L'Integrazione scolastica ha compiuto trent'anni
Quattro parole chiave per fare "qualità"

di Mario Tortello

Relazione svolta al Seminario
"Obbligo di istruzione e obbligo di formazione.
Quali saperi e quali risorse per gli allievi in situazione di handicap"
Torino, 14 ottobre 2000

 

Proviamo a richiamare, in questa sede, alcune parole chiave, che a nostro avviso possono rappresentare un percorso di lettura della stessa normativa sull'integrazione, in un altro lavoro (1), abbiamo sostenuto che una integrazione scolastica di qualità può costruirsi, fra l'altro, intorno a questi quattro concetti: la necessità di "Riprendersi la Pedagogia"; l'opportunità di operare tenendo costantemente presente lo slogan "Pensami adulto"; la considerazione che è utile, forse indispensabile, "Partecipare per apprendere"; l'esigenza di tenere nel debito conto anche la "Pedagogia dei genitori".

Vediamo sinergie con parole vissute o scritte da tanti altri operatori e autori e tentiamo di individuare qualche nesso.

1. RIPRENDIAMOCI LA PEDAGOGIA

Non può essere mai esaustiva una lettura leguleia della norma, in questa sede, stiamo parlando di diritto all'educazione e all'istruzione, in scuole inclusive; non di riabilitazione o di rieducazione funzionale. Un esempio: l'art.12, comma 5, della Legge 104/92, prevede che il profilo Dinamico - Funzionale necessario per formulare il Piano Educativo Individualizzato, ponga in rilievo, fra l'altro, "le capacità possedute (dal soggetto), che devono essere sostenute, sollecitate e progressivamente rafforzate e sviluppate nel rispetto delle scelte culturali della persona handicappata"

Si tratta di un'ottica ben diversa da quella suggerita dal successivo D.P.R. 24 febbraio 1994, "Atto di indirizzo e coordinamento relativo ai compiti delle Unità Sanitarie Locali in materia di alunni portatori di handicap", che all'art. 5, comma 4, prevede un piano educativo correlato, nell'ordine. Alle disabilità dell'alunno stesso; alle conseguenti difficoltà; e solo in terza battuta, alle potenzialità "comunque disponibili".

Il discorso si riallaccia a chi, come Meirieu (2), invita a distinguere le due prospettive secondo cui si può considerare l'educando (individuo da trattare, oppure persona da interpellare) e ad intrecciarle con due concezioni dell'educando stesso(soggetto già costituito, oppure soggetto in formazione). In altre parole, il "momento educativo" nasce quando si percepisce le resistenza dell'educando di fronte a progetti, obiettivi e volontà dell'educatore. Incalza Perreley: "La riflessione pedagogica si sviluppa proprio quando si decide di non mettere da parte tale resistenza, negandola o sopraffacendola, bensì accettandola e cercando di sviluppare un vero e proprio lavoro formativo che dirige l'attenzione e l'interesse verso situazioni e soggetti concreti e le loro resistenze"(3).

"Riprendiamoci la Pedagogia" sta a sottolineare la necessità di una attenzione peculiare all'asse educativo, prima ancora che ai necessari coinvolgimenti dell'ambito medico-clinico. Non si vuole qui negare ideologicamente l'esistenza di aspetti patologici;semmai pretendere che all'individuo in situazione di handicap venga assicurato anzitutto ciò che gli spetta in quanto persona, per poi provvedere a bisogni particolari, per i quali la risposta non dovrebbe mai essere totalizzante e emarginante.

2. PENSAMI ADULTO

Diventa sempre più necessario passare dal "Piano Educativo Individualizzato" a un vero e proprio "progetto di vita" per adulti e minori in situazione di handicap che frequentano sezioni e classi comuni della scuola normale di ogni ordine e grado. Prospettiva sempre più presente nei servizi, non immune da rischi e pratiche contraddizioni. Non si progetta "su" o "per", si progetta "con". Inoltre, la crescita personale è sempre legata a un corretto equilibrio nell'attivazione di "codici affettivi" e di "codici prescrittivi". Si cresce perché si sa di essere amati, d'avere legami con qualcuno, d'essere accettati per quelli che si è; ma lo sviluppo passa anche (e soprattutto) attraverso prescrizioni finalizzate ad apprendere un ruolo via via crescente, in famiglia, a scuola, nella società….

Un minore, un ragazzo, un giovane in situazione di handicap cresce nella misura in cui non rimane pensato e agito come "eterno bambino", cresce in relazione a come, in famiglia e altrove, lo si aiuta progressivamente ad assumere quei micro-ruoli familiari o sociali che stanno alla base della successiva assunzione di macro-responsabilità, sia pure rapportate alla presenza di un deficit e delle compromissioni che ciò può comportare (ma sapendo che è possibile annullare l'handicap).

