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I ragazzi di strada Golgo, nove anni Golgo, nine years old Photo KenRa07A http://www.graffitipress.it/GP_RepKenRa.htm Sussistono anche da noi – sia pure con caratteristiche sostanzialmente diverse da quelle di alcuni Stati del Sud America o dell’Africa – ragazzi di strada. Sono per fortuna in numero non rilevante ma esistono: basti notare che, secondo i dati del Ministero degli Interni, sono state segnalate fughe da casa di 3.380 minori nel 1998 e di 3.490 nel 1999 e che questi, malgrado le ricerche svolte, erano ancora da rintracciare, al maggio 2000, 629 ragazzi scomparsi nel 1998 e 1.039 scomparsi nel 1999. Va comunque sottolineato che l’85% dei ragazzi non rintracciati è composto da giovani stranieri, forse rimpatriati in patria. E’ però assai preoccupante che si siano perse del tutto le tracce di 240 ragazzi italiani. Comunque l’esperienza di fuga dalla propria famiglia – e la conseguenza vita di strada – costituisce sempre, se non è assolutamente temporanea, una esperienza traumatizzante: è non solo sintomo di frustrazioni profonde e di instabilità emotiva ma costituisce anche una situazione di gravissimo rischio per l’incapacità del minore di autogestirsi. La mancanza di risorse economiche impone una estrema precarietà di vita: si vive nei giardinetti o nelle stazioni o si è disposti ad accettare l’ospitalità del primo venuto e la necessità do “arrangiarsi” con qualunque mezzo. Inoltre la solitudine fa cercare la protezione in gruppi di devianti o in adulti pronti a strumentalizzare e mercificare il ragazzo: la via della prostituzione è spesso imboccata in queste situazioni ed è una via molto spesso senza ritorno. Ma se pochi ragazzi vivono tutta la loro vita nella vita nella strada vi sono molti ragazzi invece che passano gran parte del loro tempo in strada anche per la mancanza di idonee strutture di accoglienza e di partecipazione. Non pochi di essi sono inseriti in organizzazioni criminose adulte che si avvalgono di questa “manovalanza a basso costo” per lo spaccio di stupefacenti, la vendita di sigarette di contrabbando, le estorsioni, il furto e il riciclaggio di auto, i danneggiamenti e gli incendi dolosi. Se il legane tra il ragazzo e l’organizzazione criminosa è assai forte diviene difficile da rimuovere: per molti ragazzi, che hanno sperimentato il fallimento della famiglia e delle istituzioni pedagogiche, l’inserimento in una organizzazione di questo genere è estremamente gratificante in quanto insegna un coerente sistema di vita, assegna un ruolo; finalmente esprime un riconoscimento e una valorizzazione che il ragazzo non ha mai sperimentato; gli assicura l’incardinamento in un ambiente capace di proteggerlo e di mostrargli una solidarietà attiva; gli offre un modello di adulto finalmente significativo da imitare, specie per chi è abituato a vivere con fantasmi di padri. Esistono anche ragazzi di strada non collegati e non sfruttati dalla criminalità adulta, organizzata o non, che vivono accanto a difficoltà di ordine personale anche le forti difficoltà di ordine personale anche le forti difficoltà conseguenti alla vita disgregata ed emarginante delle moderne città. Per sentirsi ed apparire visibili, in un contesto che tende altrimenti a nascondere ed ignorare, molti giovani sono spinti a ricorrere anche alla violenza pur di divenire in qualche modo protagonisti sui palcoscenici della vita sociale, l’impotenza e le frustrazioni accumulate nel processo di inserimento esplodono facilmente in un ribellismo fine a se stesso. La violenza giovanile nelle scuole o la violenza negli stadi (basti pensare ai gruppi tifosi “ultrà”, con i loro riti, il loro gergo, le loro mitologie) sono indicative della emarginazione che cerca di uscire, attraverso l’imbocco di scorciatoie, dalla sua invisibilità. Inoltre nella città “secolarizzata”, come qualcuno l’ha definita, alla compresenza di più “luoghi” significativi in cui si sviluppavano e si costruivano identità diverse si è sostituita la realtà dei “non luoghi” e cioè di spazi che non hanno funzione né identitaria né relazionale: questo è essenziale per i giovani che hanno un estremo bisogno di costruirsi una identità reale e non una identità ambigua e virtuale, di trovare occasioni e opportunità per una autorealizzazione personale. Nei “non luoghi” in cui si incontrano i gruppi informali dei giovani d’oggi (i gradini di una Chiesa, il muretto, il marciapiede di fronte a un bar) non si realizza una socializzazione ma solo un tempo consumato. E spesso aumenta un senso di profondo disagio e si accentua l’isolamento, anche se di gruppo. |
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