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Anno Europeo della Persona Handicappata e Pari Opportunità nell'ambiente di lavoro. Resoconto della Conferenza CES EDF di Salonicco. di Flavio Cocanari
Nell'ambito delle iniziative per l'Anno Europeo della Persona Disabile, deciso dall'Unione Europea ed accolto con grande favore al "Congresso Europeo sulle disabilità di Madrid " del marzo 2002[1], un particolare significato stanno assumendo quelle promosse dal Sindacato. Tra l'altro, nell'ambito delle manifestazioni del primo maggio, a Bologna, su proposta della CISL e con il consenso di CGIL ed UIL, un "disabile", Mauro Montesi, è intervenuto dal palco per dare una testimonianza che oltre a rivendicare integrazione si può essere protagonisti della propria integrazione. Conquiste del Lavoro del 19, 20 aprile scorso ha inoltre già riferito su alcune iniziative promosse in casa CISL. A livello europeo, un pacchetto di azioni è stato concordato con la Confederazione Europea dei Sindacati (CES) a Barcellona, lo scorso settembre, in un seminario realizzato assieme all'European Disability Forum (EDF). Uno dei punti qualificanti il vasto ventaglio di iniziative dei sindacati e dell'associazionismo delle persone disabili è teso alla sollecitazione di una direttiva europea per migliorare l’integrazione delle persone handicappate nella società e nel mondo del lavoro. Questa direttiva dovrebbe concernere tutta la gamma dei diritti della persona disabile nella sua vita quotidiana e nella vita di relazione - alloggio, salute, accesso ai servizi - nel suo percorso educativo - scuola, università - e in particolare sul tema dell'inserimento lavorativo - diritto alla formazione e promozione, mantenimento dell’occupazione, adattamento posto del lavoro .
Sempre a Barcellona è stata concordata la realizzazione di una brochure e di un manifesto - recuperabili e riproducibili ambedue dal sito web della CISL - che dovrebbero rendere univoci i messaggi dei sindacati nazionali sul tema dei diritti, dietro lo slogan “Uno per tutti, Tutti per uno. Il sindacalismo per l'eguaglianza dei diritti - Anno 2003 – Anno della Disabilità"
L'Anno Europeo della Persona con Disabilità è stato ufficialmente inaugurato ad Atene lo scorso 26 gennaio, con una grande manifestazione, a cui ha partecipato il Presidente della Repubblica greca. L'anno sarà chiuso con una grande manifestazione, prevista per il 3 dicembre prossimo a Roma.
In attuazione degli impegni di Barcellona si è svolta così, presso la sede del CEDEFOP (Centro Europeo per lo Sviluppo della Formazione Professionale) a Salonicco negli scorsi 1, 2 e 3 marzo una Conferenza promossa dalla CES e dall'EDF, sul tema "L'educazione e la formazione nel corso della vita. Uguaglianza di trattamento nell'accesso all'educazione e alla formazione, al mercato del lavoro e alla crescita professionale".
Questa collaborazione tra le due reti - sindacale ed associativa - è ormai, a giudizio di Jean Lapeyre, segretario generale aggiunto della CES, profonda e costruttiva ed è particolarmente importante alla vigilia dell'allargamento dell'Unione Europea. Alle due reti si pongono sfide enormi perché l'integrazione avvenga non solo sul piano economico ma anche su quello sociale e soprattutto passi nella definizione di valori comuni. Nella nuova Costituzione europea dovrà così essere chiaramente previsto il ruolo della società civile. Per Jean Lapeyre comunque sarà obiettivo prioritario delle due reti mantenere l'impegno di Barcellona e sollecitare l'approvazione della nuova direttiva contro la discriminazione dei disabili in ogni ambito di vita.
