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"Dalla Terra Promessa alla Terra
Permessa" Presentazione Roma, Palazzo S. Macuto,Sala del Refettorio
Nilla Manzi
Con i saluti alle autorità istituzionali presenti, ai rappresentanti del Terzo settore, alle organizzazioni di volontariato e a tutti gli amici che hanno risposto all’invito apro quest’incontro che, nelle nostre intenzioni, non si riduce ad una classica presentazione del libro, ma prende da esso spunto per andare oltre il libro stesso nella direzione di un confronto ed una riflessione per andare avanti. "Dalla Terra Promessa alla Terra Permessa": Luciano Tavazza ha scritto questo libro nell’ultimo periodo della sua malattia. Lo ha scritto nella convinzione che non ci sarebbe potuto essere futuro senza memoria, che d’altronde la memoria da sola non sarebbe bastata diventando mero rimpianto, così come la progettualità senza memoria finisce con l’essere utopia, e ancora che memoria e progettualità senza un ’ illuminata coscienza dell’ora presente avrebbero certamente costituito solo un’evasione. Il libro è memoria e nello stesso tempo progettualità, ma il libro è anche presenza consapevole nel tessuto vivo del Paese. E’ il percorso di un processo culturale portato avanti dal Mo.V.I. insieme, e sottolineo insieme, a tutto il volontariato italiano. Un volontariato che ancor oggi deve scontrarsi con una cultura dominante che lo ha considerato prima come un fenomeno residuale per poi attivare nei suoi confronti meccanismi di assimilazione, con il rischio di invischiarlo in una routinizzazione burocratica e mercantile, svilendo la sua funzione etica, di gratuità e di dono, la sua funzione profetica. Questo contributo alla memoria vuole essere nell’intenzione di Luciano un dono a tutto il volontariato, il dono di una tenace, caparbia, operosa speranza, una speranza possibile, e che è possibile con il contributo corresponsabile di tutti indistintamente nel nostro quotidiano impegno di solidarietà per poter passare da una "terra promessa" di future riforme alla "terra permessa" per ogni persona, per tutte le persone del mondo, in particolare per tutte quelle escluse dai diritti umani di cittadinanza.
Emanuele Alecci
Spetta a me coordinare questo incontro, che è un incontro tra amici che decidono di rimanere insieme a riflettere su un lavoro che non rappresenta semplicemente una pubblicazione. Il ruolo del Mo.V.I. e del volontariato più in generale costituisce il tema di questo libro, un libro vivo, scritto dall’amico e volontario Luciano Tavazza. E’ un lavoro minuzioso, testardamente pignolo, di lettura e testimonianza delle scelte compiute negli ultimi venticinque anni. Tutto questo rende molto prezioso il lavoro che presentiamo oggi, un lavoro che rende merito all’ impegno di donne e uomini che, pur con gli oneri derivanti dai diversi ruoli sostenuti nella società, hanno contribuito a realizzare il volontariato negli ultimi anni. Gli amici oggi presenti a questo tavolo ne sono una testimonianza concreta. E’ di fronte a tutto ciò che sentiamo oggi, ancora più forte, il senso di smarrimento e di vuoto, con la scomparsa di chi ne è stato il protagonista principale. Un protagonista che riusciva a indurci in scelte coraggiose nell’impegno preferenziale verso i più poveri; lo facevamo senza fatica perché lui ci spronava, ci sosteneva. Allora, se Nilla mi permette, vorrei regalare oggi a tutti gli amici qui presenti tre pezzi fondamentale del testamento di Luciano, dettato alla moglie una settimana prima che si spegnesse. Tre pezzi fondamentali, sintesi di una vita e un impegno per tutti noi. Il primo: "Essere Chiesa". Un impegno a riscoprire il ruolo della Chiesa nel mondo come costruttrice di giustizia, esempio di accoglienza, portatrice di un messaggio profetico e di denuncia. Formatrice di persone libere, adulte, corresponsabili, animate da una fede che sappia incarnarsi nella storia. Un impegno che ci viene richiesto da Tavazza, un credente che aveva scoperto il suo modo di essere Chiesa nell’impegno quotidiano di laico che immerge le sue mani nelle sventure umane, mai con le certezze di chi possiede il sapere, mai con le verità assolute, ma con l’umiltà che sostiene le diversità. Il secondo: Una riscoperta dell’etica nel volontariato e nella società. Un ’ etica alta, vigorosa, guida in tutte le dimensioni della vita personale e sociale, nello Stato, nella politica, nell’economia, nella famiglia. Essere insomma cittadino in grado di coniugare la Costituzione e i diritti dei popoli, rivendicare ed operare per i diritti di tutti alla vita. Il terzo: Un impegno forte per la formazione degli uomini e dei volontari secondo un modello che accolga la persona nella sua unicità, nella sua unitarietà. Formazione di uomini e donne solidali, formazione ai diritti inderogabili di cittadinanza, giustizia, al dono come principio di solidarietà. Questi tre punti del testamento di Luciano sono il filo conduttore che percorre tutto il libro, che, memoria oggi, deve trasformarsi in azione e impegno domani. Proprio in questo momento nel quale il mondo del volontariato appare disorientato nella ricerca e nella riproposizione di un suo ruolo autonomo, adulto, dobbiamo impegnarci per riportare la sua azione "dentro" le questioni. Abbiamo di fronte dei nodi cui dobbiamo dare delle risposte, lo dobbiamo per Luciano che ci è stato di guida ed oggi vuole da noi delle risposte a queste questioni: rapporto tra solidarietà ed etica, rapporto tra solidarietà e politica ( non si può far del bene ad una persona senza fare del bene pubblico, senza contribuire alla rimozione delle cause), rapporto tra solidarietà e giustizia sociale, rapporto tra solidarietà e sussidiarietà. Prendiamo questo impegno nella memoria di Luciano, prendiamo questo impegno perché vogliamo stare nelle cose e vogliamo davvero essere la voce delle persone che sono in difficoltà, ed è su questo che prego gli amici presenti oggi a questo tavolo di dare una loro testimonianza.
