MINORI
Dalle
associazioni le linee guida per la riforma della giustizia.
''Agire
nel superiore interesse del minore''
Un "decalogo" per difendere "il superiore
interesse del minore”. Sono state presentate stamattina, durante
una conferenza stampa alla Sala stampa estera, le Linee Guida per la
riforma della giustizia minorile tracciate dalle principali
associazioni italiane che operano per la tutela dei diritti dei
bambini e degli adolescenti. Tra gli aderenti e i primi firmatari
delle Linee guida – che hanno chiesto di essere ricevute in
audizione dalle Commissioni Giustizia di Camera e Senato e dalla
Commissione parlamentare per l’infanzia -, Aibi, Ainram, Alisei,
Amnesty international (sezione italiana), Anfaa, Anpas, Arciragazzi,
Arché, Associazione famiglia dovuta, Ciai, Caritas italiana, Cica
Comunità di Capodarco, Cies, Cnca, La Gabbianella, Ecpat Italia,
Pidida, Terre des hommes Italia, Save the children Italia, Telefono
azzurro, Terra nuova centro per in volontariato, Unicef Italia e
Vis.
“Non è pensabile una riforma della giustizia minorile a costo
zero”, ha esordito Roberto Salvan, responsabile di Unicef Italia,
auspicando che il bambino “sia messo al primo posto nelle
politiche sociali del nostro paese”. Il punto di partenza della
riforma, quindi, “dovrebbe essere la Convenzione internazionale
dei diritti dell’infanzia”, ha osservato Salvan, aggiungendo:
“Se in Francia sembra che l’unica soluzione alla criminalità
minorile sia portare i ragazzi in carcere a 13 anni, vogliamo
impegnarci perché in Italia si imbocchi una strada diversa”.
Concorde Pippo Costella di Save the children, che ha ravvisato nei
ddl Castelli “il rischio di recessione su un tema in cui la
legislazione italiana è pionieristica e all’avanguardia”, cioè
nella “logica che comprende il minore in tutti i suoi aspetti, non
solo quello giuridico”. Costella teme che il regresso riguardi
anche i diritti e “il superiore interesse del minore”, mentre il
documento presentato oggi dà spazio “non solo alla vulnerabilità
dei bambini, ma anche alla loro competenza e alla partecipazione
attiva, perché si concepisce l’infanzia come risorsa sociale”.
Anche secondo Paolo Raspanti dell’Anfaa (Associazione nazionale
famiglie adottive e affidatarie), occorrono “giudici specializzati
ed esclusivi, che si occupino solo dei minori, altrimenti i bambini
diventerebbero l’ultima ruota del carro, come spesso succede”.
Vanno potenziati il rapporto dei Tribunali dei minorenni con i
servizi sociali del territorio, insieme alle strategie di
prevenzione.
La validità della giustizia minorile vigente è stata
confermata da Grazia Curalli, del Cies: “In Angola – ha
raccontato - stanno adottando il sistema di giustizia minorile
italiano: non torniamo indietro, il nostro modello va solo
migliorato”. Gli angolani hanno chiesto che l’esperienza
italiana fosse alla base della loro riforma nazionale della
giustizia minorile, che prevede una parte istituzionale (formazione
professionale di giudici e avvocati) e un’altra basata su
prevenzione e recupero dei minori, curata dal Cies. “Spesso in
Africa i bambini vengono giudicati da tribunali ordinari e vanno in
carcere con gli adulti – ha riferito Curalli -. L’Angola prevede
di costituire ‘case di detenzione’, che non vuole definire
carceri, per reinserire i ragazzi nella società”. Le “Linee
guida” stilate dalle associazioni riflettono sia le direttive
internazionali tracciate dalla Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia
e da altri strumenti di diritto internazionale, sia l’esperienza
decennale di lavoro concreto delle associazioni; sono scaturite da
una riflessione avviata oltre due mesi fa. Il gruppo di lavoro,
formato dalle associazioni, ha esaminato le varie proposte di
riforma della giustizia minorile avanzate in questi anni, in Italia
e in altri paesi europei, in particolare il testo di riforma
approntato dal Governo e attualmente all’esame del Parlamento,
confrontandosi anche con le posizioni espresse dai giudici minorili,
dagli avvocati di famiglia e da vari esperti (tra i quali Luigi
Citarella, Federico Palomba, Marina Marino, Lino Rossi) nel campo
dei diritti dei minori
Il
''decalogo'' presentato dalle associazioni
1) Il minore parte di un giudizio civile o penale deve essere sempre
riconosciuto quale portatore di diritti e quindi in tutte le
decisioni dei Tribunali, delle autorità amministrative e degli
organi legislativi che lo riguardano, deve essere tenuto in
preminente considerazione il suo superiore interesse (art. 3 della
Convenzione ONU). Occorre pertanto compiere ogni sforzo per adottare
un corpo di leggi e di provvedimenti per i giovani, anche quali
autori di reati, che rispondano alle loro esigenze di soggetti in
crescita (art.2 Regole di Pechino) e alle loro prospettive di
maturazione.