L'incontro di Salonicco, tra l'altro, è stato importante per coinvolgere e "suggestionare" il sindacato greco sulle tematiche dell'integrazione. Un sindacato ricostituito democraticamente nel 1975 ed ancora alle prese con una tradizione di "lavoro emigrato" e con una lunga situazione congiunturale di bassa crescita occupazionale e di peggioramento della competitività aziendale, che rischia di mettere in crisi la sicurezza sociale nel Paese. Il rappresentante greco, ha messo in evidenza come anche in Grecia sia partito il "lavoro atipico" - 15% dei lavoratori sarebbero atipici - verso il quale il sindacato non esprime contrarietà a priori e in maniera brutale ma non è neanche disposto ad accettarlo come strumento di una deregolamentazione selvaggia.
Sul piano Europeo, Miguel Angel Cabra De Luna, del Comitato Economico Sociale dell'Unione Europea, ha ricordato che le persone handicappate in Europa sono 37 milioni nei quindici paesi dell'Unione e saranno 50 milioni con il prossimo allargamento dell'Unione. Per Cabras De Luna però occorre creare le condizioni perché questi cittadini smettano di essere cittadini invisibili[2]. Occorre garantire loro gli stessi diritti civili, politici, economici e culturali. Si tratta di sostenere il diritto ad esprimere la propria presenza. Il Comitato Economico e Sociale si muove per: ü l'integrazione dei temi della disabilità in tutte le politiche europee, con particolare riferimento al diritto alla partecipazione ai percorsi formativi. ü la promozione (e il suo recepimento da parte di tutti i Paesi dell'Unione) della direttiva 2000/78 relativa alla "parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (direttiva per la non esclusione nei posti di lavoro)
Ma quale rapporto può esserci tra quest'ultima direttiva, che dovrà essere recepita dai Paesi membri entro il 2 dicembre di quest'anno, e la nuova direttiva rivendicata dal Sindacato e dall'EDF?
Questo è stato il tema di un aspro confronto con la rappresentante della Commissione Europea, Beth Straw, che si è trovata nello scomodo ruolo del muro contro cui cozzavano ripetutamente le richieste di una nuova direttiva - trasversale - non limitata ai diritti nel posto di lavoro e alle pari opportunità di inserimento lavorativo. Secondo la funzionaria della Commissione, infatti, non ci sono spazi e tempi per l'approvazione di questa direttiva e soprattutto - a quanto sembra - non vi è l'intenzione della Commissione a sostenerla.
Sul piano del confronto delle esperienze dell'integrazione in ambito educativo e formativo è emersa come esemplare l'esperienza italiana, che non solo ha fatto da battistrada ad esperienze come quella francese - descritta da Alain Mouchoux, del Comitato sindacale europeo dell'Educazione - che a partire dal 1996 ha puntato ad integrare bambini e giovani nel sistema scolastico ordinario, spendendo maggiori risorse per un nuovo modo di organizzare il sistema senza escludere. Ma formulare frasi del tipo "ogni giovane è educabile" oppure "passare dalla logica dell'assistenza a quella dell'integrazione" non solo può essere inutilmente rituale ma - secondo Stig Langvad, rappresentante di una rete di 29 organizzazioni di disabili Danesi - ha il sapore del "predicare ai convertiti". Queste esperienze e queste indicazioni, secondo Langvad, è inutile ripeterle tra gli addetti ai lavori ma vanno riportate nelle esperienze dove l'esclusione è ancora regola di vita e dove le "scuole specifiche" sono ancora la soluzione corrente ed indiscussa.
