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RAPPORTO CENSIS 2003 La società italiana sempre più alla ricerca di qualità della vita, convivialità, benessere e partecipazione a movimenti e rappresentanze. Guerra e terrorismo ''impongono'' il tema della sicurezza Torna il Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese. La trentasettesima edizione dell’indagine sembra dimostrare il consolidamento di quattro percorsi della società italiana: un percorso verso una ricerca di qualità localistica della vita, con una diffusa propensione degli italiani a preferire i borghi alle medie-grandi città; o persino a cercare di trasferire la logica di borgo nei quartieri delle grandi città; “si assiste dunque – afferma il Censis - a una ri-territorializzazione della società in cui il brand del territorio diviene importante nella competizione globale”. In secondo luogo, un percorso verso un implicito primato della convivialità, della vita in comune e dell’accoglienza reciproca, “come sta avvenendo nel sistema del welfare con strategie d’azione legate al territorio e al volontariato; nella partecipazione istituzionale dei cittadini con nuove formule pubblico-private; nella composizione sociale aperta all’integrazione degli immigrati; nel sistema formativo in cui si valorizza la dimensione collettiva, la vita di college; e nel sistema aziendale sempre più attento al circostante nelle logiche della social responsabilità”. Ed ancora, un tragitto della società verso una crescente tendenza a instaurare virtuosi stili di vita individuale e collettiva; pubblicamente, politicamente e legislativamente chiamati a una maggiore virtuosità (nel bere, nel mangiare, nel fumare, nel rispetto del codice della strada, nell’esercizio fisico, ecc…), il Censis sottolinea come “ci si poteva aspettare il classico cinismo deviante degli italiani e invece è stato accettato tutto con nordico civismo; le imposizioni pubbliche hanno quindi incontrato comportamenti individuali già spontaneamente orientati”. Infine il quarto percorso della società, quello verso la maturazione a livello individuale di un’etica della responsabilità, sempre più relazionale; poiché la società soggettivista dominante degli ultimi decenni ha dato tutto quello che poteva dare ed è ora costretta a un’intima maturazione, “e quindi a una ricerca del “noi” – precisa il Censis -, che si sente nelle realtà locali, nell’emotiva partecipazione ai movimenti politici come ecclesiali, nelle rappresentanze dei consumatori; nella possibilità che una neoborghesia si faccia carico dei destini collettivi del sistema”. Per il Censis la società italiana appare, “disormeggiata dal tema declino/sviluppo e sembra voler vivere altrimenti che nello sviluppo e altrimenti che nel declino. Ma questo non è soltanto il punto di vista interpretativo del Censis – precisa l’Istituto - visto che, a ben vedere, anche l’opinione pubblica, a quel che traspare dai media, ragiona su altre cose: il terrorismo e della guerra e al conseguente bisogno di sicurezza collettiva, l’esigenza di dedicare risorse ai meccanismi di tale sicurezza, il modo in cui governare il flusso degli extracomunitari (con accoglienza o con rigore ma comunque da governare), lla possibilità di ricevere mille euro a figlio; i problemi nuovi e complessi della bioetica; il rilancio, magari nel lutto, dell’identità nazionale”. Dunque, secondo il Rapporto, “l’eredità del periodo molecolare del nostro sviluppo, eredità ancora da non mettere in pensione, si combina con nuove linee di evoluzione collettiva”. E, “se non vuole continuare a regredire nel suo ruolo e nella sua legittimazione di governo, la nostra classe dirigente deve anch’essa maturare un suo altrimenti: altrimenti che sviluppo e declino, altrimenti che intenzionalità e decisionalità. Esprimendo ospitalità e accoglienza dei processi sociali in atto; allargando di conseguenza i confini della sua tenda con meno verticalizzazione e più articolazione dei poteri in modo che la società possa esprimersi adeguatamente; rimettendo in auge processi e procedure di rappresentanza e partecipazione sociale e politica”. Le famiglie si indebitano. Gli stranieri sono il 5% della popolazione. Cresce il consumo di alcolici tra gli adolescenti Secondo il trentasettesimo Rapporto Censis sulla situazione del Paese, ecco alcuni dei fenomeni che hanno maggiormente caratterizzato l’evoluzione dell’anno in corso. Per cominciare, la selettività dei comportamenti di consumo. Per il Censis le famiglie italiane, con minori capacità economiche, non rinunciano al consumo ma si indebitano, tanto che nel 2002 il volume del credito al consumo è cresciuto quasi del 6% e nella