|
|
Handicap grave: il progetto SAVI e l’affidamento intrafamiliare* Elena Galetto Responsabile Servizio sociale, CISAP, Collegno-Grugliasco (To) Interpreto
il tema dell’incontro odierno in chiave di riflessione a partire
proprio dalla programmazione dei servizi che può e deve essere l’elemento
di connessione tra i bisogni espressi dalle persone e le risposte
che l’istituzione ma anche il territorio locale di riferimento
devono fornire ai cittadini in difficoltà.
L’offerta
di servizi nei comuni di Collegno e Grugliasco
Vi
parlo qui di una realtà costituita da due comuni di medie dimensioni, Collegno e Grugliasco, nella prima
cintura torinese, che insieme contano circa 87.000 abitanti. Sono
comuni nei quali la presenza dell’ospedale psichiatrico ha
condizionato la strutturazione dei servizi, con una attenzione all’importanza
di attrezzare le città con servizi territoriali per tutti i
cittadini, privilegiando le soluzioni che consentono alle persone la
permanenza presso la propria abitazione o presso ambiti di tipo
familiare, evitando il ricorso all’istituzionalizzazione, di cui
il manicomio ricorda gli effetti traumatizzanti. La
polarizzazione di risorse ed idee rispetto alla territorializzazione dei servizi ed una popolazione non troppo
elevata hanno consentito ai due comuni di porsi come un “territorio
laboratorio” in cui poter attuare sperimentazioni nell’offerta e
nella gestione dei servizi. La
scelta delle due amministrazioni è stata di gestire i servizi
sociali ed inizialmente anche quelli sanitari, in modo associato dapprima attraverso l’USL e successivamente al D.lgvo
502, attraverso la costituzione di un consorzio, Il CISAP, consorzio
intercomunale, che qui rappresento. La gestione associata è stata
fondamentale per mettere in sinergia le risorse non solo finanziare
ma anche progettuali. La
premessa è necessaria per contestualizzare l’esperienza fatta in
questi anni in merito alla programmazione e gestione di servizi a
favore delle persone disabili. La storia
di questi servizi nasce circa 20 anni fa , all’inizio degli anni
‘80 con i primi interventi a favore dei disabili intellettivi e la
predisposizione ed apertura dei primi centri diurni con valenza
educativa. Va
sottolineato che è stata indispensabile la collaborazione con i
servizi sanitari,
inizialmente con protocolli d’intesa e successivamente con accordi
di programma e convenzioni, al fine di gestire in modo integrato e
partecipato i servizi e per avere una disponibilità di risorse
finanziarie più elevate. I
servizi, nel corso di questi anni, sono stati progressivamente
implementati da un lato per offrire risposte a nuovi e diversificati
bisogni, dall’altra utilizzando le possibilità offerte dalla normativa
via via entrata in vigore. E’ stato possibile utilizzare finanziamenti
locali, regionali e si è anche aderito ad iniziative a livello
europeo come la partecipazione al progetto Horizon finalizzato all’orientamento
scolastico e all’inserimento lavorativo. Il
risultato è stata la creazione di risposte
modulari graduate in base alla gravità dell’handicap e ai
progetti educativo-riabilitativi individualizzati. Preciso che si
tratta di servizi rivolti quasi esclusivamente a disabili
intellettivi. In
particolare sono state molto diversificate le risposte rispetto alla
residenzialità con l’apertura sul territorio di una convivenza
guidata, di una microcomunità e di una comunità alloggio, che
offrono crescenti livelli di tutela in base al grado di autonomia
del disabile e al suo percorso di vita. Altro intervento importante
riguarda l’ambito dell’inserimento lavorativo con un servizio, sempre gestito in
collaborazione con la sanità, che fino all’approvazione della L.
68/1999 si è occupato di valutare le capacità lavorative dei
disabili ed individuare ambiti di inserimento lavorativo o formativo
idonei, seguendo tutte le fasi dell’inserimento del disabile. Così
come delineato dalla Legge 328/2000 all’art.
14 il complesso delle risorse è finalizzato alla costruzione di
un percorso per la definizione di un progetto individualizzato di
vita.
Si
può osservare però che oggi è cambiato in modo sostanziale il
quadro normativo di riferimento con una difficoltà sempre più
accentuata a mantenere una gestione integrata tra ambito sociale e
sanitario, in quanto si sono maggiormente “compartimentate”
le competenze con l’esito di rendere più disagiati i percorsi per
l’erogazione dei servizi e di moltiplicare gli ambiti di
valutazione e di predisposizione dei servizi stessi(si pensi alle
varie commissioni legali …). In
questo contesto il consorzio mantiene i servizi avviati grazie anche
ad un consolidato
rapporto di lavoro comune con i servizi sanitari e cerca ancora di
sperimentare nuove iniziative al fine di colmare esigenze senza
risposte o bisogni che si sono meglio specificati. Vi
è una maggiore attenzione verso la disabilità dei minori, la
diffusione di una adeguata informazione (è stato avviato un
servizio di informahandicap collegato in rete ad altri centri
pilota), la disabilità fisica, verso risposte sempre più inserite
in un continuum che consente ai disabili ed alle loro famiglie di
avere un riferimento durante le varie fasi e criticità dei loro
cicli vitali. Molto resta ancora da fare. In
questo ambito si situano le due esperienze che vi presento oggi.