L'esperienza italiana dell'integrazione "nella scuola di tutti" è stata descritta in maniera articolata - nei suoi passaggi storici, nella sua metodologia e nei suoi numeri - da Luigi Giacco, parlamentare, educatore e figura storica della Lega del Filo d'oro. Se integrazione può significare "accettare le differenze" è necessario, per arrivarci, non solo la legge ma anche l'esperienza e il contributo di tutti (associazionismo e dintorni ma soprattutto "famiglie"). Ma non sempre le cose vanno bene come dall'apparenza si può credere e qui pesante è il richiamo di Giacco agli educatori e soprattutto a chi organizza il sistema scolastico: "Se un bambino non è capace di apprendere non vuol dire forse che noi non siamo capaci di trovare il modo per farlo apprendere? Non basta, a questo punto, rinunciare, alzare le mani". Nella visione olistica del "bambino" e della metodologia di insegnamento che deve andare oltre lo sviluppo delle capacità cognitive e intellettive e puntare allo sviluppo delle capacità espressive e relazionali, Giacco pensa ad un progetto educativo che vada oltre l'orario scolastico ed arrivi ad essere premessa di un inserimento lavorativo oltre che di una integrazione sociale. A questo riguardo e passando alle indicazioni di carattere generale è importante fare le leggi ma ancor di più lo è gestirle e verificarle. Passaggi fondamentali, a questo riguardo sono: l'articolo 3 della Convenzione di New York per l'Infanzia l'articolo 13 contro la discriminazione del Trattato di Amsterdam e il recepimento, entro quest'anno della Direttiva 2000/78, prima citata.
Una specifica tavola rotonda, sulla “uguaglianza di trattamento in materia di condizioni di lavoro, di sviluppo di carriera per le persone con handicap”, coordinata dall’autore di questa nota, è entrata nel vivo delle questioni delle pari opportunità nel posto di lavoro e della rimozione di tutte le possibili condizioni di discriminazione. Nina Daita, responsabile del Coordinamento Handicap della CGIL, ha messo in rilievo come le condizioni per le pari opportunità nel mondo del lavoro nascono da una corretta gestione del percorso educativo e dell'integrazione scolastica e quindi sociale. Pari opportunità che devono nascere nel sociale e nel territorio, facendo avvantaggiare positivamente già il nucleo familiare di origine, spesso penalizzato ed abbandonato nel suo ruolo di assistenza, tutela, educazione e promozione del giovane disabile. Nina Daita ha puntato il dito contro la brutta esperienza che ancora persiste in alcuni paesi europei delle scuole separate e delle scuole speciali, capaci solo di emarginare, produrre frustrazione e creare le condizioni per una mancanza di fiducia in se stesso del giovane disabile o del giovane handicappato. Mancanza di fiducia che poi la persona rischia di trascinare con sé nella sua vita adulta. Buone esperienze di integrazione nella scuola di tutti possono invece essere occasione di buone esperienze di integrazione nel mondo del lavoro, come dimostrano gli inserimenti di persone con minorazione di natura psichica, mentale ed intellettiva in numerose imprese del Veneto e di molte altre realtà in Italia. E' illusorio, però, secondo la sindacalista della CGIL, pensare che queste esperienze possano svilupparsi senza una buona legge che indica una soglia minima di obbligo e un quadro di servizi di sostegno e di incentivi.
Un "mea culpa", che andrebbe esteso a tutti i partner del mondo del lavoro, lo ha recitato Regine Prunzel, della Confederazione Europea delle Imprese a partecipazione pubblica, CEEP, per tutti gli ostacoli che limitano l'occupazione a posti non visibili. Barriere architettoniche e sensoriali e trasporti sono tra i fattori negativi più rilevanti. Ostacoli che mettono in tale difficoltà i lavoratori disabili da renderli "prime vittime" nelle procedure di licenziamento. Tutto ciò presuppone che non si possa dormire sugli allori ed occorre sviluppare il percorso avviato nel Comitato Dialogo Sociale alcuni anni fa e sviluppare le esperienze di buona pratica estrapolandone gli elementi di positività.
Nei diversi interventi è così emerso che le buone intenzioni vanno bene ma non bastano . Occorre una legge base per sollecitarle e va poi sperimentato un adeguato modello organizzativo per supportare il tutto. Ma a questo fine vanno visti con nitidezza i vincoli e, al contrario, le corrispondenti possibilità derivanti da un modello organizzativo adeguato a supportare i datori di lavoro nel loro impegno di realizzare nuovi inserimenti lavorativi.