2) In una riforma della giustizia minorile civile e penale,
che preveda una nuova definizione delle norme procedurali e della
organizzazione attraverso appropriati interventi legislativi,
adeguatamente finanziati (non è possibile questa riforma a costo
zero), si invita il Legislatore ad operare nel medio termine, ove e
per quanto possibile, l’accorpamento di tutte le competenze in
materia di minori, mantenendole in capo ad una unica istituzione
giudiziaria specializzata. I soggetti preposti alla giustizia
minorile devono avere una preparazione di tipo specialistico nel
diritto in generale, nel diritto di famiglia e nel campo delle
scienze umane e sociali, sulla base di precise regole per la
selezione, la nomina e la formazione professionale. Questo principio
della specializzazione adeguata degli organi della giustizia
minorile, deve essere attuato, rendendo anche obbligatoria, in
particolare per i giudici e gli avvocati, la frequenza di appositi
corsi professionali.Tale principio di specializzazione esige inoltre
che ai giudici per i minori non siano attribuite competenze
ulteriori e diverse rispetto a quelle che riguardano la materia
minorile e familiare.
3) Ogni processo che riguardi un minore deve essere svolto
dinanzi a un giudice o collegio giudicante, competente, indipendente
e imparziale. I Tribunali per i minorenni o per la famiglia o le
sezioni specializzate dei tribunali ordinari devono avere una
presenza capillare sul territorio nazionale, così da garantire un
facile accesso al servizio giustizia, consentire ai giudici un
rapporto più proficuo con i servizi locali e una maggiore vicinanza
ai contesti sociali territoriali.
4) Tutte le procedure del processo minorile civile e penale
devono tendere a proteggere al meglio gli interessi del minore e
devono permettere la sua partecipazione e la sua libera espressione,
come indicato dall’art. 14 delle Regole di Pechino, art. 9 e art.
37.d della Convenzione ONU. Pertanto il processo minorile si deve
basare sull’applicazione della regola del contraddittorio, in modo
tale da assicurare a tutte le parti interessate di partecipare al
processo e di fare conoscere le proprie opinioni (art.9.2 della
Convenzione ONU) di fronte a un giudice terzo e imparziale (art.111
della Costituzione).
5) Il minore, nei procedimenti giudiziari penali che lo
riguardano, ha diritto a essere ascoltato e assistito da un proprio
avvocato, che abbia le adeguate competenze per tutelare il suo
superiore interesse.Parimenti nei procedimenti giudiziari civili che
lo riguardano, ha diritto ad essere ascoltato, ad essere
rappresentato dai propri genitori o da un legale rappresentante, e
in caso di conflitti d’interesse con questi ultimi da un curatore
speciale, nonché ha diritto di accedere ad una assistenza di natura
psico-sociale e legale al fine di tutelare il suo superiore
interesse.
