Ministero della Pubblica Istruzione

DIREZIONE GENERALE ISTRUZIONE CLASSICA SCIENTIFICA MAGISTRALE

COORDINAMENTO NAZIONALE AUTONOMIA

 

RELAZIONE AL PARLAMENTO
SULLO STATO DI ATTUAZIONE DELLA LEGGE QUADRO SUI DIRITTI DELLE PERSONE IN SITUAZIONE DI HANDICAP - LEGGE 5.2.1992 N.104, ART. 41 COMMA 2

ANNO 2000

 

PREMESSA: Il 2000 l’anno dell’autonomia

CAPO 1. IL SUPERAMENTO DELL’HANDICAP E L’AUTONOMIA

1.1 La riorganizzazione dei servizi e l’Osservatorio nazionale

1.2 Una nuova politica delle risorse finanziarie funzionale all’autonomia

1.3 Il monitoraggio dei POF e primi dati sull’integrazione scolastica

1.4 La riorganizzazione dei servizi territoriali e i Glip

CAPO 2. L’INTEGRAZIONE SCOLASTICA

2.1 L’ epidemiologia e le certificazioni di handicap

2.2 L’obbligo scolastico e formativo, il rapporto scuola/lavoro

2.3 Il sostegno: risorse e problemi

2.4 L’integrazione di competenze nella scuola

CAPO 3. LA FORMAZIONE DEL PERSONALE

3.1 I corsi di alta qualificazione per insegnanti di sostegno

3.2 I corsi di formazione per tutti i docenti

3.3 I corsi di specializzazione gestiti dalle università

CAPO 4. LAVORI IN CORSO

4.1 Gli istituti atipici e il Regolamento attuativo

4.2 I centri servizi territoriali per gli alunni in situazione di handicap

4.3 Le certificazioni scolastiche e i nuovi curricoli per competenze

4.4 Le relazioni internazionali

ALLEGATI

Normativa prodotta nell’anno 2000

Decreto di nomina e composizione del nuovo Osservatorio nazionale

Fascicolo MPI "L’integrazione scolastica degli alunni in situazione di handicap"

 

PREMESSA

 

IL 2000 L’ANNO DELL’AUTONOMIA

 

La scuola italiana accoglie nelle sue classi normali, da quasi trent’anni, praticamente tutti i bambini e le bambine, le ragazze e i ragazzi in situazione di handicap. Tutto questo è stato promosso e accompagnato da importanti decisioni legislative e normative, da investimenti di risorse di personale e di formazione.

La scuola italiana è oggi, complessivamente, riuscita a vincere la sfida dell’integrazione scolastica.

Oggi i nostri alunni disabili vivono la loro esperienza formativa con tutti gli altri compagni, sono reciprocamente una risorsa civile ed educativa per la crescita e lo sviluppo dei potenziali cognitivi di tutti.

Alunni e alunne diversi tra loro costruiscono una scuola normale di tutti e di ciascuno.

Nessuno, da nessuna parte, propone di tornare al passato, alle istituzioni separate.

Questo non significa che l’integrazione scolastica sia sempre e perfettamente riuscita, né che manchino i punti critici. L’integrazione non è un valore che si acquista una volta per tutte, ma si esprime via via con nuove sfide, con contraddizioni tra scuola e scuola, tra scuola e territorio, tra territorio e territorio.

Tre sembrano oggi gli aspetti prioritari che è necessario sviluppare e migliorare per garantire una sempre più efficace integrazione, nella scuola che accoglie il deficit e riduce l’handicap

Dalla socializzazione alla piena realizzazione dei potenziali. La sfida è quella di migliorare gli apprendimenti con buone didattiche individualizzate e di gruppo per sviluppare tutti i potenziali individuali, in modo che l’integrazione scolastica produca il massimo di efficacia formativa . In troppi casi, invece, si va ancora poco oltre la socializzazione e non si sviluppano tutti i potenziali cognitivi.

L’autonomia didattica e organizzativa. La flessibilità data dall’autonomia alle scuole parla di diversità come valore, sia per i soggetti che apprendono sia per i soggetti che insegnano. L’autonomia è un forte volano di adattamento di curricoli, didattiche, tempi, organizzazione, spazi, alle esigenze di ognuno. L’autonomia offre alle diverse situazioni di handicap nuove opportunità di successo scolastico.

L’integrazione dell’integrazione. Spesso la relazione tra scuola, famiglia, servizi sociali e sanitari pecca di assenze, contraddizioni, separatezze. L’integrazione tra i diversi servizi è strategica per ottimizzare gli interventi e per realizzare pienamente un progetto di vita che dia speranza e futuro a tutte le diverse condizioni personali. La recente Legge Quadro 328/2000 sui servizi integrati risponde a questa sfida.

La scuola deve raccoglierla attraverso una più forte concertazione con tutti gli altri soggetti.

Con il 1° settembre 2000 le scuole italiane sono autonome, si è realizzata la riforma del Ministero, si sta dando avvio al riordino dei cicli scolastici. La trasformazione in atto è poderosa e complessa.

L’obbiettivo dell’autonomia didattica e organizzativa e del riordino dei cicli scolastici è di innalzare, per tutti e per tutte, il livello culturale e il successo formativo. E’ una sfida civile e culturale resa necessaria, in questo inizio secolo, dalle sfide della modernità e dall’evoluzione civile e tecnologica.

Non possiamo più perdere nessuno, dobbiamo dare a tutti i nostri giovani il massimo di opportunità di autorealizzazione nella vita, sapendo che non si finirà mai di imparare.

Non possiamo più insegnare a tutti le stesse cose nello stesso momento: un sistema sempre uguale dappertutto premia la mediocrità, non aiuta chi fa più fatica a realizzarsi, né gratifica tutti i potenziali di apprendimento.

Per queste ragioni la situazione di handicap incontra l’autonomia della scuola come vera opportunità per un più efficace integrazione scolastica, ma insieme rende la disabilità più normale, terreno delle tante diversità oggi presenti nella nostra società e nel nostro approccio alle persone.

L’impegno dell’Amministrazione, in questo cambiamento, deve essere radicale, per ricostituirsi sempre più efficacemente (ad ogni livello di intervento) nella logica della sussidiarietà che garantisce ad ogni scuola maggiori responsabilità ed impulso ad agire.

Le diverse azioni prodotte dal Ministero e dal sistema scolastico in questo periodo sono tutte conseguenti a questo importante processo di trasformazione. Non è una fase di passaggio, ma di profondi cambiamenti anche nelle forme di organizzazione del servizio amministrativo e tecnico.

La presente Relazione racconta di questo processo, della sua dinamica, degli snodi ancora aperti.

 

 

CAPO 1

   

IL SUPERAMENTO DELL’ HANDICAP E L’AUTONOMIA

 

1.1

La riorganizzazione dei servizi e l’Osservatorio nazionale

 

Il superamento dell’handicap diventa questione normale

A partire da marzo 2000, le responsabilità nazionali nei confronti delle politiche dell’integrazione scolastica sono state profondamente modificate, nell’ottica dei processi di riforma in corso.

In sostanza, si sono trasferite le responsabilità dall’Ufficio Studi e Programmazione del Ministero, come fino ad oggi tradizionalmente avvenuto,

al Coordinamento Nazionale Autonomia, come struttura di impulso e di connessione tra l’integrazione scolastica e tutte le questioni attinenti all’autonomia delle scuole;

al Coordinamento per la Formazione, per quanto riguarda le politiche di formazione del personale

al Coordinamento per le Tecnologie, per i servizi tecnologici connessi con l’integrazione scolastica;

alla Direzione del Personale, per quanto riguarda gli organici dei docenti.

Si è, inoltre, costituita una struttura intermedia di connessione tra le diverse competenze.

In questo modo si è superata la tradizionale separazione dei temi dell’handicap dagli altri processi formativi, amministrativi e di responsabilità, inserendo la questione nel più complessivo processo di innovazione.

E’ sembrato opportuno, al Ministro, affidare al Coordinamento dell’autonomia l’impulso di coordinamento come segno che, con l’autonomia delle scuole, la disabilità deve diventare questione normalmente trattata entro tutti i processi di responsabilità, senza alcuna separazione.

L’Osservatorio nazionale per l’integrazione scolastica degli alunni in situazione di handicap

L’Osservatorio nazionale è composto da due strutture interagenti: la Consulta delle Associazioni e il Comitato tecnico. L’Osservatorio nel suo complesso, ma in particolare il Comitato tecnico, ha svolto un ruolo strategico di supporto e di confronto per le politiche dell’amministrazione.

Negli ultimi quattro anni, dell’isp. Sergio Neri ha coordinato i lavori dell’Osservatorio, dando dato un forte impulso e visibilità ai lavori e alle proposte. La lunga malattia di Sergio Neri ha rallentato, nei primi mesi dell’anno, i lavori dell’Osservatorio. Con il passaggio delle responsabilità, si è affidato all’isp. Raffaele Iosa la supplenza del coordinamento, recuperando nel tempo gli impegni e le decisioni.

Ad ottobre 2000, Sergio Neri è mancato. E’ una perdita grave e fortemente sentita da tutti coloro che lavorano nell’integrazione dell’handicap, per la dedizione e l’intelligenza che Sergio Neri ha dato in questa sua esperienza professionale e civile. Questa Relazione intende ricordarlo con affetto e onore.

A luglio 2000, l’Osservatorio è stato ricostituito, essendo scaduto il triennio di vigenza delle nomine. Gran parte dei componenti è stata riconfermata, tenendo conto dell’elevata competenza ed esperienza apportata, si sono arricchite presenze professionali e sociali. Nel Comitato tecnico sono presenti esperti, docenti universitari, studiosi, rappresentanti degli altri ministeri interessati, dell’Anci, dell’Upi, della Conferenza Stato-Regioni. Nella Consulta delle associazioni si è pervenuti al massimo di rappresentatività.

