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"Non sono attendibili" da Repubblica I due presidenti finiscono nel mirino per le loro stime
ROMA - Polemica al calor bianco tra la politica e gli istituti di ricerca. Il centrodestra spara a zero contro l'Eurispes, "colpevole" di aver dato un quadro del paese improntato al pessimismo. Il centrosinistra, invece, attacca l'Istat, "reo" di consegnare un'immagine troppo ottimistica della situazione economica del paese. Sull'Eurispes piovono gli strali di un paio di ministri, Marzano e Maroni, che non esitano a mettere in dubbio la buona fede dell'istituto, accusato di avere una coloritura politica avversa al governo. "Ci sono anche importanti ricerche fatte da istituiti prestigiosi, o presunti tali, che disegnano un quadro drammatico. La realtà è diversa: questi istituti certe volte si lasciano andare a considerazioni che non sono scientifiche, ma ispirate da qualche parte politica" dice il leghista Maroni. Analisi che trova sponda nelle parole di Marzano: "Quando l'Eurispes parla di tassi di inflazione al 20% ti viene da chiedere come proceda. E allora vai a controllare e scopri che tra i membri del suo direttivo vi è un gran numero di personalità politiche dell'opposizione". Un doppio affondo a cui l'Eurispes risponde per bocca del presidente Gian Maria Frara: "Maroni utilizza la sua carica per denigrarci e introduce un elemento altamente inquinante e distorsivo della concorrenza nel mercato della ricerca italiana".Stessi toni accesi quelli che caratterizzano lo scontro tra l'Istat e il centrosinistra. Nei confronti dell'Istituto di statistica la diffidenza è già palese da qualche tempo, da quando il suo presidente sostenne la differenza tra l'inflazione reale (calcolata dal suo centro di ricerca) e l'inflazione percepita (dai consumatori). A scatenare la nuova polemica è il calo della dinamica dei prezzi annunciato oggi dall'istituto. Una limatura rispetto ai dati diffusi appena ieri che però non convince il leader dell'Udeur, Clemente Mastella: "Il presidente dell'Istat la smetta con le sue interpretazioni sfacciatamente di parte e si dimetta. Biggeri lasci il suo ufficio dorato e scenda in strada per farsi un giro nei mercati". I dati dell'Istat sull'inflazione sono "veri e affidabili" replica Biggeri, che spiega così la discrepanza tra le prime rilevazioni sul carovita di gennaio uscite ieri dalle città campione e le stime preliminari diffuse oggi dallo stesso Istat. "Il dato pubblicato dai giornali - spiega il presidente dell'Istat - è parziale, basato esclusivamente sulle dodici città principali, il dato vero è quello che ha pubblicato oggi l'Istat perché fa riferimento a tutti gli 86 capoluoghi di provincia che partecipano alla rilevazione dei prezzi al consumo in Italia". Fara (Eurispes) al Ministro Maroni: ''Uilizza la sua carica per denigrare il nostro lavoro'' “Sorprendono le dichiarazioni del Ministro Maroni che utilizza impropriamente la sua carica istituzionale per denigrare il lavoro di un Istituto che da più di vent’anni analizza con serietà e competenza l’evoluzione sociale, politica ed economica del Paese. Il nostro è lo stesso Istituto che era tanto apprezzato dal centro-destra quando era all’apposizione e rivolgeva le sue critiche al governo dell’Ulivo. E’ lo stesso Istituto, vogliamo ricordare al Ministro, che per primo analizzò con grande profondità, rigore e capacità di previsione il fenomeno leghista descrivendone la reale portata”. Il Presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara, replica così al Ministro del Lavoro, Roberto Maroni. In merito alla composizione del Consiglio direttivo dell’Eurispes, aggiunge Fara, “invitiamo il Ministro leghista Maroni ad approfondire la lettura dell’elenco dei 27 componenti il Consiglio stesso: si accorgerà, dopo questo breve esercizio, della presenza non solo delle quattro personalità citate da Maroni e appartenenti al centro-sinistra ma anche di numerosi esponenti dell’area politica e culturale del centro-destra. Inoltre, nello stesso Consiglio direttivo dell’Eurispes vige la logica “un uomo, un voto”, indipendentemente dalla ricchezza, dal censo e dal numero di ville possedute. Riguardo poi all’oggettività e all’indipendenza delle analisi Eurispes, ribadiamo la totale autonomia delle nostre rilevazioni e la validità dei nostri modelli interpretativi della realtà italiana, una autonomia più volte riconosciuta dai massimi livelli istituzionali del Paese. Per di più, il Ministro Maroni, criticando pesantemente la capacità operativa e professionale dell’Istituto, introduce un elemento altamente inquinante e distorsivo della concorrenza nel mercato della ricerca italiana”. RAPPORTO EURISPES 2004 La partecipazione di donne e giovani: al Trentino il primato del sistema politico più aperto d'Italia.
Più giovani nel centro-destra, più donne nel centro-sinistra .
Lo studio dell’Istituto, concernente il livello di apertura del sistema politico regionale nei confronti di giovani e donne, categorie troppo spesso avulse da responsabilità associative, politiche ed amministrative.
Nello specifico: fornire alcune indicazioni circa l’apertura dei sistemi regionali tramite l’osservazione di quattro indicatori: partecipazione politico-elettorale, presenza giovanile nelle regioni, presenza femminile e livello generale di apertura del sistema politico.
In generale, dalla lettura dei dati emerge come il Trentino Alto Adige si trovi in cima alla classifica, in quanto risulta essere la regione italiana che più di tutte dimostra attenzione nei confronti dei giovani e delle donne nella formazione dei processi decisionali interni A seguire, si trovano Piemonte, Umbria, Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e Toscana.
Da una analisi complessiva e comparata, emerge poi in maniera evidente il divario esistente tra le realtà regionali del Nord e quelle delle altre aree del paese, il Sud in particolare. In coda alla classifica, infatti, eccetto la Liguria, figurano quasi tutte le regioni del Mezzogiorno, “penalizzate – afferma l’Eurispes – oltre che da un basso grado di partecipazione dei propri residenti alla res pubblica, da un comprovato atteggiamento di chiusura riguardo l’universo femminile”. Ciò premesso, la maglia nera spetta decisamente alla Calabria, le cui migliori performances non vanno oltre il penultimo posto raggiunto nella classifica relativa al grado di partecipazione politico-elettorale. L’unica nota non dolente per le regioni del Sud arriva dalla Sicilia che, nonostante riservi pochi posti alle donne, si rivela l’amministrazione regionale più giovane d’Italia. L’Emilia Romagna, invece, è la regione che ottiene il migliore piazzamento nella graduatoria che tiene conto del livello di adesione manifestato dalla popolazione regionale nei confronti degli strumenti e dei meccanismi di verifica della politica, ovvero le competizioni elettorali.
