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Spetta al settore sanitario il pagamento degli oneri di degenza di soggetti affetti da gravi malattie anche quando siano stabilizzate e non suscettibili di miglioramento
1) Sentenza n. 3377/03 Il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso proposto dall’Istituto Ospedaliero del Sospiro per l’accertamento dell’obbligo, in via principale, del Comune di Redondesco e, in via subordinata, della ASL di Mantova, del pagamento delle rette di degenza del paziente A.F. affetto da insufficienza mentale grave e degente presso il predetto Istituto. Il TAR ha ritenuto che l’obbligo in questione sussista a carico del Comune di Redondesco, il quale ha fatto appello per ottenere la riforma della decisione, sostenendo che l’onere debba essere sostenuto dalla ASL di Mantova. La ASL e l’Istituto del Sospiro si sono costituiti per sostenere l’infondatezza del gravame.
La controversia concerne l’individuazione del soggetto pubblico, comunale o sanitario, tenuto a sostenere l’onere della retta di degenza per un cittadino affetto da grave insufficienza mentale, in stato di ricovero dal 1952. E’ noto che, a norma dell’art. 30 della legge 27 dicembre 1983 n. 730, sono poste a carico del servizio sanitario nazionale gli oneri delle attività di rilievo sanitario connesse con quelle socio assistenziali, e che il successivo DPCM 8 agosto 1985, all’art. 1, ha definito attività di rilievo sanitario quelle “che richiedono personale e tipologie di intervento propri dei servizi socio-assistenziali, purché siano diretti immediatamente e in via prevalente alla tutela della salute del cittadino e si estrinsechino in interventi a sostegno dell’attività sanitaria di ...cura e/o riabilitazione fisica e psichica del medesimo”. In termini non sostanzialmente diversi si esprime il DPCM 14 febbraio 2001, ricordato dalla difesa della ASL, allorché, all’art. 3, propone una classificazione che pone a carico del servizio sanitario nazionale le prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, definendole come “prestazioni assistenziali che, erogate contestualmente ad adeguati interventi sociali, sono finalizzate alla promozione della salute, alla prevenzione, individuazione, rimozione e contenimento di esiti degenerativi o invalidanti di patologie congenite o acquisite”. Sulla base di tali definizioni il Tar ha considerato accertato che, nella specie, il paziente, affetto da grave insufficienza mentale stabilizzata ed irreversibile, necessitasse soltanto dei meri interventi farmacologici destinati a contenere isolati episodi di agitazione psico-motoria, e che tali prestazioni fossero prive di rilievo sanitario “essendo totalmente assente la finalità riabilitativa e curativa”. Il Collegio non condivide l’interpretazione del quadro normativo seguita dai primi giudici. La ricordata normativa ministeriale, sia nella formulazione del 1985 che in quella del 2001, attribuisce rilievo sanitario agli interventi con carattere di “cura” delle patologie in atto, ma non dispone che debbano definirsi tali solo i trattamenti che lascino prevedere la guarigione o la riabilitazione del paziente. A tale riguardo pare dirimente proprio il DPCM del 2001, nella parte che considera di carattere sanitario i trattamenti volti al contenimento di esiti degenerativi o invalidanti di patologie congenite o acquisite. Nella specie è stato documentato, soprattutto con la perizia del dr. Benevelli. prodotta dal Comune, cui non sono state formulate osservazioni dalla controparte, ma anche secondo le relazioni dei medici dell’Istituto di Sospiro, che la persona in questione è costantemente, e non in via saltuaria e occasionale, sotto farmaco neurolettico definito maggiore e, al bisogno, deve far ricorso ad altro farmaco, e ciò nonostante va soggetto ad episodi di agitazione psicomotoria, che talvolta richiedono l’impiego di contenzioni meccaniche. In tale situazione, appare evidente che nessun rilievo può annettersi alla circostanza, rappresentata dalla perizia prodotta dalla ASL, che non sarebbe praticabile sul paziente alcun intervento di tipo psichiatrico in quanto il medesimo, in base all’apposito test clinico, risulta totalmente dipendente. Non è in discussione, infatti che, il paziente abbia necessità di assistenza continua per l’igiene personale, per l’alimentazione e per tutti i bisogni primari, e neppure che, verosimilmente, il suo stato sia cronico e irreversibile. Conta invece che le forme di assistenza di cui necessita il soggetto non possano farsi rientrare tra le prestazioni “sociali a rilevanza sanitaria” che il DPCM del 2001 definisce “attività del sistema sociale che hanno l’obiettivo di supportare la persona in stato di bisogno, con problemi di disabilità o di emarginazione condizionanti lo stato di salute”. Si tratta infatti, a tutti gli effetti, di vere e proprie cure, la cui costante somministrazione può rivelarsi pericolosa per il paziente e che, pertanto, deve essere affidata a personale sanitario, professionalmente in grado di valutare al momento le misure da prendere con efficacia e sicurezza. In conclusione l’appello deve essere accolto, affermando l’obbligo della ASL della Provincia di Mantova di provvedere al pagamento delle rette di degenza in contestazione, e compensando le spese di entrambi i gradi di giudizio.