Meriterebbe una riflessione ad hoc la relazione che Carlotta Besozzi dell'EDF ha sviluppato, indicando dati sulla situazione di chiara discriminazione dei disabili rispetto ai non disabili, ripercorrendo il ruolo dei singoli attori sociali e partners del mercato del lavoro, ricordando la strumentazione a loro disposizione e - mettendo l'accento sulle abilità piuttosto che sulle disabilità - puntare ad influire sulle politiche di welfare (nella logica del mainstreaming) a partire dalle buone esperienze di partenariato.
Rilevante poi l'intervento di Alessandro Alberani, ora neosegretario generale della CISL di Bologna, che oltre a suggerire una dichiarazione congiunta di CES ed EDF in difesa della pace - dichiarazione incorporata nel documento finale della Conferenza - ha messo in luce che in un modello di sviluppo che mette sempre più al centro il profitto e rischia di dimenticare di mettere al centro la persona diventa fondamentale partire dal solidarismo nei luoghi di lavoro. Necessita quindi un'azione politica e culturale attraverso un metodo e delle azioni pratiche che rimettano al centro dell'azione sindacale la solidarieta'. Occorre, quindi, secondo Alberani, lavorare su tre temi: - studio dell'organizzazione del lavoro, partendo dalle professionalità - potenzialità, valorizzando il ruolo della formazione - valorizzare le azioni positive e le buoni prassi per migliorare la qualità degli interventi - costruire strumenti di verifica sulle attività per i disabili nei luoghi di lavoro.
Al di là delle formali rappresentanze di alto livello dell'associazionismo europeo e della Presidenza dell'EDF è stato molto importante, nel corso delle giornate di lavoro lo scambio aperto di idee e di esperienze tra le due grandi reti. Un contributo rigorosissimo per ciò che riguarda i contenuti della riflessione, le piste di lavoro e i principi di riferimento è venuto da numerose persone, tra cui un insegnamento sulla possibilità di protagonismo e di azione di battistrada è venuto - per il sindacato - da José Maria Fernandez de Villalta e dal Forum Europeo delle Persone Handicappate da Giampiero Griffo.
Il documento finale
Oltre al già citato richiamo alla difesa della pace, nelle tre pagine del documento finale - rintracciabile in versione francese nel sito della CISL (http://www.cisl.it/handicap/Doc.Salonicco.htm) CES ed EDF hanno denunciato che, in assenza di leggi europee, le persone handicappate non godono nella pratica di diritti alla libera circolazione delle persone e dei lavoratori. Per contro, in rapporto alle numerose barriere, le persone handicappate conoscono un tasso di disoccupazione tre volte superiore a quello del resto della popolazione attiva. L'anno Europeo delle Persone Handicappate deve così marcare una tappa essenziale nel riconoscimento delle uguali opportunità nell'accesso al lavoro. La dichiarazione dei Partners sociali del 17 gennaio 2003 (stipulata tra Confederazione Europea dei Sindacati e Confederazioni europee imprenditoriali) costituisce un appello a una più grande mobilitazione in favore dell'impiego delle persone handicappate. Questo impegno deve tradursi a livello nazionale e nelle imprese in misure concrete che favoriscono l'assunzione, l'adattamento del posto di lavoro, la reintegrazione e il mantenimento nel lavoro delle persone che si aggravano nelle loro condizioni di partenza o incorrono in disabilità nel corso del rapporto di lavoro. Nel documento viene poi reclamato uno spazio ed un ambiente di lavoro interamente accessibile e adeguati interventi di adeguamento del posto e dell'organizzazione del lavoro. CES ed EDF, in conclusione incoraggiano la Commissione Europea e il Consiglio dell'Unione Europea a · vigilare sulla trasposizione rapida, senza accettare alcun rinvio, nelle legislazioni nazionali della Direttiva 2000/78, sulla lotta contro la discriminazione nell'ambito di lavoro. CES ed EDF domandano anzi di essere associati nella resa di esecutività di questa direttiva. · Avviare, nel 2003, il percorso di adozione di una nuova direttiva, sulla base dell'articolo 13 del Trattato di Amsterdam, contro ogni forma di discriminazione delle persone handicappate in tutti gli ambiti di vita - educazione, formazione, protezione sociale, reddito, accesso ai servizi - non garantiti dalla direttiva 2000/78 · a sviluppare un Metodo Aperto di Coordinamento nell'ambito dell'handicap, al fine di facilitare l'esempio delle buone pratiche e di misurare i progressi compiuti.