Una nota politica: un’ulteriore classificazione del livello di apertura del sistema politico regionale nei confronti dell’universo giovanile e femminile è stata ottenuta in considerazione dell’orientamento politico delle singole amministrazioni. Complessivamente, a livello regionale l’Eurispes evidenzia che sono le coalizioni di centro-destra ad aprirsi di più ai giovani: 11,6% il grado di apertura dei governi di centro-destra contro il 10,3% di quelli di centro-sinistra. Il divario si accentua notevolmente se si osservano le percentuali di presenza giovanile negli esecutivi: 13,4% il peso degli amministratori junior nelle Giunte di centro-destra, 6,3% quello rilevato sul fronte opposto.
Complessivamente più donne, invece, soprattutto nei governi regionali di centro-sinistra: le amministrazioni guidate da questa coalizione dispongono, infatti, di una presenza femminile al loro interno che è pari al doppio di quella rilevata nelle amministrazioni di centro-destra (13,6% contro 6,2%). Questo trend si conferma anche in seno ai Consigli regionali (12,3% di presenza femminile nelle Amministrazioni di centro-sinistra, 6,4% in quelle di centro-destra), mentre la forbice si allarga per quanto riguarda le Giunte: è di uno a quattro il rapporto tra i governi di centro-destra e quelli di centro-sinistra rispetto al numero di donne che ricoprono una qualche carica all’interno degli esecutivi regionali (5,7% la quota di amministratori “donne” nelle Giunte di centro-destra, contro il 19,7% in quelle di centro-sinistra).
Note: Fonte: Eurispes, Prima anticipazione del Rapporto Italia 2004 - "Il livello di apertura del sistema politico regionale", Gennaio 2004 In Emilia Romagna la più alta affluenza alle urne; in Sicilia l'amministrazione più giovane. La Calabria regione più ''chiusa'' Alcuni dati evidenziano nello specifico la partecipazione politico-elettorale e quella dei giovani. Ecco, in sintesi, quanto emerge. Partecipazione politico-elettorale. “Le elezioni costituiscono il principale momento di verifica della partecipazione dei cittadini alla politica – afferma l’Eurispes -. Il controllo che, in questo modo, i cittadini esercitano sulle istituzioni sarebbe la garanzia della vitalità di queste ultime, nonché della loro capacità di farsi interpreti dei bisogni collettivi. L’astensionismo o la non partecipazione politico-elettorale è, da questo punto di vista, uno degli aspetti preoccupanti della vita politica delle moderne democrazie, specialmente se si tiene conto del fatto che il partito “ideale” che esso individua, costituisce spesso il partito di maggioranza relativa”. Il Rapporto mette a confronto i dati sulla partecipazione e l’affluenza alle urne della popolazione italiana nelle ultime elezioni europee, politiche e regionali, mediante la costruzione di un indice di partecipazione politico-elettorale per ciascuna regione. Tale indice altro non è che la media, a livello regionale, dei livelli di partecipazione raggiunti in ciascuna competizione elettorale. Bene, ciò che emerge è che nelle regioni economicamente più avanzate si registra il più alto grado di partecipazione politico-elettorale: non è un caso, infatti, che i più “attenti” alle vicende politiche ai vari livelli si rivelino gli emiliano-romagnoli, la cui media di affluenza alle urne, rispetto alle ultime tornate elettorali, è dell’83,1%, superiore di ben otto punti alla media nazionale (75%). In seconda posizione c’è l’Umbria, laddove ben otto residenti su dieci (80,6%) dimostrano di partecipare “attivamente” alle consultazioni elettorali; seguono la Lombardia (79,9%), il Veneto (78,6%), la Toscana (78,5%) e il Trentino Alto Adige (78,4%), in assoluto la regione con il più alto indice di permeabilità politica. I più “distratti” si dimostrano in primis i siciliani, di gran lunga i più disinteressati alla politica rispetto all’italiano medio: il livello di partecipazione politico-elettorale rilevato in questa regione è del 64,5%, a fronte di una media nazionale del 75%. Piuttosto distaccati appaiono pure i residenti della regione Calabria e del Molise: come per la Sicilia, infatti, l’indice medio di partecipazione politico-elettorale in queste aree non raggiunge neanche quota 70% (rispettivamente 66,6% e 68,6%).
Le amministrazioni
giovani
. L’Eurispes ha
voluto capire se sia realmente possibile implementare un sistema di
partecipazione alla vita politica ed istituzionale che coinvolga i
giovani dal basso. L’ipotesi di partenza è stata quella di considerare
o, per meglio dire, riclassificare come “giovane”, secondo la dicotomia
junior/senior, la categoria degli amministratori regionali nati fino al
1963, con lo specifico intento di pervenire ad una valutazione del
livello di permeabilità del sistema politico regionale nei confronti di
nuove “leve”. In altre parole, si è trattato di calcolare l’incidenza
numerica di questo sottocampione all’interno dell’attuale classe
politica regionale. Dunque, spetta alla regione Sicilia il primato di
amministrazione più giovane d’Italia. Con un’incidenza del 20,8%, a
fronte di una media nazionale dell’11,8%, la Sicilia conta il maggior
numero di amministratori junior: ben 21 su 101 gli under 40 che
ricoprono una carica istituzionale all’interno del panorama politico
regionale di quest’area. Al secondo posto si colloca il Piemonte, con
una presenza giovanile all’interno dell’Amministrazione regionale nel
suo complesso pari al 19,2% del totale. Terza la Lombardia con il 17,7%,
quarta la Valle d’Aosta con il 14%; quinto il Veneto con un 13,7% di
presenza giovanile; seste, appaiate, il Friuli Venezia Giulia e l’Emilia
Romagna con il 12,7%, ed, ancora, la Puglia, che con il 12,5% di
amministratori junior si aggiudica il settimo posto. Tutte le altre
regioni presentano valori al di sotto della media nazionale, con
percentuali che oscillano tra l’11,1 della Campania ed il 3,8 della
Calabria, amministrazione quest’ultima che, a conti fatti, si presenta
politicamente più chiusa o, se vogliamo, meno vicina ai giovani. Infine, un’ulteriore classificazione del livello di apertura del sistema politico regionale nei confronti dell’universo giovanile è stata ottenuta in considerazione dell’orientamento politico delle singole Amministrazioni. Complessivamente, a livello regionale l’Eurispes evidenzia che sono le coalizioni di centro-destra ad aprirsi di più ai giovani: 11,6% il grado di apertura dei governi di centro-destra contro il 10,3% di quelli di centro-sinistra. Il divario si accentua notevolmente se si osservano le percentuali di presenza giovanile negli esecutivi: 13,4% il peso degli amministratori junior nelle Giunte di centro-destra, 6,3% quello rilevato sul fronte opposto.