prima metà del 2003 del 19%. I prestiti sono richiesti per l’acquisto di elettrodomestici, autovetture e motocicli. Vi sono segnali di vivacità, apparentemente non coerenti con la stagnazione dei consumi: nel 2002 la spesa per TV, Hi-Fi e computer è aumentata del 2,3%, quella per le comunicazioni quasi del 4% e quella per viaggi e tempo libero di un più modesto 0,7%. Anche nella prima metà del 2003 la spesa per i beni durevoli è aumentata dello 0,3%. Crescono quasi esponenzialmente gli investimenti in abitazioni: solo nei primi cinque mesi del 2003 il Censis stima che le famiglie acquirenti di immobili siano aumentate del 31% rispetto all’anno precedente, mentre la stabilizzazione nei mesi successivi porterà a fine d’anno al valore record di 1.100.000 alloggi compravenduti. Benché nel lungo periodo l’inflazione sia dannosa per l’intera economia, nel breve periodo i suoi effetti si dispiegano in maniera difforme tra diverse categorie, particolarmente svantaggiati sono i percettori di reddito fisso. Il dato sintetico, il tasso di inflazione, rappresenta la media ponderata di una serie di aumenti dei prezzi estremamente eterogenei tra loro. Considerando quattro tra le più rilevanti categorie di spesa (alimentari, abitazione, sanità e trasporti) e tre tipologie di percettori di reddito (imprenditori e liberi professionisti, operai e “ritirati dal lavoro”, in rappresentanza dei pensionati): le quattro categorie di spesa assorbono il 63,6% della spesa complessiva delle famiglie di imprenditori e liberi professionisti, il 69,3% di quelle degli operai e il 75,2% di quelle dei pensionati; le stesse categorie di spesa hanno subìto una crescita dei prezzi decisamente superiore al resto dei beni e servizi, un tasso di inflazione superiore al dato nazionale del 2,7%, infatti, si è registrato nel 50,5% dei beni compresi nelle categorie considerate e nel 36,4% di quelli che compongono il resto del paniere complessivo. La crescita degli immigrati. Con la regolarizzazione di circa 700.000 lavoratori extracomunitari, la quota di stranieri sulla popolazione italiana ha raggiunto circa il 5%, avvicinando l’Italia ai paesi europei di più antica immigrazione. I dati Inail testimoniano di un aumento delle assunzioni come lavoratori dipendenti: nell’ottobre 2003 rappresentano il 15,7% del totale (nel 2001 erano il 9,9%). Ma non cresce solo il lavoro dipendente, aumentano anche le cosiddette “imprese etniche”, le aziende di imprenditori immigrati: i dati Infocamere segnalano l’esistenza di 125.461 titolari di impresa nati all’estero, pari al 3,6% del totale. La Lombardia ha la quota più consistente di imprenditori stranieri (il 17,5%) seguita dalla Toscana (10,7%) e dall’Emilia Romagna (9,1%); mentre i settori ove si contano un maggior numero di imprese sono il commercio (ben il 43,1%), le costruzioni (21,1%) e le attività manifatturiere (14,1%). La trasgressione degli adolescenti. Il consumo di alcolici fuori pasto tra i 18-19enni passa dal 22,9% del 1994, al 35,5% del 2001; il consumo di liquori è aumentato dal 26,9% del 1999 al 31,1% del 2001. I 15-17enni che dichiarano di consumare alcolici fuori pasto passano dal 12,8% del 1994 al 18,8% del 2001; erano il 18% nel 1999 e il 25% nel 2002 gli adolescenti che non disapprovano ubriacarsi una volta alla settimana; tende invece a diminuire il consumo di tabacco, infatti la quota di ragazzi che hanno fumato almeno una volta passa dal 70,4% nel ’99 al 68,1% nel 2002, diminuisce l’accondiscendenza verso chi fuma, disapprova fumare sigarette occasionalmente il 28% dei teenager nel 2002, rispetto al 22% del 1999; il consumo di droghe leggere sembra stazionario, circa 1 adolescente su 3 ha fatto uso almeno una volta di cannabinoidi, e una quota identica non disapprova fumare cannabis occasionalmente, riguardo alle droghe pesanti, fra il ’99 e il 2002, diminuisce il consumo di ecstasy e pasticche in genere, come dell’lsd, ma aumenta il consumo di cocaina e di crack. Stili di vita. Gli italiani mostrano una crescente consapevolezza del legame tra stili di vita sani e miglioramento della salute. Nel 2003 è salita al 37,0% la quota di italiani che praticano attività sportive, in crescita rispetto al 34,7% del 2001; mentre quasi il 30% si sottopone a diete alimentari a fronte del 25,6% del 2001; il 53,5% degli italiani dichiara che nell’ultimo anno ha posto maggiore attenzione all’alimentazione, il 6,8% ha ridotto molto il fumo, il 4,7% il consumo di alcool e il 4,4% ha smesso di fumare, il 2,5% ha scelto di proteggersi nei rapporti sessuali occasionali. Al contrario, circa il 37% degli italiani non ha aderito di recente a nessuno di questi comportamenti virtuosi.