Sono due progetti avviati tra il 2000
e il 2001 e tuttora in corso di sperimentazione.
Il
Servizio di Aiuto alla Vita Indipendente (SAVI)
La
prima riguarda la sperimentazione di un “Servizio di Aiuto alla
Vita Indipendente - S.A.V.I” - rivolto a persone con disabilità
permanente e grave limitazione dell’autonomia personale”. Il
riferimento è alla legge 162 approvata nel 1998 che modifica e
aggiorna alcune parti della legge 104
[1]
del 1992. A seguito delle integrazioni
apportate all’articolo 39
[2]
della legge quadro sull’handicap “Le
regioni possono provvedere,
sentite le rappresentanze degli enti locali e le principali
organizzazioni del privato sociale presenti sul territorio, nei
limiti delle proprie disponibilità
di bilancio:
·
……a
programmare interventi di sostegno alla persona e familiare
come prestazioni integrative degli interventi realizzati dagli enti
locali a favore delle persone
con handicap di particolare gravità, mediante forme di assistenza domiciliare
e di aiuto personale, anche della
durata di 24 ore, provvedendo alla realizzazione dei servizi di
cui all’articolo 9, all’istituzione dei servizi di accoglienza
per periodi brevi e di emergenza….e
al rimborso parziale delle spese documentate di assistenza nell’ambito
di progetti previamente
concordati (l – bis);
·
……a
disciplinare,
allo scopo di garantire il diritto ad una
vita indipendente alle persone con
disabilità permanente e grave limitazione dell’autonomia
personale nello svolgimento di una o più funzioni essenziali della
vita, non superabili mediante ausili tecnici, le
modalità di realizzazione di
programmi di aiuto alla persona, gestiti in
forma indiretta, anche
mediante piani personalizzati per i soggetti che ne facciano richiesta,
con verifica delle prestazioni erogate e della loro efficacia (l –
ter)”.
Le
considerazioni che derivano dalla lettura del testo citato sono
almeno tre:
·
forse per la prima volta si proclama,
in una legge nazionale italiana,
il “diritto alla vita
indipendente” riconoscendo ai disabili con grave
limitazione dell’autonomia
piena capacità di autodeterminazione
·
si
afferma inoltre
un diritto
di cittadinanza che,
in quanto tale, risulta più ampio del diritto
alla cura ed all’assistenza
·
purtroppo però il “diritto alla vita indipendente”
si concretizza, nei fatti, come inesigibile
e condizionato dall’entità delle risorse che si rendono
disponibili.
Il
Consorzio, fin dalla sua costituzione, ha l’obiettivo di perseguire la tutela del diritto all’assistenza anche attraverso la
promozione dei diritti di
cittadinanza e opera per far sì che nel formulare le politiche
sociali rivolte alla generalità dei cittadini residenti, vengano
effettivamente considerate le esigenze dei più deboli. La
decisione - presa dal consorzio nel corso del 1999 - di cimentarsi
con la tematica del “diritto
alla vita indipendente” si situa
coerentemente in questo disegno. Approfittando dell’opportunità
offerta dalla delibera della regione Piemonte D.G.R 31 maggio 1999, n.28/2748 - che prevedeva il
finanziamento, in quota parte, di progetti genericamente finalizzati
a “Interventi destinati a soggetti con handicap di particolare
gravità di cui all’art.3, comma 3, della L.104/92” - si è
progettato l’avvio sperimentale di un “Servizio di Aiuto alla
Vita Indipendente - S.A.V.I”.
Con
il nuovo servizio - organicamente inserito nel complesso dei servizi
consortili di assistenza domiciliare - si intende consentire, alla
persona disabile, di “reclutare”
dal mercato locale le
figure professionali e le prestazioni
necessarie - autogestendosi l’assistenza
personale - o di usufruire, in alternativa, del supporto dei
servizi di assistenza domiciliare offerti dalle cooperative
accreditate. Si fa presente che il finanziamento regionale
complessivo relativo all’anno 1999,è stato di L. 2.238.000.000
(corrispondente a L. 34.500.000 medie per ogni Ente gestore operante
nella Regione Piemonte) e pertanto l’avvio della sperimentazione
ha rappresentato, per
il consorzio, l’accettazione di una difficile sfida. La
deliberazione regionale non prefissava, per l’anno 1999, alcun budget
di area territoriale. Ogni Ente gestore era quindi libero di
concorrere al finanziamento presentando un progetto corredato dall’impegno
a partecipare, con propri fondi, alle spese di realizzazione. L’Assessorato
regionale avrebbe poi provveduto a selezionare i progetti ed a
definire l’entità del finanziamento da accordare. Si
è così deciso di avviare la fase di definizione
partecipata delle linee del progetto ed in particolare si è
formalizzata la partnership con ENIL Italia
[3]
. Il progetto riprende infatti alcuni
concetti ed idee innovative proposte da questa associazione ed è
finalizzato a dare ad esse attuazione. La
fase di predisposizione si è conclusa con la presentazione, alla
Regione Piemonte, della richiesta del finanziamento per la
realizzazione del progetto del quale si è dichiarata l’immediata
“cantierabilità”. La Regione Piemonte, a fronte di una spesa
prevista in L. 253.600.000 (di cui 76.080.000 a carico del Consorzio
e L.177.520.000 richieste a titolo di contributo), ha accordato, nel
gennaio 2000, un finanziamento di L. 80.000.000
(su fondi anno 1999).