Mons. Giovanni Nervo
Ho letto con commozione quest’ ultimo lavoro di Tavazza che è insieme memoria storica, guida e testamento per il volontariato italiano. In molti punti di questo cammino ci siamo trovati a lavorare insieme, a partire da quel seminario ristretto del gennaio 1975 con Pagani, Rampi, Pasini ed altri amici con cui ci eravamo posti la domanda di quale significato dare a questo fenomeno che emergeva nelle punte avanzate del Gruppo Abele, della Comunità di Capodarco, i gruppi extraparlamentari che lavoravano nelle periferie delle città. Fu lui, Luciano a proporre: "Sentiamo loro, i volontari: cosa pensano, cosa fanno." Nacque così il primo Convegno Nazionale del Volontariato promosso dalla Caritas italiana. Sono molto grato a Luciano Tavazza di averne fatto memoria storica documentata perché nella letteratura sul volontariato non se ne trova traccia: allora infatti, il volontariato era percepito come un fattore marginale, insignificante, sia da parte delle istituzioni che della grande informazione. Luciano percepì la forza potenziale di questo fenomeno e da quel momento vi dedicò una parte considerevole della sua vita, come dimostra questa documentazione di storia curata nei particolari durante, e nonostante, la sua dolorosa malattia. Dobbiamo essere riconoscenti a Nilla Manzi che l’ha seguito e sostenuto anche in questa fatica e ci ha trasmesso questo volume, frutto del tormentato lavoro di Luciano. La caratteristica di questo lavoro è la rigorosità della documentazione; questa serietà scientifica faceva parte della sua personalità, del suo metro di lavoro. E’ la rigorosa oggettività che lo porta all’uso della terza persona anche quando riferisce fatti di cui è lui il protagonista, li narra come un cronista distaccato che non vuole indulgere in argomentazioni personali, sebbene senta e viva intensamente le cose che narra. Un distacco che non contempla la sospensione del giudizio o la neutralità. Tre aspetti hanno un forte rilievo nell’intero volume ed erano molto accentuati in Tavazza: la dimensione politica, cioè il farsi carico dei problemi della società per andare a combattere le cause dei bisogni e della sofferenza; la formazione come punto strategico e cruciale dell’efficacia e dello stesso futuro del volontariato; la sana laicità, per cui pur essendo di profonda formazione cristiana, di intensa vita spirituale, anzi forse proprio per questo, Luciano concepiva il volontariato aperto a tutte le persone di buona volontà rivolte alla cura della persona umana e tendeva a stabilire con tutti rapporti pienamente liberi e trasparenti. Direi che è stata una realizzazione esemplare del modello di laico cristiano così come descritto dal Concilio Vaticano II. Da qui la piena sintonia con la Caritas Italiana e con la Fondazione Zancan che si muovevano sulla stessa linea. Tre aspetti che Luciano ha portato con decisione e coraggio nella Fivol, la Fondazione Italiana per il volontariato che è stata l’ultima fatica della sua vita, dedicata allo sviluppo e al consolidamento del volontariato. Sentiva anche lui negli ultimi tempi la situazione problematica in cui versava il volontariato a seguito di quella che il prof. Zamagni ha chiamato al "svolta economicista" del volontariato, che risente della svolta in tal senso subita da tutta la società. Essa ha comportato una tendenza a valorizzare il volontariato non tanto per i valori etici e civili di cui è portatore, così bene espressi nella Carta dei Valori, ma per l’apporto economico che può dare nella gestione dei servizi alla persona, facendo risparmiare sui costi: è il pericolo mortale cui si trovano esposte molte associazioni, di essere cioè preoccupate più dei benefici economici che possono trarre dal rapporto con le istituzioni che del proprio ruolo di tutela diritti dei più deboli, della promozione di politiche sociali e del controllo di base delle istituzioni stesse. Per l’Assemblea del ventennale del 1998 Luciano riferisce che dopo la relazione Alecci, i tre interventi degli ex presidenti del Movi sono tesi a sottolineare gli aspetti etici e valoriali, l’esigenza di occuparsi quotidianamente dei diritti costituzionali di cittadinanza e di legalità, di democrazia, l’esigenza in sostanza di non rinchiudersi nei propri interni interessi per la sola attuazione dei servizi, ma essere attenti e vigili ai problemi del Paese, problemi che si intrecciano con quelli dei poveri del mondo. Fare volontariato con queste caratteristiche costa un prezzo alto, perché va controcorrente: chiama tutti, politici, forze sociali, sindacati, terzo settore, a mantenere una visione prioritaria a servizio degli esclusi e degli emarginati contro una crescente tendenza a mercificare un fenomeno sociale che invece ha le sue radici nella traduzione concreta degli ideali della Costituzione. Di questa crescente tendenza troviamo il segno nelle linee programmatiche dell’attuale governo esposte il 17 luglio u.s. dal Ministro del Welfare alla Commissione Affari Sociali della Camera. In un passaggio egli dice: "Il sistema normativo nazionale e regionale ha attuato una scomposizione in elementi attraverso distinte e specifiche norme dirette : volontariato, cooperazione sociale, enti e associazioni di promozione sociale che contrastano con la concezione unitaria che a mio avviso, egli dice, deve avere il fenomeno dell’intervento del privato nel terreno delle politiche sociali". Perciò annuncia la linea del governo: semplificazione della legislazione vigente, e credo tutti saranno per questo riconoscenti, e redazione di un Testo Unico del Non Profit. Come ne uscirà il volontariato da questa fusione? Non c’è il pericolo che venga mortificata la sua identità specifica, la gratuità, e venga riassorbito dall’economia sociale? Il Non Profit non è sinonimo di gratuità. La gratuità è un altro genere. In un altro passaggio il Ministro dice: "L’attuazione del principio di sussidiarietà in direzione orizzontale consentirà allo Stato di investire il settore del Non Profit di crescenti responsabilità per fornire ai cittadini che versano in condizione di bisogno risposte adeguate da parte di strutture che hanno capacità, professionalità e motivazioni ampiamente sufficienti a garantire i livelli di qualità più elevati a livello europeo e non solo". A parte la discutibile interpretazione e applicazione della sussidiarietà orizzontale e la piuttosto euforica esaltazione del terzo settore che forse non tiene conto sufficientemente delle difficoltà in cui si imbattono le cooperative sociali e soprattutto le cooperative di solidarietà sociale. Quale spazio c’è per il volontariato? Il quale, come il Movi ha giustamente affermato nell’assemblea del 1998, può assumere soltanto servizi leggeri; ma lasciando le imprese e la gestione dei servizi pesanti non possiamo non porci una domanda : allora il volontariato della L.266 ha un futuro o è destinato a scomparire? Personalmente sono convinto che il volontariato basato sulla gratuità, da cui sono nate le cooperative di solidarietà sociale e in larga parte l’associazionismo sociale, proprio in questa svolta economicistica ha un ruolo fondamentale da svolgere: salvare l’anima originale del Non Profit dall’influsso negativo di un’economia liberista e mantenere la centralità della persona al cui servizio deve essere l’economia sociale del terzo settore e, secondo la nostra Costituzione, anche l’economia di profitto. Per poter far questo però deve volare alto e saper rispondere a due esigenze ed opportunità. La prima: approfondire ed alimentare con la formazione le sue motivazioni ideali e le sue capacità operative. In un Convegno dell’anno scorso su economia sociale e volontariato mi è stato chiesto: "Se il volontariato deve essere così, cioè gratuito, che futuro ha?" "Dipende dalla motivazione!", ho risposto. Se uno nella sua vita ha sempre lavorato legittimamente ma soltanto per guadagnare, ad un certo momento , magari quando è diventato vecchio, non gli si può dire "Ora lavora per niente"! Se invece possiede anche altre motivazioni, di umanità, di solidarietà, di giustizia , di amore, sarà felice di poter fare qualcosa gratuitamente per gli altri, proprio quando è in pensione perché non lo ha potuto far prima. Accanto alle motivazioni però occorre formare, perché le motivazioni sono un fatto personale, è la benzina che consente alla macchina di correre, se finisce la benzina la macchina si ferma. Le motivazioni valgono per noi; per gli altri vale quello che sappiamo fare, come lo facciamo, e come le nostre motivazioni si rispecchiano in quello che facciamo. Veniamo alla seconda opportunità. Il prof. Ardigò nel recente volume "Volontariato e globalizzazione" propone al volontariato una nuova sfida: la funzione di advocacy cioè di difesa dei diritti dei più deboli. Ciò porta a riscoprire il ruolo politico del volontariato finora esercitato da una minoranza di volontari. Il ruolo politico non sostituisce il ruolo proprio del volontariato di anticipazione di risposte ai bisogni emergenti, né quello dell’integrazione e dell’umanizzazione dei servizi esistenti, ma quello che il prof. Ardigò chiama advocacy cioè tutela dei diritti richiede nei volontari un forte spessore culturale, unità di riflessione e azione, libertà dal potere e dai soldi. Luciano Tavazza sentiva fortemente questa esigenza, presente in tutta la sua azione sociale, la sollecitava nell’ultimo periodo della sua vita e auspicava che le sedi dell’elaborazione culturale e politica che si occupano di volontariato e che non hanno impegni operativi diretti facessero sinergia fra di loro per affrontare in modo efficace i problemi che derivano dalla svolta economicistica della società, che si ripercuote anche sul volontariato e che può far perdere proprio quei valori essenziali che la Fivol e il Gruppo Abele hanno enucleato nella Carta dei Valori del Volontariato. Avevamo già fissato la data del primo incontro quando la malattia che lo portò poi alla morte lo bloccò definitivamente. Proprio leggendo il suo ultimo lavoro noi abbiamo ripreso quell’impegno che avevamo assunto insieme con lui, per continuare la sua battaglia di promozione umana e di tutela dei soggetti più deboli. Credo sia un obbligo morale che abbiamo anche nei suoi confronti.