C'è una riflessione indispensabile nei nostri variegati percorsi formativi, tutti noi operatori, indipendentemente dalla professionalità e dalla collocazione lavorativa, abbiamo appreso l'importanza di concetti fondamentali come quelli di "contenimento" e di "réverie" (capacità di sognare). Perché, ora, facciamo spesso ricorso solo al primo, relegandone per giunta l'attuazione a dimensioni restrittive, mentre scordiamo frequentemente il secondo, non offrendo alle creature sostegni concreti alla ricerca legata alla "capacità di sognare"?

3. PARTECIPARE PER APPRENDERE

Obiettivo ultimo di ogni intervento educativo è l'apprendimento di un compito, attraverso l'assunzione di conoscenze e di competenze, nell'ambito dell'esperienza quotidiana.

Ma l'obiettivo di fondo di ogni intervento educativo dovrebbe essere quello di permettere a ciascuna creatura (specie se in "formazione") di partecipare alla "cultura dei compiti" e delle discipline, partecipare per…. Apprendere. Giustamente è stato sottolineato che "nella scuola (di tutti e di ciascuno) si gioca l'incontro tra molteplici esperienze individuali orientate su un oggetto comune: l'elaborazione culturale del sapere […..]. Se restiamo ancorati all'idea che la vera esperienza sia un'altra, ci condanniamo a pensare che a scuola non serve nulla, perché racconta un mondo senza alcuna analogia con quello che ci aspetta quando ne usciamo" (4).

Ripetiamo. L'alunno in situazione di handicap deve essere costantemente condotto a percepire che i"compiti" della classe non sono a lui totalmente estranei e che hanno queste caratteristiche: esistono, sono risolvibili, possono essere appresi a diversi livelli, possono essere partecipati. Mentre la classe lavora a un compito specifico, l'allievo handicappato non dovrebbe essere estraniato, ma partecipare per quanto possibile allo stesso compito, in forme adattate e7o ridotte, che rientrano nella cultura caratterizzante tale compito specifico.

Si rivedano, nella normativa vigente, tutte quelle indicazioni legate alla necessità di passare dall'insegnamento all'integrazione, da una analisi quantitativa del fenomeno dell'integrazione scolastica a una analisi qualitativa, dal mero inserimento nelle sezioni e classi comuni a una integrazione di qualità. Vi si troverà più di un nesso con le considerazioni così esposte.

4. PEDAGOGIA DEI GENITORI

Scrive Bronfenbrenner: "E' di importanza cruciale che la famiglia sia inclusa nelle reti di comunicazione […..]. Il potenziale evolutivo delle situazioni ambientali risulta incrementato nella misura in cui le modalità di comunicazione tra di esse sono di tipo personale" (5). I genitori sono spesso una grande risorsa non sfruttata da chi lavora con persone in situazione di handicap. Eppure, esistono ragioni che raccomandano tale collaborazione, condizioni sperimentate per condividere fini comuni, potere decisionale e sentimenti, modalità collaudate per realizzarla.

Purtroppo, non tutti gli operatori insistono sulla necessità di un proficuo rapporto tra scuola e famiglia, ma si tratta di una dimensione tutt'altro che secondaria, che può portare grandi vantaggi alla crescita di tutti e di ciascuno, a partire dalla possibilità per operatori e familiari di riconoscere reciprocamente una necessaria composizione dei rispettivi punti di vista educativi.

Cosa aggiungere? Augurare buona fortuna all'integrazione scolastica nella nuova scuola dell'autonomia per dare continuità a una esperienza pluridecennale che tanta parte ha avuto anche per la coeducazione delle nuove generazioni. Con l'auspicio che la grande stagione di riforme in atto (nel sistema formativo nazionale, ma anche nelle istituzioni) possa rilanciare gli interventi "inclusivi", sostenere solidamente l'opera di chi continua a credere nella necessità d'operare per l'integrazione piena di tutti i cittadini nella vita sociale e assicurare nel quotidiano il suo impegno in tale direzione.

Sergio Neri ci ha passato il testimone:"Dobbiamo andare avanti noi, che ne siamo convinti…"

Dobbiamo muovere altri passi. Importanti.


 

Note:

(1) Tortello M. (2001) (a cura di), Handicap e scuola. Vademecum per gli insegnanti di classe, La scuola, Brescia

(2) Meirieu P. (1995). La pedagogie entre le faire et le dire, Esf.Paris, pag.133

(3) Pellerey M. (1999), Educare, manuale di pedagogia come scienza pratico-progettuale, Las, Roma, pp. 42 e segg.

(4) Salomone I. (1997), Il setting pedagogico,Nis,Roma,pp.105-106.

(5) citato in: Pavone M. (2001), educare nelle diversità. La Scuola, Brescia, p. 212. Si veda, inoltre tortello. Pavone M.(1999), Pedagogia dei genitori, Paravia -Torino.