Nei due anni successivi il finanziamento è stato, in sostanza,
confermato: L. 90.000.000 sui
fondi anno 2000 e L. 90.000.000 sui fondi
2001. L’esiguità
delle risorse disponibili evidenzia chiaramente la responsabilità
che il consorzio si è assunta nei confronti dei propri cittadini
disabili attivando - pur in via sperimentale - un servizio che
richiederà, per funzionare a regime, cospicui investimenti da parte
dei Comuni associati. Dal
punto di vista dell’innovazione crediamo inoltre che il progetto
sia in linea con la
tendenza in atto a promuovere
servizi alla persona orientati al cliente. Nel caso specifico viene inoltre offerta - alla
persona disabile che è in
grado e se la sente - la possibilità di aggiungere al
ruolo di consumatore di un servizio,
quello di datore di lavoro
con tutti i diritti ed i doveri che dall’assunzione di questa
incombenza derivano.
I
beneficiari Il
progetto, assumendo quale obiettivo strategico la tutela del diritto
alla vita indipendente individua, quali potenziali beneficiari a
norma dell’art. 9 L. 104/92,
i “cittadini” –
residenti nel territorio consortile –
“in temporanea o permanente grave limitazione dell’autonomia
personale non superabile attraverso la fornitura di sussidi tecnici,
informatici, protesi o altre forme di sostegno rivolte a facilitare
l’autosufficienza e le possibilità di integrazione dei cittadini
stessi”
[4]
.
Il servizio consente di realizzare programmi di sviluppo delle
residue potenzialità comunicative e sociali e di aiuto, anche della
durata di 24 ore
Le
“idee forza” alle quali il progetto si ispira possono essere
così sintetizzate:
·
la Vita Indipendente si
concretizza nei servizi di aiuto alla persona gestiti in forma
indiretta, ovvero con l’autogestione
dei fondi finalizzati al pagamento
di assistenti personali
scelti dalla persona disabile o dai soggetti preposti alla tutela
delle persone non in grado di scegliere direttamente;
·
i servizi di assistenza
personale sono destinati a “persone
con disabilità permanente e grave limitazione dell’autonomia
personale”. Si ritiene importante precisare che la parola
“permanente” non deve essere considerata sinonimo di “stabilizzata”
e quindi debba ricomprendere anche le disabilità
evolutive, causate da malattie progressive come la sclerosi
multipla o la distrofia muscolare. Si ritiene altresì che con il
termine “autonomia”
non debba intendersi semplicemente il “fare
le cose da sé” ma il poter vivere la propria esistenza in
modo autodeterminato;
·
le modalità di attuazione
dei programmi di aiuto alla persona devono porre al centro le
esigenze delle persone con disabilità e nella definizione dei piani
personalizzati di assistenza (per i soggetti che ne facciano
richiesta) diviene dunque centrale il rispetto del concetto di
autodeterminazione che
trova il solo limite, “oggettivo”,
rappresentato dalle
risorse disponibili;
·
i servizi di aiuto alla
persona, finanziati nell’ambito del progetto, devono essere verificati
sia per quanto riguarda l’effettiva erogazione delle
prestazioni, sia per quanto riguarda la loro efficacia. La verifica sull’utilizzo del denaro impiegato per il pagamento degli
assistenti personali può avvenire mediante autocertificazione
come atto principale di rendicontazione ordinaria e,
successivamente, attraverso controlli sulla documentazione
depositata e conservata presso l’abitazione della persona con
disabilità, o presso uno studio professionale o un’agenzia di
servizi. Per quanto riguarda invece l’efficacia si ritiene che uno strumento appropriato, in quanto
rispettoso della privacy, sia una dichiarazione
di gradimento rilasciata dalla stessa persona con disabilità
che utilizza gli assistenti personali.
·
gli
assistenti personali
vengono individuati direttamente dalla
persona disabile. Il consorzio fornisce, ai soggetti che ne
facciano richiesta, il supporto necessario all’individuazione di
personale idoneo (singolo operatore o agenzia di servizi
accreditata) assicurando inoltre gli interventi formativi
eventualmente necessari.