Nell’anno 2000 si sono realizzati due incontri della Consulta delle Associazioni, come momento di confronto per costituire piani di lavoro comuni su temi condivisi.

Più articolato e complesso è stato il lavoro del Comitato tecnico. Le riunioni plenarie sono state sei, con cadenza mensile. Inoltre, il Comitato tecnico si è suddiviso in cinque gruppi di lavoro che hanno elaborato o sono ancora al lavoro su importanti questioni. I gruppi di lavoro hanno avuto l’apporto anche di esperti nominati per dare supporto e contributi alle decisioni.

I temi su cui hanno lavorato i gruppi del Comitato tecnico riguardano tutte le più delicate e urgenti questioni sul tappeto, che verranno via via specificate in questa Relazione:

Gruppo di lavoro sui servizi territoriali, il futuro dei Glip, l’integrazione tra servizi a seguito della Legge Quadro 328/2000.

Gruppo di lavoro sulle certificazioni scolastiche.

Gruppo di lavoro sulle certificazioni cliniche e sulla statistica epidemiologica.

Gruppo di lavoro per la predisposizione di un Portale Web e lo sviluppo delle tecnologie.

Gruppo di lavoro per la formazione del personale.

I lavori dei gruppi, che si sono incontrati finora per un totale di 24 riunioni e di 200 ore di lavoro, sono stati assunti dal Comitato tecnico e via via proposti all’Amministrazione come contributi utili per le importanti decisioni da assumere nel periodo. Alcuni di questi gruppi proseguono i lavori.

Si è tenuta, inoltre, una riunione della Consulta delle associazioni riguardanti i minorati sensoriali per un parere sulla bozza di Regolamento per il riordino degli Istituti atipici per ciechi e per sordi in Enti nazionali di documentazione, ricerca e supporto all’autonomia delle scuole, ai sensi di quanto previsto dal comma 10 dell’art. 21 della Legge 59/ 97.

Contemporaneamente, si sono tenuti nove incontri interregionali, coordinati dal Sottosegretario on. Giuseppe Gambale, fornito di delega in materia, con la presenza continua dell’isp. Raffaele Iosa, con tutti i rappresentanti dei Glip, dei Glh degli uffici territoriali, con i provveditori, con i responsabili socio-sanitari. Lo scopo degli incontri è stato di fare il punto su tutte le questioni inerenti l’integrazione scolastica, nonché sugli scenari che si aprono per la riorganizzazione dei servizi territoriali nella logica integrata.

Infine, è in preparazione un Convegno nazionale di tutti i responsabili handicap nazionali, regionali e territoriali per fare il punto complessivo sulle politiche attuate e proporre le soluzioni agli scenari istituzionali, pedagogici e sociali che l’autonomia delle scuole, la riforma del Ministero, l’integrazione dei servizi spinge a realizzare. Il convegno si terrà il 14, 15, 16 febbraio a Modena, città di Sergio Neri.

 

1.2

Una nuova politica delle risorse finanziarie funzionale all’autonomia

 

Con la CM. 235 del 20 ottobre 2000, riguardante il piano di interventi e di finanziamenti per l’integrazione degli alunni in situazione di handicap, si è dato un primo segnale di innovazione istituzionale.

I finanziamenti per le attività delle scuole sono stati complessivamente di L.20.028.476.000, derivanti non solo da quelli attribuiti dalla Legge 104/92, ma anche da quelli nuovi dati dalla Legge 69/2000, che ha implementato il fondo previsto dalla Legge 440/97, e che ha consentito all’Amministrazione di adottare per gli interventi di integrazione scolastica analoghi criteri a quelli seguiti per il finanziamento dei Piani dell’Offerta Formativa.

Finanziamenti diretti alle scuole dell’autonomia

Dopo un intenso confronto in Comitato tecnico, si è decisa una nuova logica di finanziamento alle scuole, coerente con il resto dei finanziamenti già attribuiti con la CM 194 per i fondi derivanti dalla Legge 440/97.

Si sono cioè, con la CM 235, distribuiti i fondi per la didattica e le tecnologie nel seguente modo:

il 75% dei fondi direttamente alle scuole sulla base del numero degli alunni in situazione di handicap

il restante 25% dei fondi alle strutture territoriali come cifra perequativa finalizzata a favorire la nascita di strutture di supporto, di centri servizi, o al supporto di situazioni di particolare difficoltà, che valorizzino esperienze significative, nella logica dei patti ed impegni reciproci.

In questo modo, ogni istituto scolastico ottiene gran parte dei finanziamenti connessi all’innovazione (Legge 440/97) con una logica che esclude, come nel passato, la presentazione di un qualche progetto ad hoc al fine di ottenere i finanziamenti. Così facendo, viene data fiducia e responsabilità ad ogni singola scuola, che con i finanziamenti ottenuti amplia il proprio budget in funzione del proprio POF e si elimina il rischio perverso della super produzione di progetti realizzati solamente per ottenere finanziamenti.

Naturalmente il finanziamento diretto non significa che ogni scuola dovrà spendere per l’integrazione scolastica solamente la cifra ottenuta, ma che tale cifra integra il bilancio, rendendo normale la spesa per gli interventi sulle situazioni di handicap entro il bilancio complessivo.

Allo stesso modo le strutture territoriali non dovranno essere più dispensatori di risorse con giudizi a priori sui diversi progetti, ma saranno impegnate, con il restante 25%, ad essere soggetti attivi di promozione di iniziative che vadano oltre la singola scuola, che valorizzi esperienze significative, che obblighi a patti e impegni reciproci. In questo modo anche il finanziamento per l’integrazione scolastica entra normalmente nella logica dei finanziamenti complessivi dati alla scuola autonoma.

L’esperienza va consolidata, allargandola a tutti i finanziamenti complessivi, tenendo conto della necessità di approfondire i metodi delle iniziative di perequazione.

Con il metodo dei finanziamenti direttamente consegnati alle scuole, infatti, si distribuiscono finanziamenti su basi eguali. La percentuale perequativa, che rimane ai livelli intermedi di governo del sistema scolastico, rende necessario individuare criteri distributivi mirati e discriminanti in positivo, con la logica di finanziamenti mirati e dei patti territoriali tra il soggetto erogatore e la scuola che li riceve.

I modi in cui sarà gestita la perequazione del 10% dei finanziamenti per la sperimentazione dell’autonomia e la formazione e del 25% per l’handicap verrà sottoposte a monitoraggio.

Non più circolari dall’alto, ma far circolare le esperienze

Con i finanziamenti per il 2000, anche per merito del loro aumento grazie alla Legge 69/2000, si sono attivate, con la cifra relativamente modesta di L. 2.400.000.000, una serie di iniziative particolarmente significative per la qualità nella logica dell’autonomia.

Si è attivato un apposito Portale Web nel sito della Biblioteca di Documentazione Pedagogica www.bdp.it. Il sito è pensato come sede molto selettiva di informazioni attinenti alla didattica, alle tecnologie, alle migliori esperienze, alle ricerche sul campo, alle FAQ. La Bdp ha costituito un gruppo di lavoro formato da esperti del Comitato tecnico dell’Osservatorio e del Coordinamento tecnologie, ha già attivato le prime pagine del sito.

Si è chiesto alle scuole di inviare alla Bdp le loro esperienze di integrazione scolastica. Ad oggi sono circa 600 le scuole che hanno inviato resoconti, materiali, produzioni tecnologiche e didattiche inerenti ad esperienze didattiche di integrazione. Con i finanziamenti del 2000, il Comitato tecnico dell’Osservatorio sceglierà un centinaio di scuole da considerare nella logica delle best practice, da mettere in rete nel sito e da far circolare tra le scuole come buoni esempi da seguire. Ad ognuna di queste scuole verrà riconosciuto un finanziamento di circa cinque milioni. Le esperienze verranno descritte con il sistema GOLD, ideato dalla Bdp, e che già raccoglie le migliori pratiche di POF.

Con l’attivazione di un circuito di informazione e scambio, si intende anche allargare l’utilizzo delle tecnologie didattiche come veicoli facilitatori di apprendimenti secondo le diverse disabilità. Nel Portale Web sarà presente un elenco ragionato delle diverse strumentazioni tecnologiche oggi presenti, con una loro valutazione di impatto didattico. Più in generale, si stanno predisponendo ulteriori iniziative di diffusione, formazione, scambio di didattiche al fine di allargare nelle scuole l’utilizzo delle tecnologie, soprattutto di quelle digitali, che sembrano offrire inedite e straordinariamente efficaci nuove opportunità di apprendimento.

Infine, si è deciso di finanziare la ricerca didattica delle scuole. E’ un’assoluta novità nei finanziamenti. La decisione parte dall’assunto che vi siano scuole che stanno elaborando azioni didattiche di carattere sperimentale aventi la natura specifica della ricerca didattica. Si intende premiare, ovviamente, soprattutto quelle scuole che sviluppino ricerca in rete con altre, in pool con altre sedi di ricerca, assieme a strutture sociosanitarie territoriali, ecc.. Il Comitato tecnico vaglierà i progetti e sceglierà quelli più significativi per rigore scientifico e per trasferibilità, prevedendo il finanziamento ad hoc. Gli esiti delle ricerche saranno, ovviamente, messe in rete nel sito.

Attraverso la costruzione del Portale, l’individuazione e la circolazione di casi esemplari, la valorizzazione delle scuole come possibili sedi di ricerca, si intende costruire un sistema di comunicazione, confronto, apprendimento, scambio che renda possibile far circolare le esperienze piuttosto che immaginare un modello verticale che dice alle scuole cosa dover fare. La pratica orizzontale di circolazione di esperienze ed idee è nella logica del rispetto e della valorizzazione dell’autonomia delle scuole. Il successo di adesione dice quanto le scuole siano interessate alla circolazione delle idee e delle esperienze.