Il Trentino Alto Adige è la regione con il primato di amministratori ''rosa''. Puglia senza donne in Consiglio e Giunta Secondo il Rapporto dell’Eurispes, la differenza tra uomini e donne in politica è una realtà ancora molto presente. “Specialmente se intraprendono la carriera dirigenziale e aspirano a posizioni di vertice- precisa l’Istituto -, le donne non si trovano, in molti aspetti della vita politica, in condizione paritaria rispetto agli uomini. Anche quando i partiti e le istituzioni ai vari livelli offrono un’immagine di apertura ad entrambi i sessi, senza discriminazioni, può capitare (e probabilmente capita) che, rispetto a determinate scelte, come ad esempio l’avere dei figli, siano presenti ostacoli che diventano più grandi per le donne. Alcuni addirittura ripiegano sullo stile di leadership, sul carisma, sull’arte del saper amministrare che la storia assegna freddamente ed inconsapevolmente solo agli uomini”. Sta di fatto che, ad oggi, su un totale di 1.298 amministratori regionali si contano appena 123 donne: 9 politici su dieci, in questo sistema, sono uomini.
L’analisi per
genere è condotta, come per i giovani, sia a livello aggregato che per
singolo organo regionale. Ad ottenere il massimo dei punti, conquistando
il titolo di amministrazione più “rosa” d’Italia, è la regione Trentino
Alto Adige (22,4% la quota di amministratori donne presenti al suo
interno), che, in virtù di questo risultato e dei buoni piazzamenti
realizzati nelle altre graduatorie, si pone, come detto, ai vertici
della classifica generale che descrive il livello di apertura del
sistema politico regionale. Avvicendamento nei due gradini più alti della classifica per quanto attiene la qualifica di Giunta più “rosa” d’Italia: in testa svetta l’Umbria con un 44,4% di presenza femminile nell’esecutivo regionale, cui segue il Trentino Alto Adige con il 37,5%. Non si rileva alcuna presenza femminile nelle Giunte delle regioni: Sardegna, Molise, Calabria, Friuli Venezia Giulia, Abruzzo, Basilicata e Puglia. “Quest’ultima, in particolare – afferma l’Eurispes -, sembra privilegiare una politica fatta di soli uomini, in quanto si aggiudica la maglia nera, e questa volta da sola, anche limitatamente alla presenza femminile all’interno dell’organo assembleare. Ai vertici della graduatoria del Consiglio regionale più “rosa” d’Italia balza nuovamente in testa il Trentino Alto Adige, forte delle due donne ogni dieci consiglieri regionali; secondo e terzo posto per il Veneto e l’Emilia Romagna, con, rispettivamente, il 14,8% e il 14% di presenza femminile sul totale degli amministratori che compongono l’assemblea regionale.
Gli italiani sul conflitto israelo-palestinese e la questione Mediorientale. Grande rispetto per l'Olocausto (92,3%) ma critiche alle posizioni governative israeliane L’istituto rende nota un’indagine campionaria concernente “L’opinione degli italiani sul conflitto israelo-palestinese e sulla questione mediorientale”. L’intento, come afferma la stessa Eurispes, che ha condotto l’indagine su 1500 italiani, è quello di “verificare la presenza di sentimenti antiebraici in Italia e raccogliere le opinioni dei cittadini italiani sulla politica governativa israeliana e il conflitto mediorientale”. Ricordando il sondaggio “scandalo condotto a livello europeo da Eurobarometro e reso noto lo scorso novembre, l’Eurispes evidenzia come, nonostante evidenti errori metodologici, “non riteniamo che i risultati del sondaggio possano rimandare automaticamente ad un atteggiamento negativo della popolazione europea verso l’esistenza dello Stato d’Israele o a sentimenti di ostilità verso il popolo ebraico”. “L’accettazione dell’equazione – continua – in base a cui le critiche alla politica governativa israeliana rimanderebbero a posizioni antisemite presterebbe il fianco a strumentalizzazioni del fenomeno che non apportano alcun sostegno né alla lotta contro l’antisemitismo né alla soluzione del conflitto mediorientale. Tale equazione alimenterebbe, inoltre, uno dei ‘topoi’ degli antisemiti, secondo cui la recriminazione sull’incremento dell’antisemitismo non sarebbe che una strategia funzionale alle ragioni del sionismo”. In concreto, l’Istituto di ricerca ha voluto verificare le opinioni degli italiani sull’attuale politica del governo Sharon in relazione al conflitto israelo-palestinese; sull’eventuale presenza di pregiudizi o atteggiamenti antisemiti nei confronti del popolo ebraico; sui principali fattori di destabilizzazione dell’area mediorientale; sul ruolo del contingente italiano nel conflitto iracheno. Ciò che l’Eurispes evidenzia in maniera chiara è la mancata correlazione tra le critiche alle posizioni governative israeliane e la negazione dell’Olocausto. In concreto, gli italiani non negano l’Olocausto: ben il 92,3% degli intervistati ha dichiarato di essere poco (8,8%) o per niente (83,5%) d’accordo con l’affermazione “l’Olocausto degli ebrei non è mai accaduto”; c’è una ristrettissima percentuale di negazionisti, il 2,7%, che dichiara di essere molto (1,4%) o abbastanza d’accordo (1,3%) con la tesi che nega l’Olocausto, mentre non ha risposto il 5%. Non presenti anche posizioni revisioniste. Infatti, l’80% degli intervistati ha affermato di essere poco (16,6%) o per niente d’accordo (64,1%) con l’affermazione “l’Olocausto degli ebrei è avvenuto realmente, ma non ha prodotto così tante vittime come si afferma di solito”. E’ però l’11,1% che si dichiara molto o abbastanza d’accordo con tale affermazione. Dunque, una evidente presa d’atto di ciò che è stato l’Olocausto. A cui però si accompagnano altri giudizi sull’attuale politica governativa israeliana. Quasi la totalità degli intervistati (91,4%), infatti non mette in discussione il diritto all’esistenza dello Stato di Israele (solo il 2,8% ritiene che non abbia diritto di esistere), ma il 26% del campione condiziona l’esistenza dello Stato di Israele al riconoscimento di uno stato palestinese. In ordine alla condotta di Sharon, quasi 3 italiani su 4 (il 74,5%) condividono l’affermazione secondo cui “il Governo di Sharon sbaglia, ma sbagliano anche i kamikaze palestinesi”. Solo il 14,4% è poco o per niente d’accordo con questa tesi. Italiani però fortemente critici in ordine all’atteggiamento di Sharon sulla questione palestinese. Tant’è che l’area del dissenso nei confronti della politica di Sharon è più vasta: il 53,7% si dichiara infatti poco o per niente d’accordo con l’affermazione “il Governo di Sharon fa scelte giuste, perché deve difendersi dagli attacchi dei kamikaze palestinesi” (il 30,9% è tuttavia molto o abbastanza d’accordo). Ben il 15%, però, non ha saputo o voluto esprimere un’opinione.