La
finalità generale del progetto è di operare, in modo sistematico e
permanente, per migliorare la
qualità della vita dei cittadini con gravi disabilità e dei
loro familiari sostenendo - con interventi mirati - la realizzazione del
progetto di Vita Indipendente così come definito dalle persone
stesse. Nella
situazione contingente - caratterizzata dalla insufficiente
disponibilità di risorse finanziarie - si sono assicurati
i necessari interventi -
integrativi di quelli già forniti dai servizi sociali e sanitari - ad un numero limitato, di
persone con disabilità fisiche molto gravi attraverso la definizione di un budget finanziario personalizzato finalizzato all’acquisto diretto del servizio da
parte dell’interessato.
Nel
2000, primo anno di sperimentazione, sono state assistite tre
persone con una spesa di L.137.025.600. La spesa prevista per l’anno
in corso viene quantificata in L. 283.000.000 (di cui L. 99.200.000
spese a tutto agosto) e gli assistiti sono quattro. Come
si può ben capire, la quantità delle persone che possono venire
realmente coinvolte - così come la quantità di assistenza fornita
ad ogni singolo (proporzionale al budget personale) - non può che
derivare dal rapporto tra le esigenze effettivamente espresse dalle
persone da assistere e le risorse disponibili. Per
questo motivo nel progetto si esplicita chiaramente che per definire
il quantum del budget
finanziario da destinare all’assistenza personale è necessario
prevedere la negoziazione con
la persona disabile.
La sperimentazione dovrebbe consentire di verificare la validità di
tale pratica che richiede, alla persona disabile, di “farsi carico”
dell’insieme del servizio
e non solamente delle proprie dirette esigenze (cosa non facile
quando si rivendica un diritto
soggettivo).
E’ inoltre necessario
verificare, attraverso la sperimentazione, la reale
entità del bisogno potenziale espresso dall’area consortile e, di
conseguenza, quantificare le risorse necessarie per operare a
regime. Da questo punto di vista è necessario monitorare
puntualmente gli effetti (potenzialmente sinergici) derivanti dall’utilizzo
dello strumento dell’aiuto alla Vita Indipendente in connessione
con quelli rappresentati da servizi quali l’assistenza
domiciliare, l’ADI, il supporto del volontariato e delle
associazioni ecc. In
ogni caso la verifica del servizio e la valutazione dei risultati
conseguiti dal punto di vista qualitativo, non può che essere (anch’essa)
partecipata. La
metodologia, gli indicatori di misurazione e quant’altro vengono
definiti (nelle varie fasi di attuazione) con
le persone disabili coinvolte nel progetto. Il progetto è
infatti centrato sul tema della loro
Vita Indipendente.
Avvio
del servizio e criteri di erogazione In
sede di attuazione si è provveduto, in primo luogo, alla formale
individuazione del Responsabile
[5]
del progetto ed alla costituzione di un
apposito gruppo di lavoro interdisciplinare
in collaborazione con l’A.S.L
5, competente per territorio.
Si
è poi operato per il coinvolgimento
delle associazioni d’utenza che sono state sensibilizzate
attraverso numerosi di incontri finalizzati ad illustrare le
finalità del progetto S.A.V.I. e a raccogliere osservazioni,
suggerimenti, individuando i rappresentanti da inserire nel gruppo
di lavoro. Il
gruppo di lavoro si avvale infatti della collaborazione di una o
più persone indicate dalle associazioni
d’utenza
[6]
, operanti nell’ambito territoriale
consortile, che esprimono pareri consultivi in ordine alle varie fasi di attuazione del
progetto. Al
gruppo interdisciplinare è stato affidato il compito di definire:
·
i
criteri di selezione delle situazioni di
persone adulte con disabilità grave – già in carico ai servizi
socio sanitari territoriali- da inserire nella sperimentazione;
·
i
protocolli operativi contenenti
gli adempimenti posti a carico
del consorzio (quantificazione e regolare erogazione, per il
periodo di tempo definito, del budget finanziario concordato;
verifica sul corretto utilizzo delle risorse attribuite) e quelli a carico della persona disabile inserita nella sperimentazione
(scelta del/degli assistenti; stipula di regolare contratto di
lavoro nel rispetto della normativa vigente; garanzia di copertura
assicurativa e previdenziale del personale addetto);
·
la
metodologia di verifica,
di processo e di risultato, dei piani d’intervento e di
valutazione finale complessiva della sperimentazione finalizzati
alla futura stabilizzazione ed estensione del S.A.V.I.