Fonte: Elaborazione Censis su Dati Istat
Fonte: Indagini Censis, 2003
Fonte: Elaborazione Censis su dati Istat 2001 Meno persone nel mercato del lavoro (-8,6%). Sistema rigido: l'unica componente mobile è quella dei lavoratori temporanei. Il ruolo della famiglia
Secondo il
trentasettesimo Rapporto Censis, “è forte la sensazione che per il
nostro mercato del lavoro – sul piano reale – si stia aprendo una fase
non positiva, che l’anno appena trascorso comincia a far intravedere,
attraverso una serie di indicatori di segno univoco”. Alla maggiore impermeabilità del mercato rispetto all’esterno, si è andata via via sommando anche la progressiva immobilizzazione delle posizioni interne al lavoro. “Il nostro resta infatti un sistema ancora estremamente rigido – afferma il Censis -, con bassi livelli di mobilità interna, e ciò malgrado sulla carta l’incremento del numero complessivo dei movimenti interni all’occupazione (il tasso di rotazione, vale a dire il rapporto tra i cambiamenti di lavoro o di tipologia lavorativa e lo stock di occupati ad inizio periodo è passato da 11,5 del 1998 a 13,5 del 2002) sembrerebbe dar ragione a quanti si attendevano dall’introduzione di maggiore flessibilità nel sistema anche una crescita della sua dinamicità interna”. A ben vedere, allora, l’unica componente mobile è quella dei lavoratori temporanei. Quella della “cristallizzazione posizionale” è peraltro una tendenza che sembra destinata a consolidarsi ancor di più, se è vero che, stando almeno alle intenzioni dichiarate, la domanda di mobilità professionale dei lavoratori italiani è in costante diminuzione: se nel 1998 cercava un’altra occupazione il 6,4% degli occupati italiani (vale a dire 1 milione 318 mila), nel 2002 la percentuale scendeva al 5,5% (1 milione 194 mila). Sul mercato del lavoro, fra le risorse a tutt’oggi attive, il Censis ne ricorda almeno due: “La famiglia gioca oggi una funzione sempre più attiva nel mercato, orientando e condizionando i comportamenti dei suoi singoli componenti. Ad oggi la famiglia sembra essersi ormai accreditata come il principale, se non l’unico, investitore del mercato del lavoro: è la famiglia infatti che investe dall’infanzia all’età matura sulla formazione dei propri figli; è sempre lei a cercare e garantire sbocchi professionali che sembrano sempre più rari; è lei che continua a sostenere, economicamente, ma non solo, i propri figli in età matura”. Secondo l’indagine ISSP-Censis del 2003, la famiglia resta ancora, assieme alla rete amicale ad essa collegata, il principale canale di entrata nel mercato del lavoro in Italia: ben il 29,7% degli italiani dichiarano infatti di aver trovato un’occupazione grazie alla famiglia, tramite un parente stretto (il 19,3%) o lontano (il 10,4%). In questo contesto, lo stesso ruolo genitoriale tende sempre più rispetto al passato a protrarsi ben oltre i suoi tempi fisiologici, per diventare un ruolo a tempo indeterminato. Con il risultato che cresce, anno dopo anno, il numero di giovani che prolunga la propria permanenza in famiglia ben oltre i tempi dovuti. Dal 1993, la quota dei giovani (18-34 anni) celibi o nubili che vivono in famiglia è infatti cresciuta ulteriormente, passando dal 55,5% al 60,1% (dato al 2001).