CES EDF hanno poi lanciato un appello alle organizzazioni imprenditoriali perché essi assumano i loro obblighi sociali in rapporto all'uguaglianza di trattamento nel lavoro, la formazione e lo sviluppo della carriera delle persone handicappate, in particolar modo in un quadro di contrattazione collettiva. CES e EDF hanno dichiarato il loro impegno per il pieno sostegno all'iniziativa delle Nazioni Unite per la promozione e la difesa dei diritti umani delle persone handicappate e hanno sollecitato una specifica Convenzione, quale strumento di sostegno. EDF e CES chiamano tutti gli attori coinvolti a mobilitarsi su queste basi comuni e a mettere in opera tutti gli strumenti perché l'handicap sia trattato in maniera trasversale in tutte le politiche dell'Unione Europea. E' a queste condizioni che il 2003 può sboccare non solo in una presa di coscienza più forte ma in cambiamenti significativi nella costruzione di una società fondata sull'inclusione sociale e una solidarietà attiva.
CES e EDF si impegnano a lavorare congiuntamente durante questo anno e in futuro nel quadro di una strategia comune per proteggere e promuovere i diritti delle persone handicappate e in particolar modo : · a livello nazionale, sviluppando la cooperazione tra le organizzazioni sindacali e le organizzazioni di rappresentanza delle persone handicappate e delle loro famiglie; · favorendo lo scambio di buone pratiche in materia di lavoro e di formazione professionale, che si traducano attraverso pubblicazioni comuni; · a livello europeo, istituendo un gruppo di lavoro comune permanente sulla formazione, la qualificazione, e l'impiego delle persone handicappate, che sarà oggetto di un seminario comune nel 2004.
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Uguaglianza di trattamento in materia di condizioni di lavoro e di sviluppo di carriera per le persone handicappate. di Flavio CocanariPunti di riflessione per la sessione di lavoro.I temi delle pari opportunità - in contrasto alla possibile discriminazione
Possono riferirsi all’area ü Relazionale · per difficoltà oggettiva di comunicazione tra il lavoratore disabile e il “gruppo” in cui si trova a lavorare · per un’autopercezione di differenziazione che induce il lavoratore a staccarsi dalla rete di relazionalità (con conseguente aggravamento dell’autoconsiderazione, in termini negativi, della propria capacità produttiva e di innesto nei ritmi e nei tempi di lavoro altrui · per un pregiudizio del gruppo che accoglie (responsabili di reparto, responsabili del personale, compagni di lavoro) sulla possibilità di comunicazione e di condivisione di temi di confronto con il lavoratore che si presenta “diversamente” · per un pregiudizio del gruppo che accoglie a riguardo della presunta capacità produttiva di una persona che ha ritmi ed orari diversi e può “produrre” con modalità differenti da quelle imposte dall’organizzazione del lavoro o adottate per consuetudine. Inutile dire che le difficoltà relazionali possono avere ed hanno un notevole impatto sulle prospettive di integrazione, di crescita professionale, di carriera per il lavoratore disabile.
ü Strutturale con riferimento alla collocazione ed alla conformazione delle strutture produttiva, alla sua raggiungibilità, accessibilità e vivibilità (con riferimento alla possibilità di movimento in tutti gli ambienti della struttura produttiva: ambienti di lavoro, di riunione, di vita sociale.