Alecci Grazie a Mons. Nervo, anche per la rinnovata adesione all’impegno che ci spinge a confermare, come avrebbe voluto Luciano, grazie al quale un incontro tra una serie di persone può diventare stimolo per tutto il volontariato nazionale. Ricordo nel 1989 un grande convegno ad Amalfi: "Volontariato e partiti politici". Quella volta il prof. Lipari coniò una frase che mi è rimasta impressa fino ad oggi, disse:" Dobbiamo fare in modo che il volontariato sia sempre meno una cosa da studiare e sempre di più una lente che ci fa leggere tutte le cose". Cedo a Lui la parola perché ci porti la sua testimonianza, e perché ci aiuti in questo momento, nel quale il volontariato deve ritrovare la sua strada, ci aiuti in particolare ad individuare anche sul piano giuridico- legislativo un nostro specifico ruolo.
Nicolò Lipari Sono grato a Nilla Tavazza per aver voluto che fossi presente anch’io questa sera. Facevo anch’io parte del gruppetto che nei lontanissimi anni ’70 s’incontrò con Luciano, quando io personalmente, che pur avevo studiato tanti fenomeni delle aggregazioni giuridicamente rilevanti, non avevo consapevolezza di cosa fosse il volontariato e fui incaricato dalla Fondazione Agnelli di compiere una ricerca che poi è diventato il primo nucleo dai cui è nata una valanga di riflessioni. Penso che alcuni dei presenti ricordino da dove nasce il titolo di questo libro: questa alternativa "terra promessa- terra permessa" fu una felice passaggio della relazione introduttiva che Giuseppe De Rita fece nel convegno su "Evangelizzazione e Promozione Umana" e assumeva allora un particolare significato all’interno del discorso che Mons. Bartoletti voleva svolgere nel raccordo tra Chiesa e società civile. La speranza deve essere sempre coniugata con le concrete possibilità e quindi non basta proiettarsi soltanto nella rappresentazione di ciò verso cui si tende, ma bisogna sapere il terreno su cui quotidianamente passo dopo passo poggiano i nostri piedi. Se noi oggi ripercorriamo, coloro che l’hanno vissuta con l’esperienza che portano sulle spalle e coloro che l’hanno soltanto letta per consapevolezza per ragioni di studio, la storia del volontariato in questi ultimi venticinque anni non possiamo nascondere, affacciandoci al nuovo millennio, qualche ragione di preoccupazione. E bene ha fatto oggi Mons. Nervo ha dire pesantemente le cose che ha detto. Certamente sono stati compiuti dei passaggi significativi: siamo passati dalla tentazione del mero volontariato individuale al rilievo del volontariato di tipo associativo, siamo passati da un volontariato sopportato, guardato con sospetto ad un volontariato riconosciuto, da un volontariato marginale ad un volontariato strutturale. Però oggi ci troviamo in un momento di crisi : il volontariato corre il rischio di una sua istituzionalizzazione e nel momento in cui l’istituzione si mercantilizza, il volontariato corre il rischio di mercantilizzare se stesso. Questo è il vero problema del nostro tempo, non solo il raccordo tra il sistema istituzionale e il sistema di mercato che rappresenta oggi il momento di possibile deflagrazione dell’intero sistema ma anche la tentazione che tutto ciò che ciascuno di noi individua come valore, come spinta motivazionale, come realtà che si innerva su ben più significative radici debba esclusivamente misurarsi e concretamente ed esclusivamente ridursi alla dimensione del mercato; e se così fosse allora davvero noi dovremmo registrare un radicale fallimento dell’esperienza complessiva di questa società e significativamente anche dell’esperienza del volontariato. Tutto ciò si raccorda ad un quadro di estrema frantumazione del sistema istituzionale. Forse non è questa l’occasione giusta per fare una riflessione sulle incidenze sull’attività e sul sistema del volontariato della legge costituzionale n.3 del 2001. E’ tuttavia una legge sulla quale sto riflettendo perché mi riprometto di pubblicare un libro sulle fonti che abbia riguardo anche alle fonti di derivazione regionale. Ma è una legge che veramente ho considerato e guardo con grande preoccupazione; è una legge che abbiamo per ragioni politiche concorso a votare approvandola, perché una sua mancata approvazione avrebbe assunto chissà quale significato, anche se la mia personale valutazione era che una negazione di quella legge avrebbe dovuto essere giustificata non già per un passaggio di maggiore devoluzione regionalistica ma, se mai, per una posizione di segno contrario, proprio perchè non veniva in ipotesi approvata. Anch’io ho votato sì per quella legge ma ad una più attenta riflessione ho gravi preoccupazioni su quali possano essere gli effetti e gli impatti di una normativa di quel genere. Ricordo che in una delle sue prime relazioni ad uno dei convegni di Lucca l’on. Martini parlava con preoccupazione dell’effetto sul sistema e sull’attività del volontariato italiano del "vestito di Arlecchino" che nasceva dalla varietà delle diverse situazioni regionali. Oggi rischiamo che con l’avallo di una legge costituzionale questo effetto contro il quale abbiamo lottato e che abbiamo per certi effetti e in certa misura neutralizzato possa invece diventare addirittura sistema operante. Allora ci troviamo davvero di fronte ad un rischio, che Alecci ha ben indicato nella breve introduzione al libro. Due rischi che individua nel ritorno ad un volontariato individualizzato e nel rischio di un mercato della solidarietà, espressione apparentemente contraddittoria perché la solidarietà di per sé non può essere mercantilizzata ma nel momento in cui il sistema s’incardina in un quadro istituzionale che è tutto giocato sulla logica mercantile, è chiaro che un risultato di questo tipo può essere significativamente paventato. Il problema che forse si pone e sul quale Luciano ci aiuterebbe a riflettere se fosse qui, è questo: nella seconda appendice di questo volume ci sono alcune pagine che si compongono del raccordo fra due colonne, ieri e oggi, delle quali chiedevo ad Alecci se fossero state fatte da loro in sede di redazione o fossero originariamente scritte da Luciano. Le ha scritte proprio lui, Luciano, e la lettura diventa ancor più significativa. Raccorda ciò che prima di una data era un modo d’intendere e di operare del volontariato, e quello che è diventato, quasi una sorta di bilancio nel quale c’è forse un pizzico di compiacimento per quanto egli stesso ha concorso a fare nel passaggio dall’un versante all’altro di questo ideale spartiacque. Ebbene c’è da chiedersi se quello che Luciano indica nella colonna dell’oggi non sia già diventato un ieri e non si sia quindi già avviato un passaggio ulteriore. Oggi la solidarietà viene sempre più enunciata e sempre meno praticata; convenienze private diventano criterio ispiratore dell’azione pubblica; egoismi corporativi e di gruppo fanno premio su qualsiasi dimensione di segno generale e solidaristico. C’è dunque il rischio che quel contagio che avrebbe dovuto operare al contrario dal volontariato verso le istituzioni, operi oggi in senso opposto: da un sistema istituzionale deteriorato verso il volontariato. E allora occorre cominciare davvero a rifondare le nostre riflessioni, a dare nuovo fondamento etico e una nuova prospettiva politica. Alecci mi provocava prima ricordando quella che era stata una mia riflessione ad Amalfi; avevo, in effetti, poi portato avanti quel tipo di riflessione, considerando che la proposta effettiva avrebbe dovuto essere quella di creare i presupposti perché si affermasse la doverosità del gratuito. L’atto gratuito non deve essere più considerato uno spazio residuale, un luogo dove si colloca lo sforzo del soggetto di recuperare ciò che non ha potuto integralmente ed autenticamente realizzare nella sua dimensione di cittadino, ma va invece individuato come dimensione caratterizzante della cittadinanza ed in questo senso va ricostruito il momento della solidarietà come momento costitutivo del nostro assetto costituzionale. Da qui l’ambiguità di coloro che reputano di essere intenzionati a cambiare soltanto la seconda parte della Costituzione, senza nessuna incidenza sulla prima, quando la saggezza dei nostri padri costituenti aveva previsto un tale significativo ed integrale raccordo tra la prima e la seconda parte che incidere sulla seconda significa compromettere il modo concreto d’intendere nella sua attuale dimensione storica la operatività dei principi che sono scritti nella prima. Pensare alla doverosità del gratuito significava dare al meccanismo istituzionale il valore di un necessario passaggio attraverso la dimensione solidaristica che non è un momento marginale, occasionale, parziale del sistema istituzionale ma è una sua qualità necessaria. Solo se noi siamo capaci di ripensare tutti i momenti costitutivi del sistema e non soltanto il mero spazio di una legge finanziaria, allora saremo in grado di pensare a quello che è il ruolo effettivo del volontariato nel sistema istituzionale. Solo in questo senso la gratuità diventa l’elemento caratterizzante della società e non mera registrazione dell’eccedenza e del superfluo; solo così si supera la crisi che esistenzialmente ci coglie quando scopriamo che oggi risulta davvero difficile saldare ciò che motiva nel profondo con ciò che ci impegna nel quotidiano, perché spesso siamo impegnati nel quotidiano in cose che assolutamente non ci motivano anzi ci demotivano. Siamo di fronte ad una doverosità sopportata e ad una gratuità strumentalizzata. Dobbiamo recuperare la necessità di credere in ciò che facciamo, dobbiamo assumere la vita come speranza, rivedere la promessa consapevoli che questo ci è permesso, non solo è permesso ma diventa doveroso rimuovere gli ostacoli che ci vengono opposti perché quei passi vengano concretamente compiuti. Solo così ci sarà consentito di non sentirci consumati da ciò che siamo stati, ma inaugurati da ciò che saremo. E’ una scelta significativa per quanti scelgano di andare e non di farsi portare, ricercano il necessario senza tentare di conservare il superfluo, fanno le loro sortite non in nome di una parte politica, ma di una libera ed itinerante città la cui politica, come diceva Don Lorenzo Milani, è uscirne insieme.
