L'Isae
(Istituto di Studi e Analisi Economica) ''boccia'' il Reddito di ultima
istanza. ''Solo le Regioni più ricche potranno introdurlo. Si va nella
direzione opposta a quella mirante al sostegno del reddito e al
reinserimento''
Rischia di
risolversi in una bolla di sapone l'intenzione del Governo di sostituire
il Reddito minimo di inserimento (RMI) con il Reddito di ultima istanza
(RUI). E’ quanto emerge dal Rapporto trimestrale su “Finanza
pubblica e redistribuzione” dell’Istituto
di Studi di Analisi Economica (ISAE), uno degli istituti di ricerca
del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
Coerentemente con
quanto anticipato in alcuni documenti ufficiali (Patto
per l’Italia,
Libro bianco sul welfare, Piano nazionale contro l’esclusione
sociale), la legge Finanziaria per il 2004 introduce un nuovo programma
di contrasto alla povertà (il RUI appunto), dando, così, attuazione alla
norma presente nella Legge quadro sull’assistenza (L. 328/2000, art.
23). In particolare, il progetto di legge Finanziaria all’articolo 16,
primo comma, recita: “Nei limiti delle risorse preordinate allo scopo
dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali nell’ambito del Fondo
nazionale per le politiche sociali (…), lo Stato concorre al
finanziamento delle Regioni che istituiscono il Reddito di ultima
istanza quale strumento di accompagnamento economico ai programmi di
inserimento sociale, destinato ai nuclei familiari a rischio di
esclusione sociale e i cui componenti non siano beneficiari di
ammortizzatori sociali destinati a soggetti privi di lavoro”.
In altre parole,
il Governo passa la palla dai Comuni alle Regioni, come è spiegato anche
nel Rapporto: “viene individuata nel co-finanziamento Stato-Regioni la
strada da seguire per il futuro”. Tradotto: solo le Regioni più ricche
potranno introdurre il RUI. Quelle del Sud, dove risiedono due poveri su
tre, dovranno stare a guardare, date le loro basse capacità impositive.
Il Rapporto ISAE rincara la dose: “l’attribuzione agli Enti locali della
competenza sull’intervento implica evidentemente una distribuzione dei
benefici eterogenea sul territorio nazionale; in Italia, infatti, i
diritti di cittadinanza sono collocati all’interno di un sistema
categoriale, frammentato e con elementi di discrezionalità”, che vede
coesistere sul territorio realtà differenti e all’interno delle quali i
cittadini fruiscono di pacchetti di diritti diversi tra loro, che non
dipendono dalla condizione di bisogno ma dal luogo in cui esso sorge. Il
Rapporto ricorda, inoltre, come nelle dichiarate intenzioni del Governo
“il nuovo strumento affianca, ad una misura di garanzia del reddito, la
previsione di azioni di inserimento volte a combattere l’emarginazione
sociale: in questo senso il RUI si distingue sia dal semplice sostegno
economico a favore dei più bisognosi, sia dalle misure specificamente
rivolte alla copertura del rischio di disoccupazione”.
In questo modo
Palazzo Chigi riporta l’intera discussione sugli strumenti di sostegno
al reddito alla sua fase iniziale, a distanza ormai di oltre quattro
anni dall’avvio della fase di sperimentazione del RMI. Da una parte, non
ignorando gli esiti del primo biennio, e, dall’altra parte, non sembra
individuare una corretta soluzione ai forti limiti mostrati dai Comuni
nell’organizzazione e nel finanziamento dei programmi di inserimento,
che hanno costituito l’aspetto più innovativo del RMI.
Occorre ricordare
che attraverso il RMI, l’Italia aveva finalmente applicato, sia pure a
titolo sperimentale, uno schema di sostegno al reddito di ultima
istanza, di cui, accanto alla sola Grecia, era ancora sprovvista. In
sostanza, per la prima volta nel nostro Paese, si era riconosciuto il
ruolo delle misure di garanzia del reddito nell’ottica di un generale
ripensamento del welfare, partendo dal presupposto che per risolvere il
problema del lavoro possa essere necessario, talvolta, risolvere prima i
problemi della povertà economica con adeguati sostegni di reddito e
quelli dell’emarginazione sociale con incisive azioni di inserimento.