ü Organizzativa con riferimento alla poco probabile considerazione dei lavoratori – e al loro probabile mancato coinvolgimento - che vivono condizionamenti di diversa natura, derivanti dalle loro condizioni di salute o specifiche disabilità, nei momenti di lavoro di gruppo teso alla formulazione di · Progetti di lavoro · Orari · Divisione dei compiti
La realtà come si presenta
La realtà[3] si presenta problematica non solo nei confronti dei lavoratori che sono riconosciuti disabili già “in entrata” ma anche per quei lavoratori che nel corso del rapporto del lavoro contraggono malattie, invalidità o semplicemente sono “usurate” dalla stessa attività lavorativa. La tutela legislativa e contrattuale spesso si dimostra inadeguata anche nei confronti di questi ultimi.
Tra le denunce più frequenti che si rilevano ü Difficoltà di inserimento ü Attribuzione di mansioni di “minor prestigio” ü Spostamento in mansioni “residuali” ü Relazionalità limitata o condizionata - paternalistica / infantilizzante - senza escludere manifestazioni di ostilità ü Intolleranza per i ritmi di lavoro e per eventuali soluzioni di sostegno o di accompagnamento ü Invisibilità nella programmazione e valutazione del lavoro[4], che si trasforma ü In pesante visibilità al momento di valutare le assenze (per cura, per riabilitazione) o la limitazione nell’autonomia e nella capacità di sostenere i ritmi degli altri. ü Maggiore precarietà nella conservazione del rapporto di lavoro[5].
Le norme di riferimento
ü Articolo 13 del Trattato di Amsterdam “Fatte salve le altre disposizioni del presente trattato e nell’ambito delle competenze da esso conferite alla Comunità, il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, può prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali” e la conseguente .
ü Direttiva 78/2000[6] -
Questa
direttiva mira a stabilire un quadro generale per la lotta alle
discriminazioni fondate sulla religione o le convinzioni personali,
gli handicap, l'età o le tendenze sessuali, per quanto concerne
l'occupazione e le condizioni di lavoro al fine di rendere effettivo
negli Stati membri il principio della parità di trattamento. …. ü Le normative nazionali - specifiche alla condizione della disabilità[7] o relative alla sicurezza sul posto di lavoro, anche in attuazione delle Convenzioni OIL e della stessa direttiva 78/2000[8]
Il ruolo delle parti sociali
Non è però pensabile che il problema possa essere risolto sul piano legislativo. E' anzi importante che le parti sociali non abdichino al loro ruolo di rappresentanza dei lavoratori o del mondo imprenditoriale. Rimane così prioritario rilanciare, rimodulandolo alle dinamiche del mondo del lavoro. - il ruolo della contrattazione collettiva ai diversi livelli, anche rivedendo le forme di rappresentanza dei lavoratori disabili[9]., - l'azione concertativa per Politiche sociali adeguate a sostenere il percorso lavorativo della persona disabile e ad incentivare gli impegni delle realtà aziendali tesi a riorganizzarsi per accogliere lavoratori con esigenze diverse[10]
A margine di questo paragrafo andranno meglio valutate e ridefinite le diverse forme di rappresentanza dei lavoratori disabili nel mondo del lavoro, adottate nei diversi Paesi Europei (dalla rappresentanza sindacale tradizionale alla figura dell'ombudsman specificamente eletto)
Le cose da fare
A partire dalle indicazioni della Dichiarazione di Madrid, ed in particolar modo dei punti 4. e 5. interessanti direttamente le parti sociali[11] sono numerosi gli impegni assumibili dagli attori del mercato del lavoro e devono trovare riscontro in ogni sede in cui si ridiscutono le politiche del lavoro o dell'organizzazione delle strutture produttive, evitando che decisioni prese per una "generalità" dei lavoratori ignori le esigenze specifiche dei lavoratori disabili. Andrebbero poi riletti e riformulati tutti gli accordi contrattuali di diverso livello, adeguandone i contenuti non solo alle raccomandazioni sinora segnalate ma anche alla costante revisione delle normative nazionali, puntando ad un nuovo possibile protagonismo degli stessi lavoratori disabili. Ai livelli nazionali poi le parti sociali sono chiamate da subito dalla stessa direttiva 78/2000 a lavorare per il recepimento della stessa nelle normative nazionali[12]
Le scadenze istituzionali
E' già stata ripetutamente indicata la scadenza del 2 dicembre 2003 per il recepimento della Direttiva Europea 78/2000
In parallelo, CES ed EDF si sentono impegnate a sollecitare l'adozione di una specifica Direttiva Europea per nuove pari opportunità in ogni ambito di vita delle persone disabili
L'adeguamento alle linee guida o alle indicazioni europee e la stessa azione per la stessa nuova direttiva non devono però costituire un alibi per le parti sociali, che non devono mai perdere di vista il rapporto preferenziale con le situazioni in cui si trovano ad operare e con le persone che si trovano a rappresentare. Si tratta, al contrario di una sfida multidimensionale su cui devono convergere risorse di differente natura e che deve presupporre non solo un clima di sereno dialogo sociale ma anche un forte rapporto con le organizzazioni della società civile.