 

1.3

Il monitoraggio dei POF e primi dati sull’integrazione scolastica

Il Coordinamento nazionale dell’autonomia, con un progetto paritetico con gli IRRSAE e la BDP, svolge da due anni un attento a approfondito monitoraggio della sperimentazione dell’autonomia.

Nell’anno scolastico 1999/2000 il monitoraggio ha avuto come centro di analisi i POF delle singole scuole e si è realizzato:

con la raccolta informatizzata di tutti i 12.000 documenti di POF delle scuole attraverso items significativi, svolta dalla BDP;

con l’osservazione interattiva di 1.000 scuole da parte di team addestrati, al fine di conoscere dal vivo cosa sta accadendo nelle scuole dell’autonomia.

Si tratta di un’operazione mai svolta in passato per volume di dati e complessità di analisi.

Il Rapporto nazionale sul monitoraggio 2000 è in preparazione.

Merita ricordare che nelle due pratiche di monitoraggio erano presenti anche alcune questioni attinenti all’integrazione scolastica degli alunni in situazione di handicap. Siamo quindi in possesso di dati quantitativi e qualitativi che per la prima volta possono indicarci alcune tendenze in corso, in particolare di quanto l’autonomia delle scuole favorisce il miglioramento dell’integrazione scolastica.

In questa sede si anticipano alcune osservazioni significative, in attesa del Rapporto nazionale generale.

L’Italia randomizzata. La qualità dell’integrazione scolastica è fortemente connessa ai comportamenti individuali e collettivi delle singole scuole piuttosto che a fattori geografici (nord, centro, sud, isole, ecc..) o a fattori demografici (grandi o piccole città). Nella stessa città vi possono essere istituti del medesimo ordine scolastico con comportamenti molto diversi tra di loro. Come per la sperimentazione dell’autonomia, la qualità è data dal caso, o meglio dai soggetti reali che compongono le professionalità di ogni singola scuola. Se il dato può sembrare perfino lapalissiano (ma non lo è affatto!), non si sono mai approfondite abbastanza le dinamiche di tutto questo, né gli effetti che dovrebbe determinare per le strutture intermedie territoriali (capaci di intercettare le differenze e non ancora burocrazie), per la perequazione finanziaria, per il controllo dei risultati.

Più piccolo è più accogliente. La capacità della scuola di accogliere e di istruire è direttamente connessa ai livelli scolastici: è alta nella scuola dell’infanzia, è bassa nella scuola secondaria. Non si ritiene che la questione sia connessa alla via via maggiore complessità dei curricoli, quanto ad una ben diversa attenzione e mission dei docenti nei confronti degli alunni e ad una maggiore capacità didattica di essere flessibili ed intenzionali. Mano a mano che i bambini crescono, diminuiscono le competenze didattiche raffinate utili per l’individualizzazione. E’ più frequente che l’insegnante di sostegno agisca in team nella scuola dell’infanzia e in buona parte della scuola elementare, mentre man mano diviene a volte l’unico insegnante direttamente coinvolto.

Il POF è reticente, ma si fa di più di quello che si scrive. Nei documenti formali dei POF, una gran parte delle scuole dice poco sulla flessibilità didattica connessa ai suoi alunni in situazione di handicap. Il dato merita un approfondimento, che verrà svolto dal monitoraggio già previsto per il 2001 con uno specifico strumento di indagine. Si ritiene che da un lato molti POF già rispondono all’integrazione scolastica degli alunni in situazione di handicap quando propongono flessibilità organizzativa e individualizzazione (e quindi l’integrazione è un fatto normale della didattica), dall’altro in alcune scuole non pare esserci sufficiente approfondimento sulle potenzialità date dall’individualizzazione didattica nel nuovo contesto dell’autonomia. Tuttavia, il monitoraggio delle 1000 scuole ha evidenziato che, nel concreto, sono diffuse attività di integrazione scolastica in misura molto maggiore di quanto i POF formalmente descrivono. E’ un dato vero per gran parte delle attività delle scuole, che fanno cose migliori di quello che scrivono.

Gruppi di livello, didattica individualizzata, didattica di non integrazione. La flessibilità del gruppo classe si rivela come una spia della qualità della didattica nei confronti degli alunni disabili. Le scuole oscillano tra due pratiche: da un lato una didattica fortemente interattiva e gruppale che integra l’alunno in situazione di handicap entro gruppi mirati, dall’altro estremo una didattica fondata solamente sull’insegnante di sostegno, prevalentemente fuori della classe o con attività comunque diverse dal resto della classe. In mezzo ci stanno tutte le altre soluzioni, tra cui i gruppi di livello, situazioni miste, ecc… Più una scuola è flessibile per tutti, meno l’alunno disabile è affidato solamente all’insegnante delle attività di sostegno.

Quattro tipologie di scuole. Complessivamente, si possono individuare, rispetto alla flessibilità didattica e all’integrazione, quattro prototipi tendenziali di scuole, pur tenendo conto delle forti differenze di disabilità e della casualità di comportamento tra le diverse scuole.

La scuola della diversità come ricchezza. Piena integrazione sia sociale che curricolare, con forte flessibilità didattica e di relazione. Appartengono a questa categoria buona parte delle scuole dell’infanzia e della scuola elementare, e molte esperienze degli istituti professionali.

La scuola della socialità e dell’integrazione mirata. Piena integrazione sociale con forte vita di relazione, ma difficoltà di lavoro curricolare collettivo, tendenza ad individualizzare eccessivamente l’insegnamento. Appartengono a questa categoria parte della scuola elementare, buona parte della scuola media e degli istituti tecnici.

La scuola del sostegno a tutti i costi. Delega all’insegnante di sostegno di gran parte degli impegni didattici e relazionali dell’alunno in situazione di handicap. La casualità sulla professionalità del singolo insegnante di sostegno decide sulla qualità dell’integrazione. E’ forte il rischio di una didattica di isolamento piuttosto che di integrazione.

La scuola distratta. Delega all’insegnante di sostegno e scarsa attenzione alle potenzialità dell’alunno nonché al valore delle relazioni. Si tratta, in buona parte, di casi presenti negli istituti superiori che da poco ricevono alunni con handicap, soprattutto nei settori umanistici e più elitari. Diffusa impreparazione didattica e relazionale ad accogliere e valorizzare le diversità.

La continuità docente necessaria. Un ulteriore e delicatissimo indicatore sta nella presenza e nel ruolo dell’insegnante delle attività di sostegno. Numerosi indicatori segnalano il fatto che più l’insegnante di sostegno è stabile nel tempo più è presente una didattica meno isolante, più relazionale con il resto delle classi. Il fatto è perfino ovvio: la presenza stabile crea relazioni tra i docenti, un docente precario che cambia di anno in anno verrà inevitabilmente portato dalla situazione ad occuparsi più dell’alunno che del resto delle attività. Questo è un motivo, tra i tanti (il principale è il diritto dell’alunno ad avere una solida continuità) che rende urgente migliorare ancora di più la continuità dei docenti di sostegno. La nuova regola dell’organico 1:138 e i concorsi appena terminati (con la nomina triennale in una sede) non hanno ancora dato del tutto i frutti sperati sulla stabilità dei docenti.
Servono più flessibilità contrattuali che garantiscano meglio la continuità professionale.

Rapporti complessi con il territorio. L’analisi del rapporto tra la scuola e la famiglia è, nel complesso, discreta, se non buona, anche se spesso i genitori sono intesi come controparte piuttosto che partner educativi. Più complesso è il rapporto con i servizi sociosanitari del territorio. Risulta con particolare evidenza una forte differenziazione della qualità e quantità del servizio tra regioni del nord e regioni del sud, ma è universalmente diffuso un malessere di relazioni: sono maggiormente presenti relazioni contrattualistiche e di controparte piuttosto che di concertazione e di integrazione.

Il problema psicologico. Le preoccupazioni maggiori sono presenti nei confronti degli alunni con sindromi di carattere relazionale, cognitivo e psicologico. E’ il settore che occupa circa l’ 85% degli alunni certificati, è ovviamente molto vario e complesso, ma il carattere di forte diversità relazionale di molti alunni (in particolare gli psicotici) segnala i punti di maggiore crisi. Sembra questo preoccupare la scuola di più dei cosiddetti gravissimi, che spesso hanno supporti assistenziali che aiutano la scuola nell’accoglienza della persona. Spesso la disabilità psicologica è vicina al disagio sociale (vedi anche sotto la questione delle certificazioni), in molti casi coincide per via di diversissimi comportamenti dei servizi sulle certificazioni, è per due terzi maschile. Le scuole più capaci di accogliere il disagio sociale sono anche quelle più capaci di rispondere alle disabilità psicologiche.

Il primo monitoraggio ha già offerto un panorama di questioni sulle quali il Monitoraggio 2001 già in corso approfondirà le questioni, in particolare quelle connesse alla individualizzazione didattica e alla relazione con il territorio. A tale proposito, si è implementato di L. 200.000.000 il finanziamento per le azioni di monitoraggio, al fine di sviluppare ulteriormente la conoscenza di ciò che accade davvero nelle scuole in relazione all’integrazione scolastica degli alunni in situazione di handicap.

Merita sottolineare, in ogni caso, che il monitoraggio dell’autonomia è lo strumento ideale per svolgere, al suo interno, anche un monitoraggio ad hoc sull’integrazione scolastica. Infatti è studiando la scuola come insieme che è più facile cogliere il clima effettivo, le relazioni concrete, i processi in atto.

Il monitoraggio effettuato rappresenta un utile supporto alle scuole per la loro autovalutazione e un importante supporto alle decisioni a tutti i livelli, nazionale e locale, dell’amministrazione della scuola.