Alecci
Vorrei dare la parola all’amico Peppe Lumia. Tante volte io e Giuseppe siamo stati chiamati e " bacchettati" da Luciano nell’ufficio della Fivol a via Nazionale. Giuseppe quando era presidente del Movi ha creato un movimento che aveva cominciato a lavorare fortemente su un grande tema, quello di vivere in maniera diversa il territorio; lo slogan di quegli anni era "socializzare il territorio", uno slogan che è ancora viva vita nelle nostre iniziative, particolarmente nei territori dove la presenza dello Stato è meno sentita e lascia il posto alla confusione e alla malavita. Questo è stato l’impegno di Giuseppe di questi anni, da parlamentare, come volontario del Movi e anche la sua testimonianza quindi è frutto di spinte continue provenienti da Luciano.
Giuseppe Lumia
Luciano in questi ultimi anni, ha ragione Lele , ci invitava spessissimo a riflettere su questa fase di transizione, avvertiva che una fase storica si era chiusa per il volontariato, un cammino si era fatto, degli obiettivi si erano raggiunti, ma si irritava tutte le volte che si pensava al volontariato a partire dal volontariato; tutte le volte che il volontariato rifletteva sul suo futuro a partire solo dal volontariato. Pensava e riteneva, ed era questa l’identità più bella, più laboriosa e di ricerca del mondo del volontariato, che si dovesse partire dagli altri, che si dovesse sempre partire dal contesto, dalla realtà; per lui la storia, la vita, gli uomini, il territorio, la città, le comunità erano una sorta di luogo teologico dove maturava la speranza, i limiti, le tristezze e le gioie, i grandi percorsi e le opportunità di cambiamento. Ecco perché avvertiva nello stesso tempo la necessità che il mondo del volontariato non venisse risucchiato, omologato, annullato, sterilizzato e voleva evitare che il volontariato subisse il fascino della nostalgia, della nostalgia struggente, quella che richiama i tempi d’oro di una mitica identità preservata, bella, pulita, onesta e feconda rispetto invece ad un contesto attuale che rischia di annullarla. Due pericoli da evitare: un volontariato sterilizzato, risucchiato, trasformato in un’agenzia che eroga servizi per delle persone che non sono cittadini ma degli utenti, di fronte ad un disagio che si trasforma in un numero, in un contenitore dove riversare la nostra solidarietà, la nostra professionalità. Dall’altro lato evitare che il volontariato sia risucchiato nel passato. Ecco la ricerca di una riflessione comune per un volontariato adulto, capace di fare quest’ulteriore passo e quest’ulteriore cammino. Lui conobbe tutte le fasi storiche del volontariato dal dopoguerra, le visse, le elaborò, ne partecipò come protagonista; conobbe la fase del volontariato "brutto anatroccolo", volontariato deriso e da qui le diverse iniziative che lui sviluppò su più fronti e che misero in moto diverse correnti di pensiero (le iniziative di Napoli, Frattocchie, Viareggio, Lucca). Un tentativo di attraversare tutte le culture che fondarono la nostra Costituzione, perché lui ha sempre radicato l’idea, la sintesi, la fondazione culturale ed etica, anche religiosa, del volontariato dentro la Costituzione. S’impegnò affinchè tutte quelle culture si confrontassero col volontariato, capissero il volontariato, lo stimolassero per ulteriori sviluppi e contemporaneamente sapessero cogliere l’esigenza più profonda del mondo del volontariato che non era un ‘esigenza di autotutela, di autoriconoscimento, ma un’esigenza di cambiamento. Conobbe anche la fase del volontariato definito come un "bel cigno", con cui brindare, festeggiare, chiamato il sabato e la domenica per abbellire le riflessioni della politica, dell’economia, per motivare quella cultura spesso mercantile che non sapeva se non trovare spazi marginali. Conobbe queste due fasi e sapeva che quella attuale non poteva ridursi né solo ad una logica di agenzia né di nostalgia; sapeva che dovevamo camminare in mare aperto, il cammino che voleva segnare nella società partiva da un dato che sempre che lo aveva accompagnato: "riascoltiamo i volontari", ripartiamo da quello che è maturato e c’è di più profondo nel volontariato, non per constatarne a livello notarile pregi e difetti, ma perché insieme si può compiere un ‘ulteriore passaggio. Ricordo due aspetti che per me sono importanti: il tema della riforma della politica; lui seppe evitare con grande intelligenza un pericolo mortale che era non sono quello del rifiuto della politica, scontato, ma quello ben più serio di un impegno nei confronti della politica molto volontaristico, ingenuo e banale, assumere responsabilità ed incarichi con un atteggiamento nei confronti della politica che sia semplicemente di adesione, di cooptazione nei meccanismi, nei valori, nelle regole della politica così come sono. Questo lui lo rifiutava, ritenendo che bisognava occuparsi di politica ma nello stesso tempo riformare la politica perché la politica così com’era uccideva tantissime energie; quanti e quanti uomini e donne si sono tuffati nella politica senza un progetto di cambiamento e venivano alla fine cooptati in tutti i vizi e i difetti della politica? Quanti uomini e donne pure provenienti dal mondo del volontariato, una volta assunto un ruolo in politica finivano col lavorare a quei processi che portavano alla scissione tra fatti e valori, tra mezzi e fini, tra un forte fondamento etico e la necessità delle giuste ed inevitabili mediazioni. Luciano spinse moltissimo perché il Movi si desse una struttura federale e la politica non capì questo, e non avendolo capito per tempo subisce ora un’idea spesso volgare, egoista, riduttiva, pericolosa di federalismo, perché non ha avuto il tempo di riflettere, di meditare, di sperimentare, di costruire in modo adeguato un federalismo che fosse adatto alla vita ed alla storia del nostro paese e nello stesso tempo capace di vivere l’esperienza dell’Europa e di questa difficile, spesso malsana ma anche provocante, globalizzazione di questi tempi. Ricordo anche il tema della laicità, un tema delicato per quegli anni dal momento che si abbatteva immediatamente nei confronti di un’esperienza che non volle mettere nel suo statuto un riferimento confessionale, ma per la quale Luciano non si piegò, non si fece cooptare da un’idea che all’interno stesso della comunità ecclesiale aveva avuto tanti sostenitori, volle mantenere il carattere di laicità. Anche qui la politica non capì e la società è stata disattenta al tema che rappresenterebbe invece il terreno in grado di unificare il Paese in modo profondo e sostanzioso. Ricordo anche il carattere democratico attraverso un piccolo riferimento personale. Voi sapete che tutti i fondatori di qualunque movimento sono solitamente così attaccati alla creatura che fanno nascere che spesso la uccidono. La cosa che mi stupì quando Tavazza mi chiamò ad assumere la presidenza del Movi fu che lui, per tanti e tanti anni presidente, era preoccupato di questa dimensione e di questo valore della democrazia. Riteneva che il volontariato dovesse essere attraversato da una cultura democratica e non organizzato da tanti capi, dispotici e pronti ad allenare una generazione al valore del comando stupido e banale più che a quello della democrazia. Infatti mi invitava ad andare e condividere con altri, ad assumerci le nostre responsabilità delle scelte e del cammino. Il volontariato per riformare la politica doveva essere al suo interno una palestra di democrazia, luogo in cui ci si educa all’ascolto, al dialogo, al diritto alla parola, all’esercizio del progetto. Ricordo ancora il