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Applicazione della riforma e del Piano sociale dalla prospettiva dei più deboli

Fabio Ragaini, Gruppo Solidarietà

 

Lo scorso 1º agosto è stata pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione Marche (n. 86/2001) la delibera contenente le Linee guida per l’attuazione del Piano regionale per un sistema integrato di interventi e servizi sociali. Si tratta dell’Atto applicativo - insieme a quello che definisce gli Ambiti territoriali - più importante dopo l’approvazione del Piano sociale regionale (Delibera amministrativa n. 306 del 1.3.2000, BUR, n. 35/2000). Le linee guida affrontano i seguenti aspetti: a) L’attivazione degli Ambiti Territoriali, b) Il Coordinatore di ambito; c) Gli uffici di promozione sociale; d) Il Piano di zona; e) L’integrazione socio-sanitaria; f) Il Bilancio sociale; g) La Consulta regionale dei comuni capofila degli ambiti territoriali; h) Il Coordinamento provinciale; i) I tempi e le procedure. Gli Ambiti territoriali (già definiti con DGR 337/2001) costituiscono il livello di governo locale delle politiche sociali. Per ogni Ambito Territoriale viene nominato dal Comitato dei sindaci dei Comuni dell’ambito il Coordinatore della rete dei servizi dell’ambito territoriale con funzioni di coordinamento, programmazione, attuazione del Piano territoriale dei servizi sociali (Piano di zona). La regione provvede all’Istituzione dell’Elenco Regionale dei Coordinatori di Ambito e all’approvazione dei criteri e delle modalità per l’iscrizione (D.G.R. n. 1674 del 17.7.2001). Entro il 15 novembre dovrebbe essere approvato l’elenco nominativo degli aspiranti al ruolo di Coordinatore. In fase di avvio del Piano sociale regionale, i Comitati dei Sindaci degli Ambiti Territoriali inviano alla regione entro il 31 marzo 2002 il Piano annuale a stralcio per l’anno 2002.

Ricordiamo che successivamente al Piano sociale regionale a livello nazionale è stata emanata la cosiddetta legge di "riforma dell’assistenza" (L. 328/2000, in sup. G.U., n. 265 del 13.11.2001), che impegna fortemente le regioni nell’approvazione di numerosi atti applicativi (dalla definizione degli ambiti territoriali - già normati nelle Marche perché previsti anche dal Piano sociale - alla applicazione del D. lgs di riordino delle IPAB, dalla definizione dei requisiti minimi per l’accreditamento, alla regolamentazione del rapporto tra enti locali e del terzo settore ai fini dell’affidamento di servizi). Alle scadenze del Piano si sommano quindi quelle previste dalla riforma nazionale.

 

Le scadenze del Piano regionale. Provvedimenti da emanare

Entro il 30 settembre 2000, dovevano emanarsi i seguenti provvedimenti: La Giunta regionale definisce i livelli minimi di servizi, prestazioni e attività; Il Consiglio regionale determina "linee guida" nei diversi campi dell’integrazione socio sanitaria ed individua i livelli minimi di integrazione da attuare in ogni A.T.; Gruppi di lavoro coordinati dalla regione individuano le figure professionali corrispondenti agli operatori di base e agli operatori tecnici di medio livello; Il Consiglio regionale individua le tipologie di strutture soggette all’autorizzazione.

Proponiamo di seguito alcune riflessioni che ci paiono di particolare rilievo nell’attesa dell’emanazione di alcuni importanti atti regionali

 

Garantire alle fasce più deboli l’accesso ai servizi essenziali

"Se è indispensabile che i servizi definiti universalistici (scuola, sanità, trasporti ecc...) possano essere utilizzati da tutti i cittadini, compresi quelli più deboli, è altrettanto importante che non si mettano sullo stesso piano giuridico le esigenze vitali con il soddisfacimento di aspettative, pur legittime, ma non strettamente indispensabili. E’ dunque necessario che, nella programmazione regionale e locale, si garantisca davvero priorità e certezza di accesso ai servizi socio-assistenziali per i soggetti in condizioni di povertà o con limitato reddito o incapacità totale o parziale di provvedere alle proprie esigenze per inabilità". Così concludeva il proprio intervento Mauro Perino (1) al seminario promosso dal Gruppo Solidarietà a Jesi lo scorso 27 ottobre dal titolo "Dopo la riforma dell’assistenza: le prospettive a livello regionale". Dunque, la definizione della rete dei servizi essenziali da realizzare all’interno di ogni ambito territoriale (o per ambiti associati data la presenza di 8 ambiti di poco superiori o inferiori ai 20.000 abitanti), diventa un metro importante per valutare se effettivamente alle persone in situazione di particolare difficoltà verranno assicurati alcuni interventi e servizi. Ovvero se le norme regionali applicative garantiranno ciò che la legge nazionale ha solamente auspicato. Diventa pertanto fondamentale che per i soggetti di cui all’art. 2, comma 3, della legge 328/2000 vengano assicurati prestazioni, interventi e servizi, cui hanno estrema necessità, all’interno degli ambiti territoriali. Non vorremmo, che a fronte di difficoltà di vario tipo (scarsità di interventi e servizi attualmente erogati, risorse economiche insufficienti) la rete dei servizi, non a caso definiti essenziali, non abbia come riferimento il parametro fondamentale: i bisogni delle persone indicate all’art. 2, della legge di riforma dell’assistenza.