Tuttavia le scelte del Governo sembrano andare nella direzione opposta,
prevedendo da un lato l’istituzione del RUI, dall’altro lato non
indicando modi, tempi e strumenti necessari per l’attuazione.
Dalla
sperimentazione del Rmi all'istituzione del Rui. L'Isae: ''Ma resta
aperta la questione finanziamenti''
Resta aperta la
partita collegata al finanziamento del Reddito di ultima istanza (RUI).
In particolare, il co-finanziamento Stato-Regioni può risolvere le
criticità emerse dalla sperimentazione del RMI? A questo interrogativo
cerca di rispondere il Rapporto ISAE nel riquadro dedicato agli
strumenti di sostegno al reddito, partendo dall’esperienza pratica del
RMI. Introdotto nel 1998 in via sperimentale in 39 comuni (d.lgs.
237/98), dei quali 24 localizzati nel Mezzogiorno, è stato poi esteso
nel 2000 ad altri 267, coinvolgendo circa 200mila persone. Il RMI è una
misura di contrasto della povertà e dell’esclusione sociale, che ha
fornito trasferimenti monetari integrativi e programmi di reinserimento
personalizzati. In particolare, nel caso di un adulto solo, senza figli,
ha coperto la differenza fra 269 euro ed il reddito individuale (laddove
il 25% del reddito da lavoro è stato, però, escluso dal computo). I
programmi di reinserimento sono consistiti in progetti che hanno
spaziato dall’intervento di tipo occupazionale a quello di cura e
sostegno familiare, da quello formativo/scolastico a quello di
integrazione socio-relazionale. La sperimentazione, dunque, ha messo in
luce quattro fatti molto importanti, che il Rapporto mette in chiara
evidenza. Primo: il contesto locale è contato molto, anche perché i
Comuni hanno dovuto accollarsi il finanziamento del personale. Si noti
che gli enti locali sono stati selezionati seguendo il principio della
forte concentrazione di bisogni, e non di risorse finanziarie e
professionali. I costi medi mensili per il personale, in relazione a
ciascun nucleo, sono passati da 225 euro al sud a 775 al nord.
Secondo: la qualità dei programmi di inserimento non sembra aver
influenzato i tassi di uscita dal programma. In effetti, il numero di
persone uscite dal bisogno di ricevere il RMI ha superato quello dei
soggetti effettivamente coinvolti in progetti di inserimento in ben
dodici Comuni. Gli enti locali, soprattutto nel Mezzogiorno, sono stati
per lo più incapaci di fornire e di monitorare efficacemente i servizi
di “attivazione”.
Terzo: tanto più numerosi sono risultati i soggetti beneficiari del RMI
sul totale della popolazione residente, tanto minore il tasso di uscita
dal RMI. Il che denota la difficoltà da parte degli Enti locali di
proporre efficaci programmi a fronte di una domanda sociale elevata.
Quarto: per il finanziamento della prestazione monetaria, il decreto ha
previsto che lo Stato partecipasse per un importo minimo pari al 90% ed
i Comuni per un importo massimo pari al 10%. Laddove è stata finanziata
localmente la prestazione monetaria, non si è potuto garantire adeguati
sforzi finanziari anche per i progetti di inserimento. In altri termini,
“i due aspetti più innovativi dello strumento – si legge nel Rapporto –
ovvero i programmi per l’inserimento, complementari al versamento di
un’indennità minima, e la ricerca di un’articolazione fra intervento
dello Stato e quello delle collettività locali, hanno fornito risultati
contraddittori”. I Comuni hanno spesso proposto programmi modesti sia in
termini quantitativi, sia qualitativi e in alcuni casi non è stata
neppure finanziata la gestione dei programmi di inserimento. “Per questa
ragione – si spiega nel Rapporto – l’attuazione di tali programmi non
risulta correlata all’uscita dalle condizioni di bisogno che danno
diritto a ricevere il RMI”. Diversamente, nelle realtà locali dove i
progetti sono stati finanziati adeguatamente ed organizzati
efficacemente hanno mostrato un’influenza diretta sulla possibilità di
dimettersi dalla misura. Si afferma, dunque, l’opportunità di finanziare
centralmente uno strumento come il RMI. Innanzi tutto per la sua
complessità e per garantire l’accesso ai diritti fondamentali, come
quelli al reddito ed all’inserimento, specialmente nel Mezzogiorno.