Al
gruppo -
costituito in commissione
senza i rappresentanti delle
associazioni - compete infine
la selezione delle richieste per la definizione, previa
negoziazione con ogni singola persona disabile, dei
piani d’intervento personalizzati autonomamente
elaborati . I lavori della commissione sono regolati dalla
deliberazione con la quale il Consiglio di Amministrazione ha
approvato i “Criteri di attuazione del progetto SAVI” nella fase
di sperimentazione. Al
servizio possono accedere le persone con gravi disabilità
[7]
- già
in carico ai servizi socio sanitari locali - che, opportunamente
informate, possono presentare domanda al consorzio. A corredo della
richiesta di usufruire del servizio deve esser fornita:
·
certificazione
rilasciata dal medico curante
attestante che la totale non autosufficienza nello svolgimento di
una o più funzioni essenziali della vita non è superabile solo
attraverso la fornitura di sussidi tecnici, informatici, protesi o
altre forme di sostegno. Qualora il medico curante non rilasci il
certificato richiesto o questo non sia ritenuto esaustivo dalla
persona interessata, questa può richiedere alla Commissione di
rivolgersi ad altri servizi dell’ASL 5 (Fisiatria o Medicina
Legale);
·
piano
personalizzato
con precisazione delle richieste, tempistica e
descrizione/quantificazione delle necessità di aiuto alla persona e
relativi costi;
·
indicazione
dei servizi consortili già utilizzati
e che concorrono al progetto personale di Vita Indipendente.
Alla
persona disabile inserita nel SAVI viene corrisposto un contributo
anticipato mensile pari a
1/12° del budget complessivo accordato. L’ammontare
complessivo della somma stanziata per ogni singolo progetto prevede
i costi effettivi che devono esser sostenuti dalla persona disabile:
salario, oneri riflessi, spese assicurative per gli assistenti. L’importo viene aumentato del 10% per le spese generali di
gestione, per gli imprevisti e per le emergenze assistenziali non
documentabili (es. sostituzione tempestiva dell’assistente
personale). Tale aumento percentuale non viene riconosciuto se l’assistito
si avvale delle agenzie di servizi accreditate dal consorzio. La
persona disabile è tenuta a presentare una rendicontazione
semestrale delle spese sostenute. La rendicontazione può essere
autocertificata e, in
questo caso, deve essere dichiarata la sede ove sono depositati i
documenti originali sui quali il consorzio esercita il controllo. Ogni
sei mesi (o al termine del progetto) il consorzio richiede al
beneficiario del servizio una relazione scritta, onde poter
verificare l’efficacia dell’intervento così come previsto dall’art.
39, comma 2, punto l – ter della L.104/92 e s.m.i.
Esperienze
di Vita Indipendente “Il
diritto inalienabile all’autodeterminazione ed al controllo in
prima persona del proprio quotidiano e del proprio futuro”.
E’ questa l’istanza che ricorre con forza nelle domande
pervenute al consorzio da parte dei disabili gravi che hanno
richiesto di usufruire del S.A.V.I. Autodeterminazione
e futuro: due termini che
sono la chiave dei progetti personalizzati attualmente in corso e
sui quali è opportuna una riflessione approfondita.
Autodeterminazione.
I progetti
attuati con il servizio S.A.V.I riguardano persone affette da disabilità fisica grave alle quali viene offerta (quando va bene)
la tradizionale assistenza domiciliare – spesso erogata per poche
ore al giorno – e la possibilità di accedere a servizi sanitari
finalizzati alla riabilitazione o, più spesso, alla conservazione
delle funzioni vitali compromesse. Sono ben più diffusi i servizi
per i disabili intellettivi, i quali possono fruire di servizi
domiciliari, di interventi a carattere semiresidenziale (centri
diurni) e residenziale (comunità alloggio, convivenze guidate, fino
ad arrivare ai tradizionali istituti). I servizi seguono, in questi
casi, una prassi di lavoro basata sulla sostituzione e sull’assunzione
di delega da parte delle famiglie, in nome di un tecnicismo che
spesso non riconosce capacità
e competenza alle famiglie stesse nei compiti di cura. Agire
in una chiave di servizio di aiuto alla vita indipendente richiede
di spostare l’ottica in una dimensione non solo di servizi
domiciliari, ma di “domiciliarità”
[8]
intesa certamente come la permanenza
nella casa in cui si dimora, ma anche come lo spazio relazionale, l’esterno,
il territorio in cui si vive e si lavora. Le
persone disabili che hanno richiesto il S.A.V.I. rivendicano la
possibilità di avere non solo interventi assistenziali ma di poter
continuare a ricoprire ruoli
e funzioni sociali, di marito/moglie, di genitore, di lavoratore
ma, soprattutto, di cittadino
con diritti e doveri.
Fare
domiciliarità significa
dare la possibilità alle persone di essere collocate in una rete
sociale, di non scomparire nel chiuso delle proprie abitazioni, di
continuare a fare una vita sociale che è anche andare normalmente
a teatro, al cinema, a trovare gli amici alla sera, al bar, dal
parrucchiere e dall’estetista, negli uffici per seguire pratiche
burocratiche. Occorre rompere
gli schemi di servizio e di aiuto che fanno del disabile fisico
grave un “disabile sociale”, rassegnato alla compromissione dei propri spazi
sociali e al quale prestare cure assistenziali e sanitarie,
trascurando gli interventi finalizzati a garantire gli essenziali
diritti di cittadinanza. Scrive,
a tale proposito, un disabile nel proprio progetto: “ho la necessità di ritrovare una possibilità decisionale per poter
effettuare quelle azioni quotidiane e prendere quelle decisioni ed
iniziative che sono comuni a tutte le persone senza disabilità”. Emerge
dunque con forza un’esigenza di autodeterminazione intesa come la
possibilità di tornare a compiere i gesti della quotidianità,
magari in modo indiretto, ma soprattutto di poter esprimere la
propria progettualità, senza essere identificati unicamente con la
propria patologia, nel riconoscimento che la sofferenza e le
limitazioni di autonomia funzionale non determinano necessariamente
incapacità a decidere
sulla e della propria vita.
