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Memoria di Luciano Tavazza
18 aprile 2010
Carissimo Luciano,
Siamo venuti a trovarti dopo 10 anni che ci hai lasciato.
Sembra ieri quando ti abbiamo salutato in san Giovanni nella grande
celebrazione del commiato. La stima e l'affetto che tu godevi hanno
raccolto in quella chiesa un numero grandissimo di amici, di estimatori
e di volontari. Salutavano l'amico, il volontario, il credente, il laico
maturo aperto al dialogo e al contempo radicato nella fede cristiana. Il
laicismo ed il clericalismo tendono a separare nella vita del cristiano
la dimensione ecclesiale da quella mondana. In te, Luciano le due
dimensioni, pur distinte ed inconfondibili, erano invece ricondotte ad
unità nella coscienza e nell'azione di laico maturo e consapevole che il
tuo carisma ecclesiale e il tuo ruolo nel mondo sono l'espressione di un
unico principio. L'unità nella distinzione fu per te, Luciano, è stato
il criterio che ti ha permesso un recupero di efficacia apostolica ma
anche il perno di una proposta educativa e politica attorno a cui
costruire nello stesso tempo l'uomo ed il cristiano.
Siamo i componenti del nuovo Comitato Nazionale del MoVI, recentemente
eletti. Siamo venuti con un po’ di tremore, perché abbiamo accolto la
fiaccola che tu hai acceso ancora nel 1978, che è questa esperienza
originale del MoVI. Ci rendiamo ben conto che si tratta di una sfida
importante e difficile da continuare a fronte dei cambiamenti epocali
intervenuti nella nostra società. Non ci ha spinto solo il bisogno di
rendere sempre più vivo il tuo ricordo e la tua intuizione, di dare
organicità alla grande forza della solidarietà in Italia. Ci serve,
questo essere qui a ricordarti, per ricominciare a ricercare anche noi
la sapienza del cuore.
Ricominciare dalla sapienza del cuore
Alla domanda da dove ricominciare, in tempi di emergenza, dentro questo
bisogno avvertito e sofferto di aria nuova, la parola di Dio sembra
indicare la strada preziosa della sapienza del cuore, che ci faccia
sfuggire al fascino triste dell'idolatria e della maschere vuote e sia
per noi acqua chiara e dolce, in cui lavare i nostri occhi. Oggi ce li
sentiamo sporcati. Tutti, chi più e chi meno, ce li sentiamo sporcati.
Se la sapienza di Dio laverà i nostri occhi, se le beatitudini del monte
torneranno a illimpidirli, scopriremo tracce e fessure di speranza là
dove i nostri occhi, ammaliati e sedotti dai miti mondani, non sarebbero
mai andati a scovarli. Li scopriremo in basso, nelle vene più quotidiane
della storia, perché proprio tra i piccoli, per uno dei sorprendenti
dirottamenti di Dio, ha cercato rifugio La speranza. Lì, in basso, dove
solitamente non guardiamo, accade un germogliare tenero e silenzioso.
Noi purtroppo troppe volte guardiamo altrove.
Può capitare dunque di avere occhi e non vedere, dì avere orecchi e non
ascoltare, di essere sedotti solo dal luccichio delle grandezze mondane,
di avere un cuore che non sa meditare. «Donaci, Signore, la saggezza del
cuore». E la saggezza del cuore non ci fa ricercare i segni di speranza
in alto, ma in basso.
I segni di speranza
Se la salvezza comincia dal basso, sarebbe stoltezza intestardirci a
cercare segni dì speranza in alto. Sarebbe, ancora una volta,
«confidare» — dice la Bibbia - «nei carri e nei cavalieri». Mentre noi -
dice la Bibbia — «invochiamo il nome del Signore, nostro Dio» (Sai
20,8). In chi confidare? Nella corazza e nelle vanterie di Golia o nelle
poche pietruzze del torrente nelle mani di un Davide disarmato?
I segni della speranza sono in basso, segni spesso piccoli, ma teneri,
tenaci, come germogli. Lontani dal clamore, ma vivi nei solchi oscuri
della storia, nei territori dove ogni giorno, come volontari, ci
sporchiamo le mani. Segno di speranza la Parola di Dio che ci illumina e
il Pane che ci ha nutrito, i fratelli e le sorelle
con cui abbiamo camminato. Segno di speranza
questo disagio patito, nel più profondo del cuore, da una moltitudine
numerosa di credenti, nei confronti di una chiesa che, nella sua
immagine prevalente, non rare volte appare più preoccupata dì sé che del
suo Signore e del suo vangelo, più preoccupata dei suoi cenacoli che non
delle strade su cui farsi compagna di viaggio delle donne e degli uomini
del nostro tempo.