 

1.4

La riorganizzazione dei servizi territoriali e i Glip

 

L’esperienza dei Gruppi di lavoro interistituzionali per l’integrazione scolastica (Glip) è giunta, ormai, ad una svolta irreversibile. Questa svolta è derivata:

dalla maturazione avvenuta sui pregi e le contraddizioni di questo tipo di struttura di servizio

dalle esigenze date dal nuovo regime dell’autonomia e dalla riforma del Ministero

dalle nuove responsabilità affidate agli enti locali da parte del Decreto 112/98

dalla recente Legge quadro sui servizi integrati 328/2000.

In questo periodo, i numerosi incontri di lavoro interregionali hanno permesso di sviluppare sia una franca analisi del lavoro svolto sia la proposizione di alcuni scenari di lavoro da offrire per il cambiamento delle attuali strutture.

I Glip: dagli accordi di programma alla concertazione e all’autonomia

L’esperienza dei Glip è stata la prima in assoluto come presenza integrata di rappresentanti di diversi enti territoriali nei confronti di un tema specifico. Hanno, quindi, anticipato tutte le tematiche di concertazione interistituzionale oggi diffuse.

Come noto, il Glip è composto sia da personale della scuola e dei provveditorati, sia da rappresentanti delle associazioni delle famiglie, sia da rappresentanti degli enti locali e socio-sanitari. La funzione è propositiva, consultiva, soprattutto per la costituzione degli accordi di programma. Nomina, sede, organizzazione dei lavori, era a carico dei Provveditori agli Studi.

Le esperienze sono state, da una provincia all’altra, estremamente diverse, in molti casi encomiabili, in altri del tutto evanescenti. In linea generale, comunque, si possono individuare alcuni punti-crisi comuni.

Troppo scolasticistico. La natura del Glip ha posto eccessivamente la scuola come centro di lavoro. Gli stessi rappresentanti del territorio non sono quasi mai in grado di assumersi responsabilità da parte degli enti di riferimento. L’integrazione scolastica è stata quindi il tema dominante, ponendo sullo sfondo l’integrazione tra servizi. In molti casi il Glip è diventato una specie di sede implicitamente "contrattuale" tra la scuola e gli altri enti in ordine al reperimento e utilizzo delle risorse. Molto lavoro hanno svolto i Glip sulla documentazione (es. diagnosi funzionale, Pei, ecc…), ma sempre mettendo al centro la scuola piuttosto che il complesso di sviluppo della persona in ogni contesto.

Accordi di programma macchinosi. La controprova di quanto detto è l’esperienza di costruzione e ratifica degli accordi di programma. Nel complesso, questi accordi si sono rivelati macchinosi per la loro composizione e spesso più petizioni di principio che vere e proprie assunzioni integrate di responsabilità. In molte province, è stata più significativa l’esperienza di costruzione dell’accordo (come occasione di confronto e incontro) che gli esiti effettivi degli accordi nei comportamenti.

L’origine di queste difficoltà sta in quattro ragioni molto complesse da dipanare:

la difficile coesistenza tra enti e soggetti con responsabilità, interessi, organizzazione dei servizi profondamente diversi, in alcuni casi alternativi, in altri complementari;

la natura giuridica, amministrativa dei diversi enti che ha reso finora difficile pensare in termini di integrazione di servizi quanto piuttosto di suddivisione delle diverse competenze (tocca a me, tocca a te). In sostanza è mancata la cultura della concertazione e dell’integrazione;

le diverse filosofie sociali tra gli enti: spesso tra l’integrazione scolastica e la terapia, l’integrazione sociale, il rapporto scuola lavoro coesistono tra i diversi enti comportamenti molto diversi, in alcuni casi contrastanti;

la frequente presenza, negli accordi di programma, di contenuti generici senza chiari riferimenti alle competenze e ai flussi di spesa. Gli accordi sono stati stipulati spesso con la logica più delle "intese politiche" che delle assunzioni di responsabilità produttrici di diritti soggettivi esigibili, di cui all’art. 27 della Legge 142/90.

Sedi di proposta ma non di responsabilità. Un ulteriore snodo-crisi ha fatto vivere spesso, nei Glip, una percezione strabica del proprio ruolo: da un lato soggetti di proposta attiva, dall’altro soggetti senza dirette responsabilità di decisione. Ciò ha voluto dire una fortissima casualità della qualità del lavoro in relazione ai provveditori, agli assessori o ai direttori generali delle diverse ASL, cioè a tutti i soggetti deputati alle decisioni. Sono numerosi i casi di Glip in quanto svuotati di responsabilità anche di proposta per via di non buoni rapporti con i soggetti decisori. Anche il supporto tecnico esperto che i Glip potevano esprimere è stato casualmente assunto secondo i diversi comportamenti dei decisori. Non è un caso che in alcuni Glip i rappresentanti degli enti locali non sono neppure nominati.

Sedi di promozione. L’aspetto, in ogni caso, più positivo presente è stato il ruolo di promozione, informazione, formazione, che molti Glip hanno svolto in modo egregio. Da alcuni anni, in molte province, i Glip hanno prodotto convegni, informazione, corsi di formazione, centri servizi, centri di documentazione. La quantità di azioni è notevole, anche se a volte casuale, anticipando comunque un bisogno di lavorare in rete con le scuole e di pervenire a forme permanenti di supporto.

Il travaglio dell’autonomia. A partire dal 1997, in ogni provveditorato si sono costituiti i cosiddetti nuclei territoriali di supporto all’autonomia. Si è trattato di un’esperienza nuova, anche se precaria, di una struttura di supporto qualitativa al servizio delle scuole dell’autonomia. Ponendo al centro dell’iniziativa istituzionale territoriale non un tema o l’altro, ma la scuola dell’autonomia nel suo insieme sono entrate in crisi tutte le strutture interne ai provveditorati che fino a quel momento avevano gestito, spesso in modo separato, le diverse tematiche territoriali (es. handicap, educazione alla salute, lingua straniera, ecc..). Pur con la forte spinta dell’amministrazione centrale a favorire l’integrazione delle diverse competenze entro i nuclei dell’autonomia, sono state numerose le resistenze locali, anche per la conservazione di piccole nicchie di potere. Ma, pur con tutte le difficoltà, l’esperienza dei nuclei ha messo in crisi il modello burocratico di una struttura provinciale composta da tanti compartimenti stagni, favorendo la riflessione sul futuro e sui nuovi servizi territoriali da costruire con la riforma del Ministero. In linea generale, tanto quanto l’integrazione scolastica degli handicappati deve avere una ben diversa integrazione tra i diversi servizi territoriali, altrettanto questa deve essere integrata nel più complessivo lavoro di ogni singola scuola. Il futuro obbliga a parlare di integrazione dell’integrazione, di concertazione, di piani territoriali e patti di responsabilità. Su questi temi l’amministrazione ha svolto numerosi lavori di ricerca e di sperimentazione.

Il nuovo modello di integrazione dei servizi

In questi mesi si è molto lavorato, sia nell’ambito dei nuclei dell’autonomia che dei Glip circa la conformazione dei nuovi servizi territoriali in relazione all’integrazione scolastica. Il Decreto 112, la riforma del Ministero e soprattutto la nuova Legge sui servizi integrati obbliga a scelte quanto mai urgenti. E’ su questa ottica che hanno lavorato anche i gruppi di lavoro del Comitato tecnico, gli incontri interregionali e sui quali il convegno nazionale di Modena farà proposte di lavoro.

Poiché si tratta di lavori in corso, si segnalano qui le prime indicazioni condivise, sulle quali si stanno impegnando le strutture ad ogni livello:

I servizi integrati. La recente Legge Quadro n. 328/2000 ridefinisce il quadro delle responsabilità, ma soprattutto una nuova azione nei confronti dei diritti delle persone ad usufruire di servizi integrati. In attesa degli effetti regolamentari della Legge, anche in applicazione del Decreto 112/98, iniziano a nascere le prime iniziative locali (esemplare è il caso della provincia di La Spezia) di strutture di lavoro finalmente integrate, o si consolidano le migliori esperienze di collaborazione anche gestionale tra scuole ed enti locali.

Dai Glip ai tavoli di concertazione. L’esperienza dei Glip, così come originata dalla Legge 104/92, è ormai superata nei fatti. Le ragioni sono già state spiegate. Il nuovo modello normativo e organizzativo che, da diverse fonti legislative, si segnala come decisivo può essere descritto con nuove modalità.

La definizione di tavoli di concertazione, ad ogni livello (nazionale, regionale, territoriale, di scuola) nei quali i decisori mettono sullo stesso tavolo risorse, idee, progetti, problemi, al fine di costruire un patto di lavoro integrato che realizzi meglio i diritti della persona handicappata. La concertazione è anche una diversa modalità culturale di affrontare la gestione dei servizi sociali nel territorio.

La logica della sussidiarietà, che pone al centro il soggetto come attivo decisore delle proprie opportunità, non come cliente o come paziente. Questa logica obbliga a decentrare al massimo le sedi di decisione sulle erogazioni concrete dei servizi in modo che il soggetto sia titolare di trasparenza e di codecisione. E’ in questo senso del tutto compatibile l’autonomia di ogni singola scuola come nuovo soggetto locale titolare di responsabilità, alla quale va dato il massimo di assunzione di decisioni anche nei confronti dell’integrazione scolastica.

Il ruolo funzionale delle strutture intermedie. L’amministrazione centrale e periferica della scuola deve porsi funzionalmente all’autonomia delle scuole, rovesciando quanto avvenuto finora. Significa insieme sia un ruolo di supporto sussidiario, sia di perequazione, sia di controllo, sia di promozione. Ciò vale anche per le strutture di governo territoriale. La Regione è funzionale agli enti locali, che sono funzionali alla relazione tra i servizi ed ogni singola persona titolare di diritti.

La separazione tra tavoli di concertazione e sedi di proposta/supporto/studio. L’esperienza dei Glip ha rivelato la contraddittorietà delle sedi non decisionali. Merita quindi suddividere nettamente le sedi decisionali (con tutte le assunzioni di responsabilità) dalle sedi tecniche di proposta e promozione. La nuova conformazione dei poteri locali fa ritenere, quindi, necessario pensare ad una ridefizione delle strutture finora presenti che si sta sviluppando su alcune direttrici di lavoro.