Ancora: il 53,8%
degli intervistati ha affermato di essere poco o per niente d’accordo
con l’affermazione secondo cui “il Governo di Sharon, nei confronti dei
palestinesi, sta seguendo l’unica linea politica possibile, poiché è in
gioco la sopravvivenza stessa dello Stato d’Israele” (il 26,7% è molto o
abbastanza d’accordo). Inoltre, il 77,8% esprime parere contrario alla
costruzione del Muro di separazione tra israeliani e palestinesi e solo
il 10,8% è favorevole al progetto. In questo caso, l’area di dissenso si
restringe , pur mantenendo elementi di criticità, quando il 35,9% si
dichiara molto o abbastanza d’accordo con l’affermazione “il Governo
Sharon sta compiendo un vero e proprio genocidio e si comporta con i
palestinesi come i nazisti si comportarono con gli ebrei”. In questo
caso è il 48,2% a non condividere tale affermazione mentre il 15,9% non
ha aputo o voluto rispondere. Ciò evidenziato, l’Eurispes conclude evidenziando “la necessità di elevare e tenere sempre alti i dispositivi di vigilanza e di prevenzione di qualsiasi episodio di razzismo e di forte pregiudizio razziale, sviluppando qualsiasi tipo di iniziativa culturale in grado di alimentare la reciproca fiducia tra i popoli e le religioni ed infine qualificando le competenze e le responsabilità della funzione giornalistica e della ricerca sociale in relazione a temi così complessi e di particolare valore storico e culturale”.
Fonte: Eurispes.-Korus, Rapporto Italia 2004 A sinistra e nel centro-sinistra italiani più critici verso Sharon Due ulteriori, interessanti aspetti sul Rapporto Italia 2004 dell’Eurispes riguardano le risposte alla questione israelo-palestinese distinte per posizioni politiche degli intervistati e il giudizio degli italiani sul contingente italiano in Iraq. Lo scorporo delle risposte per area politica di riferimento consente infatti all’Eurispes di evidenziare la presenza di giudizi estremamente differenziati. Il disaccordo verso l’affermazione che difende le scelte del governo di Sharon, in quanto dettate dalla necessità di difendersi dagli attacchi dei kamikaze palestinesi, è estremamente diffuso sia tra i cittadini che si collocano a sinistra (tra questi, il 77,5% afferma di essere poco o per niente d’accordo) che al centro-sinistra (69,8%), rimane maggioritario tra gli intervistati di centro (48,1% contro il 33,1% esprimente un parere opposto) ma registra valori minoritari tra i cittadini politicamente orientati al centro-destra (39,3%) e a destra (40,5%). È soprattutto tra gli intervistati di centro-destra che le scelte del governo israeliano trovano consenso e sono ritenute la diretta conseguenza degli attacchi kamikaze: il 40,3% afferma di essere abbastanza d’accordo (contro l’11,7% dei cittadini orientati a sinistra) e il 12,2% molto d’accordo (appena il 2,4% e il 4,2% tra gli intervistati di centro-sinistra e sinistra). La maggior parte degli intervistati rifiuta anche la tesi secondo cui i kamikaze sarebbero la conseguenza della politica imperialista e aggressiva di Sharon: afferma di essere poco o per niente d’accordo, infatti, il 54,8% dei cittadini di destra, il 60,2% di quelli di centro-destra e il 50,2% degli intervistati di centro. Anche tra i cittadini di centro-sinistra prevale il disaccordo (46,6% contro il 41% che ritiene, al contrario, che la colpa degli attacchi kamikaze sia da attribuire alla politica imperialista ed aggressiva di Sharon) mentre a sinistra l’affermazione trova un consenso maggioritario (54,5%). Il dissenso verso una spiegazione univoca del conflitto, che consenta di giustificare ora i kamikaze ora la politica forte adottata dal premier israeliano verso il popolo palestinese, è maggioritario, dunque, tra gli intervistati di quasi tutti gli orientamenti politici. “Ciò viene confermato – precisa l’Eurispes - anche dal grado di consenso mostrato dalla stragrande maggioranza dei cittadini all’affermazione che condanna tanto i kamikaze palestinesi quanto la politica governativa israeliana, indipendentemente dall’orientamento politico: esprime molto o abbastanza accordo oltre l’81% dei cittadini di centro-sinistra e centro-destra e l’83,1% degli intervistati di sinistra. Tra i cittadini di centro e di destra, dove sono più numerose le mancate risposte, l’accordo scende rispettivamente al 69,3% e al 68,2%. Fatta eccezione per i cittadini politicamente orientati a destra, è maggioritario tra tutti gli intervistati il dissenso verso l’idea che la linea seguita dal governo di Sharon nei confronti dei palestinesi sia l’unica possibile in quanto sarebbe in gioco la stessa sopravvivenza dello Stato d’Israele. Anche in questo caso la variabile politica gioca comunque un ruolo significativo nelle risposte degli intervistati: contro la linea dura adottata da Sharon si schierano oltre i 2/3 degli intervistati di sinistra e di centro-sinistra (rispettivamente, il 68,1% e il 70,8% del complesso) e poco meno della metà dei cittadini orientati al centro, mentre nel centro-destra gli intervistati si spaccano tra chi afferma di essere molto o abbastanza d’accordo con l’opinione secondo cui il governo di Sharon starebbe seguendo l’unica linea possibile per evitare la fine dello Stato d’Israele (44,9%) e chi, al contrario, si dichiara poco o per niente d’accordo (45,9%). A destra il 42,1% degli intervistati dichiara il proprio consenso alla linea adottata da Sharon, contro il 40,5% che si esprime contrariamente. “Queste spaccature nel campione di destra e centro-destra – afferma l’Eurispes - potrebbero segnalare una certa fascinazione per il decisionismo di Sharon e per il suo “difensivismo aggressivo”. Rispetto all’ultima tesi, secondo cui il governo di Sharon starebbe operando un vero e proprio genocidio nei confronti dei palestinesi, comportandosi come i nazisti si comportarono con gli ebrei, è possibile osservare come i cittadini dei diversi orientamenti politici si esprimano in modo speculare a quanto osservato per l’affermazione precedente. Nello specifico, esprimono il proprio disaccordo la maggioranza dei cittadini di destra (56,4%), centro-destra (71,5%), centro (54,3%) e centro-sinistra (46,9%), tra cui tuttavia è molto significativa anche la quota di chi ritiene opportuno il paragone con lo sterminio nazista (43,4%). Tra gli intervistati di sinistra è invece maggiormente diffusa l’opinione che il governo di Sharon stia operando un vero e proprio genocidio: esprime molto o abbastanza d’accordo con tale giudizio il 53,6% mentre si ritiene poco o per niente d’accordo il 37,1%.