Fonte: Elaborazione Censis su dati Istat Sanità: italiani estranei al tema del federalismo ma sempre più attenti al binomio bellezza-salute. Il 75% dei genitori preoccupati per il futuro dei figli Il 37° Rapporto Censis si sofferma anche sul sistema di Welfare, sottolineando come “si va delineando tra i cittadini un’area di estraneità al tema federalismo/devolution in sanità”. Infatti ben il 22,3% non ha saputo esprimere valutazioni sull’attuale articolazione dei poteri tra Stato e Regioni. E’ da notare, però, che le valutazioni positive sul nuovo ordinamento aumentano con il crescere del numero di servizi sanitari ritenuti adeguati dagli intervistati (passando dal 39,6% per 2 servizi sanitari ritenuti adeguati al 55,6% per oltre 6 servizi sanitari ritenuti adeguati), confermando che l’adesione al modello federalista è subordinata ad una valutazione di qualità dei servizi, che rimane l’obiettivo centrale degli utenti. Sempre per il Censis, “si va radicando nella nostra società il modello del vivere bene che tende a conciliare la voglia di bellezza col bisogno di essere sani. Nella cura di sé e del proprio corpo, assume particolare rilevanza l’interesse degli italiani verso la corretta alimentazione e verso la pratica sportiva”. Quasi il 60% degli intervistati svolge regolarmente, almeno due volte alla settimana, qualche tipo di attività fisica: dalle semplici passeggiate a piedi o in bicicletta (28%) alla palestra (12%), dallo sport praticato autonomamente (10,6%) a quello di gruppo (5,9%). Paura del futuro. Riguardo al clima di incertezza e paura del futuro che pesa sulle famiglie che hanno figli, si è riscontrato che circa il 75% dei genitori ritiene che nel futuro aumenteranno i rischi cui saranno sottoposti i figli. Non solo, le famiglie si sentono troppo sole rispetto allo svolgimento di tutti i compiti di cura e sostegno familiare e riaffermano l’importanza del ruolo sociale delle politiche pubbliche in questo campo (per il 65% degli intervistati la famiglia è troppo sola nei momenti di bisogno e, soprattutto, non riceve supporto adeguato dagli altri soggetti, a cominciare da quelli pubblici).
“In questo
contesto – precisa il Censis - emerge ancora una volta il ruolo cruciale
della famiglia, che rappresenta la principale rete di tutela per i suoi
membri, cui si aggiunge l’importanza delle “reti relazionali che
producono assistenza e reciprocità”. L’80,3% degli italiani ha dedicato
tempo a persone che si sentivano demotivate o depresse, il 68,6% ha
aiutato persone in difficoltà, il 60,3% ha aiutato nelle faccende
domestiche una persona con cui non convive, il 59,2% ha versato soldi ad
associazioni di volontariato, il 26,6% ha svolto attività di
volontariato, il 20,8% ha partecipato a progetti di adozione a distanza. Trapianti. Per quanto riguarda l’eccellenza in ambito sanitario, frutto dell’interazione di una pluralità di fattori umani, socioeconomici, tecnologici e organizzativi, va evidenziato il settore dei trapianti, vera “best practice” di sistema. Negli ultimi 10 anni in Italia si è registrata una crescita esponenziale delle donazioni: si è passati dai 5,8 donatori utilizzati per milione di popolazione (pmp) nel 1992 ai 16,8 nel 2002. Anche i trapianti hanno presentato un forte aumento: per i trapianti di rene si è passati dai 611 trapianti del ‘92 ai 1.470 del 2002, per i trapianti di cuore da 243 trapianti del 1992 a 312 del 2002, per quelli di fegato da 202 del ‘92 a 830 del 2002, per quelli di pancreas da 38 del 1992 a 77 del 2002).