2) Sentenza n. 152/04
3) Sentenza n. 479/04 Sul ricorso in appello proposto da A.S.L./5 di Jesi. La sentenza appellata, accogliendo il ricorso proposto dall’Istituto Ospedaliero di Sospiro, ha dichiarato l’Unità Sanitaria Locale n. 5 di Jesi obbligata al pagamento delle rette di degenza relative al ricovero presso l’Istituto ricorrente del Sig. M. R., affetto da insufficienza mentale di grado elevato con disturbo autistico, disabile psichico intellettualmente e mentalmente. L’Azienda Sanitaria n. 5 di Jesi, subentrata alla USL, impugna la sentenza, l’appellante sostiene di non essere tenuta al pagamento delle rette di degenza, in quanto si tratterebbe di prestazioni non sanitarie ma assistenziali, gravanti sull’amministrazione comunale di Belvedere Ostrense. Nel merito, l’appellante sostiene che le prestazioni erogate hanno natura assistenziale e, quindi, devono gravare interamente sull’amministrazione comunale. In punto di diritto, tutte le spese di carattere sanitario anticipate dagli istituti di ricovero, cura e assistenza devono gravare sulle amministrazioni sanitarie e non sui comuni, quando siano dirette in via esclusiva o prevalente alla riabilitazione e rieducazione degli handicappati, nonché alla cura ed al recupero fisico-psichico dei malati di mente, purché le suddette prestazioni siano integrate con quelle dei servizi psichiatrici territoriali; in punto di fatto, le prestazioni in oggetto, per le loro caratteristiche oggettive, devono considerarsi di natura sanitaria. La Sezione ha recentemente affrontato le questioni giuridiche proposte nel presente giudizio, con particolare riguardo all’individuazione del soggetto pubblico, comunale o sanitario, tenuto a sostenere l’onere della retta di degenza per un cittadino affetto da grave insufficienza mentale (decisione n. 3377/03). Secondo tale pronuncia, è noto che, a norma dell’art. 30 della legge 27 dicembre 1983 n. 730, sono poste a carico del servizio sanitario nazionale gli oneri delle attività di rilievo sanitario connesse con quelle socio assistenziali, e che il successivo DPCM 8 agosto 1985, all’art. 1, ha definito attività di rilievo sanitario quelle “che richiedono personale e tipologie di intervento propri dei servizi socio-assistenziali, purché siano diretti immediatamente e in via prevalente alla tutela della salute del cittadino e si estrinsechino in interventi a sostegno dell’attività sanitaria di ...cura e/o riabilitazione fisica e psichica del medesimo”. In termini non sostanzialmente diversi si esprime il DPCM 14 febbraio 2001, allorché, all’art. 3, propone una classificazione che pone a carico del servizio sanitario nazionale le prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, definendole come “prestazioni assistenziali che, erogate contestualmente ad adeguati interventi sociali, sono finalizzate alla promozione della salute, alla prevenzione, individuazione, rimozione e contenimento di esiti degenerativi o invalidanti di patologie congenite o acquisite”. La ricordata normativa ministeriale, sia nella formulazione del 1985 che in quella del 2001, attribuisce rilievo sanitario agli interventi con carattere di “cura” delle patologie in atto, ma non dispone che debbano definirsi tali solo i trattamenti che lascino prevedere la guarigione o la riabilitazione del paziente. A tale riguardo pare dirimente proprio il D.P.C.M. del 2001, nella parte che considera di carattere sanitario i trattamenti volti al contenimento di esiti degenerativi o invalidanti di patologie congenite o acquisite. In punto di fatto, si deve rilevare che il Sig. R. risulta affetto, sin dalla nascita, da “insufficienza mentale grave con disturbo autistico”. La documentazione medica prodotta dall’Istituto compie ripetuti riferimenti agli interventi sanitari e farmacologici a scopo parzialmente riabilitativo e conservativo anche per limitare eventuali comportamenti autoloesionistici dell’interessato. Al riguardo, assume particolare rilevanza la relazione della Dottoressa Galizzi, medico psichiatra, la quale, in data 13 maggio 1991, afferma: “attualmente il disturbo autistico appare l’elemento più rilevante del quadro psicopatologico; tuttavia esso è anche inscindibilmente legato al deficit intellettivo di base di cui ha probabilmente influenzato l’evoluzione. Il paziente è in trattamento con Tioridazina e Diasepam”. Anche la successiva relazione sanitaria del 1996 evidenzia che il Sig. R. è sottoposto a una articolata terapia psichiatrica, consistente in un “trattamento educativo di gruppo”, diretto “al recupero possibile delle minime autonomie in precedenza acquisite ed al rallentamento dell’evoluzione autistica”. In tale contesto, il R. usufruisce anche di un’ “assistenza suppletiva ambientale richiesta dalla carenza intellettiva di base” per il soddisfacimento dei bisogni quotidiani. Ma si tratta di un’attività certamente non esclusiva e destinata ad integrarsi con altre prestazioni più propriamente sanitarie. Si tratta di elementi univoci nel senso che le prestazioni erogate dall’Istituto non possono ridursi alla pura e semplice sostituzione dell’assistenza familiare. Al contrario, dette prestazioni vanno inquadrate a pieno titolo tra gli interventi sanitari, o, quanto meno, tra le attività di rilievo sanitario connesse con quelle socio assistenziali, di competenza delle Aziende USSL. Il testo integrale delle Sentenze può essere consultato sul sito internet del Gruppo Solidarietà www.grusol.it al link informazioni. |
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