Una nuova configurazione delle responsabilità. Viene qui, infine, proposta una mappa su cui si sta lavorando per la ridefinizione di compiti e responsabilità.

In ogni singola scuola. La sede di decisione è il Consiglio dell’Istituzione, la sede tecnica è il Collegio dei docenti. Lo strumento fondamentale è il POF, che descrive le decisioni assunte in ordine all’integrazione. Poiché la concertazione obbliga ad una nuova relazione tra ogni singola scuola e i servizi territoriali, il POF deve assumere logica integrata (un POF territoriale?), anche nella possibilità che alcune decisioni vengano assunte da reti di scuole. Le sedi di proposta (attualmente definiti come GLH di scuola) devono avere modalità di lavoro più libere rispetto ad oggi. In ogni caso sia la sede decisionale sia quelle di proposta devono assumere il punto dei vista dei soggetti (e delle loro famiglie) come centrali per un’effettiva integrazione e per una comune concertazione.

Nell’ultimo anno una nuova figura professionale ha assunto alcune responsabilità in ordine all’handicap: si tratta delle cosiddette funzioni obbiettivo. L’esperienza di questo primo anno sembra suggerire una ben maggiore flessibilità sulle modalità di funzionamento e sulle titolarità di competenze, al fine di evitare deleghe di responsabilità e nicchie di lavoro separate dal resto.

A livello locale, secondo le modalità in cui il governo regionale articolerà sul territorio le sue sedi decentrate e il livello di delega di responsabilità, l’individuazione di sedi di concertazione con le province e gli enti locali superando la logica degli accordi di programma per quella dei patti di integrazione. Più significativa, a questo livello, è la questione dei cosiddetti centri servizi di supporto alle scuole, per la nascita dei quali si sta lavorando molto e a cui si rinvia l’approfondimento nella parte quarta di questa Relazione.

A livello regionale. La nuova dimensione di governo regionale del sistema scolastico obbliga a considerare strategica una sede di concertazione tra i diversi enti territoriali con forte capacità di impulso alla qualità e all’ottimizzazione delle risorse da integrare tra i diversi enti. In questo caso il tavolo decisionale regionale può essere affiancato da:

una sede tecnica proposta, senza alibi decisionali, una sorta di Glip regionale con funzioni promozionali anche delle strutture di supporto. E’ appena il caso di sottolineare che questa sede regionale dovrebbe lavorare a tutto campo sui temi dell’integrazione, non solamente su quella scolastica, ma anche ad esempio sui temi della perequazione, della terapeutica, del rapporto con il mondo del lavoro, anche in applicazione delle recenti norme sul collocamento;

un Osservatorio regionale, che nel modello adottato dal Ministero e proposto in forme nuove dalla recente Legge sui servizi integrati anche per i livelli territoriali, che renda possibile in confronto tra istituzioni e associazionismo, volontariato, società civile, mondo della ricerca.

 

 

CAPO 2

   

L’INTEGRAZIONE SCOLASTICA

 

2.1

L’ epidemiologia e le certificazioni di handicap

 

Il fascicolo del MPI, allegato alla presente Relazione, riporta per la prima volta in modo sistematico una vasta mole di dati sull’integrazione scolastica degli alunni in situazione di handicap. Il fascicolo ha una serie storica che copre l’ultimo decennio. E’ il primo lavoro organico di questo tipo, ma anche un primo strumento di indagine che dovrà avere successivi approfondimenti.

In questa sede si colgono gli aspetti critici più significativi.

Si certifica e si frequenta di più

Il numero di bambini e ragazzi certificati (pari nel 2000 a 124.155 alunni) è aumentato del 33% dal 1989 al 1999 (dall’ 1.27% all’ 1.65% della popolazione scolastica).

Sostanzialmente tre sono le ragioni di fondo di questo aumento.

Una maggiore tendenza, negli anni 90, a clinicizzare situazioni individuali a diverso sfondo di disagio intellettivo e relazionale, in misura nettamente maggiore del passato. Infatti l’area in forte aumento di certificazione non è quella delle disabilità tradizionali, ma di quelle vicine al disagio sociale, relazionale, cognitivo e psicologico in genere. La tendenza è costante e segnala una sofferenza sia della scuola che della società ad accogliere le differenze senza clinicizzarle. Inoltre, spesso la scuola e il territorio vivono con medesime sofferenze sia i casi di disagio sociale che quelle di disabilità psicologica: quando in alcune zone il disagio sociale è elevato, la scuola tende di più a premere per la certificazione.
Sulla questione delle certificazioni cliniche è al lavoro un gruppo del Comitato tecnico che sta studiando, con esperti del Ministero della Sanità, la predisposizione di nuovi atti di indirizzo che rendano più significative le certificazioni (e più deontologicamente fondate sul piano clinico).

Una perversa relazione tra certificazioni e risorse docenti, tali da provocare alcune spinte implicite a favorire la certificazioni. Le recenti norme sugli organici, tra cui la nuova relazione di 1 posto ogni 138 alunni, dovrebbe nel tempo produrre gli effetti regolativi sperati.

Un costante aumento, nel decennio, di iscrizioni e frequenze nella scuola secondaria. Il primo anno di applicazione della Legge sull’aumento dell’obbligo ha reso questa tendenza molto forte, aumentando comunque percentualmente il numero di alunni in situazione di handicap.

Il tema delle certificazione di handicap è di complessa interpretazione, mette insieme questioni cliniche e questioni sociali sul significato di differenza, è tema che presente anche negli altri paesi della Comunità europea (con fortissime differenze epidemiologiche). Non è un caso, infine che il territorio di ambiguità sulle certificazioni è quello dell’area psicologica.

Forse è giunto il momento di una revisione delle certificazioni di handicap in senso generale, anche studiando ipotesi alternative e più congruenti, quali ad esempio il modello Specials needs.

C’è inoltre una questione generale legata all’assenza di un’anagrafe nazionale organica delle persone in situazione di handicap. Il sistema sanitario, la scuola, la previdenza e il mondo del lavoro utilizzano codifiche e dati spesso non collegabili tra loro.

Al proposito, il gruppo di lavoro per le certificazioni cliniche ha preso i primi contatti con l’ISTAT, che ha avuto l’incarico dal Ministero degli Affari Sociali di attivare la prima anagrafe nazionale dei soggetti in situazione di handicap. Il gruppo di lavoro partecipa con particolare interesse all’azione dell’ISTAT, in quanto è ormai evidente che le tradizionali classificazioni utilizzate nella scuola non offrono più contributi interpretativi significativi. Una buona anagrafe delle persone in situazione di handicap, dalla nascita e per tutta la vita, permetterà, inoltre, di poter seguire l’evoluzione di tutti i soggetti. I lavori proseguono, prevedendo una prima mappatura dei certificati nella scuola nel 2001.

La scuola è iatrogena?

Un altro dato significativo è l’aumento delle certificazioni dalla scuola materna (1.06%) alla scuola elementare (1.99%) alla scuola media (2.53%). La tendenza è costante nel decennio. Si tratta di una questione molte volte affrontata e che risente da un lato (positivo) della tendenza ad "attendere" in alcuni casi l’evoluzione del bambino prima di certificare, dall’altro (negativo) l’aumento della distanza tra le attese della scuola normalizzatrice e i comportamenti del bambino. Si può parlare, in quest’ultimo caso di iatrogenesi della scuola (e dei servizi sociosanitari) che tendono a rovesciare sull’alunno anche i problemi di difficoltà di accoglienza e di individualizzazione degli insegnamenti in contesti normali.

Gli alunni in situazione di handicap sono dappertutto

Due terzi delle scuole italiane hanno, tra i loro alunni qualcuno portatore di disabilità. La situazione è diversa nell’istruzione superiore, dove i disabili si concentrano prevalentemente negli istituti professionali.

Quindi la situazione di handicap è questione comune di gran parte delle nostre scuole, segnalandone una specifica territorialità che non sembra indicare né particolari concentrazioni in alcune scuole né grandi distanze tra i contesti sociali di vita e la frequenza scolastica.

L’alunno in situazione di handicap ha un successo più lento

I dati ci segnalano che circa il 12% degli alunni in situazione di handicap risulta respinto o non valutato, per ogni anno scolastico. Il dato è clamoroso, in particolare, leggendo i dati del passaggio dalla scuola media alla scuola superiore nel 1999/2000, nella quale gli alunni handicappati che per effetto dell’elevamento dell’obbligo transitano nella prima superiore sono circa metà degli alunni certificati per leva di nascita. E’ una tendenza quindi molto significativa quella di "ritardare" la progressione scolastica, soprattutto negli anni di passaggio tra un ciclo scolastico e l’altro. Le ragioni sono molteplici e tutte da approfondire: c’è da un lato una tendenza ad interpretare la maggiore lentezza come aiuto alla maturazione, dall’altro è diffuso il timore (soprattutto nei genitori) del rischio del passaggio ad altro ciclo se non vi sono condizioni positive di accoglienza. Nel caso dell’handicap, la continuità è fondamentale, ma soprattutto dalla scuola media alla superiore è strategica per un progetto di vita che pensi efficacemente dopo la scuola.

 

2.2

L’obbligo scolastico e formativo, il rapporto scuola/lavoro

 

L’innalzamento dell’obbligo scolastico e l’obbligo formativo mettono ormai l’adolescenza al centro dell’integrazione scolastica.

Nella scuola superiore gli alunni disabili inseriti sono passati da 14.550 dell’anno 1998/99 a 21.330 del 1999/2000: un aumento del 50%!

Significativo, peraltro, è il fatto che l’aumento non riguarda tutta la leva: circa metà degli alunni disabili completa l’obbligo a 15 anni ancora nella scuola media, ma il dato è comunque molto significativo.