Futuro.
Come afferma
Ines – moglie e mamma disabile seguita dal S.A.V.I sino alla
morte, avvenuta da poche settimane – “riconoscendo
le nostre fragilità e le nostre limitatezze si dovranno colmare le
nostre stive di coraggio, per riuscire a vivere e a ricreare la
propria identità perduta”. E’ ancora la dimensione del
progetto che emerge, nell’immagine di un futuro cadenzato non solo
dal bisogno di cure assistenziali spesso prestate dai familiari.
Viene riconosciuta alla persona la possibilità di desiderare
altro, di non dover dipendere
in modo pressante – almeno per alcuni atti della vita quotidiana
– dalle cure dei familiari rispetto ai quali si può riassumere un
protagonismo attivo che può servire a "vivere
in famiglia con maggior armonia sopportando più facilmente il mio
problema". Il futuro, allora, non è solo la possibile
evoluzione della patologia, ma è la possibilità di avere un
progetto e di poterlo attuare.
Come
si è detto sono in tutto quattro
le persone che hanno usufruito del S.A.V.I nei quasi due anni di
sperimentazione: si tratta di persone affette da patologie
degenerative gravemente invalidanti, di età compresa tra i 27 ed i
55 anni. Tre di queste persone sono costrette all’utilizzo di
sedia a rotelle. Due persone svolgono una regolare attività
lavorativa in qualità di dipendenti di aziende ed entrambe vivono
sole, con il supporto degli assistenti personali retribuiti in parte
con i fondi del progetto ed in parte con risorse personali. Le altre
due persone vivono (o hanno vissuto) in famiglia con il coniuge e/o
con i figli, supportati anche dalla presenza dei genitori. Hanno
proposto al consorzio progetti individuali che vanno da un minimo di
5 ore al giorno di
assistenza ad un massimo di 11, con totali annui complessivi
finanziati tra le 1.200 ore e le 4.000 ore. Il costo orario di
riferimento riconosciuto è di 16.000 lire l’ora anche se i costi
reali si aggirano ormai intorno alle 18.000 lire orarie. La
negoziazione con la persona interessata ed i suoi familiari ha
portato il consorzio a ridimensionare alcune delle richieste
presentate e a contenere i finanziamenti
dei progetti tra i 20 ed i 64 milioni annui graduati anche in base
alla gravità della disabilità e delle situazione familiare. Non
sono stati formalmente applicati parametri di reddito personale, ma
si è comunque valutato il complesso delle risorse - anche
economiche - a disposizione della persona disabile. Le
necessità
coperte dai progetti riguardano bisogni di assistenza personale ed
esigenze domestiche ed extra domestiche. Le più ricorrenti sono
legate ai bisogni primari di alzarsi, coricarsi, lavarsi, vestirsi,
alimentarsi ma anche gli accompagnamenti al lavoro o per svolgere
attività fuori casa, come ad esempio portare
i figli a scuola. Le
quattro persone hanno regolarmente assunto
assistenti personali reperiti autonomamente così come autonomamente
gestiscono il rapporto di lavoro. Due di loro si sono anche rivolte
alle cooperative accreditate sul territorio per interventi
integrativi. Nessuna delle persone seguite è in carico ad altri
servizi socio – sanitari se non per cicli riabilitativi.
Considerazioni
conclusive Il
progetto S.A.V.I impone un ripensamento dell’agire
professionale
del servizio sociale, a partire dalla considerazione che si è equi
soltanto se si riconoscono le differenze e a partire da queste si
orientano gli interventi. Il S.A.V.I
mette in luce che l’offerta
di opportunità
di aiuto è cosa diversa dal sostituirsi integralmente alle persone
e alle loro famiglie, considerandole incapaci di una organizzazione
autonoma solamente perché presentano un problema.
Il
servizio sociale deve esser capace di un aiuto
rispettoso e non intrusivo e per questo è necessaria una
funzione di accompagnamento ed orientamento, unita alla capacità di
fornire informazioni adeguate sul funzionamento dei servizi e sulle
diverse opportunità offerte dal territorio, al fine di favorire
una scelta
mirata e competente
da parte delle persone. Accompagnare
nella conoscenza e nell’utilizzo dei servizi non vuol dire
procedere necessariamente alla tradizionale “presa
in carico globale” della situazione da parte del servizio
sociale professionale. Significa invece rinunciare ad una parte del
potere professionale riconoscendo,
alle persone, la
capacità
di effettuare le scelte che riguardano la propria vita, “componendo”
il servizio nel modo che ritengono più confacente ai loro bisogni. La
negoziazione dei progetti con le persone interessate rappresenta al
meglio questo processo e riconosce un ruolo di primo piano alla
persona, restituendole dignità.
