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Vivere fuori della famiglia In una situazione di profondo disagio sono anche i bambini costretti a vivere fuori della propria famiglia. Gravi carenze psicologiche e pedagogiche dei genitori, malattie mentali di essi o gravi irregolarità della condotta, difficoltà abitative ed economiche della famiglia, disfunzioni relazionali familiari impongono l'allontanamento del bambino dal suo originario e carente ambiente di vita e la sua collocazione in una struttura assistenziale educativa o in una famiglia sostitutiva. Ed anche dissoluzione del nucleo familiare provoca spesso l'allontanamento del minore dal suo nucleo familiare: quasi il 50% dei bambini ricoverati in strutture residenziali o dati in affidamento familiare hanno alle spalle una famiglia separata o divorziata o una famiglia monoparentale all'origine o a seguito di morte del partner. I bambini coinvolti in questa situazione non sono numericamente molti: dalle ultime ricerche condotte dal Centro nazionale di documentazione e analisi sulla condizione dell'infanzia emerge che al 30 giugno 1998 i bambini e adolescenti ricoverati nelle 1.802 strutture residenziali erano 14.945 unità mentre al 30 giugno 1999 i minori in affidamento familiare erano 10.200. Nel complesso una percentuale pari a circa il 2'5 per mille ed assai ridotta rispetto a qualche anno precedente: nel 1960 i bambini ricoverati in Istituto erano 249.352 mentre ancora nel 1987 erano 47.692. Tab. 1 - Strutture residenziali educativo-assistenziali e minori presenti al 30.6.98 secondo le regioni.
Fonte: Centro nazionale di documentazione ed analisi per l'infanzia e l'adolescenza Il dato perciò sarebbe confortante: vi è solo da domandarsi se sono queste tutte le situazioni in cui il bambino vive negativamente la sua esperienza familiare o se le non sufficienti risorse, sia in termini di strutture che in termini di famiglie sostitutive, non abbandoni ancora molti bambini in ambienti familiari del tutto insufficienti. Comunque è da rilevare che la ricerca dimostra come sia soltanto rituale l'affermazione che l'allontanamento dalla famiglia è temporaneo e funzionale solo ad un effettivo recupero della relazione genitoriale insufficiente: emerge dalla ricerca che non rientrano mai in famiglia il 33% dei ricoverati in strutture residenziali e il 62,6% dei ragazzi in affidamento familiare, che rispettivamente il 7% e il 5,8% rientrano in famiglia solo una volta ogni sei mesi o ancor più raramente; che il 21,5% dei ricoverati in strutture residenziali ed il 21,4% dei ragazzi in affidamento familiare non ricevono mai una visita dei propri genitori; che nelle strutture residenziali il 25% dei ricoverati era nella stessa struttura da più di tre anni (e l'11% da oltre cinque anni); che tra i minori in affidamento familiare il 49% era in affido da oltre tre anni (e il 31% da oltre cinque anni). Tab. 2 - Strutture residenziali educativo-assistenziali secondo la presenza di minori (al 30.6.1998)
Fonte: Centro nazionale di documentazione ed analisi per l'infanzia e l'adolescenza Tab. 3 - Minori presenti al 30.6.98 in strutture residenziali distinti per nazionalità (val.%)
Fonte: Centro nazionale di documentazione ed analisi per l'infanzia e l'adolescenza Ci sono certamente molti casi in cui il recupero avviene ed il ricongiungimento familiare diviene non solo un obiettivo da perseguire ma anche un risultato confortante: ma è anche vero che forse occorre un ripensamento delle politiche da sviluppare nei confronti dei ragazzi con gravi difficoltà familiari ripensando all'intera esperienza degli affidamenti familiari e non eludendo più il tema degli affidi a lungo termine che spesso si protraggono fino al raggiungimento della maggiore età (e non infrequentemente oltre). Questo anche alla luce di un altro eloquente dato: dei 10.200 minori in affidamento familiare ben 5.280 - pari al 52% - erano affidati a parenti (per lo più vecchi nonni non infrequentemente causa delle difficoltà dei genitori degli affidati) mentre il vero, autentico, affidamento extrafamiliare a persone selezionate e preparate riguarda solo 4.668 minori (ed è significativo che, comunque, di questi il 25% era in affidamento da oltre sei anni). Tav. 4 - Affidamenti familiari per tipologia