Il totale non è
uguale a 100 perché erano possibili più risposte
(*) Il totale non
è uguale a 100 perché erano possibili più risposte
Fonte: Indagine FBM - Censis, 2003 Solo il telefonino accomuna i giovani delle città e quelli delle periferie. Il 58% usa Internet, ma ben il 41% lo usa ''mai'' o ''quasi mai'' Globali e Metropolitani. Confrontando alcune abitudini d’impiego dei media diffuse tra i giovani che vivono nelle grandi città (con oltre 100mila abitanti) e nel resto d’Italia, il Rapporto Censis ne delinea un quadro complesso: se il telefonino è diffuso allo stesso modo ovunque (90,4% contro 90,3%), nelle aree meno densamente abitate i media che hanno una diffusione maggiore sono quelli che aumentano la socializzazione di massa come tv (92%) e radio (73,5%); nei grandi centri invece troviamo i media con i quali è possibile individualizzare di più i rapporti, come internet (45,9%), giornali (50,2%) e libri (50,5%). “L’impressione – afferma il Censis - è che i giovani che vivono nei grandi centri assumono atteggiamenti tipicamente metropolitani come la personalizzazione nell’uso dei media e grande curiosità per quello che accade in ogni parte del mondo. Mentre coloro che vivono in periferia cercano di sentirsi virtualmente al centro utilizzando un ventaglio più ampio di media e attingendo diversamente ai temi trattati”. Questi ultimi, infatti, preferiscono leggere nei quotidiani le pagine dedicate alla cronaca nazionale (50,3%) e locale (36,1%), quelli dei centri maggiori invece, non solo seguono di più lo sport (36%), ma mostrano un maggiore interesse per le notizie politiche (28,4%) e per i temi legati all’economia e al lavoro (13,2%).
I giovani e i
libri.
Uno dei luoghi comuni che circolano sostiene che i giovani
rifiuterebbero ogni rapporto con i libri. In realtà anche se si tratta
di una dichiarazione d’intenti e non la registrazione di quanto
effettivamente fanno i giovani (14-30 anni), il 66,1% dichiara di
leggere almeno un libro l’anno e il 48,4% ne legge almeno tre. Inoltre
non è la concorrenza dei mass media a ostacolare la lettura, ma il
contenuto dei libri, visto che il 22,9% dichiara di annoiarsi quando li
legge, mentre il 13,5% non vi trova nulla di interessante. I giovani e il telefonino. I giovani sono innamorati del cellulare, anche se le motivazioni d’impiego, cambiano notevolmente a seconda dell’età: tra gli adolescenti lo svago (21,7%), la compagnia (17,8%) e l’abitudine (27,2%) sono preponderanti, tanto da far arretrare la funzione più naturale dell’uso del telefono, cioè la necessità (54,7%). I giovani inoltre lo usano principalmente per le telefonate (76,2%) e i messaggini (60,9%), anche se tra i giovanissimi (14-18 anni) non è trascurabile la quota di quanti lo usano per giocare (5,1%), così come tra i meno giovani (25-30 anni) qualcuno usufruisce anche dei vari servizi che cominciano a essere diffusi via Sms (3%). I giovani e internet. Internet è lo strumento che più di ogni altro segna la differenza tra uso giovanile e adulto dei mezzi di comunicazione. Dichiara infatti, di collegarsi alla rete il 58,7% dei giovani, un dato che corrisponde all’incirca al triplo (18,4%) di quanto accade tra gli adulti sopra i 30 anni. Tuttavia è importante sottolineare che tra i giovani solo il 38,7% utilizza “abitualmente” internet con una frequenza settimanale di almeno tre volte, il 20% lo fa “occasionalmente” (tra una e le due volte la settimana) e addirittura il 41,3% dice di non usarlo mai o quasi mai. Sono le donne a mostrare maggiore estraneità nei confronti di questo nuovo strumento di comunicazione, lo sentono lontano infatti il 36,3% di esse e vicino solo 17,5%. Mentre gli uomini lo sentono vicino per il 28,4% e per il 24%. Le donne, infatti, navigano solo perché costrette per motivi di studio (43%) e per lavoro (17,6%), invece la prima ragione che spinge gli uomini ad usare internet è ricercare informazioni di attualità (36,5%) e scaricare testi, immagini e musiche (12,7%). I media ideali. Ma quali sono le caratteristiche considerate decisive dai giovani per apprezzare un qualunque mezzo di comunicazione? “Come prima cosa – riferisce il Censis - i media dovrebbero offrire temi diversi e lasciare libertà di scelta (91,8%), inoltre dovrebbero consentire l’approfondimento delle notizie scelte (86,3%), e permettere l’aggiornamento sui fatti che accadono, anche senza troppo approfondirli (79,8%), ma soprattutto devono sapersi proporre in maniera seria ed autorevole (72,5%). Contrariamente a quanto ci si aspettava, negli ultimi posti della graduatoria troviamo le caratteristiche dei media che potevano essere considerate le più preferite tra i giovani e cioè la tendenza a proporsi in maniera ironica o leggera (58,9%)”.