Strettamente legato a questo punto è quello relativo alla definizione dei requisiti strutturali ed organizzativi per l’autorizzazione all’esercizio delle strutture diurne e residenziali. Anche questo Atto in via di emanazione, riveste grande importanza. Dovrà dimostrare se la regione intende promuovere servizi diurni e, soprattutto, residenziali lontani da logiche istituzionalizzanti, oppure servizi nei quali la dimensione "familiare", diventa punto fondamentale di riferimento. Particolare attenzione dovrà riguardare la proposta sulle strutture residenziali per l’handicap, per verificare, se si intendono incentivare residenze a dimensione familiare inserite nei normali contesti abitativi oppure se in nome di una supposta particolare gravità si proporranno strutture istituzionali ancorate ad una logica sanitario-custodialistica, comunque finalizzate al contenimento del costo retta.

 

Ambiti territoriali e coordinatori d’ambito

Entri pochi giorni dovrebbe essere istituito l’elenco regionale dei Coordinatori d’ambito, dal quale i Comitati dei sindaci attingeranno per la nomina dei 29 Coordinatori. Alleghiamo in proposito la nota inviata dal Gruppo Solidarietà, lo scorso 17 ottobre all’assessore regionale ai servizi sociali nella quale

 

La lettera del Gruppo Solidarietà sui Coordinatori d’ambito

Questa associazione, impegnata ininterrottamente da un ventennio in attività di promozione e tutela delle persone più in difficoltà, in riferimento all’oggetto, chiede proprio in relazione alla fondamentale importanza dei Coordinatori d’ambito nello sviluppo di politiche sociali territoriali a tutela delle fasce più deboli della popolazione, che con la massima severità siano vagliati i requisiti per l’ammissione all’elenco regionale. In particolare si auspica vivamente una rigorosa analisi circa l’effettivo svolgimento delle funzioni di coordinamento e programmazione definite dalla DGR 1674/2001. Si auspica e ci si augura pertanto, che i Comitati dei sindaci, possano attingere da un elenco di persone di comprovata ed effettiva esperienza e competenza nel settore. Certi della comprensione dello spirito che muove la presente, inviamo distinti saluti

si chiede che con il massimo rigore vengano vagliati i requisiti per l’ammissione all’elenco regionale. Altro aspetto che riveste particolare importanza e delicatezza e che dovrà trovare formale definizione è quello relativo alla possibilità che i singoli Comuni non appartenenti all’Ambito possano non delegare allo stesso alcune funzioni. Così come si dovranno definire i servizi che hanno come riferimento un territorio che non necessariamente coincide con la dimensione di oltre il 30% degli Ambiti territoriali. Diventa quindi essenziale definire il bacino di popolazione (coincidente o meno con l’A.T.), all’interno del quale assicurare alcuni interventi e servizi.

 

L’applicazione dell’ISEE

La legge di riforma all’art. 25, Accertamento delle condizioni economiche del richiedente, stabilisce che ai fini dell’accesso ai servizi, la verifica della condizione economica del richiedente è effettuata secondo le indicazioni del D.lgs 109/98 (più conosciuto come riccometro), come modificato dal D. lgs 130/2000. Sempre nella stessa legge, all’art. 8, comma 3, lett., g, si affida alle regioni il compito di definire i criteri per la determinazione del concorso da parte degli utenti al costo dei servizi. In particolare il D. lgs 130/2000 stabilisce che per le prestazioni sociali "erogate a domicilio o in ambiente residenziale a ciclo diurno o continuativo, rivolte a persone con handicap permanente grave di cui all’articolo 3 della legge 104/1992, nonché a soggetti ultrasessantacinquenni la cui non autosufficienza fisica o psichica sia stata accertata dalle Aziende Unità Sanitarie" verrà presa in considerazione la situazione economica del solo assistito e non quella del nucleo familiare o dei parenti "tenuti agli alimenti". Dal punto di vista formale tale Atto attende un ulteriore DPCM ma è del tutto evidente, in particolare dopo l’emanazione dell’Atto di indirizzo sull’integrazione socio sanitaria (DPCM 14.2.2001), che la mancata applicazione di tale previsione ha l’unico fine di ritardarne il più possibile l’applicazione per evitare l’aumento dei costi a carico degli enti locali. Peraltro il D. lgs 130/2000 ha stabilito in maniera inequivocabile che non subiscono alcuna modifica le norme del codice civile sugli alimenti, compreso l’art. 438, "Gli alimenti possono essere chiesti solo da chi versa in stato di bisogno e non è in grado di provvedere al proprio mantenimento". Resta dunque confermato che solo l’interessato ha la piena e assoluta facoltà di chiedere gli alimenti ai propri congiunti. Gli enti pubblici, precisa il decreto, non possono sostituirsi all’interessato nella richiesta degli alimenti.

