Figli con grave
disabilità, genitori abbandonati dallo Stato. Per loro prepensionamento
o servizi?
ROMA - Lo chiedono da tredici anni ma non arriva, e per molti di loro
presto potrebbe non avere più alcun senso. Ma quella per ottenere il
prepensionamento dei genitori di disabili gravi e gravissimi è diventata
ormai anche una questione di principio, o "di civiltà", come ripetono da
sempre padri e madri costretti a dedicare gran parte della loro vita
all'assistenza e alla cura dei propri figli con grave disabilità. Una
richiesta che però, al di là dei fallimenti che si sono succeduti negli
anni in Parlamento, non raccoglie neppure l'entusiasmo delle più grandi
e rappresentative associazioni di persone con disabilità, al punto che
fra distinguo e malumori si fa largo la sensazione di una spaccatura
all'interno di questo universo.
In verità, le rispettive posizioni sono chiare e più vicine di quanto
non possa apparire a prima vista. Da un lato ci sono soprattutto le
associazioni composte da familiari di disabili gravi e gravissimi, ad
iniziare dal Coordinamento nazionale delle famiglie creato a Roma e
guidato da Simona Bellini, mamma di Letizia e compagna di Salvatore,
entrambi disabili. "Siamo padri e madri che si devono alzare alle
quattro del mattino per organizzare il lavoro e l'assistenza, persone
costrette ad enormi sacrifici per conciliare la vita lavorativa e la
cura dei propri familiari: alcuni rinunciano ad avanzamenti di carriera,
altri a progetti ad ampio respiro, tutti dedicano gran parte del loro
tempo e delle loro capacità ai propri figli, tutti i giorni tutto
l'anno, senza alcuna pausa, senza ferie, senza Pasqua, Natale o
Ferragosto". La richiesta che arriva da queste famiglie è semplice:
prevedere la possibilità di un pensionamento anticipato per questi
genitori, riconoscendo il lavoro di cura (anche nella sua caratteristica
di lavoro usurante) e consentendo loro di poter accudire i figli con
maggiore serenità. In Parlamento giace da tempo una proposta di legge
presentata da Katia Bellillo, i cui lavori si sono arenati in
Commissione Lavoro di Montecitorio: l'ultimo tentativo in ordine di
tempo di adottare il provvedimento è stata la presentazione di un
emendamento - poi dichiarato inammissibile - al decreto Milleproroghe
recentemente approvato dal Parlamento.
E proprio dopo il no all'emendamento Milleproroghe una dichiarazione del
presidente nazionale dell'Anffas, Roberto Speziale, che parlava del
prepensionamento come di un "provvedimento demagogico, in assenza di
condizioni e risorse necessarie", aveva suscitato la vibrata reazione di
numerose associazioni di familiari: "Non si comprende come possa
apparire demagogico - aveva affermato Giorgio Genta dell'Associazione
Abc (Adulti e bambini cerebrolesi) - il pensare di allungare la vita e
la resistenza nel lavoro assistenziale dei genitori dei più gravi
permettendo loro di andare in pensione alcuni anni prima e soprattutto
prima di essere talmente usurati (dalla doppia attività lavorativa ed
assistenziale) da dover loro stessi essere oggetto di cure, per non
parlare poi dei risparmi in costi di ricovero in strutture e della
miglior qualità possibile di vita per i loro figli".
Sull'altro versante, appunto quello di chi non prova particolare
entusiasmo per la soluzione del prepensionamento, ci sono due delle più
grandi associazioni di persone con disabilità, l'Anffas e la Fish, la
cui filosofia considera l'intero contesto sociale a partire dal concetto
di "inclusione sociale" e dalla necessità di realizzare il progetto
individuale di vita che ogni persona con disabilità si costruisce, con
il supporto decisivo della famiglia nel caso di una situazione che non
consenta l'autodeterminazione del soggetto. "Il nostro ordinamento -
afferma Pietro Barbieri, presidente della Federazione italiana per il
superamento dell'handicap - ha però scelto in maniera limpida la strada
della residenzialità protetta, che tradotto nient'altro significa che la
carcerazione e la segregazione delle persone disabili: per il resto non
ci sono servizi, non c'è la promozione dell'assistenza diretta e
indiretta, non c'è assistenza a domicilio 24 ore su 24 per chi non può
autodeterminarsi". Così, di fronte alla realtà concreta, quella fatta di
abbandono totale delle famiglie, i genitori sono portati a chiedere
"modalità risarcitorie", contributi monetari per supplire all'assistenza
fornita o vantaggi in termini di congedi parentali o di pensionamento.
Ora - specifica Barbieri - "poiché una risposta immediata va comunque
data a quei genitori che oggi hanno già una certa età, l'idea di
consentire il prepensionamento dei genitori va certamente considerata,
ma non può essere indicata come una soluzione valida in senso assoluto":
dunque, secondo la Fish, "a coloro che lungo tutto il corso della loro
vita con il figlio disabile non hanno avuto l'opportunità di usufruire
di servizi dignitosi e che quindi, pur di non mandare i figli negli
istituti, si sono sobbarcati la loro assistenza, sostituendosi
completamente alle funzioni dello Stato", è opportuno concedere il
prepensionamento, o anche (ma "senza oneri per lo Stato") l'allargamento
dei permessi e dei congedi parentali. Prepensionamento si, allora, ma
solamente a loro, perché negli altri casi, per il futuro, il percorso da
costruire deve essere differente, e deve muoversi lungo i filoni
dell'inclusione e dei servizi. In questo modo anche le famiglie, con una
rete di servizi efficiente, si sentirebbero meno sole.
Argomentazioni rilanciate dallo stesso presidente dell'Anffas Roberto
Speziale: "C'è il rischio formidabile che il prepensionamento abbia
l'effetto di scaricare interamente sulle famiglie il peso e la
responsabilità della cura: ciò che le famiglie devono ricevere è un
supporto attraverso una rete integrata di servizi per tutto l'arco della
vita". E del resto, osserva Speziale, "il prepensionamento riguarda
l'ultima parte della vita, mentre noi sappiamo, dai nostri studi e dalla
nostra esperienza, che la maggiore necessità delle famiglie c'è
all'inizio, nei primi anni". E snocciola una serie di iniziative come la
creazione di una rete integrata di servizi, l'estensione dei congedi
parentali da due a cinque anni, l'aumento delle pensioni e delle
indennità di accompagnamento almeno alla soglia minima di 580 euro.
Tutto questo, da realizzarsi con le risorse fino ad oggi dedicate alla
residenzialità protetta, a quelle strutture che per Barbieri non sono
altro che "prigioni" e "ghetti".
L'accordo dunque - in definitiva - c'è, ma limitato al consentire il
prepensionamento ai genitori che si trovano già al termine della loro
vita lavorativa e non hanno avuto alcun aiuto in termini di servizi: il
dispositivo legislativo dovrebbe allora essere restrittivo e evitare
l'instaurazione di un sistema generico e complessivo. In altri termini:
più interventi sul modello degli scivoli o delle agevolazioni concessi
ai lavoratori nei casi di aziende in crisi che principi generici
stabiliti per tutti e validi per sempre.
"Non credo che servizi e prepensionamento debbano escludersi gli uni con
l'altro - commenta Simona Bellini, la presidente del Coordinamento
nazionale delle famiglie - ma ad ogni modo il problema per molte
famiglie non si pone proprio: se in tutti questi anni infatti non è
arrivato il prepensionamento, è anche vero che non sono arrivati nemmeno
i servizi". E il prepensionamento rimane allora, davvero per tutti,
l'unica strada da seguire. (Stefano Caredda)
|