Pertanto trasferire la gestione dei programmi dai Comuni alle Regioni
sembra un palliativo, che sposta il nodo della gestione dei programmi
senza affrontarlo, tantomeno risolverlo. Il rischio è di un ritorno a
politiche discrezionali in merito alle scelte di welfare.
Reddito Minimo di Inserimento
I numeri della sperimentazione |
Domande
1998/1999 |
55.522,
delle quali 34.730 accolte |
Domande
2001/2002 |
34.391,
delle quali 18.034 accolte |
Soggetti
beneficiari coinvolti |
85.818
(6,5% della pop. residente nei 39 comuni), con
valori estremi variabili dall'0,5% di Rovigo al 54%
di Orta di Atella (Caserta) |
Età dei
beneficiari |
Più anziani al
nord e più giovani al sud, dove i 2/5 sono minori |
Media di
beneficiari per famiglia ('98/'99) |
2,6
al centro-nord; 3,7 al sud (composizione totale di
individui: 3,49) |
Assegno medio
mensile per famiglia |
360
Euro |
Beneficiari
inseriti in programmi ('98/'99) |
37.087,
pari al 43,2% del totale dei beneficiari |
Tipi di
programmi |
2/5
sono
programmi di cura e sostegno familiare e di pubblica utilità |
Soggetti
usciti dal bisogno ('98/'99) |
33%
dei
beneficiari, 85% degli inseriti |
Successo del
RMI in % agli inseriti in programmi ('98/'99) |
7,3%
ha trovato un lavoro, 4,5% ha conseguito un dipl. scol.,
7,3% ha concluso un progr. di formazione |
Risorse
erogate dal 1998 ad oggi |
649
milioni di euro |
Costi
sostenuti dai Comuni ('98/'99) |
6
milioni e 100 mila di euro |
Fonte: Cles,
Irs, Zancan, 2001
Reddito Minimo di Inserimento
I costi di gestione della sperimentazione sostenuti dai Comuni
Dati al 31/12/2000 |
Comune |
Costi di
gestione |
Tot. nuclei in
carico al 31/12/2000 (c) |
Spesa per
personale a famiglia (c/a) |
Spese per il
personale (a) |
Altre spese
(b) |
Cologno Mse |
89.734,39 |
33.827,93 |
124 |
723,66 |
Genova (Volti/Pra) |
173.529,52 |
12.911,42 |
325 |
533,94 |
Nichelino |
206.386,51 |
28.283,66 |
232 |
889,60 |
Rovigo |
163.164,59 |
n.d. |
137 |
1.190,98 |
|
Alatri |
n.d. |
11.424,03 |
258 |
n.d |
Canepina |
5.681,03 |
2.065,83 |
18 |
315,61 |
Civita C.na |
36.007,38 |
n.d. |
131 |
274,87 |
Corchiano |
5.164,57 |
2.582,28 |
18 |
286,92 |
Gallese |
12.394,97 |
n.d |
20 |
619,75 |
Massa |
300.362,04 |
516,00 |
543 |
553,15 |
Monterosi |
n.d. |
1.074,81 |
14 |
n.d. |
Onano |
1.549,37 |
908,96 |
12 |
129,11 |
|
Agira |
n.d. |
19.809,48 |
364 |
n.d. |
Bernalda |
n.d. |
14.413,80 |
211 |
n.d. |
Caserta |
126.632,13 |
158.552,27 |
1.476 |
85,79 |
Catenanuova |
n.d. |
5.164,57 |
160 |
n.d. |
Centuripe |
18.075,99 |
85.215,39 |
150 |
120,51 |
Cutro |
69.624,41 |
162.690,76 |
1.106 |
62,95 |
Foggia |
388.279,27 |
293.863,98 |
2.649 |
127,70 |
Grassano |
33.569,70 |
n.d. |
130 |
258,23 |
Isernia |
44.042,41 |
91.803,83 |
202 |
218,03 |
Isola di Capo
Rizzuto |
50.050,82 |
189.524,12 |
n.d. |
n.d. |
L'Aquila |
58.088,49 |
20.090,17 |
607 |
95,70 |
Leonforte |
n.d. |
20.658,28 |
623 |
n.d. |
Napoli |
n.d. |
826.331,04 |
3.695 |
n.d. |
Nardodipace |
17.043,08 |
n.d. |
60 |
284,05 |
Oristano |
291.798,15 |
1.549,37 |
527 |
553,70 |
Orta di Atella |
69.721,68 |
89.863,50 |
1.768 |
39,44 |
Reggio
Calabria |
413.165,52 |
309.874,14 |
1.313 |
314,67 |
S. Giov. in
Fiore |
241.701,83 |
7.746,85 |
1.095 |
220,73 |
S. Nicolò d'Arcidano |
2.065,83 |
n.d. |
40 |
51,65 |
Sassari |
253.063,88 |
3.873,43 |
726 |
348,57 |
|
TOTALI |
3.020.897,53 |
2.394.620,35 |
- |
- |
Note:
(*) I Comuni di Limbiate, Fabrica di Roma, Pontecorvo, Andria, Enna,
Barrafranca e Catania, sono stati esclusi in quanto non hanno fornito le
informazioni utili per le stime.