Fonte: Centro nazionale di documentazione ed analisi per l'infanzia e l'adolescenza _________________________________ Alfredo Carlo Moro L'opportunità di contrarre drasticamente il numero dei minori ricoverati nelle strutture educativo assistenziali è stato, ed è tuttora, un tema centrale non solo per il dibattito culturale e socio-assistenziale, ma anche per l'impegno politico delle amministrazioni centrali e locali. La nuova attenzione sviluppatasi negli ultimi decenni - nei confronti dei problemi di sviluppo della personalità del soggetto in formazione e delle sue esigenze e bisogni; la constatazione - sul piano scientifico, ma anche nell'esperienza comune - dei vistosi effetti negativi sullo sviluppo della personalità delle lunghe permanenze nelle istituzioni assistenziali; la rinnovata scoperta di come e quanto l'ambiente familiare sia indispensabile perché il minore possa realizzare una crescita armoniosa di personalità; il riconoscimento che il minore non è solo un oggetto per il diritto ma è anche un soggetto portatore di diritti che devono essere rispettati e attuati, primo fra tutti il diritto all'educazione e quindi il diritto ad avere tutti gli apporti che gli sono indispensabili per costruirsi un'adeguata identità personale e sociale; tutto ciò ha da tempo stimolato la ricerca di nuovi strumenti ñ anche giuridici per ridurre il notevolissimo numero di bambini che crescono fuori da un valido ambiente familiare. Il legislatore nazionale già con la legge sull'adozione legittimante del 1967 aveva lanciato un forte segnale di innovazione in questo campo: non solo assicurando una nuova famiglia a chi ne era assolutamente privo e in situazione di completo abbandono, ma anche facendo comprendere che la famiglia non può delegare ad altri le proprie funzioni nei confronti dei figli e che essa deve essere fortemente responsabilizzata sul piano educativo ed affettivo. Ma il messaggio non fu diretto solo alle famiglie: esso fu opportunamente inviato con estrema chiarezza, e recepito, anche agli amministratori locali ed agli operatori dell'assistenza perché mutassero totalmente l'ottica su cui si radicava la politica assistenziale, fino ad allora assai proclive a ricorrere con estrema facilità alla scorciatoia del ricovero in istituto anche di fronte a difficoltà familiari (abitative, economiche, sanitarie, pedagogiche) che potevano essere superate con un'adeguata azione di sostegno al nucleo familiare con problemi. Già la legge del 1967, ma ancora di più la legge del 1983, aveva sottolineato come l'intervento sociale dovesse essere rivolto in via prioritaria al sostegno e all'aiuto della famiglia di origine perché fosse messa nella condizione di superare le sue difficoltà mantenendo nel suo seno il ragazzo: non è infatti coerente esaltare la famiglia come il più idoneo strumento di formazione della personalità del minore - e riconoscere il diritto primario del minore a rimanere nella sua famiglia - e poi, con gran facilità, espropriare alla famiglia la sua funzione e confiscare il diritto del bambino a rimanere presso i suoi genitori. Bisogna riconoscere che, se l'affidamento familiare è una soluzione migliore della istituzionalizzazione, sarebbe comunque meglio mantenere il bambino nella sua famiglia sostenendo adeguatamente sia lui che il suo nucleo poiché l'allontanamento del bambino dal suo normale e naturale ambiente familiare costituisce sempre un trauma le cui ripercussioni non si possono facilmente prevedere, sia con riguardo al bambino che ai suoi genitori, poiché il trapianto in un'altra famiglia rischia sempre di innescare processi di deresponsabilizzazione da parte dei genitori, poiché se la famiglia-problema ha solo bisogno di un'operazione di chiarimento sul piano psicologico o pedagogico - ovvero di sostegno economico o sociale - costituirebbe una violazione del diritto costituzionale dei genitori di occuparsi direttamente dell'educazione dei propri figli il ricorrere, senza un'assoluta necessità, all'affido eterofamiliare. Con la successiva legge sull'adozione del 1983 il legislatore nazionale ha non solo riconosciuto esplicitamente il diritto del minore alla sua famiglia, ma anche chiamato la comunità tutta ad una funzione di alta solidarietà sociale nei confronti di minori in difficoltà familiare attraverso la disciplina e l'incremento dell'istituto dell'affidamento familiare e cioè un istituto che tende ad assicurare in via temporanea al minore, impossibilitato a permanere nella propria famiglia, una famiglia sostitutiva che gli garantisca quelle relazioni interpersonali intense e continue che gli sono indispensabili per crescere. All'impegno del legislatore ha corrisposto un significativo e confortante impegno della società civile: non sono mancate coppie disposte all'adozione anche nei confronti di bambini molto problematici o inabili; non sono mancate coppie e persone singole che con molta generosità hanno accolto nelle proprie case bambini in difficoltà familiare facendosi carico anche di un sostegno ai genitori naturali del piccolo accolto. E