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Prisma a cura di Elena Duccillo
Ho letto in questi giorni un articolo interessante. Si citava un sondaggio secondo il quale più della metà degli insegnanti italiani sogna un altro lavoro. Mi sono chiesta se in cuor mio mi ritenevo schierata dall’una o dall’altra parte visto che le difficoltà nel nostro mestiere spesso ci portano ad esclamare che della scuola ne abbiamo abbastanza. Non credo di volere un altro lavoro anche se la tentazione si affaccia come per tutti nei momenti di scoramento. Tra i docenti specializzati la percentuale di chi sogna un lavoro diverso è sicuramente più alta ma cos’è che motiva veramente un insegnante a svolgere per più dei fatidici 4 anni il suo mestiere? Nella mia esperienza ho lavorato gomito a gomito con persone che hanno dedicato una vita lavorativa all’integrazione, prima ancora che la 517 prendesse corpo, devo a loro la mia decisione di passare da un ruolo all’altro cioè la scelta direi controcorrente di lasciare il curricolo per il sostegno. Non c’è solo questo voler raccogliere la loro eredità dietro alla scelta: insegnerei ancora storia, geografia e studi sociali se mio figlio non avesse un cromosoma in più? Quanto la mia maternità incide sulla motivazione? Ho davvero una speciale specializzazione che costituisce una risorsa da spendere nella scuola oltre che nella vita? Se anni fa pensavo di poter dare il massimo a mio figlio grazie alle mie competenze professionali negando il doloroso tasto dell’accettazione oggi vivere serenamente la sua condizione ha mutato in buona misura il mio lavoro. Dove e come percepisco la differenza nell’operare? Prima di tutto ho di fronte a me un bambino al quale ho qualcosa da dare e non un team dove mi piace o non mi piace lavorare, ho strategie da ricercare e non patologie da sanare, ho una famiglia da affiancare della quale conosco per esperienza i vissuti, ho dei cittadini da formare che devono portare per la vita la speranza di una società di uguali. Non mi sento unica ma tutti sanno che alcuni bambini sono poco più di pacchetti postali quando si effettuano delle scelte per loro nella scuola. Mi viene spontaneo leggere con gli occhi di un bambino quello che significa crescere, non permanere in una scuola, credere che è possibile nelle condizioni più impossibili dimostrare che c’è integrazione. Il coinvolgimento è conseguenza della motivazione e se questo torna a vantaggio del bambino nulla toglie alla professionalità: non è un prolungamento della mamma premurosa è speciale lettura dei "bisogni speciali". Naturalmente l’investimento anche nei sentimenti non posso negarlo e alle volte fa la differenza nella risposta che ricevo dalla classe tutta prima che dall’alunno in particolare. Sorrido ogni tanto delle denominazioni con le quali i bambini mi identificano: maestra sole, maestra magica, maestra specializzata mai. E’ un termine tecnico che ignorano nonostante sappiano consapevolmente che corrisponde alla mia qualifica. Non è la stessa cosa per quei docenti che hanno risolto piuttosto il problema della disoccupazione specializzandosi, ma che non sono per niente motivati a prestare servizio nel ruolo di ripiego del sostegno. E’ facile che si sentano frustrati, che vengano considerati insegnanti del bambino handicappato, che risolvano la mancata fusione con il resto del team portando per mano il bambino con sé e vagando per gli ambienti della scuola. In alcuni casi tendono ad organizzare il lavoro sulle loro esigenze personali piuttosto che sul rispetto dovuto ad un alunno che ha pari diritti degli altri di frequentare la scuola. Per fortuna non sono tutti così i docenti e in caso lo siano non transitano che poco più di 4 anni in questo ruolo. C’è veramente professionalità e competenza in molti insegnanti specializzati che senza ripensamenti svolgono la loro carriera nell’organico del sostegno. Quando sono motivati negli anni si avvantaggiano dell’esperienza che li porta a conoscere più da vicino i bisogni specifici di ciascuna disabilità ai fini dell’inserimento scolastico. Sanno interagire nel team, concorrono a sensibilizzare e coinvolgere attivamente tutta la comunità scolastica, si aggiornano e approfondiscono le tematiche per avere strumenti di intervento specifici da mettere a disposizione del bambino. Ovviamente queste riflessioni sono solo frutto della mia esperienza e specifico, nello spirito di "Prisma", poichè sempre più spesso mi capita colloquiando di sentirmi chiedere: " Mi stai parlando da insegnante o da genitore?" Per dare una chiave di lettura di questo articolo risponderei: "Mi stai vivendo come insegnante o un genitore?" |
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