Fonte: Cles, Irs, Zancan, 2001
I nodi legati
all'introduzione del Rui e il rapporto fra amministrazioni centrali e
periferiche
In cosa consiste
tecnicamente il co-finanziamento Stato-Regioni? Il comma 2 dell’art.16
della proposta di legge Finanziaria per il 2004 recita: “A decorrere dal
1° gennaio 2004 e per un periodo di tre anni, sui trattamenti
pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza
obbligatorie, i cui importi risultino complessivamente superare un
importo pari a trenta volte ad un importo stabilito (...) è dovuto un
contributo di solidarietà nella misura del 3 per cento”.
L’art. 16 non sembra prevedere adeguati impegni di spesa. In
particolare, il Rapporto ISAE evidenzia come “al finanziamento del RUI,
per il triennio 2004-2006, concorra il gettito (al netto della
componente fiscale) di un contributo di solidarietà pari al 3 per cento,
gravante sulle pensioni di importo superiore a trenta volte quello
previsto dall’art. 38 della legge Finanziaria 2002; l’aliquota si
applicherebbe, quindi, su montanti superiori a 205.097 euro annui per il
2003”. In pratica, le risorse derivanti da tale contributo, stimate
nella Relazione Tecnica del Governo in 0,9 milioni di euro per il 2004,
più altri due milioni complessivi per il 2005 e il 2006, andrebbero ad
incrementare il Fondo nazionale per le politiche sociali, da cui lo
Stato attinge le risorse per il finanziamento degli strumenti di
assistenza, tra i quali appunto il RUI.
Si tratta di uno stanziamento del tutto inconsistente, sebbene si
consideri che la logica del sussidio è quella di integrare il reddito
fino a raggiungere la soglia stabilita e che il Governo ricorra al
co-finanziamento. Peraltro, la sperimentazione del RMI, per due anni in
trentanove comuni, è costata 426 miliardi delle “vecchie” lire. Ed è
stato valutato che un RMI a regime, 520mila lire al mese per chi vive da
solo, avrebbe richiesto un finanziamento tra i 4.300 e i 5.700 miliardi
di lire. Inoltre, “l’analisi dei risultati della sperimentazione del RMI
– si legge nel Rapporto - evidenzia che, in assenza di un finanziamento
centrale per i programmi di inserimento, è stato difficile garantire a
tutti i cittadini stessi diritti ed uguale trattamento”.
Peraltro l’individuazione degli attori (le amministrazioni regionali) è
nebulosa. Il Rapporto ISAE spiega come “non venga dato alcun vincolo, né
per quanto riguarda l’ammontare della prestazione, né per le modalità di
erogazione e per l’attivazione dei programmi di inserimento, e neppure
per l’effettiva realizzazione della misura; inoltre non è specificato
quale sarà la percentuale di copertura da parte del contributo statale.
Tali caratteristiche potrebbero, pertanto, aggravare alcune criticità
già emerse nella sperimentazione del RMI con riguardo alla differente
attuazione del programma sul territorio”. Infatti la delega al livello
locale di uno strumento come il RUI, senza definire criteri, standard,
diritti e doveri minimi a livello nazionale, rischia di essere
discrezionale, e quindi di indebolire le condizioni di cittadinanza
comuni.
Che cos’è il reddito minimo d’Inserimento |