le istituzioni locali si sono in gran parte mobilitate, sia per suscitare e sostenere vocazioni all'affidamento familiare sia per sviluppare azioni di sostegno nei confronti della famiglia biologica problematica, affinché con un'adeguata azione di supporto ad essa potesse essere evitato non solo il ricovero del bambino in istituto, ma anche, se possibile, il sempre traumatico, per il bambino, ricorso all'affidamento familiare. Opportunamente sono perciò sorte iniziative non solo per sostenere la famiglia problema, ma anche per realizzare forme di affidamento parziale dei bambini per alcune ore della giornata, forme di assistenza domiciliare, forme di affidamento di una famiglia-problema ad altra famiglia disposta a svolgere un'azione di concreto aiuto senza espungere il bambino del suo ordinario ambiente di vita. Da questo impegno comune - a livello amministrativo come a livello legislativo, a livello delle istituzioni come a livello della comunità civile, a livello nazionale come a livello locale è derivata la forte contrazione del numero dei minori ricoverati in istituti assistenziali-educativi riscontrata in questi ultimi decenni: i circa 200.000 minori ricoverati negli anni '70 sono divenuti i 14.945 della nostra rilevazione al 30 giugno 1998. Una così vistosa riduzione degli ospiti minorenni ricoverati in istituti assistenziali conforta sulla bontà dell'azione comunemente intrapresa, ma non può acquietare. Anche per questi bambini è urgente sviluppare ulteriormente un'intensa azione tendente ad assicurare comunque anche ad essi , nel difficile e complesso periodo della costruzione dell'identità, un adeguato clima familiare.Ma per sviluppare questa azione ed identificare adeguate strategie di intervento, è indispensabile sapere non solo quanti, ma anche chi sono i bambini ricoverati, quali i tempi di ricovero, quante le possibilità di rientro in famiglia, quali le motivazioni che hanno portato al ricovero. » quello dei bambini e degli adolescenti che vivono fuori della propria famiglia infatti un universo che andava scandagliato per non basarsi nella valutazione e nei progetti per il superamento del fenomeno su mere impressioni o peggio su luoghi comuni o su stereotipi e per non alimentare campagne di opinione pubblica radicate su una distorta visione della reale entità del fenomeno (come quella secondo cui era estremamente opportuna ed urgente allargare a coppie anziane e a singoli la possibilità dell'adozione per potere togliere, si diceva, 40.000 bambini ricoverati in istituto). In realtà di questa triste realtà della nostra vita nazionale si sapeva sostanzialmente poco. Sul piano quantitativo la periodica rilevazione dell'ISTAT in quest'ambito, se pur capillare, dava un'immagine allargata del fenomeno, perché comprendeva nella rilevazione anche il numero dei ragazzi che erano presso istituti scolastici a convitto o presso strutture sanitarie. Non si riusciva così ad individuare il reale numero dei minori allontanati dalle proprie famiglie per progetti assistenziali-educativi. Comunque, proprio per la difficoltà di cogliere con un'unica rilevazione fenomeni diversi, lo stesso ha sospeso la rilevazione in questo settore per cui i dati editi sono quelli relativi al 1992 e quelli esistenti, anche se non pubblicati, si fermano al 1993. Esistono inoltre alcune rilevazioni su base regionale ed alcune ricerche sui minori ricoverati in singole regioni. Ma le amministrazioni regionali con un'anagrafe di questo tipo sono pochissime; i criteri di rilevazione, seppure attendibili e tempestivi, non hanno caratteristiche di omogeneità e confrontabilità che consentano un giudizio unitario; sporadiche sono le ricerche che hanno analizzato in tutti i suoi aspetti questo fenomeno facendo emergere non solo la reale qualità della vita dei ragazzi in queste strutture, ma anche le caratteristiche proprie di queste ultime. Il Dipartimento per gli Affari Sociali della Presidenza del Consiglio dei Ministri nell'ambito della applicazione della legge 285/97 ha così accolto la proposta del Centro nazionale di documentazione e di analisi di sviluppare una compiuta analisi - non campionaria, ma censuaria sui minori affidati a strutture di accoglienza residenziali a carattere assistenziale- educativo e sulle caratteristiche di queste strutture. Con la fattiva collaborazione delle Regioni, in particolar modo con il Gruppo tecnico interregionale Politiche Minorili - Aspetti sociali dell'Assistenza materno infantile, nonché dell'associazionismo e del terzo settore, l'indagine è stata portata a compimento con sufficiente celerità: vedi Quaderno n. 9 |
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