La
possibilità di scegliere personalmente un assistente e di “formarlo”
rispetto ai compiti di cura necessari rappresenta un elemento di
forte decisionalità e garantisce alle persone disabili continuità
e possibilità di intrattenere un rapporto fiduciario,
spesso difficilmente realizzabile nei servizi istituzionali a
seguito del turn – over di operatori. Il
S.A.V.I. consente inoltre - con la snellezza
delle procedure
e con l’autogestione degli interventi da parte degli assistiti –
di superare i limiti dei tempi
istituzionali, troppo spesso tarati su esigenze burocratiche
rispetto alla necessità di attivare tempestivamente gli interventi
da parte di chi si trova in una situazione di bisogno. E’
evidente che si tratta di un servizio che richiede adeguate capacità
sociali
da parte di chi ne usufruisce, unitamente alla conservazione di
possibilità reali di autodeterminazione. Sono inoltre necessari
adeguati supporti
tecnici
per reperire assistenti personali e per gestire il rapporto di
lavoro che deve instaurarsi con loro. Rispetto
ai costi sostenuti per l’erogazione del servizio è chiaro come si
tratti di un servizio che, a regime, richiede fonti di finanziamento
certe e continuative. Se le somme erogate appaiono, in senso
assoluto, elevate (in particolare se rapportate alla singola
persona) occorre ricordare che l’attivazione del tradizionale
servizio di assistenza domiciliare quotidiano, per due ore al giorno
su cinque giorni alla settimana, può costare sino a 10 milioni l’anno.
Se si considerano poi i costi delle strutture di ricovero a lungo
degenza - peraltro difficilmente reperibili per situazioni di
disabilità fisica - si raggiungono costi (ancora più importanti)
tra i 3 ed i 5 milioni mensili. A questo
proposito giova ricordare che due delle persone interessate al
progetto lavorano
e ricoprono una regolare posizione contributiva che verrebbe meno
nel caso non venissero più messe in condizione continuare ad essere
produttive. Infine il
tema dell’efficacia dell’intervento che, come si è detto, è
basata sull’auto valutazione delle persone: tutte hanno riferito e
scritto che la loro qualità di vita ne ha beneficiato e - seppure nei limiti costituiti
dalla disabilità - ha consentito loro una vita sociale e familiare
decorosa e soddisfacente. Per dirla
con le parole di una delle persone assistite “ora
riesco a scorgere la possibilità di potermi riappropriare di gesti
ed azioni che mi sono stati negati”.
L’affidamento
intrafamiliare di disabili intellettivi adulti
Il
progetto, anche alla luce di quando previsto dalla normativa
vigente, nasce dalla considerazione che occorra garantire al
disabile intellettivo grave la permanenza
presso la propria famiglia,
anche dopo il raggiungimento della maggiore età, da un lato per
consentire al disabile di mantenere le proprie relazioni
significative dall’altro, per consentire al servizio pubblico,
sociale e sanitario, il contenimento della spesa per inserimenti in
strutture residenziali, investendo risorse in servizi territoriali.
Nell’attività
di servizio si è constatato come la maggior parte dei disabili
intellettivi (su 57 ben 47) inseriti nei centri diurni viva con la
propri genitori o con altri parenti (fratelli e sorelle) che sono
gravati dal carico assistenziale con una attività quotidiana più o
meno onerosa. Si è pensato di riconoscere l’apporto prezioso di
questo “lavoro di cura” sperimentando un contributo economico di
affidamento intrafamiliare. In passato si è cercato di avviare
anche progetti di affidamento eterofamiliare che non hanno però
avuto successo tranne in un singolo caso. A causa
della disponibilità limitata
di risorse
da parte del Consorzio, sono stati individuati criteri selettivi,
tra tutte le situazioni dei disabili frequentanti i centri diurni,
dando priorità a situazioni sociali gravi che necessitano di
urgenti interventi di ulteriore supporto rispetto agli aiuti già
avviati. Il
disabile oltre alla frequenza al centro diurno deve presentare una invalidità
totale
con diritto all’I.A. e , a seguito
della propria condizione di non autosufficienza, non essere in grado
di svolgere alcuna attività lavorativa.
