessati o prossimi alla chiusura”. E si assiste anche a “una
vasta gamma di nomenclature che a volte possono rientrare e altre no
nella categoria di mediazione e mediatori: promotori, educatori
interculturali, operatori per stranieri, facilitatori, ecc.”. La
ricerca, quindi, è circoscritta a quei servizi che in maniera
esplicita fanno riferimento al concetto di mediazione culturale,
concepiti sia per facilitare “l’accesso degli stranieri all’esercizio
dei diritti fondamentali sia per la trasformazione della nostra
società, con l’incontro di culture diverse che si mescolano e si
modificano reciprocamente”, secondo quanto afferma l’Organismo
nazionale di coordinamento per le politiche di integrazione sociale
degli stranieri, istituito presso il Cnel.
Ai mediatori culturale viene richiesta dal privato sociale “una
notevole flessibilità”, in quanto sono chiamati in causa nei più
diversi ambienti: scuola, famiglia, servizi del territorio, sistema
ospedaliero, giuridico e penitenziario. Il fatto di operare anche in
settori istituzionali molto diversi “può rafforzare le competenze
trasversali dei mediatori (relative appunto alla mediazione tout
court), ma essi non possono non risentirne in termini di preparazione
poco specifica sui servizi e sugli ambiti istituzionali in cui
operano”, fa notare il Cisp.
Il Terzo Settore si profila quale attore principale della mediazione
anche analizzando il dato relativo agli anni accumulati nel settore
della mediazione: coloro che vantano più di 10 anni di lavoro
provengono nel 77% dei casi dal privato sociale. Abbastanza alta è
però anche la percentuale di amministrazioni pubbliche (23,1%) che
figurano come enti attuatori. Generalmente i servizi sono attivati
attraverso convenzioni tra enti pubblici e soggetti del privato
sociale (118 casi su 178 organismi attuatori).
Mediazione
culturale: ''Il servizio non ha superato il carattere emergenziale''.
Irrisori i servizi in imprese e sindacati; il 34% supporta la prima
accoglienza
La mediazione
culturale non sembra ancora aver superato “il carattere originario di
servizio emergenziale o sperimentale”, anche se il 41,4% degli
organismi dichiara di svolgere attività di mediazione da oltre 5 anni
e il 20,1% da più di 10 anni, finanziata attraverso fondi pubblici
(soprattutto dal Fondo Nazionale per le Politiche Migratorie, previsto
dal Testo Unico 286 del ’98, e dai fondi della legge 285), per lo più
attraverso progetti o iniziative a termine (65,27%), la cui durata
oscilla tra gli 8 e i 15 mesi.
Se è forte la
concentrazione della mediazione culturale in ambito pubblico, risulta
irrisorio il numero di servizi nelle imprese, nei sindacati e nelle
Università (2,4%), “anche se buona parte di queste realtà potrebbe
essere sfuggita alla rilevazione nazionale”. Quindi la mediazione “non
appare ancora pienamente radicata e legittimata nelle istituzioni che
erogano servizi ai cittadini stranieri”. Gli ambiti principali di
intervento riguardano in primo luogo i servizi sociali (35,5% delle
704 esperienze censite) ed educativi/scolastici (33,6%), seguiti da
quelli sanitari (13,5%). Minore incidenza si registra invece
nell’ambito penale/giudiziario (6,4%): nel campo del diritto, anzi,
“il cammino delle pratiche di mediazione presenta in Italia un netto
ritardo rispetto ad altri paesi europei (e ancor più nei confronti
dell’area nordamericana)”, osserva l’indagine. Permangono interi
settori della società e degli spazi di interazione culturale
“sguarniti di servizi di supporto alla comunicazione e
all’integrazione reciproca tra immigrati e comunità di accoglienza,
come ad esempio il mondo del lavoro”. Un riscontro analogo si ha
guardando i dati relativi all’“orientamento al lavoro” (non solo nelle
aziende, ma anche in altri ambiti di intervento), indicato come
principale tipologia di servizio solo nel 5% delle risposte fornite
dagli enti contattati.
Rispetto alle
tipologie di servizio, in primo luogo risulta l’area che va dalla
prima accoglienza degli immigrati e dei richiedenti asilo al sostegno
agli stranieri nel disbrigo di pratiche e all’informazione sui loro
diritti (34,9%); al secondo posto l’area dei minori e della scuola
(26,4%). Bassa è inoltre la percentuale di coloro che segnalano come
tipologia principale il “sostegno agli operatori degli uffici pubblici
per i rapporti con utenti stranieri e/o rom” (9%). Il servizio,
dunque, viene ancora largamente improntato all’accoglienza,
l’informazione e l’orientamento degli stranieri da parte di servizi
pubblici; e alle fasi iniziali e basilari del rapporto tra utenti
stranieri e servizi pubblici: un’impostazione che rispecchia “la
situazione delle politiche immigratorie, ancora fortemente impegnate
sul fronte dell’emergenza, ovvero per garantire l’accoglienza e
l’accesso ai servizi basici da parte della popolazione immigrata”;
oppure “un orientamento delle stesse istituzioni pubbliche, che
ricorrono ai mediatori preferentemente per far fronte a situazioni
problematiche, mentre non reputano necessario avvalersene per i
servizi a carattere più ordinario”.