tema del territorio e della globalizzazione. Facevamo il giro dell’Italia mentalmente e idealmente e cercavamo di entrare dentro la vita del territorio non banalizzando il Sud, il Nord, una città o una comunità, ma cercando di scoprire i valori e le virtù di quel territorio per evitare che quel territorio si trasformasse in localismo asfittico, in una dimensione che ne facesse una società chiusa. Lavoravamo invece per il territorio, perché diventasse una società aperta, ricca di relazioni. Il tema della globalizzazione. Paghiamo i ritardi e la disattenzione, subiamo un volto devastante della globalizzazione. Sicuramente per Luciano sarebbe stato spunto per lanciare una nuova sfida al mondo del volontariato, per stare dentro la globalizzazione, ma per trasformarla radicalmente e renderla una chance, un’opportunità per fare crescere i diritti. Concludo brevemente spostandomi su un'altra dimensione: il Welfare. Il volontariato, sosteneva Luciano, non avrebbe mai trovato un assetto stabile senza una grande riforma del nostro Welfare. Ecco perché la riforma dei servizi ha segnato l’ultima stagione, e qui il Ministro Livia Turco fu la persona che meglio seppe interpretare la temperie che si viveva e puntò molto a raggiungere quegli obiettivi con i quali molti di noi sono cresciuti, la riforma della legge sull’assistenza. E’ stato un lavoro faticosissimo, quando si pensava di essere arrivati qualcuno lo sfilava sotto il naso, ogni momento sembrava l’occasione giusta e poi lì la delusione. Ma Luciano mai rinunciò a quell’obiettivo e spesso venne anche criticato per questo, perché molti cosiddetti "realisti della politica" consideravano un tale obiettivo ormai irraggiungibile , un obiettivo giusto ma non possibile. Luciano invece capiva che quello rappresentava ancora un obiettivo da raggiungere da coltivare, da costruire e ci spronava a studiare, a verificare, a mettere in moto percorsi di pensiero, di azione, di alleanza in funzione di quest’obiettivo, che ha visto in parte realizzato e forse il Signore ha voluto risparmiargli una stagione molto triste. "Dalla terra promessa alla terra permessa" non sono due alternative, perché tutte le volte che pensiamo un orizzonte di terra promessa abbiamo il compito e la responsabilità di organizzare tutti insieme un’identità specifica del mondo del volontariato rispetto al non – profit, un’identità peculiare; tutte le volte ,cioè, che pensiamo alla terra promessa abbiamo il compito di realizzare la terra permessa e tutte le volte che raggiungiamo degli obiettivi in questa terra permessa abbiamo un’altra responsabilità, quella del "non ancora", di rimetterci in cammino e costruire la futura terra promessa.
Alecci
La nostra presenza qui questa sera vuole essere anche un tentativo di far rinascere questa primavera particolarmente in una legislazione così importante come la riforma dell’assistenza o la legge 328/00 fortemente voluta da tutti noi che, perciò, non vogliamo assolutamente vederla smontata. Tavazza fu un grande animatore delle conferenze nazionali sul volontariato: ricordo quella di Foligno, dove 1500 delegati del volontariato si incontrarono per tre giorni per cercare di capire quali erano gli snodi e quali possibili strade si potevano intraprendere. Era il momento duro della transizione del Paese, ma anche il momento della transizione del volontariato. Animatore di quei giorni era Livia Turco, che con Luciano, con ruoli differenti cercavano di aiutarci a trovare la strada giusta. Livia Turco volle Luciano Tavazza all’Osservatorio nazionale del volontariato come suo esperto. Le do la parola ringraziandola per tutto quello che ha fatto, per quello che ancora c’è da fare.
Livia Turco Io ringrazio moltissimo Nilla e Alecci per questo invito che mi ha fatto molto piacere. Parto dalla conferenza di Foligno per ricordare quello che è stato per me l’insegnamento più importante di Luciano Tavazza. Eravamo in un momento complesso se pur vivace di crescita e di discussione all’interno del volontariato; era il momento del confronto tra il volontariato ed il terzo settore. Il grande aiuto di Luciano, con quel suo straordinario sorriso e quella sua grande generosità, è stato questo: riproporre costantemente che il volontariato ha un suo radicamento al di fuori del quale non c’è, non ha senso, non esiste e che questo radicamento consiste nella gratuità e la capacità di presa in carico gratuita dell’altro. Però questa sua testardaggine lo portava nello stesso momento a fare in modo che il volontariato sapesse sempre rinnovarsi, radicamento ed innovazione: questo è uno degli aspetti della sua lezione. E innovazione ha significato, ad esempio nella conferenza di Foligno, sollecitare il volontariato a cimentarsi in nuovi ambiti (dimensione internazionale, l’attenzione ai giovani), innovazione ha significato anche per lui uno sforzo che l’ha coinvolto molto personalmente nel cercare un rapporto, una sintesi all’insegna del valore della gratuità e della solidarietà tra volontariato e terzo settore. Il punto di mediazione che ci aveva proposto era quello di distinguere tra volontariato e impresa sociale e allo stesso tempo costruire delle sinergie, sinergie vere che potevano realizzarsi quando anche all’interno del non–profit vi è il valore della solidarietà, dell’ inclusione sociale; se questo è, come non vedere che tante cooperative sociali hanno potuto crescere e vivere perché c’è stata un’azione volontaria? come non ricordare che tante cooperative sociali sono state antesignane nel nostro Paese di una nuova generazione di politiche sociali, nuove perché capaci di includere e capaci di affermare la solidarietà? Ecco questa è stata una cosa importante che ha dato Luciano Tavazza insieme a quello sforzo umano di cercare di capire, di tenere insieme all’insegna della chiarezza. Per me quella di Luciano è stata una presenza molto calorosa, ma che cosa lui, con il suo percorso, può dare alla politica? Intanto la politica deve ricordarsi della Costituzione, laddove essa dichiara che compito della politica non è soltanto perseguire l’efficienza e l’efficacia, ma promuovere la solidarietà; e dunque solidarietà e giustizia sociale sono compiti che attengono alla politica. Certo è una grande pretesa nei confronti della politica e esprime una grande capacità critica nei confronti della politica quando la politica stessa non sapeva promuovere in prima persona giustizia sociale, cittadinanza. Il volontariato ha insegnato alla politica, non mi pare però che l’abbiamo ancora imparato, l’esercizio di quella cultura del limite che ti fa capace di metterti in un atteggiamento di vero ascolto, di quanto sia produttiva per la politica la dimensione dell’ascolto, di quanto sia produttivo riuscire a coinvolgere e avvalersi dei "saperi" che sono connessi, che emergono e sono prodotti dalle tante pratiche sociali. Questa cultura del limite è straordinariamente produttiva per la politica, ma non è stata appresa ancora fino in fondo, molto forte resta quel rapporto col volontariato in funzione di risolvere un problema ma non la capacità di riconoscere pari dignità nel momento in cui si fanno le scelte, si elaborano le politiche, si prendono le decisioni. L’altro volto che il volontariato ha dato alla politica e che Luciano Tavazza ha dato alla politica è la capacità del volontariato di assumersi le sue responsabilità, che è denuncia, capacità profetica nel promuovere e richiedere giustizia sociale ma è anche capacità di proposta: non c’è dubbio che il tanto che dal volontariato è venuto alla politica, per esempio da un percorso