Il totale non è uguale a 100 perché erano possibili più risposte
Il totale non è uguale a 100 perché erano possibili più risposte
Il totale non è
uguale a 100 perché erano possibili più risposte
Il totale non è uguale a 100 perché erano possibili più risposte Sempre più imprese adottano come criteri di scelta la responsabilità sociale, preferendo fornitori e partner che manifestano correttezza sociale
Il Censis ha
studiato anche il rapporto delle famiglie italiane con l’interattività. Responsabilità sociale. Il Censis prende in esame anche la Responsabilità sociale delle imprese (Rsi), sottolineando come “in molte delle recenti indagini emerge che ‘chi innova è più sociale’. Cosa unisce due concetti così diversi? Etica e innovazione convergono e fanno crescere la forza competitiva delle imprese che risiede nella capacità di fare rete e di valorizzare i rapporti che sono alla base della produzione”. In base ai dati Isvi-Unioncamere sulla Rsi, nelle piccole e medie imprese si diffondono sistemi di comunicazione intranet (29%) e incontri periodici (63,2%), mentre sul piano dei servizi ai dipendenti oltre il 50% propone orario flessibile e possibilità dell’aspettativa e aumenta l’offerta di corsi di formazione ai dipendenti su protezione ambientale (30%) e sicurezza (70%). Dall’indagine Rur-Censis e Federcomin sui distretti produttivi digitali si ricava, inoltre, che nelle filiere in cui i legami sono stabili e affidabili l’innovazione si diffonde più rapidamente attraverso processi di imitazione e di “propagazione per coercizione” da parte delle grandi dell’area che impongono alle imprese minori della filiera i propri standard. Cresce, infine, il numero delle imprese che adottano come criteri di scelta la responsabilità sociale, preferendo fornitori e partner commerciali che hanno manifestato correttezza sociale dei processi produttivi (20,5 nelle imprese che hanno più di 51 dipendenti). Infine, quella che il Censis chiama “la partecipazione tradita”. “L’opportunità di avere il governo a portata di mano e le enormi conseguenze che ciò determina per le istituzioni e i processi democratici sono questioni balzate all’ordine del giorno nelle politiche nazionali e internazionali – si dice -. Con il rapporto Città digitali la Rur, in collaborazione col Censis, indaga gli strumenti della democrazia digitale che risultano poco presenti tra i siti istituzionali degli enti locali: le percentuali di siti che offrono strumenti quali sondaggi, questionari e forum risultano molto basse, oscillando dal 20,6% allo 0,8%. Dal lato della domanda, si ricava che il desiderio di voler essere coinvolti nelle decisioni pubbliche non è tra le priorità della popolazione italiana, mentre lo è la necessità di informazione e di contenuti: il 54,7 % degli intervistati ritiene molto utili i servizi di informazioni sulle città e solo il 34,2 % di questi sottolinea l’importanza di strumenti per partecipare alle scelte delle amministrazioni e alle decisioni di volta in volta prese”. Crescono i reati (3,1%) e la paura, ma l'Italia è luogo sostanzialmente sicuro. L'immigrazione crea meno allarme sociale rispetto al passato Sebbene nel 2002 in Italia i reati siano cresciuti del 3,1% rispetto all’anno precedente, tuttavia in una dimensione europea il nostro paese si afferma come luogo sostanzialmente sicuro: infatti, l’Italia si trova al 12° posto di una ipotetica graduatoria europea con 386,56 delitti ogni 10.000 abitanti. Solo una quota minoritaria della popolazione italiana percepisce il rischio effettivo di rimanere vittima di un evento criminoso. In particolare, il 26% teme di rimanere vittima di un furto, contro una media europea pari al 29%; il 21% ha paura, invece, di essere