6) Una riforma della giustizia minorile per essere adeguata
non può prescindere dallo stabilire regole che disciplinino e
garantiscano l’ascolto del minore soggetto a procedimenti civili o
penali, in ottemperanza alla Convenzione ONU (art.12.) che
sottolinea come “il minore capace di discernimento debba avere il
diritto di esprimersi liberamente su ogni questione che lo interessa……e
la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o
amministrativa che lo concerne” (art.12.2). Tali regole, nel
disciplinare e garantire l’ascolto, devono anche assicurare al
minore un’adeguata protezione psicologica e morale per tutta la
durata dei procedimenti civili e penali che lo riguardano. Pertanto
le audizioni del minore, il cui contenuto richieda una particolare
attenzione e riservatezza, debbono essere svolte in modo protetto,
onde evitare che la contemporanea presenza di tutte le parti in
causa, possa turbare il minore o possa compromettere la genuinità
delle sue dichiarazioni, nel rispetto di tempi celeri e modalità
garantiste.
7) Nel processo penale le competenze del giudice o del
collegio giudicante necessitano in particolar modo di un supporto
interdisciplinare, quindi si ritiene importante la presenza della
componente privata specializzata, affinché i provvedimenti adottati
siano proporzionati alle circostanze e alla gravità del reato, alla
situazione del minore e alla sua tutela (art.17.d Regole di
Pechino).
Per quanto concerne la presenza della componente privata
anche nei collegi giudicanti civili, si invita il Legislatore a
valutare con la massima attenzione le diverse indicazioni avanzate a
tale proposito dalle ONG e associazioni impegnate da anni nelle
tutela dei diritti dei minori, dalle categorie professionali
operanti all’interno del sistema della giustizia minorile, dalle
sedi scientifiche, dal Forum permanente del Terzo Settore e dall’Osservatorio
nazionale per l’infanzia (il quale sta redigendo il III Piano
Nazionale di azione di interventi per la tutela dei diritti e lo
sviluppo dei soggetti in età evolutiva 2002-2003 – L.451/1997),
perché solo dall’analisi accurata, in tutte le sue angolazioni,
dell’attuale sistema della giustizia minorile, si può delineare
una sua riforma che non si limiti a cancellare il passato, ma che
crei un sistema sempre più tutelante degli interessi e dei diritti
del minore. Nei procedimenti riguardanti un minore, nei casi in cui
il giudice o il collegio giudicante ritenga opportuno il contributo
interdisciplinare di specialisti, il consulente tecnico di volta in
volta nominato, deve avere particolari competenze nelle scienze del
comportamento ed in ambito forense.
8) Le istituzioni giudiziarie che si occupano di minori
devono poter contare sulla collaborazione dei servizi
socio-assistenziale e sanitari territoriali: tale collaborazione
deve essere continuativa, anche sulla base di precisi protocolli d’intesa
ed i servizi devono essere adeguatamente specializzati in materia
minorile. Per quanto riguarda la competenza penale, si invita il
Legislatore a regolare i rapporti tra i servizi del Ministero della
Giustizia e i servizi locali affinché si realizzi un’efficace
collaborazione sinergica.
9) La condanna del minore a pene detentive deve costituire un
provvedimento di ultima risorsa (art. 37.b della Convenzione ONU), e
deve essere limitata al minimo indispensabile (art. 17.b Regole di
Pechino), in quanto la pena deve svolgere la funzione di recupero
del minore per il suo reinserimento nella società civile (art. 39
della Convenzione), oltre che la funzione di riparazione per il
reato commesso. Il minore sia italiano che straniero, compreso
quello che entra negli Istituti penali Minorili, deve pertanto
potere usufruire di forme alternative alla detenzione (art. 18
Regole di Pechino), tra le quali la messa alla prova e ove possibile
la mediazione penale, senza limitazioni per fattispecie di reato o
per durata minima di espiazione della pena in caso di liberazione
condizionale. In campo penale non sono giustificabili modifiche alle
diminuenti e alle attenuanti per i minori di età compresa tra i
sedici e i diciotto anni. Come non appare giustificato, nel caso che
la pena a carico del minore possa essere completamente espiata entro
il 22° anno di età, il passaggio, al compimento dei 18 anni, al
carcere degli adulti; al contrario si deve privilegiare il
trattamento del giovane adulto in appositi istituti fino all’espletamento
della pena, al fine di portare a compimento i programmi di recupero
per lui previsti (Regole di Pechino art. 3.3.).