Il
contributo viene riconosciuto prioritariamente
in situazioni in cui è presente un solo genitore o in cui almeno
uno dei genitori sia ultra65enne oppure in assenza di genitori
qualora il disabile venga ospitato da altri parenti. Le quote
riconosciute variano, a seconda della gravità della situazione da
un importo corrispondente ai 2/3 di una mensilità di IA alla quota
corrispondente ad una mensilità di IA. E’ indipendente dalle
condizioni economiche dei familiari affidatari ed è alternativo all’inserimento
in struttura e all’erogazione di ulteriori interventi (?). Il
budget per l’anno 2001 è di 90
milioni
. Attualmente sono erogati
5 contributi:
-
in tre
situazioni il disabile (con età dai 24 ai 39 anni) vive con un
solo
genitore per vedovanza , separazione o per ricovero in RSA dell’altro
genitore – si tratta di 2 padri ed una madre
-
in due
situazioni i disabili vivono con genitori
ultra
70enni uno e ultra 75 l’altro (hanno rispettivamente 30 e 45 anni) Con i
fondi dell’affido i genitori coprono le spese per interventi di
supporto al mattino per la preparazione al centro diurno e
soprattutto per i giorni festivi in cui non vi è l’attività del
centro diurno. Al pari dell’affidamento minori il contributo si
configura come un “rimborso spese” e pertanto non viene chiesta
rendicontazione alle famiglie se non ne termini dei progetti di
supporto predisposti per i disabili interessati
L’affido
intrafamiliare si pone in un’ottica di “compensazione
sociale”
considerando i maggiori costi sostenuti dalle famiglie gravate dall’assistenza
alla persona disabile. È un intervento integrativo
e non sostitutivo di altri interventi a carattere
educativo/riabilitativo. Per questa ragione è legato alla frequenza
al centro
diurno (rispetto al quale in questo momento al Consorzio non si
registra una lista di attesa). E’ una
risposta di tipo economico che riconosce
la fatica
e lo stress derivanti dai compiti di cura ma può anche in parte
rispondere a domande inespresse. La vecchiaia
del genitore con un figlio disabile è gravosa
perché
pone in primo piano la domanda del “cosa accadrà dopo di noi”.
Alla propria vecchiaia non corrisponde la vita autonoma del figlio
in età adulta, che
può diventare un riferimento per le difficoltà del genitore
stesso. Il disabile intellettivo continua a restare dipendente,
ed il futuro per il genitore anziano è pieno di incognite. I servizi
forniscono su un piano di realtà interventi che aiutano il genitore
nella gestione della situazione ma spesso non gli riconoscono la
fatica e le capacità che ha dovuto e deve mettere in campo per
gestire la situazione. Non sono infrequenti, nella nostra
esperienza, situazioni di elevata
tensione
tra operatori e genitori spesso basate su pretestuosi mal
funzionamenti dei servizi che nascondono problemi di altro livello. Aiutare i
genitori che diventano anziani, con interventi che gradualmente
diventano sempre
più intensi
può contribuire a rassicurarli
rispetto al fatto che i loro figli saranno seguiti ed aiutati anche
senza e dopo di loro con la stessa attenzione e le stesse cure.
Significa non aspettare che le situazioni diventino esplosive ma
ricorrere ad aiuti
preventivi
e tempestivi. In quest’ottica l’affidamento intrafamiliare
assume una duplice valenza simbolica
e materiale. E’ un gradino in più nel consentire alle famiglie di
costruire con il servizio un vero rapporto
fiduciario
basato sull’empatia e non sulla contrapposizione . Non è solo un
servizio da cui pretendere ma è un servizio con cui condividere una
fatica ed un pezzo della propria strada.
* AA.VV., Handicap grave, autonomia e vita indipendente, Gruppo Solidarietà, Castelplanio 2002, p. 96, € 7.00. Per ricevere il volume: Gruppo Solidarietà, Via S. D’acquisto 7, 60030 Moie di Maiolati (AN). Tel. e fax 0731.703327, e-mail: grusol@tin.it. Per ordinare direttamente il volume versamento su ccp n. 10878601 intestato a: Gruppo Solidarietà, Via Calcinaro 12, 60031 Castelpanio (AN).
[1]
Legge 5 febbraio 1992, n.104 “Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione
sociale e i diritti delle persone handicappate”.
[2]
All’articolo 39, comma 2, della legge 104/92 dopo la lettera l
sono aggiunte le lettere l
- bis e l – ter.
[3]
ENIL Italia - referente italiano di ENIL (European NetworK
Independent Living), movimento di liberazione delle persone con
disabilità.
[4]
Articolo.9, comma 1, della L.104/92 e s.m.i.
[5]
La fase di elaborazione e di prima attuazione è stata seguita dal
Dott. Luciano Rosso, vice direttore del CISAP.
[6]
Sono coinvolte nel progetto le associazioni che operano nell’area
della disabilità intellettiva - “La Scintilla” e “l’isola
che non c’è” – e quelle che rappresentano, a livello
locale, disabili fisici: “Associazione Italiana Sclerosi
Multipla” e la già citata ENIL Italia. I rappresentanti di
queste ultime fanno parte stabilmente del gruppo di
interdisciplinare unitamente al responsabile SAVI, al responsabile
progetto disabili (entrambi del CISAP) ed al Direttore del
Distretto 1 dell’ASL 5.
[7]
Di cui all’art.9, comma 1, della L.104/92 e s.m.i
[8]
Concetto elaborato dalla “Bottega del possibile” associazione
per la promozione della domiciliarità di Torre Pellice (To).
|
La pagina
- Educazione&Scuola©