Segno di speranza donne e uomini comuni, gruppi senza nome, nonostante
tutto, mettono in gioco la loro fede e la loro responsabilità a servizio
dì un piccolo seme che cresce nel silenzio e nell'invisibilità della
terra e che sì chiama «regno di Dio». Segno di speranza ogni volta che
incroci il loro volto. Segno di speranza sono gli occhi luminosi dei
nostri bambini e quelli sereni dei nostri anziani. Sono Le creature che
tu ami, gli amici che ti sono fedeli. Segno di speranza le donne e gli
uomini in ricerca, lontani da intrighi e compromessi, le donne e gli
uomini del gratuito e del volontariato in una società dove tutto si
compera e si vende, dove, se ci si muove, è per un tornaconto, loro
liberi da calcoli e da secondi fini, Loro, testardi nel riunire, nel
«mettere insieme» in una società che vorrebbe contrapporre e dividere.
Segno di speranza le case e i luoghi educativi dove sì generano e si
educano donne e uomini resistenti, critici e solidali. Là dove si
persiste a insegnare che l'onestà è ancora una virtù, che la giustizia è
ancora una virtù, che il rispetto è ancora una virtù. E non nel senso
del peso che ti affatica, ma della bellezza, tua e dell'umanità, della
bellezza che rende luminosi i volti. Onestà, giustizia, rispetto che
vanno onorati. Ci rendono belli. E luminosi. Rendono bella una terra. Là
dove ancora si insegna che veramente grande e bello e beato è chi
resiste all'involgarimento. E resisti perché tu della dignità hai una
idea diversa, così come hai un' idea diversa dell'altro, che sia
italiano o marocchino. Della donna hai un'idea diversa, che sia italiana
o slava o africana. Del corpo hai un'idea diversa, che sia di un uomo o
di una donna. Del denaro e del lavoro, della società e della terra, del
tuo popolo e degli altri popoli, della vita, hai un'idea diversa. E non
la baratti. E non la cambi secondo che l'aria dei sondaggi spinga in un
senso o nell'altro. Non la cambi. Perché tu il sondaggio lo fai nella
coscienza. E a condurti è questa voce che ti parla dentro. A condurti,
se sei un credente, è la parola del tuo Dio. Che non può benedire
menzogna e falsità, corruzione e vanità. Perché tu hai un'altra immagine
di umanità e hai, se credi, un'altra immagine di Dio. Che non muta al
mutare dei sondaggi.
Uno sguardo positivo
A ridare fiducia al nostro cammino c'è la percezione di un sommerso che
non appare, dove Dio è al lavoro. C'è bisogno di questo sguardo di Dio,
positivo, che crede in una forza divina che abita le piccole cose, che
abita il piccolo seme dì senapa, che abita il piccolo grumo di lievito.
C'è bisogno di questo sguardo positivo di Dio che sa dare tempo alle
crescite dello spirito e della terra. Forse dovremmo ricordare più
spesso a noi stessi che a dare forza al bene, in noi e nel mondo, non
sarà mai uno sguardo che incenerisce, quello è solo distruttivo, ma uno
sguardo positivo e incoraggiante che sa incantarsi oggi ai piccoli
germogli. A volte per eccesso di distrazione e pessimismo non li
vediamo. Vengono allora a noi le parole custodite nel rotolo di Isaia:
«Ma voi non avete occhi se non per i tempi gloriosi del passato, per i
tempi dell'esodo, quando aprivo un sentiero in mezzo alle acque
possenti. Ma non vi accorgete dì quello che oggi — "oggi!" - sto
facendo?» Rimprovero che ci tocca nella carne. Ed ecco l'invito, da
ascoltare, penso sia urgente: «Non ricordate più le cose passate, non
pensate più alle cose antiche! Ecco io faccio una cosa nuova: proprio
ora germoglia, non vi accorgete?" (Is 43,18-19). Non vi accorgete? Dove
avete gli occhi?
Avere da un lato occhi all'azione di Dio nella storia e dall'altro fare
la nostra piccola parte, dare il nostro contributo, il contributo, in
tempi di abbruttimento, a «salvare un piccolo pezzo di Dio in noi e a
disseppellirlo nei cuori devastati» può diventare in sentiero da
intraprendere.
Questo hai fatto tu nella vita Luciano, questo vorremmo continuare a
fare sul tuo esempio.
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