Medio-oriente: terrorismo islamico, Europa vacante e politica americana i pericoli. Ma i militari italiani devono rimanere in Iraq (57,6%) Il Rapporto Italia 2004 dell’Eurispes ha preso in esame il giudizio degli italiani sul ruolo del contingente italiano in Iraq. Una sezione del questionario, infatti, ha inteso raccogliere in generale le opinioni dei cittadini italiani in merito ai fattori ritenuti più pericolosi per la pace in Medio Oriente. In questo contesto, il terrorismo islamico è indicato come l’elemento più pericoloso per una pacificazione del conflitto nella regione mediorientale per il 33,7% del campione. Al secondo posto la mancanza di una politica estera comune dell’Unione europea in Medio Oriente. Un ruolo più forte dell’Europa e la capacità dei paesi membri dell’Unione di stabilire una linea di azione organica, superando le divisioni interne che tanto spazio hanno giocato in merito al conflitto in Iraq, è auspicato infatti da un intervistato su cinque (20%). A breve distanza, indicata come il fattore più pericoloso per la pace in Medio Oriente dal 19,5% del campione, la politica del Presidente Bush in Medio Oriente. “La linea della guerra preventiva condotta dagli Usa contro il terrorismo internazionale e gli Stati canaglia della regione – precisa l’Eurispes - non sembra dunque rassicurare, quanto piuttosto preoccupare, buona parte degli intervistati”. Una percentuale più contenuta del campione addebita la responsabilità principale della pace in Medio Oriente al conflitto tra moderati e fondamentalisti all’interno di alcuni paesi arabi (8,6%) o alla politica del premier israeliano Sharon (6,5%). L’analisi delle risposte per orientamento politico degli intervistati rileva importanti differenze d’opinione tra i cittadini che si collocano a sinistra o a centro-sinistra e coloro che fanno riferimento alle altre aree politiche. È possibile osservare, infatti, come tra i fattori ritenuti più pericolosi per la pace in Medio Oriente i cittadini di sinistra indichino, in prevalenza, la politica governativa statunitense in Medio Oriente (34,3%). Anche dagli intervistati di centro-sinistra la politica di Bush in Medio Oriente è individuata come causa principale dell’instabilità mediorientale, ma a pari merito con il terrorismo islamico. Entrambi i fattori sono infatti indicati da oltre un cittadino su quattro (26,1%) degli intervistati di tale area politica. Molto più nette le risposte degli intervistati che si collocano nelle altre aree politiche: il terrorismo islamico è il maggiore pericolo per la pace in Medio Oriente per ben il 41,6% dei cittadini di centro, il 47,2% di quelli di centro-destra e il 45,3% degli intervistati di destra. Sensibilmente più contenute, tra questi intervistati, le percentuali di coloro che ritengono la politica di Bush in Medioeriente il fattore più pericoloso. Da evidenziare, infine, come la necessità di una politica estera Ue più organica sia sentita dai cittadini di tutti gli orientamenti politici. In base a quanto rilevato dall’indagine campionaria, la maggior parte dei cittadini italiani (il 56,5%) era contraria all’intervento degli anglo-americani in Iraq al momento dello scoppio del conflitto. Una minoranza significativa di intervistati (38,3%) ha invece dichiarato di essere stato favorevole all’intervento mentre il 5,2% non ha espresso un’opinione a riguardo. Quanto alla missione del contingente italiano impegnato in Iraq, secondo il giudizio del 57,6% degli intervistati, il contingente italiano attualmente presente in Iraq dovrebbe rimanere. Nello specifico, il 52,9% ritiene che sia dovere dei nostri militari restare per proteggere gli iracheni e aiutarli nella ricostruzione del loro paese, mentre una minoranza contenuta, il 4,7%, sostiene la necessità che la missione prosegua al fine di non mostrare mancanza di coraggio di fronte ai nemici dei valori occidentali. Se nelle opinioni di chi auspica il prosieguo della missione italiana si affiancano motivazioni umanitarie a ragioni ideologiche o di prestigio, quanti (il 38,2%) si dichiarano contrari all’attuale presenza del contingente italiano in Iraq ritengono che i militari italiani dovrebbero rientrare nel nostro Paese perché, inviati per svolgere una missione umanitaria, si sono invece ritrovati in guerra (24,5%), o in quanto la situazione in Iraq è troppo rischiosa per portare avanti una missione umanitaria (13,7%). L’analisi delle risposte per area politica di riferimento mostra come tra gli intervistati di tutti gli orientamenti politici, eccetto coloro che si collocano a sinistra, prevalga l’opinione che il contingente italiano dovrebbe restare in Iraq: la pensa così il 51,4% dei cittadini di centro-sinistra, il 62,9% di chi si colloca al centro degli schieramenti politici, il 73,8% degli intervistati di destra e il 79% dei cittadini afferenti al centro-destra. Le ragioni a favore del proseguimento della missione italiana vertono principalmente sulla necessità di aiutare la popolazione irachena nella ricostruzione del paese, mentre l’opportunità di non mostrare mancanza di coraggio dinanzi ai nemici dei valori occidentali è indicata da una ristretta percentuale di intervistati, un po’ più elevata nell’area del centro-destra (6,6%) e della destra (13,5%). Tra i cittadini di sinistra, il 55,8% auspica il rientro del contingente italiano, sostenendo, in misura maggioritaria (42,7% delle risposte), che i militari italiani dovevano svolgere una missione umanitaria ma si sono ritrovati in guerra. Interessante, comunque, evidenziare la presenza di minoranze significative di cittadini esprimenti un’opinione in controtendenza rispetto all’orientamento generale espresso dall’area politica di riferimento: se tra gli intervistati di sinistra vi è un buon 39% di cittadini favorevoli al proseguimento della missione italiana in Iraq, uno su cinque dei cittadini che si collocano al centro-destra (il 20,4%), in generale i più forti sostenitori della permanenza del contingente italiano in Iraq, auspica il rientro dei militari italiani; è favorevole al rientro del contingente italiano anche un intervistato su quattro dei cittadini di destra (25,4%), un su tre di coloro che si collocano al centro (33,8%) ed il 46,5% degli intervistati di centro-sinistra.