Occorre poi adottare una o più metodologie di monitoraggio delle tendenze nella gestione delle pari opportunità per i lavoratori disabili, che dovranno servire per valutare le realizzazioni e riorientare le politiche sociali e del lavoro nazionali ed Europee
[1]
Dichiarazione di Madrid - rintracciabile nel sito web
della CISL a questo indirizzo: http://online.cisl.it/marginalita/
[2]
Dalla "Dichiarazione di Madrid" - " Introduzione 4. Le
persone disabili, cittadini invisibili [3] Occorrerebbe tenere conto che un rapporto di lavoro si sviluppa, a fronte di una dinamicità della situazione personale del lavoratore (e in particolar modo di quello disabile) nella dinamicità della stessa struttura produttiva, il cui governo non sempre si preoccupa di garantire oltre ai fini dell’impresa anche le particolari esigenze di tutti coloro che intervengono nell’attività produttiva [4] Secondo Stig Langvad : “Qualcun altro sceglie per noi”. E ciò vale anche nell’ambito del lavoro [5] Gianni Selleri ha a suo tempo richiamato il sindacato sul pericolo che “in caso di crisi, gli stracci sono i primi a volare”
[6]
La Direttiva in questione è rintracciabile in
http://www.cisl.it/handicap/direttiva_europea.htm
[7] per l'Italia, il riferimento è la legge quadro per l'handicap, 104/92, che prevede alcune agevolazioni per il lavoratore con grave handicap - permessi orari o giornalieri, scelta sede di lavoro, consenso del lavoratore allo spostamento in altre sedi di lavoro - ma questa legge, come anche la legge 68/99 per il diritto al lavoro della persona disabile, non indica condizioni di "pari opportunità" e di non discriminazione
[8]
l'articolo 13 di questa direttiva prevede che "gli Stati
membri adottano le disposizioni legislative, regolamentari e
amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva
entro il 2 dicembre 2003 o possono affidare alle parti sociali, a
loro richiesta congiunta, il compito di mettere in atto la presente
direttiva per quanto riguarda le disposizioni che rientrano nella
sfera dei contratti collettivi. In tal caso gli Stati membri si
assicurano che, entro il 2 dicembre 2003, le parti sociali
stabiliscano mediante accordo le necessarie disposizioni, fermo
restando che gli Stati membri devono prendere le misure necessarie
che permettano loro di garantire in qualsiasi momento i risultati
imposti dalla direttiva. Essi ne informano immediatamente la
Commissione".
[9]
Dalla Dichiarazione di Madrid " Proposte di azione
5. Sindacati
[10]
Dalla Dichiarazione di Madrid " Proposte di azione.
4. Imprese [11] Vedi note 9 e 10
[12]
dalla Direttiva Europea 78/2000 "Articolo 13
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