Tra le principali difficoltà incontrate dagli enti, il reperimento e
gestione dei fondi spicca su tutte le altre possibili opzioni (15,5%),
ma si arriva a più del 60% delle risposte se si somma questa
percentuale a quelle relative al reperimento e gestione di risorse
umane, alla diffidenza degli operatori, al coordinamento organizzativo
degli interventi, al rapporto con altri enti/istituzioni, alla scarsa
valorizzazione e uso improprio dei mediatori da parte
dell'ente/istituzione entro il quale il servizio si attua e alla
scarsa conoscenza del servizio nel territorio. Elementi che rafforzano
la tesi del persistere di una logica “emergenziale” nella gestione
della mediazione culturale.
Si scontrano, dunque, due diverse concezioni della mediazione
culturale: “una ‘ridotta’ all’impiego del mediatore come figura di ‘traduttore’,
più o meno ufficiale, nei diversi contesti di necessità (scuole,
tribunali, ospedali, uffici pubblici, ecc.); una ‘ampia’, che vede
nella mediazione il complesso di pratiche concrete di avvicinamento,
negoziazione e facilitazione dei rapporti tra culture migranti e
residenti”: nel secondo caso si punta a una sorta di ‘standard’ di
formazione, statuto, riconoscimento professionale a tale categoria di
operatori.
ITALIA. Lavoratori soggiornanti
e istanze
di regolarizzazione per lavoro
(dati al 2002) |
Aree
territoriali |
Istanze
regolarizzazione |
Lavoratori
imm. provenienti dai paesi a forte pressione migratoria sogg. al
31/12/2001 |
Incid.
domande regolar. su 100 lav. soggiornanti |
Nord Ovest |
233.943 |
242.016 |
96,7 |
Nord Est |
132.291 |
177.874 |
74,4 |
Centro |
203.852 |
191.451 |
106,5 |
Sud |
111.216 |
64.223 |
173,2 |
Isole |
20.854 |
30.765 |
67,8 |
ITALIA |
702.156 |
706.329 |
99,4 |
Fonte:
Dossier statistico Immigrazione Caritas/Migrantes su dati del
Ministero dell'Interno, 2003
ITALIA. Lavoratori soggiornanti
e istanze
di regolarizzazione per lavoro presso aziende
(dati all'11/11/2002) |
Aree
territoriali |
Istanze
regolarizzazione |
extracomunitari dichiarati all'INPS al 31/12/2001 |
Incid.
domande regolar. su 100 lav. assic. all'INPS |
Nord Ovest |
135.410 |
113.309 |
119,5 |
Nord Est |
73.683 |
162.100 |
45,5 |
Centro |
91.807 |
55.503 |
165,4 |
Sud |
50.929 |
11.928 |
427,0 |
Isole |
9.206 |
7.008 |
131,4 |
ITALIA |
361.035 |
349.848 |
103,2 |
Fonte:
Dossier statistico Immigrazione Caritas/Migrantes su dati del
Ministero dell'Interno, 2003
Mediatori
culturali: maggioritarie le donne (68,4%) italiane. Molti i laureati
IMMIGRAZIONE –
Mediatori culturali: maggioritarie le donne (68,4%) italiane. Molti
laureati, ma il ruolo principale è quello di prima ''interfaccia''
ROMA – Delinea un profilo dei mediatori culturali e dei loro utenti la
ricerca sulla mediazione culturale in Italia condotta dal Cisp lo
scorso anno e commissionata dal Ministero del Welfare. La presenza
femminile è maggioritaria (68,4%) e la nazionalità più rappresentata è
quella italiana (14,9%), a cui seguono Albania, Marocco, Cina e
Romania, mentre tra i Rom compaiono pochissimi mediatori.
Per quanto riguarda i titoli di studio dei mediatori, ben il 44,6%
possiede la laurea e/o il dottorato, appena il 6,3% non ha titoli o
solo la licenza media. La maggioranza (77%) ha seguito corsi di
formazione sulla mediazione culturale (finanziati spesso dal Fondo
Sociale Europeo) e il 75% è convinto di essere in grado “di
rappresentare allo stesso tempo l'istituzione pubblica e gli utenti”.
Tuttavia, nonostante le loro competenze, i mediatori “fungono
generalmente da primissima ‘interfaccia’ tra istituzione ed utenti
stranieri, molto spesso come interpreti-traduttori”. A questo
proposito la ricerca rileva che tra i mediatori “serpeggia un diffuso
malessere, anche perché il loro status giuridico, professionale e
retributivo non è stato ancora definito adeguatamente, nonostante il
meritorio sforzo di tante istituzioni pubbliche e del privato
sociale”: se il 43,8% degli enti mediatori dichiara la soddisfazione
dei mediatori, nel 56,2% dei casi sono solo in parte soddisfatti o non
lo sono affatto. E non esistono ancora “standard di qualità sia nel
campo della formazione dei mediatori sia sul piano dell’erogazione dei
servizi di mediazione nei differenti settori di intervento in cui essa
si è diffusa”, precisa il Cisp, osservando che la “scarsa
valorizzazione delle potenzialità di impiego della figura del
mediatore” cammina di pari passo con una certa “tendenza alla
deresponsabilizzazione delle istituzioni”, che in qualche modo
delegano al mediatore “la gestione dei rapporti con gli utenti
stranieri”.