Gli italiani e le politiche economiche del Governo. Pensioni, disoccupazione, incalzante ''proletarizzazione'': delusi due italiani su tre La politica economica del Governo non piace agli italiani. E’ quanto sottolineato dall’Eurispes, secondo l’indagine campionaria dal titolo “L’opinione degli italiani sull’andamento dell’economia e sulla politica economica del Governo”,contenuta in una delle 60 schede che compongono il Rapporto Italia 2004. Secondo lo studio, infatti, il 65,7% dei cittadini si esprime negativamente nei confronti della politica economica dell’attuale esecutivo, evidenziando principalmente un sentimento di delusione. Quasi la metà del campione (44,6%) risponde che i punti previsti nel programma elettorale non sono stati realizzati e che la politica economica del Governo è fallimentare. Inoltre, circa un intervistato su cinque (il 21,1%) ritiene l’attuale politica non corrispondente ai bisogni del Paese. In particolare, a preoccupare è l’incapacità di risolvere problemi scottanti, quali la disoccupazione, la questione pensionistica, la perdita di qualità della vita del ceto medio. Insomma, la lotta alla povertà. “La delusione nei confronti della politica economica del Governo – commenta il presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara – nasce anche dal fatto che lo spettro della povertà si allarga sino ad occupare territori che solo fino a qualche anno fa gli erano sconosciuti: i ceti medi sono costretti, per la prima volta dopo decenni, a difendersi dal pericolo di una incalzante proletarizzazione”. “Il senso di disagio – prosegue Fara – è esaltato dal venir meno, in forme sempre più eclatanti, di quella aspirazione alla equità, alla giustizia sociale, alla tutela dei più deboli che avevano garantito la crescita e la affermazione dell’Italia negli ultimi cinquant’anni. Ma il segnale più preoccupante per il Governo dovrebbe venire dal fatto che i giudizi più negativi provengono dalle fasce più giovani della popolazione, dalle donne e dalle regioni del Nord-Ovest e dalle Isole. Tutti segmenti di elettorato nel quale il centro-destra aveva mietuto forti consensi”.
I dati.
I giudizi più critici si riferiscono a tutti gli aspetti della politica
economico-finanziaria di competenza dell’Esecutivo. Il 32,7% degli
intervistati afferma di non fare nessun affidamento sul Governo in
materia di risanamento dei conti pubblici; il 29,9% è dello stesso
parere per quanto riguarda la realizzazione di una equa riforma delle
pensioni. Relativamente ad altre problematiche, quali la disoccupazione,
il grado di fiducia degli intervistati, pur confermandosi molto basso,
si sposta su un livello di scetticismo più contenuto. Anche la capacità
di gestire i processi inflazionistici viene giudicata in modo negativo,
ma è da sottolineare l’alta percentuale di intervistati che esprime una
moderata fiducia (41,7%). La variabile anagrafica non influenza in maniera significativa i giudizi degli italiani. Tuttavia, può essere evidenziata una maggiore propensione tra più giovani. Infatti, quelli appartenenti alla classe di età dai 18 ai 24 anni giudicano “fallimentare” nel 47,7% la politica economica del governo, e “non corrispondente ai bisogni del paese” nel 19,9% per un totale di 67,6%. Anche gli appartenenti alla classe di età superiore, 25-44 anni, hanno dato nel complesso risposte negative: il 69,1% ha infatti giudicato “fallimentare” e “non corrispondente ai bisogni del paese” la politica economica dell’attuale esecutivo. In particolare, il 47,0% la giudica “fallimentare”, mentre il 22,1% “non corrispondente”. Lo scorporo delle risposte in base all’area geografica evidenzia come i giudizi critici nei confronti della politica economica del Governo Berlusconi siano nettamente maggioritari su tutto il territorio nazionale. Nel Nord-Ovest e nelle Isole, oltre due cittadini su tre ritengono che la politica economica governativa non corrisponda ai bisogni del Paese o sia addirittura fallimentare (con percentuali di risposta pari rispettivamente al 67,7% e al 69,8%). Leggermente meno elevati i giudizi negativi espressi dai cittadini residenti al Sud (65,6%), al Centro (64,8%) e al Nord-Est (63,2%). In base al titolo di studio, i laureati sono gli intervistati che hanno espresso il giudizio più severo sulla politica economica del governo Berlusconi: il 73,0% la giudica “fallimentare” e “non corrispondente ai bisogni del paese”. I diplomati valutano positivamente la politica economica del Governo con maggior frequenza rispetto agli altri soggetti, in molti casi sottolineando che gli effetti si vedranno sul lungo periodo. Le categorie socio-professionali che giudicano positivamente la politica economica dell’attuale Governo in percentuale superiore alla media sono i pensionati ed i liberi professionisti, commercianti, lavoratori autonomi. I pensionati, inoltre, affermano più spesso degli altri che gli effetti positivi si manifesteranno sul lungo periodo. I soggetti più critici sono invece gli operai ed i non occupati; entrambe le categorie definiscono tale politica fallimentare e densa di promesse non mantenute in percentuale elevata (il 56,7% degli operai ed il 49,2% dei non occupati). I dirigenti, i direttivi, i quadri e gli imprenditori tendono invece a dividersi sulla questione: è elevata la percentuale di chi lamenta una politica economica inefficace e le promesse non mantenute, ma è degna di nota anche la percentuale di chi ritiene tale politica appropriata e spera che porterà col tempo effetti positivi. Aggregando da una parte i giudizi esprimenti molta o abbastanza fiducia (42,3%) e, dall’altra, quelli esprimenti poca o nulla fiducia, è possibile osservare che il minor grado di fiducia al Governo è espresso dagli intervistati in relazione alla capacità di combattere la criminalità organizzata (i non fiduciosi sono il 53,1%).