La riforma della giustizia in campo penale deve essere
conforme ai principi e alle norme della Convenzione ONU e in
particolare all’art.40 della stessa Convenzione.
10) Una riforma della giustizia minorile non può
prescindere, come da tempo richiesto dalla Corte Costituzionale,
dalla delineazione di uno specifico ordinamento penitenziario per i
minorenni condannati a pene detentive. Tali norme sull’ordinamento
penitenziario minorile, oltre regolare l’esecuzione delle pene per
i minorenni, devono assicurare l’attuazione di quanto sancito
nella Convenzione ONU e in particolare che “ogni minore privato
della libertà sia sempre separato dagli adulti” (art.37.c)
Giustizia
minorile: monito della Corte di Strasburgo
La vicenda qui raccontata, che ha richiesto il
pronunciamento della Corte di Strasburgo, è forse un caso limite.
Le accuse rivolte in questo caso specifico alle autorità italiane
costituiscono però un monito generale ai Tribunali per i minorenni
a prendere coscienza dell’importanza dell’applicazione
dell''art. 8 della Convenzione nelle questioni di affido di minori.
La condanna dello Stato italiano è stata particolarmente severa e
ha riguardato l'operato dei servizi sociali, ma soprattutto la
mancanza di vigilanza da parte del Tribunale per i minorenni
sull'azione di quest'ultimi.
Vedi
testo completo in formato pdf.
Giustizia
minorile: cosa cambia con il nuovo ddlGiudici onorari
Vengono ridotti da due a uno (art. 1, 2 e 3). Il ddl infatti mira a
far prevalere il profilo giurisdizionale dell''organo giudicante,
pur non privandolo del supporto di specialisti di carattere sociale,
tradizionalmente assicurato attraverso la partecipazione dei
componenti privati dei Tribunali per i minorenni. La riduzione
comunque fa si che la maggioranza rispecchi una specializzazione di
carattere giuridico.
Imputabilità
Si introduce un diverso regime sansonatorio per i soggetti
compresi tra i 16 e i 18 anni, per i quali la pena può essere
ridotta solo fino ad un quarto. Rimane inalterata invece la
riduzione di un terzo per i minori di 16 anni (art. 4). La
motivazione di fondo risiede nella convinzione che i fenomeni di
devianza che suscitano maggiore allarme hanno più spesso
interessato proprio questo fascia d''età.
Misure cautelari
Gli articoli 7, 8, 9 e 10 ridefiniscono il sistema delle misure
cautelari riducendo i margini di discrezionalità del giudice,
aumentando la durata dei termini della custodia cautelare e
distinguendo secondo fasce di età e distinti livelli di devianza.
Si introduce l'ipotesi del pericolo di fuga, anche in considerazione
della "condotta di vita dell'imputato”, come ulteriore
criterio per definire i provvedimenti di adozione di misure
cautelari restrittive, stabilendo un parallelismo con quanto prevede
il codice di procedura penale per i maggiorenni. Viene inoltre
indicato un elenco di delitti ritenuti “di particolare allarme
sociale” rispetto a cui viene determinata l’adozione delle
misure cautelari. Tra questi anche la “resistenza aggravata”.
Messa alla prova
Il ddl conferma l''istituto della sospensione del processo e della
messa alla prova ma stabilendo che la durata della sospensione del
processo non sia superiore a tre anni, modalità oggi prevista solo
per i reati di maggiore gravità. La sospensione del processo e la
messa alla prova sono escluse per i delitti di omicidio volontario,
consumato o tentato.
Compimento della maggiore età
Al compimento del diciottesimo anno di età il giudice competente
può disporre anche di ufficio, tenuto conto della personalità
dell'imputato o del condannato, delle esigenze del trattamento e
della durata della pena o del residuo di pena, che la misura della
custodia cautelare in carcere o la pena detentiva siano eseguite
negli istituti per adulti.