come quello del Movi, è la cultura di un nuovo Welfare e il chiaro monito che la politica deve essere sempre al contempo umile e ambiziosa, rispettosa della vita delle persone. Lui aveva un grande rispetto per la politica, aveva un’idea alta della politica; per questo sapeva capire le fatiche della politica: quando io mi soffermavo sulle insufficienze e le cose che restavano da fare da parte sua veniva sempre un enorme incoraggiamento; era una persona che sapeva riconoscere e restituire, una grandissima dote nella vita e nella politica. La cosa più importante dell’insegnamento del volontariato alla politica, su cui Luciano insisteva sempre, è che in questo nostro tempo il volontariato non è qualcosa del passato, occorre sottolineare la modernità del volontariato. Lui cita spesso nel libro Don Luigi Ciotti; riporto un’espressione di Don Ciotti: "Dobbiamo fare in modo che non ci sia più bisogno dei volontari, perché tutti diventiamo dei volontari, nel senso che la gratuità diventa parte della cittadinanza politica, parte della nostra vita individuale e dell’esperienza politica". Questo è il lascito più grande di un percorso del volontariato di cui Luciano Tavazza è stato testimone, un lascito particolarmente significativo e credo che noi dovremmo saperlo prendere in carico proprio in questo momento.
Alecci
Nel far memoria questa sera io faccio memoria anche di un altro grande incontro del gennaio 1998, "Il volontariato nella transizione" a Roma, Domus Mariae. Molti di voi c’erano; c’erano più di venti sigle di organizzazioni di volontariato insieme con il Movi e la Fivol a riflettere su questo meraviglioso ma pressante documento che Tavazza aveva preparato per il ventennale del Movi: "Il volontariato nella transizione". Una serata intera passata con il presidente della Camera, Violante, una serata in cui l’on. Violante ci fece una grande lezione, ma non si trattò di una lezione "dotta": è stato un momento in cui i cinquecento delegati del volontariato insieme con Violante cominciarono a riflettere su quale ruolo doveva avere il volontariato, non quanto volontari e basta, ma come cittadini solidali che si volevano impegnare così come era scritto nella nostra Carta costituzionale. Fu un incontro importante che avvicinò molto la politica dei partiti o dei palazzi e la politica del volontariato. Noi abbiamo ancora bisogno di questo. La parola all’on.Violante.
Luciano Violante
Negli interventi che ci sono stati finora un termine è ricorso con maggiore frequenza ed è quello della gratuità. Perché ritorna così insistentemente questo tema della gratuità? Io credo che ci rendiamo tutti conto di vivere in un contesto di passaggio, di transizione e di essere abbastanza pervasi da un ‘etica che è fondata sullo scambio; la globalizzazione cui faceva riferimento prima Lumia porta con sé una globalizzazione dei mercati, dell’informazione, non di altro ancora purtroppo; porta con sé necessariamente che tutto si può comprare e vendere, c’è persino un sito su internet che insegna a suicidarsi, non si spiega perché. C’è un sovrapporsi di risposte senza che ci siano le domande, ci sono risposte per tutto, ma la difficoltà è trovare la domanda giusta. In questo quadro dell’etica dello scambio a questo si accompagna anche un ‘etica un po’ "situazionista", cioè adesso non si fa quello che si deve fare, ma si decide sulla base delle situazioni che si verificano. E una altro dato che porta con sé questa concezione pervasiva dello scambio è il relativismo. Io credo che quando parliamo di gratuità con riferimento al volontariato, facciamo riferimento anche ad un dato che io ho ritrovato nei discorsi di Tavazza: la funzione pedagogica del volontariato nei confronti di chi fa il volontario. Molto spesso si pensa al volontariato con riferimento soltanto a quelli che stanno fuori, ma dobbiamo riflettere anche su quelli che lo fanno. Questa scelta implica una pedagogia di se stessi, cioè cosa io do gratuitamente? Do il tempo. In una società in cui il tempo ha questo valore pervasivamente monetizzato. Il fatto di dare del tempo significa moltissimo. Nella filosofia greca c’erano due parole diverse per indicare il tempo c’era kairos e kronos: kronos era il tempo che scorre, quello dei mercanti; kairos era il tempo per sé. Ma nella società occidentale contemporanea il kairos si è ridotto a zero ed è quasi tutto kronos, tempo di mercato, tempo di scambio. Allora la gratuità va ad interferire su questo: do una parte del tempo, e quando si comincia a dare una parte del tempo gratuitamente si rifiuta l’etica dello scambio, fare qualcosa perché ne viene qualcos’altro. Io credo che questo per chi fa volontariato abbia una funzione in qualche modo eversiva in senso positivo, perché cambia profondamente il modo di porsi verso gli altri. Chi fa volontariato non si pone infatti in una logica di do ut des. La cosa molto importante nella filosofia di vita di Tavazza, per quello che mi è sembrato di capire conoscendolo e leggendolo, è che il suo modo di porre il volontariato non era né residuale né antagonista, non era confinato nel margine come molto spesso capita, né legittimava se stesso sulla base di un antagonismo rispetto ad altre forme di volontariato o nei confronti della politica e delle istituzioni. Si trattava di trovare uno spazio che non si misurasse né sulla residualità né sull’antagonismo. Da questo punto di vista a me pare che un altro degli aspetti che chi fa volontariato sceglie e comunica è l’esistenza di valori non negoziabili: su molte cose si può cedere, su molte si può contrattare, credo che però ci debba essere un nucleo che ci deve salvare e ciascuno di noi dovrebbe individuare delle cose che non si comprano e non si vendono. E credo la gratuità faccia strettamente riferimento a questo dato: nel momento in cui uno di noi sceglie di dare una parte del suo tempo gratuitamente per qualche cosa ha automaticamente scelto che ci sono dentro di sé dei valori non negoziabili e sulla base di questi valori costruisce un sistema di relazioni basato sulla gratuità. Io vede che c’è un enorme bisogno di educazione all’esercizio dei diritti. Guardate, non è che manchino i diritti, il problema è sapere che esistono. C’è una fascia grande di persone nel nostro Paese che non sa di avere diritti o, se lo sa, non sa come fare ad esercitarli perché la televisione ne ha parlato trenta secondi al telegiornale e poi null’altro. Le famiglie che possono accedere a un contributo del Comune per pagare il fitto di casa: quante di quelle famiglie sanno come si fa ad usufruire di questo? La ragazza madre che può avere un contributo, grazie a Livia, per tirare su il bambino, come fa a sapere come si fa a far questo? Anche nelle moderne democrazie capita che negli stanziamenti di bilancio si fa riferimento al fatto che molti non eserciteranno quel diritto, così il diritto emerso in una giornata parlamentare poi si sommerge e non c’è nessuno che lo tira fuori. Questa è una delle frontiere di oggi, perché tra l’altro quando si comincia ad esercitare un diritto non solo si educa ad un rapporto diverso con la cittadinanza ma con il sistema politico stesso; credo che una parte di questa attività dovrebbe essere dedicata a quei soggetti più deboli in una forma nuova e diversa di intermediazione tra il pubblico e il cittadino, una formula che si basa sul fatto che la politica deve sapere tener fede alle cose che dice. E’ volontariato anche quindi l’educazione all’esercizio dei diritti. La gratuità, i valori non negoziabili, l’educazione che ribalta i processi di sudditanza, poiché nella