Il campione
esprime maggiore ottimismo relativamente alla capacità del Governo di
combattere la disoccupazione (46,7%) e l’inflazione (46,5%). Il fenomeno
della disoccupazione preoccupa principalmente i cittadini residenti
nelle aree dove il problema è maggiormente sentito: nel Meridione (dove
si registrano i più alti tassi di disoccupazione) oltre il 30% degli
intervistati non nutre nessuna fiducia nelle capacità dell’esecutivo,
contro il 25,2% nazionale. Al contrario, il livello di fiducia aumenta
nel Settentrione: Nord-Est e Nord-Ovest registrano un’elevata
percentuale di cittadini che dichiarano di avere molta fiducia nella
capacità del Governo di combattere la disoccupazione, pari,
rispettivamente, al 6,9% e 6,3%. Al contrario, sembrano nutrire una maggiore fiducia i pensionati e gli studenti: tra questi ultimi si registra la percentuale più elevata di “fiduciosi” (48,9% contro il 44,3% di chi non ha fiducia). Dunque, coloro che dichiarano il proprio scontento per il modo in cui l’esecutivo sta modificando il sistema pensionistico costituiscono la forza lavoro del nostro Paese (occupati e non occupati), mentre coloro che esprimono giudizi meno critici ancora non si sono inseriti nel mercato del lavoro (gli studenti) o sono già inseriti nel circuito previdenziale (i pensionati). “L’insoddisfazione e lo scetticismo dilagano tra i cittadini – evidenzia l’Eurispes -, per questo è sempre più difficile sollecitare un sistema che sembra arenato”.
Italiani sempre più preoccupati delle condizioni economiche Il sondaggio dell'Eurispes sul gradimento degli italiani sull’andamento dell’economia e della politica economica del Governo è, inoltre, finalizzato a conoscere cosa pensano gli italiani sulle loro attuali condizioni finanziarie. Il confronto inter-temporale circa la situazione economica del Paese mostra un crescente pessimismo da parte dei cittadini italiani. Se nel 2003 la maggioranza degli intervistati avvertiva un lieve peggioramento dell’economia italiana (32,5%), nel 2004 la situazione si aggrava ulteriormente: infatti il 48,2% degli intervistati percepisce un netto peggioramento. Di conseguenza, diminuiscono le percentuali di coloro che intravedono un trend economico positivo: nel 2004 solamente lo 0,6% avverte un netto miglioramento e il 6,8% un leggero miglioramento. Infine, nel 2004, la percentuale di chi considera stabile la situazione economica del Paese risulta dimezzata rispetto al 2003 (il 14,4% contro il 27,8%). I giudizi incrociati per area territoriale evidenziano una visione più favorevole tra i residenti nel Centro Italia; infatti, l’1% dei cittadini residenti in questa area territoriale percepisce un netto miglioramento a fronte di un dato medio nazionale dello 0,6%. Il pessimismo maggiore viene manifestato dai residenti nel Meridione: sia nel Sud che nelle Isole le percentuali di coloro che si esprimono per un forte peggioramento sono molto elevate (rispettivamente il 50,9% e il 54,4%). Il Nord-Est si colloca in una posizione intermedia: nessuno degli intervistati ritiene che ci sia stato un netto miglioramento della situazione economica del Paese, mentre molte risposte si concentrano su una sostanziale stabilità (16,3%) e su un lieve peggioramento (32,1%). È stato poi chiesto agli intervistati di esprimere il proprio giudizio sulle prospettive economiche del Paese nei prossimi 12 mesi. Nel 2003 la maggioranza si esprimeva per una soluzione di continuità (43%), il 26,8% per ulteriore peggioramento e il 23,1% per un miglioramento, ma in questo ultimo anno la situazione è profondamente mutata. Diminuisce nettamente la quota di coloro che prevedono un andamento stabile per l’economia (29,1%), mentre aumentano sia gli ottimisti (27,1%) che, in particolar modo, i pessimisti (36,4%). In relazione alle previsioni per il futuro, gli studenti si pronunciano con forza per un miglioramento dell’economia, probabilmente perché valutano le prospettive generali anche in relazione alla propria situazione personale: sono giovani e guardano con fiducia al mondo che si apre davanti a loro. Nei prossimi 12 mesi l’economia del Paese migliorerà anche per una percentuale piuttosto elevata di lavoratori autonomi (liberi professionisti, commercianti, ecc.) e, a sorpresa, di pensionati (29,6%) tra i quali, però, risultano molto numerosi anche i pessimisti (38%). Una percentuale minore di ottimisti si registra tra gli operai (21,3%) e i non occupati (13,1%). Queste ultime due categorie sono le stesse che prevedono in misura superiore alle altre un aggravarsi dell’attuale situazione: quasi la metà del campione si pronuncia per un peggioramento; “sono dunque le categorie più deboli – chiosa l’Eurispes - a prevedere tempi ancora più duri nei mesi a venire”.
Fonte: Eurispes-Korus "Rapporto Italia 2004"
In Italia esiste un altro 10% di famiglie a rischio oltre agli 8 milioni di poveri (dato Istat). ''La società dei tre terzi è una realtà'' Un Paese “in cerca d’autore”, un’Italia “smarrita, diffidente e alla ricerca di un’identità”. E’ questa la fotografia che Eurispes fissa nel Rapporto Italia 2004. A preoccupare gli italiani lo spettro della povertà che secondo l’Istituto di ricerca “si allarga sino ad occupare territori che solo fino a qualche anno fa erano sconosciuti”, ovvero il ceto medio. “La società dei tre terzi che l’Eurispes aveva paventato qualche anno fa è diventata una realtà:– si legge nel rapporto - un terzo di supergarantiti, un terzo di poveri e un terzo a rischio di povertà”.
