|
|
In tutta l’area dell‘euro il sommerso cresce più dell’economia ufficiale. In particolare nei Paesi che, per ragioni diverse, hanno più difficoltà a rimuovere le rigidità e i costi provenienti da un sistema di protezione sociale molto pesante, come Germania ed Italia, il ricorso al lavoro nero tende a crescere. Le stime ufficiali valutano pari al 14,7% la quota del Pil (al 1999) derivante da attività che sfuggono al fisco o impiegano lavoro irregolare. Sulla base di indagini recenti, effettuate dal Censis, a tale quota va aggiunta un’ulteriore componente, non osservata dall’Istat, pari al 5,1% del Pil, e ciò porta le attività economiche sommerse a costituire in Italia una quota che rasenta il 20% (per l’esattezza 19,8%). Ove ulteriori verifiche portassero a una conferma di una produzione sommersa pari a oltre 59miliardi di euro (oltre 115.000 miliardi di lire), esclusa dall’attuale calcolo del Pil, si riprodurrebbero le condizioni che, per ben due volte negli ultimi venticinque anni, hanno portato ad una rivalutazione dei nostri conti. Con le politiche per l’emersione si tenta il recupero delle attività irregolari. Il significativo abbattimento per tre anni degli oneri contributivi offre al Sud quella riduzione del costo del lavoro più volte richiesto, mentre la dichiarazione da parte delle aziende della pregressa irregolarità rappresenta per i lavoratori l’inclusione entro norme di tutela, seppur stemperate da una incombente licenziabilità. Sono state effettuate prime proiezioni relative al potenziale gettito di questo provvedimento che dovrà contribuire a contenere il disavanzo a partire dal 2002. La base di partenza non può che essere la segmentazione dell’economia sommersa. Il disegno di legge si rivolge principalmente a imprenditori emersi con dipendenti irregolari, tuttavia il sommerso si compone di: imprese a regolarità limitata (evasione parziale e elusione fiscale, uso scorretto della flessibilità e dell’outsourcing, fuori busta ecc.) (le volpi); - imprese con regolarità strettamente necessaria (iscrizione registro ditte e partita Iva) con una notevole quota di dipendenti in nero ed una rilevante evasione fiscale (i camaleonti); - unità produttive piccole (attorno ai 5 addetti) ad elevato grado di occultamento totale, collocate in luoghi di lavoro impropri e difficilmente individuabili (le talpe); - micro-imprese o unità di lavoro individuali con, ma più spesso senza partita Iva, in aree ad elevata volatilità dei settori più disparati dalle nuovetecnologie ai servizi domestici (il formicaio). Per passare dalle tipologie alle quantità si fa
fondamentalmente riferimento Ogni progetto di emersione presuppone una seppur minima organizzazione aziendale (un imprenditore più o meno regolare con lavoratori irregolari): il modello di riferimento resta il piccolo capannone manifatturiero o artigiano. In realtà anche i dati ufficiali evidenziano una situazione ben diversa. Infatti, anche se consideriamo le unità lavorative (ovvero la standardizzazione di tutti gli effettivi rapporti di lavoro in unità teoriche equivalenti ad un lavoratore a tempo pieno) troviamo come settori maggioritari i servizi domestici (17,2% del totale), i trasporti (12,0%), l’agricoltura e pesca (11,9%) e il settore alberghiero e dei pubblici esercizi (11,4%). Questi primi quattro settori per importanza superano abbondantemente la metà dei lavoratori irregolari, mentre l’industria manifatturiera pesa per l’8,6% e le costruzioni, con solo il 6,9% del totale, risultano evidentemente sottovalutate (tab.1). Il lavoro irregolare (misurato in termini di
posizioni lavorative e cioè di Precedenti indagini, riconfermate in una verifica
più recente, hanno portato Il sommerso cresce più dell’economia ufficiale:
fra il 1992 e il 1999 le unità In agricoltura diminuiscono le posizioni
lavorative totali ma quelle irregolari crescono dal 52% al 63%; anche
il tessile-abbigliamento vede una diminuzione complessiva ma l’irregolarità
resta stabile; situazione stazionaria nel settore del legno e
arredo, dove si registra il più elevato tasso di irregolarità
dell’industria manifatturiera pari al 16,4%, stabile in tutti gli
anni ’90; crescono, invece, le posizioni lavorative nella meccanica
e cala il tasso di irregolarità dal 5% al 4,4%; in calo l’occupazione
nelle costruzioni ed in aumento i dipendenti irregolari nel ’99
pari almeno al 22,2%. Nell’industria si può concludere che il calo
occupazionale, derivante da crisi nella competitività, produce un
allargamento del lavoro nero. I servizi, in crescita quanto a
posizioni lavorative, registrano un livello relativamente costante
dell’irregolarità con punte massime dell’82,4% nel lavoro
domestico (ma qui non sono estranee al fenomeno le norme
restrittive sull’immigrazione), nel settore turistico con il
61,5% e dei trasporti pari al 42,7%, l’unico in cui il
sommerso aumenta significativamente la sua quota percentuale nel
decennio. Il trasporto è anche quello che ha un tasso di
irregolarità elevatissimo anche fra i lavoratori autonomi pari al
55,7%, perfino superiore a quello dei All’articolazione settoriale corrisponde una
forte differenziazione territoriale. La connotazione meridionale per il sommerso degli anni 2000 è confermata dalla proiezione sulla realtà familiare del lavoro precario ed irregolare: sono, infatti, 3milioni950mila pari al 16,7% le famiglie con almeno un componente che percepisce un reddito precario o in nero. Ammontano a 600mila le famiglie che vivono di solo lavoro nero, ma se a questi nuclei si aggiungono anche quelli dove i redditi sommersi si combinano con le pensioni minime, magari di invalidità, si sale a 1milione270mila nuclei pari al 5,9% (tab. 5). In questo contesto, non sembra agevole prevedere se i provvedimenti per l’emersione avranno successo: le ragioni fondamentali che inducono ad emergere sono essenzialmente centrate sul timore di essere sanzionati, anche se una quota significativa di imprese si ritiene abbia anche l’esigenza di emergere per poter crescere (tab.6). Le principali ragioni di diffidenza riguardano più strutturalmente la stessa capacità di sopravvivere nella normalità: ciò dipende, infatti, da una possibilità di competere e stare sul mercato che, per l’impresa sommersa, resta spesso un miraggio. "E’ indispensabile accompagnare gli automatismi degli sgravi fiscali e contributivi, con un’azione di verifica e sostegno alle condizioni di sviluppo dell’impresa e dell’area", ha commentato Giuseppe Roma, esponendo i risultati dello studio, "altrimenti anche questo tentativo, come i precedenti si può prestare a distorsioni e forse deludenti risultati. In definitiva, nei diversi settori di attività gli incentivi per l’emersione potranno interessare lo strato intermedio del sommerso, il sommerso di lavoro presente in aziende con livelli organizzativi strutturati, già avviate verso una logica di mercato. La convenienza contributiva e fiscale dovrà combinarsi con il nuovo rapporto di lavoro che si istaurerà con i dipendenti regolarizzati, visto che il lavoro irregolare oltre ad essere meno costoso è soprattutto estremamente flessibile. Difficilmente potrà riguardare piccole aziende per le quali la regolarizzazione a regime (dopo il triennio di riduzione) porterebbe a un incremento dei costi valutabile pari all’87% a fronte di ricavi "bloccati" da una committenza che paga poco più di 1 euro una cravatta (rivenduta in negozio a 30-50 euro), 3-4 euro una camicia o 25 euro un cappotto". |
La pagina
- Educazione&Scuola©