società contemporanea si manifestano spesso processi di sudditanza, quando tu arrivi a soddisfare un interesse non come un diritto che eserciti autonomamente, ma attraverso un mediatore, che genera sudditanza e non quella crescita e indipendenza di cui parlava Tavazza. Ricordo la sera cui accennava prima anche Alecci, ricordo che Tavazza mi chiese se avessi mai fatto volontariato in vita mia ed io dissi di sì, quando ero appena laureato facevo volontariato con la San Vincenzo nelle carceri; gli raccontai che mi era capitato una volta di restare chiuso in carcere perché era il compleanno di un detenuto: questi aveva fatto il cuoco, così almeno diceva lui sostenendo anche che sapeva rompere le uova con una sola mano; essendo il compleanno aveva deciso di fare una frittata dando dimostrazione delle sue capacità con ben quindici uova. Mentre mangiavamo questa frittata in cella la custodia passò e chiuse la porta; quando finimmo di mangiare la frittata io bussai e la custodia: "Cosa vuoi?"mi chiese, "Voglio uscire!" dissi io. "Qui tutti vogliono uscire!" rispose chiudendo la porta. Ribussai e "Scusi, ma io non c’entro!" , "Qui non c’entra nessuno.." rispose. Bussando per la terza volta chiesi "Voglio parlare col direttore", "Qui tutti vogliono parlare col direttore!" ancora lui. Così dormii la notte in cella. Quando l’indomani si apri la porta la custodia ci contò, ne contò quattro quando dovevano essere solo tre e disse: "Chi non c’entra?" ed io contento subito dissi: "Io!". Mi presi un malrovescio che non finiva mai! Quando raccontai il fatto a Tavazza mi disse: "Questi sono gli inconvenienti del volontariato!" Mi rimase impresso.
Alecci
Può prendere ora la parola chi vuole; comincio col darla a Maurizio Giordano della Fondazione Italiana per il volontariato.
Maurizio Giordano
Nilla ha ringraziato la Fivol per la pubblicazione di questo libro, credo che invece dobbiamo essere noi della Fivol a ringraziare lei per aver voluto pubblicare questo libro e averlo affidato a noi della Fivol insieme con il Movi, Fivol e Movi due delle realizzazioni di Tavazza più importanti. Dopo quello che hanno detto i relatori credo ci sia poco da aggiungere ed io oltretutto sono poco celebrativo, ho paura di cadere nel sentimentalismo e sono contento di una cosa: che la giornata di oggi non è una celebrazione, ma è una giornata di lavoro, abbiamo sentito riflessioni che ci danno lo spunto per continuare a lavorare. Noi Luciano lo abbiamo e lo avremo sempre negli occhi e nella mente, ma proprio per questo dobbiamo vederlo proiettato nel futuro e quindi lavorare cercando di realizzare ciò che ha progettato ma con la consapevolezza di doverlo realizzare adeguandolo ai nuovi tempi, nuovi tempi che negli ultimi otto dieci mesi hanno avuto un’ accelerazione e un deciso cambiamento di direzione. La pubblicazione di questo libro è figlia della collaborazione di due realtà scaturite dalla volontà di Luciano Tavazza, il Movi nel 1978 e la Fivol nel 1991; realtà che sia pure in modo e con ruoli diversi hanno inciso fortemente sul volontariato in Italia; realtà cui si è aggiunta anche la Conferenza dei Presidenti del Volontariato . Certamente noi della Fivol stiamo vivendo una fase di ripensamento, e mi riferisco alla Fivol come consigliere d’amministrazione ma anche come una delle persone con le quali Luciano Tavazza negli ultimi mesi ha prefigurato scenari e coltivato speranze che sono stati modificati negli ultimi due anni. La Fivol sta lentamente uscendo dal tunnel imboccato due anni fa; un tunnel reso più scuro e tortuoso per la perdita di Luciano Tavazza, ma un tunnel che già si annunciava negli ultimi tempi di Luciano e ha reso difficilissima la sua vita e il suo lavoro. Tante le cause: la crisi di crescenza della Fivol dopo dieci anni di attività dalla sua fondazione, il mutato quadro istituzionale ad opera della 266 del 1991, basti pensare ai comitati di gestione, ai centri di servizio che stanno svolgendo attività che inizialmente erano della Fivol, va bene che sia il pubblico con la società ad occuparsene ma questo impone a noi un ripensamento; l’affermarsi del terzo settore come attore della scena politica ed economica; il modificarsi della cultura politica in senso economicistico, lo ricordava prima Don Giovanni Nervo; ma anche tra le modifiche che incidono sulla vita di una fondazione come la Fivol,: le norme sulla fondazione bancaria con il loro diverso peso sulle iniziative da esse stesse promosse e adesso la modifica introdotta con la legge finanziaria rischia di rimettere in discussione tutto quanto. Tutto o gran parte di questo era già emerso con Luciano Tavazza; averlo dovuto affrontare senza di lui ha reso tutto più difficile, più lungo e più incerto. Negli ultimi mesi proprio con lui avevamo concordati alcuni blocchi di attività e di iniziative; un primo blocco , quello culturale di riaffermazione e di riconsiderazione dell’identità del volontariato; e ancora, quello dei rapporti con le istituzioni pubbliche, con il terzo settore, con il mercato; altro blocco sul piano legislativo, la rilettura della 266 cui adesso si è aggiunta con grande forza e preoccupazione la lettura della legge costituzionale 3/2001, lettura che è in corso presso la cabina di regia a palazzo Chigi, la quale ancora non si è data una linea, e presso la Commissione Affari Costituzionali del Senato; un altro blocco era interno alla Fivol e riguardava la riformulazione dello Statuto della Fivol e il suo riposizionamento. Alcune cose siamo riusciti a realizzarle: abbiamo portato a termine la Carta dei valori insieme con il Gruppo Abele, sulla base di un progetto che era partito proprio da Foligno, l’on. Turco lo ricorderà, che ha definito in modo accurato il ruolo del volontario e del volontariato, che si specifica particolarmente in due ruoli: la dimensione attiva, attraverso la gratuita presenza nel quotidiano, la dimensione politica, quale soggetto sociale che partecipa alla rimozione degli ostacoli il che genera una svantaggio, esclusione, degrado e perdita di coesione sociale. Questa prima parte del progetto culturale di Tavazza è stata conclusa,; è stata portata a termine anche la riforma dello Statuto della Fivol ampliandone l’area di intervento e insieme con il Movi nell’ambito dell’Osservatorio del volontariato stiamo elaborando un progetto di riforma della legge 266. Siamo a metà strada e con noi sono a metà strada anche le organizzazione di Terzo Settore ed il Movi sull’approfondimento del tema del volontariato nel Terzo Settore rispetto a possibili e preoccupanti revisioni del Welfare State, ma anche con riferimento alla più ampia area della partecipazione dei cittadini alla vita del Paese. Qui abbiamo sempre parlato di volontariato sociale, ma non dobbiamo dimenticare che se il volontariato è partecipazione civile, è anche azione in tutti i campi che riguardano la vita del territorio e la sfida maggiore che ci attende è quella della coniugazione del trinomio: solidarietà, sussidiarietà, federalismo. La bussola è quella che si è venuta confezionando in tanti anni di impegno e che ha visto in prima fila Luciano Tavazza e con lui tanti, una bussola che vede nel volontariato il soggetto che trova il suo fondamento politico e istituzionale nella stessa Costituzione e quello etico nella giustizia intesa come primo gradino dell’amore e che diviene perciò forza di civilizzazione e operante espressione del dono come scelta libera, ma solo dopo aver adempiuto ai propri doveri di stato e cittadinanza. Se c’è un messaggio che ha lasciato Luciano Tavazza, credo sia questo.