Maggiormente
penalizzati gli impiegati che nel biennio 2001-2003 hanno subito una
perdita del potere d’acquisto delle retribuzioni pari al 19,7% per gli
impiegati, contro il 16% per gli operai, il 15,4% per i dirigenti ed il
13,3% per i quadri. Più esposti anche i “nuovi lavoratori”, i co.co.co.,
che hanno un’occupazione precaria, incostante e spesso sottopagata. La sensazione di essere più poveri trova conferma secondo Eurispes nei dati sull’inflazione. “L’aumento del carovita è incontestabile: quasi la totalità degli intervistati, pari al 96,7%, ha avvertito un aumento dei prezzi nel corso del 2003.” E gli italiani si dimostrano pessimisti anche per il futuro. Dal sondaggio di Eurispes sulle prospettive economiche del Paese per i prossimi 12 mesi emerge infatti che, se nel 2003 la maggioranza degli intervistati avvertiva un “lieve” peggioramento (32,5%), nel 2004 chi percepisce un “netto” peggioramento rappresenta quasi la metà del campione (48,2%). Un numero sempre maggiore di italiani è costretto ad adottare la logica del “sopravvivere”: infatti le famiglie che riescono ad arrivare a fine mese (erano il 38,7% nel 2003), che utilizzano i risparmi accumulati in precedenza e contraggono debiti costituiscono oggi il 51,2%. Diminuisce anche secondo Eurispes la percentuale di persone che riescono a risparmiare “qualcosa” (il 20,3% contro il 35% del 2003) o “abbastanza” (il 3,1% contro il 10,5% del 2003). Ne consegue che gli italiani per far quadrare i conti si rifugiano anche nel lavoro nero. Eurispes stima oltre 5.650.000 (poco meno di un quinto dell’attuale popolazione attiva) di persone distribuite fra i diversi settori nelle forme del lavoro nero continuativo, del doppio lavoro e del lavoro nascosto saltuario e che vanno a coinvolgere una molteplicità di soggetti: giovani in cerca di primo impiego, disoccupati, cassaintegrati, lavoratori in mobilità, extracomunitari non in regola ma anche studenti, pensionati, casalinghe, lavoratori dipendenti ed autonomi con lavoro regolare.
E' di 100 miliardi di euro il giro d'affari per il 2004 delle ''quattro cupole'' italiane. Più remunerativo il traffico di droga I cittadini hanno la convinzione che l’illegalità nel Paese sia ancora più diffusa che in passato e secondo il Rapporto Eurispes 2004 non si tratta solo di una sensazione. “I dati in nostro possesso – afferma il presidente Gian Maria Fara - segnalano la diffusione di un clima di illegalità e di corruzione della vita pubblica a tutti i livelli. La politica ha avuto nella ripresa della illegalità un ruolo determinante soprattutto quando ha pensato di delegittimare e di indebolire l’ordine giudiziario o quando ha mostrato come la legalità potesse essere piegata e adattata all’interesse personale o di parte o dello stesso stato, come nel caso dei condoni che premiano la furbizia e l’illegalità e mortificano la correttezza e il rispetto delle leggi”. Per l’istituito di ricerca ammonta a quasi 100 miliardi di euro il giro d’affari delle “quattro cupole” italiane previsto per il 2004. Il settore più remunerativo resta quello del traffico di droga che determinerebbe introiti per 59.022 milioni di euro (il primato va alla ’Ndrangheta con 22.340 milioni di euro, seguita da Cosa nostra, Camorra e Sacra corona unità) e tra i maggiori proventi si confermano quelli legati all’ambito degli appalti dei lavori pubblici e delle imprese (17.520 milioni di euro), estorsione ed usura (13.520), prostituzione (5.104) e traffico di armi (4.774). Nell’estorsione ed usura è la Camorra secondo Eurispes a detenere il primo posto con un giro d’affari stimato, per il 2004, di 4.703 milioni di euro, mentre per la prostituzione è l’organizzazione criminale calabrese a riconquistare il primato con un giro d’affari di 2.352 milioni di euro, seguita da Sacra corona unita (1.764), Camorra (587) e Cosa nostra (401). Anche per quanto riguarda il traffico delle armi, la ’Ndrangheta continua a posizionarsi in cima alla graduatoria con un giro d’affari stimato per il 2004 di 2.352 milioni di euro. A parecchie lunghezze di distanza seguono la Camorra con 824 milioni di euro ed ex aequo Cosa nostra e Sacra corona unita con circa 800 milioni di euro.
Fonte: Ricerca "Fattori psicologici del sovraindebitamento e dell'usura" ADICONSUM 2003
Italiani favorevoli alla distribuzione controllata per sottrare i tossicodipendenti alla ''dipendenza degli spacciatori'' La maggioranza degli italiani (69,5%) pensa che sia giusto perseguire penalmente chi fa uso di droghe leggere, atteggiamento critico che si affievolisce quando l’uso ha uno scopo terapeutico; quasi la totalità del campione, infatti, si dichiara favorevole in questo caso (l’84,7% del 2004 contro il 79,1% del 2003). Un italiano su due pensa che la distribuzione controllata da parte dello Stato ai tossicodipendenti sia utile in quanto sottrae questi alla “dipendenza” degli spacciatori; la percentuale (50,7%) che condivide questa posizione è superiore a quella del 2003 (pari al 43,7%). Una componente inferiore (29%), ma in leggero aumento rispetto allo scorso anno, è del parere che è un provvedimento inutile che può assecondare la dipendenza del tossicodipendente. In linea generale gli intervistati hanno una maggiore cognizione di causa in merito all’argomento trattato, maturata probabilmente secondo Eurispes in concomitanza con il dibattito degli ultimi mesi sulla proposta della “legge Fini”. L’Istituto di ricerca ha realizzato un’indagine sull’uso di stupefacenti nel mondo giovanile, realizzata su un campione di adolescenti (5.710 ragazzi) con età compresa tra i 12 e i 19 anni. Tra le sostanze “proibite” si registra una maggiore diffusione degli alcolici (il 26,1% li consuma spesso e ben il 45,3% occasionalmente) e superalcolici (con un uso frequente per il 12,7% e occasionale per il 30,5%). Si riscontra anche una discreta tendenza a consumare hashish e marijuana: spesso nel 6,5% dei casi e più raramente nell’11,3%.Segue, con percentuali più contenute, il consumo di cocaina, molto frequente per l’1,8% del campione e occasionale per il 2,8%. Anche l’Lsd registra un discreto uso, e come la maggior parte degli stupefacenti è collegato ad occasioni particolari (il 2,2% risponde “occasionalmente” e l’1,4% “spesso”). Il consumo delle droghe di sintesi tende ad affermarsi prevalentemente in contesti specifici, spesso legati alla vita notturna, e si registrano percentuali simili tra i consumatori occasionali e gli habituè: ketamine, crystal ed ecstasy vengono usate in proporzioni simili e con cadenza omogenea. Rimane costante il fenomeno della poli-assunzione, ossia la tendenza ad assumere più sostanze in una stessa serata, probabilmente per questo motivo i dati rilevati risultano quasi standardizzati. L’eroina rappresenta la sostanza con il grado di penetrazione minore nel mondo giovanile: l’1,4% la consuma spesso, mentre lo 0,8% occasionalmente e il 93,6% mai.
Note:
Fonte: Dipartimento nazionale per le politiche antidroga, 13/11/2003
Fonte: Relazione annuale al Parlamento sullo stato delle tossicodipendenze in Italia, 2002
Fonte: Relazione annuale al Parlamento sullo stato delle tossicodipendenze in Italia, 2002
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