Mancano, tuttavia, ancora dati significativi sul prosieguo degli studi e dei diversi percorsi di vita. E’ in preparazione, al proposito, una ricerca del Comitato tecnico.

In questi ultimi anni numerose sono state le azioni per adeguare la scuola secondaria al successo formativo dei nostri alunni disabili. Particolarmente l’istruzione professionale ha operato con progetti mirati, tra cui merita ricordare il Progetto Cigno, la verifica del quale si è svolta con un convegno nazionale a ottobre scorso a Napoli. Il Progetto, finanziato dalla DGIP e dal FSE, ha coinvolto 6000 docenti su aspetti didattici, curricolari, organizzativi, certificativi e soprattutto di alternanza tra scuola e lavoro nella linea del cosiddetto progetto di vita, tra cui la formazione di cooperative per la transizione degli alunni disabili al lavoro. L’esperienza, altamente significativa, va oggi disseminata nel sistema scolastico superiore come esempio di innovazione ad alto valore formativo. Tuttavia tre questioni si segnalano come particolarmente urgenti.

Quasi tutti negli istituti professionali

Più di due terzi degli alunni in situazione di handicap si iscrivono all’istruzione professionale e agli istituti d’arte. L’istruzione professionale è quella, per tradizione, più vicina a quell’area sociale di giovani che hanno meno chanches di successo formativo elevato e quindi più capace di accogliere tutti. Ma non è affatto vero che questo sia opportuno per tutti gli alunni in situazione di handicap. Pare cioè che l’orientamento degli alunni disabili dopo la terza media sia condizionato più che dalle loro reali potenzialità, invece dalla capacità di accogliere tutti da parte di tutti gli istituti superiori: gli istituti professionali sanno accogliere meglio gli alunni. E’ una forma, più o meno mascherata, di discriminazione a priori.

La fragilità docente

L’attuale normativa prevede una suddivisione dei docenti di sostegno secondo aree disciplinari. L’effetto è di forte casualità sulle prestazioni professionali di sostegno, anche legate alle motivazioni effettive di questi docenti. Sulle competenze necessarie nella scuola secondaria, l’impegno è di rivedere la materia complessivamente. Si segnalano, come particolarmente significative, esperienze di tutoring svolto da giovani ex studenti della scuola che aiutano la persona disabile ad inserirsi come particolarmente significative di un approccio totalmente diverso alla persona piuttosto che quella di un sostegno ancora connesso alle discipline.

Dalla scuola al progetto di vita

L'innalzamento dell'obbligo è importante per gli alunni disabili sia per motivi quantitativi sia qualitativi. Molti consigli di classe hanno realizzato significative esperienze di orientamento, lavorando a progetti integrati finalizzati alla valorizzazione delle potenzialità dei giovani disabili e hanno condotto esperienze di accoglienza improntate alla cultura della diversità. Ma non sempre sono state messe in atto tutte le risorse utili per un corretto orientamento, per una valorizzazione di tutte le diverse potenzialità.
Le questioni relative all'apprendistato per gli alunni disabili, in questi due primi anni di elevamento
dell'obbligo, non hanno trovato ancora sufficiente spazio e risorse nella scuola e per la scuola.
Il monitoraggio delle esperienze (positive e negative) relative all'innalzamento dell'obbligo di istruzione
e delle difficoltà incontrate, è uno dei primi compiti che l'Osservatorio si propone di svolgere.
Realizzare per un alunno disabile un progetto di vita, significa realizzare un percorso formativo - culturale e professionale – anche nella prospettiva della educazione permanente. In questo percorso le diverse dimensioni della persona - affettiva, sociale, lavorativa - s'intrecciano in un progetto per l'alunno e per la classe. Questo progetto dovrebbe vedere impegnati la scuola, la famiglia e le istituzioni del territorio.
Numerosi sono ancora i problemi aperti che riguardano l’accompagnamento dell'allievo disabile verso il lavoro, la continuità fra i percorsi nella scuola e nella formazione professionale o nei centri per gravi
o nel lavoro. Pochissimi sono i disabili presenti nelle scuole serali negli IFTS o nei percorsi di educazione continua. Vi sono anche problemi che rendono difficile ai disabili l'accesso alla scuola, non si tratta solo di barriere architettoniche o di ausili, ma dell'utilizzo da parte dell'allievo disabile dei laboratori.
Problemi analoghi si presentano nel realizzare gli stage. La recente legge sul collocamento mirato delle persone disabili prevede il rimborso del 50%per la modifica del posto di lavoro occupato da un disabile.
Si devono infine individuare possibili strade non solo per realizzare percorsi integrati verso il lavoro, ma anche forme di lavoro effettivamente proponibili (ad esempio attraverso cooperative sociali).
Numerose sono le esperienze sperimentali, sempre connesse con politiche locali. La recente Legge sul collocamento offre maggiori spazi di relazione tra scuola, servizi locali e mondo economico per garantire a tutti il massimo di opportunità professionale dopo la scuola. La strategia non può che essere quella dell’integrazione tra servizi territoriali, per passare dalla fase della buona volontà ad un sistema integrato. Non c’è cosa peggiore dell’illusione della socializzazione che termina finita la scuola, abbandonando l’handicap nella vita adulta al caso.

 

2.3

Gli insegnanti di sostegno: risorse e problemi

 

I dati sul monitoraggio, precedentemente presentati, segnalano la complessità del ruolo effettivamente svolto dagli insegnanti di sostegno nel nostro paese, con le contraddizioni presenti in diverse scuole sul loro grado o meno di integrazione con le attività complessive della scuola.

Nonostante 25 anni di indicazioni sul ruolo degli insegnanti di sostegno per la classe e non per il solo alunno in situazione di handicap, l’integrazione di questi insegnanti con il complesso delle attività scolastiche è ancora molto differenziato da scuola a scuola, da classe a classe. Contano molto, come prima si diceva, i comportamenti individuali e collettivi di ogni singola scuola.

La relazione docenti / alunni e la questione 1:138

Gli alunni certificati nell’anno scolastico 1999/2000 sono 124.155, gli insegnanti di sostegno sono in tutto 60.457, con un rapporto di 1 docente ogni 2,8 alunni.

Con la Legge 448/98, come noto, il calcolo dei posti di sostegno non avviene più con la formula 1 posto di ruolo ogni 4 alunni certificati (e il resto del bisogno nella cosiddetta deroga, alimentatrice di precariato per le nomine di insegnanti non di ruolo), ma con la formula 1:138, tendente a regolarizzare e stabilizzare gli organici dei docenti con uno standard demografico.

Tuttavia, se si tiene conto che la popolazione scolastica è di 7.920.000 alunni, la relazione nazionale "teorica" , rispetto alla Legge 448798, sarebbe pari a circa 57.400 posti di sostegno in ruolo. Vi sono quindi circa 3.000 posti che i provveditori agli studi utilizzano "in deroga" assumendosi la responsabilità per via della complessità accertata delle situazioni di fatto. Si tenga conto, inoltre, che dal 1999 l’applicazione della Legge è avvenuta gradualmente, cercando di ricondurre le province esuberanti e quelle carenti ai margini previsti dalla Legge entro tempi definiti. La questione deriva dai diversissimi comportamenti territoriali che nel passato avevano determinato organici docenti molto differenziati da provincia a provincia.

E’ tuttavia da segnalare che l’eccedenza dei posti di sostegno rispetto alla formula 1:138 deriva anche dall’elevamento dell’obbligo scolastico e, cioè, dal fatto che ben 7000 alunni certificati in più frequentano la prima classe delle scuole superiori. La formula 1:138 risponde bene ad un arco temporale di frequenza pari ai precedenti 8 anni di obbligo, ma tiene meno quando l’obbligo aumenta a 9 anni. La tendenza va tenuta sotto controllo, come svolto quest’anno, al fine di regolarizzare la situazione anche con studi di fattibilità di nuove relazioni demografiche. Ma il sostanziale non aumento effettivo delle richieste di sostegno alimentano la necessità di mantenere un modello di calcolo dei posti relazionato alla popolazione complessiva.

Troppi insegnanti variabili

I concorsi, da poco conclusi, non hanno ancora prodotto nel 2000 gli effetti di stabilità e di continuità degli insegnanti di sostegno, come da tutti auspicato.

Su 60.457 insegnanti di sostegno, ben 6 su 10 sono a tempo indeterminato, gli altri 4 sono a tempo determinato. E’ appena il caso di sottolineare che, poiché le nomine attualmente in corso non copriranno tutte le sedi necessarie, la questione dell’eccessiva mobilità non verrà del tutto risolta.

Si ricorda, ancora, che circa 4.500 docenti di sostegno a tempo indeterminato passano, ogni anno, nei ruoli normali aumentando la variabilità professionale.

Da uno studio svolto su un campione di casi, si rileva come dalla scuola dell’infanzia alla scuola elementare alla scuola media, il numero di docenti di sostegno che mediamente incontrano un alunno in situazione di handicap è circa il doppio dei tre docenti ideali.

Se si tiene conto della mobilità del personale a tempo indeterminato e dell’aleatorietà di quello a tempo determinato, si può ben dire che gli alunni in situazione di handicap hanno insegnanti per loro dedicati con il più alto tasso di variabilità di tutto il sistema scolastico. Il fatto è paradossale, pensando alle esigenze di maggiore continuità necessaria per questi alunni.

Si è già detto, al proposito, che l’eccessiva mobilità di anno in anno degli insegnanti determina un livello di prestazione professionale degli insegnanti di sostegno più bassa, in quanto non hanno il tempo di legare con i colleghi, e più facilmente sono portati a ruoli di delega e isolamento: la soluzione del problema ha quindi forte valore qualitativo per evitare che il sostegno si riduca a segregazione didattica.