rapinato, contro il 24% della media Ue; il 16% teme di subire un’aggressione, a fronte di una media europea pari al 24%; infine, il 26% teme di rimanere vittima di un furto o di un rapina all’interno della propria abitazione, valore in linea con l’Unione europea. Nonostante ciò la criminalità fa ancora paura: nel 2003, infatti, la paura della criminalità organizzata si colloca al primo posto tra le paure degli italiani (88,1% delle risposte), seguita dalla microcriminalità con l’86%. La paura e l’insicurezza investono soprattutto il contesto urbano e in particolare le periferie. In Italia appena l’11% della popolazione si sente sicuro a camminare da solo di notte nell’area in cui vive, a fronte di una media europea del 21%. Viceversa, il 16% degli italiani non si sente per niente sicuro ad attraversare di notte il proprio quartiere, rispetto ad una media europea del 12%. Ad ancora: la criminalità organizzata gode di ottima salute. Un’indagine del Censis rivela che il 75,2% degli imprenditori che operano nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa rileva fenomeni di usura, e il 76,8% denuncia l’esistenza del racket. Per il 65,5% degli imprenditori meridionali non è possibile svolgere liberamente, cioè senza condizionamenti esterni, un’attività economica e per l’80,9% vi sono gravi squilibri alle regole della concorrenza dovuti alla presenza di criminalità: in particolare, per il 63,9% nascono dal nulla nuove imprese competitive e per il 36,3% il fenomeno è in aumento; altri fattori di distorsione sono l’imposizione di manodopera (per il 26,2% del campione analizzato le organizzazioni criminali impongono manodopera alle imprese) e l’imposizione di forniture (per il 26,5% degli imprenditori); il 67,2% degli intervistati, infine, ritiene che le procedure di assegnazione degli appalti pubblici siano irregolari. Immigrazione. L’immigrazione sembrerebbe creare meno allarme sociale rispetto al passato: solo il 9,1% della popolazione dichiara di avere molta paura dell’immigrazione a fronte del 35,6% che non ne ha affatto. Gli immigrati fanno però ancora fatica ad inserirsi nel tessuto sociale, e lo dimostra il numero di italiani che ritengono che l’immigrazione sia un problema: il 62,9% contro il 36,2% che, al contrario, la giudica una risorsa. Si commetterebbe un grave errore, però, a considerare la nostra come una società xenofoba se non, addirittura, razzista. Infatti, un’indagine Eurobarometer del 2003, dimostra come in Italia gli immigrati non si sentano particolarmente discriminati: solo l’1% degli immigrati dichiara di essere stato vittima di discriminazioni, valore inferiore alla media europea che è pari al 3%; mentre il 17% è stato testimone di episodi di discriminazione a fronte di una media europea del 22%. Un altro elemento che produce diffidenza è l’idea che vi sia un legame tra la presenza di immigrati e la crescita di fenomeni di criminalità: ancora oggi il 74% degli italiani ritiene valida l’equazione immigrazione uguale crescita della criminalità. Un segmento di immigrati particolarmente a rischio di venire irretito dalle lusinghe della criminalità è quello dei minori, conclude il Censis, “in particolare i minori stranieri non accompagnati: bambini in stato di abbandono, privi di sostegno o perché allontanati dal nucleo familiare o perché costretti ad emigrare dal loro paese in cerca di lavoro per contribuire a sostenere la famiglia”. Dal 2000 al 2003 ne sono stati segnalati al Comitato per i minori stranieri più di 20.000, e nell’ultima rilevazione del 30 settembre 2003 i minori segnalati risultano 8.324.
Fonte: Indagine Censis, 2003
Fonte: Indagine Censis, 2003 |
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