Salvatore Nocera
Credo che questo libro non dovremmo tenerlo solo noi, che siamo stati amici e conoscitori di Luciano, come un caro ricordo, ma dovremmo portarlo in mano ai giovani volontari. E’ un momento pericoloso: come giustamente ha detto Mons. Nervo c’è il rischio della istituzionalizzazione del volontariato e stranamente un strumento che il volontariato ha voluto, quale la legge di riforma dei servizi sociali, potrebbe diventare l’occasione per la istituzionalizzazione di un volontariato che non fosse attento ai problemi della società d’oggi e al valore del volontariato. Mi riferisco specialmente al fatto che nei piani di zona il volontariato è chiamato in prima persona: con la Finanziaria di quest’anno avete notato un enorme rilancio della esternalizzazione dei servizi compresi i servizi alla persona. Ebbene c’è il rischio che un volontariato disattento e non conscio di quello che è stato il suo cammino fino ad oggi possa essere coinvolto e risucchiato nella logica della gestione dei servizi dimenticando quello che è invece il suo dovere fondamentale, quello della tutela dei diritti. Mi permetto di richiamare questo perché è un rischio che dobbiamo assolutamente evitare e questo libro ci può aiutare ad evitarlo. C’è una perversa tendenza a snaturare quello che è autentico nel volontariato. Luciano amava dire a tutti: "Il volontariato deve pensare in grande ed operare in piccolo". In questi giorni ho notato su alcuni giornali il motto di talune imprese del nord-est che dicono invece che per rompere l’accerchiamento della globalizzazione bisogna "Pensare in piccolo, e quindi creare nuovi prodotti, ed operare in grande, quindi lanciarli sul mercato mondiale". Questo capovolgimento dei valori è sintomatico di come il volontariato potrebbe essere risucchiato e il rischio di alcune proposte di legge, anche quella di modifica della 266, in cui si vorrebbe per esempio prevedere come norma ordinaria quella della forfaittizzazione dei rimborsi delle spese ai volontari. In questo senso bisogna dire un grazie al Movi della Campania, dove sono stato proprio ieri ed ho constatato che si sta facendo un lavoro di educazione dei volontari e degli amministratori locali su come va visto il piano di zona e su come in esso si colloca il volontariato, un lavoro di promozione culturale per far sì che ognuno si assuma le proprie responsabilità. Oggi per fortuna viene su questo in aiuto la legge 383/00 sulle associazioni di promozione sociale permette un ulteriore chiarificazione del ruolo del volontariato che non si deve confondere né con le imprese sociali gestite dalle cooperative, né con quelle che eventualmente vogliano gestire le imprese di promozione sociale. Il volontariato deve sempre più tendere ad un lavoro di formazione alla solidarietà, di formazione al rispetto dei ruoli dei diversi agenti del Terzo settore e distinguersi da essi proprio in funzione di una chiarificazione della sua identità.
Edoardo Patriarca
Nilla mi diceva di non fare di questo incontro la serata del ricordo ma di pensare in avanti a partire dall’esperienza di Luciano. Io ho conosciuto Luciano negli anni ’80 quando ero responsabile regionale dell’Agesci; lui stava cominciando a fondare il Movi, stava girovagando per l’Italia con questa valigina, faceva ancora, credo, il dirigente RAI; ha dormito a casa mia, affaticato e pieno di voglia di iniziare questo percorso. Per noi fu importante. Noi l’esperienza del volontariato l’avevamo già nel Dna, lui la fece emergere e la fece diventare un progetto politico e culturale. Allora vorrei esprimere quattro pensieri uscendo un po’ dai ruoli, perché a volte star nei ruoli diventa faticoso, si ha l’obbligo e il dovere della mediazione e di rappresentare e mai la possibilità di parlare a ruota libera. Il primo pensiero che vorrei sollecitarvi è quello di pensare al discorso che faceva l’on.Violante, a non dimenticare ancora una volta il volontariato come una grande scuola di vita, una grande scuola di cittadinanza, una scuola dove non si enunciano soltanto i valori, io sono molto stanco di sentire le dichiarazioni sui valori, una scuola in cui invece i valori vengono declinati in virtù, in possibilità, in stili di vita, coerenti. Quanta gente fa solidarietà e vive vite improbabili, incoerenti? Eppure sono bravi. Allora recuperiamo questa grande dimensione: l’esperienza del volontariato vicino agli ultimi e ai poveri ma non solo a loro, diventa educazione a coniugare i valori che dichiariamo in prassi, in virtù e stili di vita. La seconda nota che vorrei fare è essere attenti ai percorsi profondi che attraversano la nostra società. Vedo un volontariato troppo preso a definire la propria identità, troppo preoccupato a definire i quadri legislativi, e poco attento a leggere i percorsi profondi che stanno accadendo nella società, che non sono quelli di vent’anni fa: tenete presente che la nostra è una società di ricchi, siamo uno dei sette Paesi più ricchi e più potenti di questo pianeta, non siamo i poveri. E questo sta cambiando i percorsi: stiamo diventando una società molto statunitense, molto individualistica. Allora credo che questi percorsi vanno un po’ presi in mano, vanno letti e vanno in qualche maniera contrastati, con coraggio e senza lamentarsi troppo. Terza notazione è quella di credere ancora nella politica che non è la politica del fare, del quotidiano, dell’essere indaffarati a sistemare di volta in volta le piccole cose che accadono, ma quella politica che vuole pensare alla grande, è una politica che si può fare. Allora quel richiamo che fa Luciano parecchie volte nel libro per riprendere in mano la politica si riferisce non alla politica del fare, ma alla politica del progettare, è la politica del sentire che c’è una causa su cui vale la pena perdere il proprio tempo, la propria vita. Il volontariato deve stare sulla "concretezza", sui problemi della gente, ma non dimenticando che c’è un’idea di società in cui crediamo, che non ci piace quest’andazzo individualistico, che ci piace l’idea di una società comunitaria, che ci piace un Welfare non individualistico. Infine, un ultimo pensiero per il volontariato che diventi un luogo fecondo, un presidio rispetto a questo tema che stiamo sviluppando, quello del Terzo Settore, nei confronti del quale il volontariato deve diventare un grande vigile anche perché il Terzo Settore italiano non perda la sua anima. Il Terzo Settore che tutti vogliamo è attento alla solidarietà, attento alla cittadinanza, alla politica, presente sul territorio.
Alecci
Prima della chiusura di Nilla Manzi, vorrei dire ancora che due impegni prendo come Presidente del Movi: il primo, quello di riaprire una grande scuola di formazione per il volontariato, il secondo, quello di riflettere sugli stessi argomenti che ci hanno impegnato oggi, ma con una grande autoconvocazione del volontariato nazionale.
Manzi
Ringrazio sentitamente tutti ed in modo particolare Mons. Nervo, per lo stimolo così forte che sempre dà, la nostra cara Livia Turco, l’on.Violante, il nostro Beppe Lumia e tutti quanti sono voluti intervenire. Arrivederci allora, per continuare il discorso, per andare avanti, per cercare di non mollare gli ideali che ci hanno portato fino ad oggi; approvo quanto ha detto Alecci circa un prossimo incontro in una convention più grande prima ancora della Conferenza Nazionale del Volontariato; occorre, infatti, che prima ci ascoltiamo fra di noi e poi andiamo per proporre e dire: "Questi siamo, questo vogliamo e proponiamo" con una identità forte. Grazie ancora a tutti. |
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