La questione determina giuste proteste nei genitori, con i quali sono stati svolti numerosi incontri, nonché interventi diretti con i provveditori al fine di individuare le soluzioni meno dolorose per tutti.

Nell’anno scolastico in corso, attraverso le nomine in ruolo e la garanzia della triennalità di sede, si potrà avere finalmente una situazione nettamente migliore. Inoltre, al fine di evitare che le nomine aumentassero durante l’anno il cambiamento di insegnanti, si sono date indicazioni ai dirigenti scolastici per scegliere la soluzione più opportuna possibile, anche mantenendo in servizio i docenti a tempo determinato.

E’ intenzione dell’Amministrazione studiare tutte le soluzioni, d’intesa con le organizzazioni sindacali, per garantire il massimo di continuità didattica per tutti gli alunni.

Forse, però, è giunto il momento di rivedere alla radice il modello contrattuale che regola le prestazioni dei docenti, superando con coraggio una logica troppo impiegatizia che non tutela a sufficienza i diritti di apprendimento dei nostri alunni. Forse è giunto anche il momento che, nei contratti riguardanti professioni al servizio della persona, siano presenti soggetti di tutela dei diritti delle persone, con forza contrattuale propria. In questo modo forse si renderebbe più efficiente il servizio pubblico, forse si ridurrebbe la palude che induce spesso alla lentezza burocratica da parte delle amministrazioni e alla logica corporativa nei contratti, anche incentivando economicamente le professionalità più dedicate.

Quanto detto vale, ovviamente, non solo per i contratti del comparto scuola ma per tutti quei comparti (es. enti locali, sanità) nei quali si erogano servizi alle persone.

Un’ulteriore questione attiene alla presenza di pochi insegnanti specializzati tra quelli a tempo determinato. In molte province del nord le graduatorie di supplenti specializzati sono esaurite. I corsi di specializzazione attualmente in attività potranno tra breve risolvere la situazione. In questa fase si è provveduto ad indicare ai dirigenti scolastici l’opportunità di individuare e preferire, nelle nomine, i docenti a tempo determinato anche con lo svolgimento del solo primo dei due anni del corso di specializzazione.

Il nord abbandona le professioni a mission sociale?

Un dato eclatante e recente riguarda il fatto che gli insegnanti di sostegno a tempo determinato nelle regioni settentrionali (e in particolare nel Piemonte e Lombardia) sono prevalentemente meridionali. Il fenomeno riguarda anche gli altri insegnanti, ma nello specifico settore è particolarmente cospicuo. Si tratta, com’è ovvio, di un fenomeno connesso al diverse opportunità date dal mercato del lavoro tra nord e sud e dell’accettazione degli insegnanti meridionali a trasferirsi, almeno per i primi anni della carriera.

La questione è accentuata dal fatto che negli attuali corsi di specializzazione all’insegnamento di sostegno, mentre nelle regioni meridionali i concorrenti ai corsi superano mediamente di tre o quattro volte i posti ammessi, nelle regioni settentrionali molti di questi corsi sarebbero semivuoti se non venissero a frequentarli insegnanti precari meridionali. Dati simili riguardano anche altre professioni a forte mission sociale.

In sostanza, sempre meno settentrionali sono disposti ad accettare professioni pubbliche a valenza sociale.

 

2.4

L’integrazione di competenze nella scuola

 

Con la statalizzazione del personale ATA delle scuole materne ed elementari, prima comunale, si sono aperte nuove questioni sul ruolo di questo personale per l’integrazione degli alunni in situazione di handicap e, più in generale, sulle competenze degli enti locali in termini di assistenza sia generica che specialistica.

L’Amministrazione è intervenuta in numerose situazioni, ha promosso un accordo di massima con l'Anci (settembre 2000) al fine di superare la contraddizione tra la percezione degli enti locali di aver esaurito il compito assistenziale scolastico in genere e la diversa natura dei contratti statali e comunali del personale ATA. In molti comuni, infatti, al personale ATA venivano prima attribuite competenze di assistenza generale. La questione è ancora fluida e dovrà certamente trovare soluzione nell’ambito della Legge sui servizi integrati, tenendo conto in ogni caso di una corretta valorizzazione del personale ATA ora statalizzato che, come prima, deve sentire un proprio ruolo di responsabilità nel complesso impegno della scuola.

La materia ha avuto anche un forte contenzioso con le organizzazioni sindacali e va risolta quanto prima in modo definitivo, attribuendo al personale ATA responsabilità (e non semplici atti di buona volontà) evitando chiusure corporative sia per azioni di aiuto all’integrazione scolastica dei portatori di handicap sia di altre attività di supporto all’organizzazione della scuola.

La questione dimostra ancora una volta la necessità di rivedere a fondo il modello contrattuale delle professioni al servizio della persona.

Tuttavia il problema del personale di accompagnamento e di assistenza speciale rimane aperto, ha diversissime soluzioni da ente locale ad ente locale, determinando effettive disparità di trattamento verso gli alunni disabili.

Anche in questo caso la logica della concertazione è la via che si sta perseguendo, valorizzando in pieno anche l’autonomia delle scuole come partner del territorio per l’integrazione complessiva di ogni persona disabile. In questo senso numerose sono le iniziative di collaborazione attuate con il terzo settore e con il mondo associativo in genere, da sviluppare e valorizzare come la terza gamba (scuola, enti locali, volontariato) dei servizi integrati.

 

 

CAPO 3

   

LA FORMAZIONE DEL PERSONALE

 

La Legge 69/2000 ha permesso di implementare di un miliardo anche la formazione attinente all’handicap. Complessivamente i finanziamenti per la formazione sono stati, per il 2000, pari a L 5.542.000.000.

Il finanziamento ha investito due importanti attività di formazione.

 

3.1

I corsi di alta qualificazione per gli insegnanti di sostegno

 

Come noto, i corsi di alta qualificazione, previsti dall’OM 169/98, sono particolarmente dedicati agli insegnanti di sostegno a tempo indeterminato per sviluppare maggiori competenze verso l’integrazione degli alunni disabili sensoriali ma più in generale per affinare strategie e metodologie didattiche di sviluppo dei potenziali di tutti gli alunni. I corsi hanno la durata di 80 ore e sono stati progettati e seguiti dai Glip.

Nell’anno 2000 i corsi realizzati in tutta Italia sono stati 148, con la partecipazione di circa 4000 docenti.

La valutazione in itinere di questi corsi è sufficientemente positiva, ha permesso ai docenti di sostegno di acquisire migliori competenze ed ha determinato una maggiore percezione di identità.

Tuttavia, si segnala il fatto che in alcune province non si è effettuato alcun corso.

Per l’a.s. 2000/2001, il piano di attuazione prevede un aumento dei corsi fino al numero di 174, l’avvio di questi anche nelle province finora assenti e, insieme, un piano di monitoraggio degli esiti formativi.

 

3.2

I corsi di formazione per tutti i docenti

 

Come noto, il D.I. n. 460/98 prevede la costituzione di corsi di formazione per tutti i docenti a tempo indeterminato al fine di aumentare le competenze diffuse sull’integrazione scolastica e permettere, con una scansione graduale di 7 livelli di specializzazione, di acquisire anche il titolo di specializzazione. L’Amministrazione attribuisce importanza strategica a questi corsi, in quanto rompono la tradizionale delega ai soli insegnanti di sostegno sui temi dell’integrazione scolastica.

Nell’anno 1999 i provveditorati capoluogo di regione erano stati finanziati per realizzare, come capofila, progetti regionali di formazione che coinvolgessero le università. In questo modo si è cercato anche di costruire un circuito virtuoso tra sistema scolastico e università, utile anche a definire meglio l’intero sistema formativo per le competenze professionali sui sui temi dell’integrazione scolastica.

Sono pervenuti progetti definiti per 14 regioni. Sulle restanti si è aperta una verifica per il ritardo. Con l’anno 2000, finalmente, questi corsi partono in via sperimentale un tutte le regioni con il primo modulo.

Per generalizzare a regime questo modello di formazione come ulteriore strumento per acquisire il titolo di specializzazione, occorrerà però una modifica legislativa, dal momento che l’art. 14 della Legge 104/92 consente ormai la specializzazione solamente attraverso corsi universitari.

 

3.3

I corsi di specializzazione gestiti dalle università

 

I corsi per la specializzazione nel sostegno sono, come noto, di competenza del sistema universitario. Tuttavia numerosi sono stati gli interventi del Ministero della Pubblica Istruzione e del Ministero dell’Università per via di numerose discrasie sorte nella gestione dei corsi, al punto da metterne, in alcuni casi, in discussione la validità . In questa Relazione se ne accenna come questione aperta e che va meglio definita nelle regole e nella trasparenza.

Resta fermo che questi corsi sono transitori in attesa del completamento dei curriculi universitari attinenti alla formazione dei futuri insegnanti. Preme in questa Relazione sottolineare la necessità che il tema dell’handicap trovi sede formativa normale nei curriculi di tutti i futuri docenti con una quota sufficiente a maturare una buona competenza professionale di base verso l’integrazione, e assieme a questa base comune la possibilità di specializzazione all’interno del percorso accademico.

 

 

CAPO 4

   

LAVORI IN CORSO

 

4.1

Gli istituti atipici e il Regolamento attuativo

 

Si è completato il lavoro di predisposizione della bozza di Regolamento attuativo della riforma dei cosiddetti istituti atipici, prevista dal comma 10 dell’art. 21 della Legge 59/97.

Si tratta di quattro antichi istituti di assistenza, scolarizzazione e intervento verso i minorati sensoriali, con cospicui patrimoni e lasciti, ma che hanno via via esaurito il loro compito con la chiusura delle scuole speciali e il passaggio delle competenze agli enti locali.

La Legge prevede che questi istituti siano ridefiniti come enti di supporto alle scuole dell’autonomia.