Nonostante ciò, ed in contrasto con quanto sopra, è sotto gli occhi di tutti le cifre esorbitanti (80.000-100.000 L. al giorno) richieste ad esempio agli anziani malati non autosufficienti ed ai loro parenti ricoverati presso residenze sociali o socio-sanitarie, ma anche a soggetti con handicap o con malattia mentale ricoverati presso strutture assistenziali. In alcuni casi poi per aggirare le norme sull’ISEE si prende (nei servizi domiciliari e diurni) in considerazione il reddito dell’assistito ma conteggiando, del tutto illegittimamente, anche l’indennità di accompagnamento, determinando così un reddito ben superiore a quello riferibile al minimo vitale e dunque giustificando la partecipazione al costo da parte dell’assistito.

Diventa pertanto opportuno che al più presto la regione emani un Atto, nel quale si chieda agli enti locali il rispetto delle indicazioni del D.lgs 130/2000.

 

L’integrazione socio sanitaria

Strettamente collegato con l’applicazione del Piano sociale e della riforma dell’assistenza è il recepimento a livello regionale delle indicazioni contenute nell’Atto di indirizzo e coordinamento in materia di prestazioni socio sanitarie" (G.U. n. 129 del 6/6/2001) (2). In una regione come quella marchigiana nella quale la gran parte della spesa sanitaria è concentrata sui servizi ospedalieri a danno dei servizi territoriali rivolti alle fasce più deboli della popolazione (3), come ad esempio soggetti con handicap grave, anziani e malati non autosufficienti, malati mentali, è necessario che la tanto invocata integrazione socio sanitaria non diventi uno strumento utilizzato esclusivamente ai fini del contenimento dei costi spostando dalla sanità all’assistenza prestazioni e servizi (dunque oneri). Uno spostamento che si traduce anche nel passaggio verso servizi con crescente abbassamento degli standard assistenziali. E’ infatti fin troppo evidente, che sempre più spesso l’introduzione della parola "sociale", ha il solo fine di far gravare oneri (i famosi costi alberghieri, quando parliamo di residenze) su altri soggetti (Comuni, famiglie, utenti). Se il sistema sanitario regionale - che lamenta una situazione di grosso deficit - non verrà spinto ad assumere oneri che gli competono, attraverso la piena titolarità anche finanziaria di alcuni interventi spostando finanziamenti dall’ospedale al territorio, per tutte quelle persone che a causa di gravi malattie versano in situazione di non autosufficienza e non sono curabili a domicilio, alcuni interventi non verranno mai realizzati e non si libereranno risorse che il settore "sociale" può investire in settori assolutamente scoperti (vedi piccole comunità residenziali, per situazioni di handicap, minori, pronta accoglienza). Ma soprattutto i cittadini, che si trovano in situazione permanente o temporanea di grande difficoltà legata a malattia e non autosufficienza continueranno, a meno che non dispongano di ingenti risorse economiche, a trovarsi nella grandissima difficoltà di trovare servizi rispondenti ai loro bisogni ed a ricorrere alle uniche strutture - del tutto impropie - disponibili sul territorio: le case di riposo, che nate ed autorizzate per i bisogni di persone autonome o parzialmente non autosufficienti, si trovano ad accogliere per la stragrande maggioranza dei propri posti letto malati non autosufficienti con oneri a completo carico dell’assistito e dei suoi familiari.

 

Note

(1) Direttore del Consorzio intercomunale (CISAP) dei comuni di Collegno e Grugliasco (TO). Al seminario hanno partecipato anche: Marcello Secchiaroli, assessore ai servizi sociali della regione Marche, Giuliano Tacchi, dirigente servizi sociali, Comune di Pesaro, Luigi Giacco, parlamentare marchigiano.

(2) Cfr, LAtto di indirizzo sulla integrazione socio sanitaria, in "Appunti sulle politiche sociali", n. 5/2001, p. 7; disponibile anche nel sito internet del Gruppo Solidarietà, http://www.comune.jesi.ancona.it/grusol

(3) Cfr:, Politiche sanitarie nelle Marche e tutela dei soggetti deboli, in "Appunti sulle politiche sociali", n.1/2001, p. 8; Presente e futuro delle RSA nelle Marche, in "Appunti sulle politiche sociali" 4/1999, p. 16; Anche questi documenti sono disponibili nel sito del Gruppo Solidarietà.


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