Viene anche evidenziato il fenomeno della rotazione dei mediatori
culturali, che spesso offrono prestazioni limitate nel tempo e in più
ambiti, per cui il loro numero può variare molto secondo i periodi,
con una conseguente precarietà e mobilità. Nel 75,9% dei casi gli enti
attuatori si avvalgono di mediatori “esterni”, con contratti di
collaborazione occasionale nel 45,7% dei casi. Tra le funzioni dei
mediatori, l’interpretariato e la traduzione occupano il primo posto
(26,1%), seguite da “informazione”, “orientamento” e
“accompagnamento”. Quindi le competenze principali dei mediatori,
secondo gli organismi contattati, convergono su quella “linguistica”
(italiano e lingue straniere, rispettivamente 46% e 20%): tuttavia è
una risposta che finisce per “oscurare” altre competenze altrettanto
importanti, rilevando che i mediatori “sono ancora o spesso impiegati
in funzioni elementari, legate all’accesso ai servizi da parte degli
stranieri e alla semplificazione dei rapporti degli operatori pubblici
con gli utenti stranieri”, fa notare il Cisp. Infatti i servizi
impiegano i mediatori nel 44,7% dei casi per esigenze di traduzione
linguistica e nel 10,2% per richiedere assistenza nell’espletamento
delle proprie funzioni, ma il 24,8% ricorre ai mediatori “per ricevere
supporto nella comprensione di atteggiamenti e comportamenti
dell’utenza straniera”.
Le condizioni di vita in Italia degli utenti appaiono “abbastanza
precarie”: il 39,6% non possiede alcun titolo di studio o soltanto la
licenza elementare, il 27,6% ha un diploma di scuola media; nel 34%
dei casi si tratta di lavoratori in nero o disoccupati, nel 28,6% di
studenti e solamente nel 20,6% di occupati regolarmente. Solo nel
32,8% dei casi si tratta di immigrati da non più di un anno; il 18,6%
ha un permesso di soggiorno per lavoro subordinato, mentre il 24,4% è
clandestino, senza permesso, richiedente asilo. Ben il 63% “necessita
di figure che forniscano assistenza in una prima fase di inserimento,
laddove le difficoltà linguistiche e la scarsa conoscenza
dell’apparato istituzionale e amministrativo italiano rendono
problematico l’accesso e la fruizione dei servizi”, mentre registrano
un’incidenza minore (30%) i bisogni connessi a una seconda fase di
integrazione.
CISP - Comitato
internazionale per lo sviluppo dei popoli
Indirizzo:Via
Germanico, 198 - 00192 - Roma (RM)
Tel:
06/3215498, Fax: 06/3216163
E-mail:cisp.inf@cisp-ngo.org
responsabile:Maura
Viezzoli; addetto alla comunicazione:Anna Rocchi
http://www.cisp-ngo.org
Il CISP è una
ong europea nata nel 1982 e formalmente costituita nel 1983. Ha sede
in Italia e opera nel campo della cooperazione internazionale. La sua
filosofia e i suoi obiettivi sono sintetizzati nella Dichiarazione di
Intenti (Il Cisp intende la cooperazione internazionale non come un
mero trasferimento di risorse dai paesi ricchi a quelli poveri, quanto
piuttosto come un agente catalizzatore di risorse umane e materiali
esistenti nei paesi beneficiari, orientato fondamentalmente alla
attivazione di processi locali di sviluppo...) e nel Codice di
Condotta per i programmi di cooperazione.
Realizza, in
stretta collaborazione con i propri partners locali, programmi di
aiuto umanitario, di riabilitazione, di sviluppo e di ricerca sociale
e applicata in circa 30 paesi africani, latinoamericani,
mediorientali, asiatici e dell’est europeo. In Europa Occidentale
realizza programmi di informazione, formazione, educazione allo
sviluppo e all’intercultura, lotta al razzismo, lotta contro la
povertà, iniziative di politica culturale e di promozione della
solidarietà internazionale.
Nella cooperazione allo sviluppo, i settori prioritari sono: sviluppo
rurale, sicurezza alimentare (agricoltura, pesca, acquacoltura e
allevamento su piccola scala) e lotta alla povertà, salute rurale e
urbana, educazione e formazione, gestione delle risorse naturali e
ambiente, appoggio ai processi di pacificazione. Il Cisp ha anche
svolto vari interventi in favore dei rifugiati, dei rimpatriati e
sfollati. Insiema al VIS e al COOPI pubblica il mensile Piroga