In questo senso la bozza di Regolamento prevede l’istituzione di due enti nazionali di ricerca e supporto, l’uno per i minorati della vista l’altro per i minorati dell’udito, gestiti con forte struttura propositiva e semplificazione dei comportamenti, al fine di rendere efficacemenente supportivi questi enti verso le scuole evitando la riproposizione di nuove burocrazia e nicchie di potere.

Come noto, la Legge 69/2000 finanzia il rilancio di questi istituti per una cifra annua di circa 13 miliardi.

L’Ufficio Legislativo del Ministero, dopo il lavoro istruttorio svolto da appositi gruppi di lavoro, e dopo aver sentito le associazioni del settore, ha inviato al Governo la bozza del Regolamento per l’avvio dell’iter legislativo previsto.

 

4.2

I centri servizi territoriali per l’integrazione

 

Nell’ambito della riorganizzazione delle responsabilità nel sistema scolastico, una questione a cui l’amministrazione ha dedicato particolare attenzione, in questo anno, è stato l’esigenza di valorizzare e portare a sistema le numerose esperienze già presenti di sedi di supporto alle scuole e al territorio sui temi dell’integrazione scolastica delle persone in situazione di handicap.

Tale attenzione è connessa al lavoro istruttorio che si sta svolgendo nell’ambito della riforma dell’amministrazione periferica, che prevede la nascita di centri servizi territoriali a supporto delle scuole.

La ricognizione, svolta quest’anno in numerosi incontri di lavoro, ha evidenziato la presenza di cinque tipologie di strutture dedicate all’handicap a scuola:

scuole-polo a cui il Glip e i provveditorati hanno assegnato compiti di supporto in rete alle scuole, come sedi di documentazione e informazione;

strutture provinciali di supporto e informazione promosse dai provveditorati;

centri servizi integrati composti da scuole, volontariato, enti locali;

centri servizi degli enti locali, ai quali le scuole si rivolgono come clienti;

scuole autonomamente strutturate in rete per specifici progetti di integrazione (es. il circuito Feurestein)

In molte province sono presenti più tipologie di strutture, a volte non in rapporto se non in contrasto tra loro, in alcune province i centri servizi sono inesistenti o molto deboli, in altre sono fortemente attivi e integrati.

Nella logica della sussidiarietà, non è ovviamente possibile immaginare un unico modello nazionale di centri servizi territoriali. Tuttavia, il lavoro svolto in questi mesi suggerisce che lo specifico dell’handicap trovi sedi di supporto fortemente integrate con le realtà territoriale e in particolare con gli enti locali, evitando canali paralleli di servizi tutti interni alla scuola.

L’esperienza finora svolta suggerisce che l‘handicap sia tema trasversale e comune a tutti i centri servizi territoriali dell’amministrazione scolastica e insieme trovi sedi di supporto non autoreferenziali ma integrate con tutta la vitalità territoriale.

In generale, l’esperienza dimostra che più i centri servizi sono orizzontali (e quindi comunicanti con il territorio su tutti i temi educativi) più sono attivi ed efficaci. Infine, nella formazione dei centri servizi è doveroso non percorrere strade di nuove burocrazie tecniche, quanto quella di sviluppare strutture efficaci e snelle, sottoposte a frequente verifica, flessibili nell’organizzazione e verso le quali le scuole non si debbano sentirsi né clienti né succubi, ma partner e soci, nella logica della circolarità e trasferibilità delle esperienze.

 

4.3

Le certificazioni scolastiche e i nuovi curricoli per competenze

 

Per quanto attiene alle situazioni di handicap, certificazioni scrutini ed esami sono stati sempre un tema tormentato, incuneato tra esigenze formali dei certificati scolastici e processi sostanziali di scolarizzazione.

Tutta le recente normativa pone in discussione i modelli certificativi e valutativi degli alunni nel loro percorso formativo. Ad esempio, al termine dell’obbligo la scuola deve comunque rilasciare un certificato di competenze acquisite se l’alunno non supera l’anno o non intende proseguire il percorso scolastico.

Queste sono anche le indicazioni presenti nella Risoluzione del Consiglio della U.E. del 3 dicembre 1992 in quella del 15 luglio 1996 sulla trasparenza delle certificazioni.

Un nuovo sistema di certificazione, inoltre, non solo può descrivere le competenze acquisite dall'alunno disabile indicando in quale contesto le competenze e le capacità conseguite possono realizzarsi, ma
- permette al Servizio informativo (SIL), all'ufficio di collocamento o ai nuovi uffici per l'impiego di leggere le competenze e le capacità conseguite dall'alunno disabile e di avere quindi la possibilità di
trovare un lavoro più rispondente possibile alle reali capacità dell'alunno,
- fornisce al datore di lavoro informazioni chiare e univoche sulle competenze possedute dall'alunno disabile e su come tali competenze possono esplicarsi,
- dà la possibilità agli alunni di frequentare sistemi di formazione regionali o di rientrare nel sistema formativo statale senza inutili ripetizioni, che significano dispersione di energia,
- può essere utilizzato anche per gli alunni disabili definiti "gravi" perché possono fornire informazioni anche per la scelta e l'inserimento in una situazione protetta.

A tale proposito, un gruppo di lavoro del Comitato tecnico ha predisposto una serie di soluzioni certificative delle competenze tali da aiutare a risolvere le questioni di natura formale che spesso impediscono le iscrizioni da un ciclo scolastico all’altro e dal una classe all’altra del ciclo, nella prospettiva del nuovo sistema di certificazione delle competenze sia durante il percorso scolastico che al suo completamento.

La certificazione di competenze proposta tende ad individuare i potenziali presenti o residui e i contesti relazionali (e tecnologici) entro i quali i potenziali possono trovare maggiore espressione.

Il gruppo ha consegnato la proposta all’Amministrazione in vista della prossima Ordinanza su scrutini ed esami. La proposta è realizzata tenendo conto anche della prospettiva del riordino dei cicli che dovrà ridefinire tutto l’intero campo della valutazione degli alunni.

Contemporaneamente, le numerose iniziative di studio sui nuovi curricoli hanno maturato una serie di indicazioni utili per la ridefinizione di questi nell’ambito della Legge sul riordino dei cicli scolastici e in applicazione dell’art. 8 del regolamento per l’autonomia didattica e organizzativa.

Il punto di vista degli alunni in situazione di handicap è sempre presente in tutte le sedi del Ministero dove si sta lavorando ai nuovi curricoli. Il Comitato tecnico sta, al proposito, offrendo un costante contributo.

In particolare, si dovrà prestare attenzione al ruolo della mediazione didattica fine e consapevole, ai contesti di apprendimento, alle tecnologie didattiche come strumenti di facilitazione e sviluppo degli apprendimenti.

I curricoli per competenze che si stanno prospettando dovranno evitare di concludersi nell’individuazione di soglie rigide di conoscenze o competenze da dover acquisire obbligatoriamente, ma una corretta interpretazione del significato di competenza può rendere possibile la strutturazione di curricoli che favoriscano apprendimenti di tipo parallelo, alternativo, compensativo, residuale, utili a sviluppare tutti i potenziali cognitivi di ogni persona, accettando la specifica disabilità ma non fermandosi a questa.

Inoltre, l’utilizzo delle competenze nel sistema di certificazione degli alunni (e in particolare di quelli disabili) dovrebbe avere forte valenza formativa, ponendosi cioè come strumenti della scuola per sviluppare, in modo generativo, strategie didattiche individualizzate, alternative, compensative, utili a sviluppare tutti i potenziali individuali di ogni alunno disabile.

Altrettanta attenzione si dovrà porre alla questione dei crediti formativi, intesi anche nella valenza compensativa tra una competenza e l’altra, secondo i reali potenziali di ognuno.

Da questo punto di vista, anche il Sistema Nazionale di Valutazione dovrà prestare attenzione alle questioni degli alunni disabili, evitando forme standardizzate di analisi degli esiti per una più puntuale attenzione ai processi e alle forme compensative di apprendimento.

 

4.4

Le relazioni internazionali

 

Il Ministero della Pubblica Istruzione è presente con suoi rappresentanti nella European Agency for Development in Special Needs Education.

L’Agenzia, di emanazione della Comunità europea e operante sui temi dell’integrazione scolastica, ha sede a Copenaghen e rappresenta i ministeri dell’istruzione di tutti i paesi della Comunità europea più i paesi dell’est Europa in attesa di entrarci, più la Svizzera come osservatore. Svolge un compito di scambio, promozione e ricerca per i paesi membri.

L’Agenzia, che ha sei anni di vita, ha visto finora una partecipazione non particolarmente intensa da parte del nostro paese, pur essendoci in tutta Europa un forte interesse conoscitivo verso l’esperienza italiana.

E’ interesse del nostro paese consolidare la sua presenza in Europa e di favorire gli scambi internazionali.

A tale scopo, il ministro ha confermato la nostra presenza nell’Agenzia, nominando l’isp. Raffaele Iosa come Rappresentative Board, si sono presi contatti più diretti con l’ufficio di presidenza.

Le conclusioni di questa prima fase di contatti sono particolarmente interessanti e di concretizzano in due azioni già in corso di realizzazione:

l’organizzazione della Conferenza annuale dell’Agenzia a Roma, e in Italia per la prima volta, il 22, 23 e 24 marzo del 2001. Si tratta di un’occasione di maggiore presenza e partecipazione del nostro paese allo scambio entro la Comunità europea;

la predisposizione di una proposta di lavoro per l’Agenzia, già condivisa dall’ufficio di presidenza, perché questa si faccia promotrice di una "Carta europea dei diritti della persona in situazione di handicap", a seguito della Carta dei diritti di Nizza, come sviluppo anche sociale della politica europea, avente lo scopo di rendere equivalenti negli esiti i servizi per l’integrazione e, in ogni caso, di favorire la mobilità dei portatori di handicap in tutti i paesi europei, con i medesimi diritti.

 

Roma, 2 febbraio 2001