RELAZIONE DI LIVIA TURCO
MINISTRA PER LA SOLIDARIETA' SOCIALECare amiche ed amici,
sono molto felice di aprire i lavori di questa III Conferenza del Volontariato avendo accanto a me Rosa Russo Iervolino. A lei va il saluto e l’applauso affettuoso di noi tutti. Rosa è innanzitutto, per me, una cara amica. Voi più di tutti avete avuto modo di conoscerla e di apprezzarla per essere stata l’autrice della legge 266 che ha segnato uno spartiacque nel rapporto tra volontariato e istituzioni e per essere stata promotrice della I Conferenza del Volontariato. Più in generale per aver animato quella importante stagione per le politiche sociali che ha visto la nascita di leggi importanti, come la legge 104 per l’integrazione delle persone disabili; per essere rimasta profondamente legata al volontariato quando ha affrontato temi scottanti come l'immigrazione.
Voglio utilizzare questa occasione per stipulare con lei, davanti a voi, un patto di ferro: lavorare insieme producendo forti sinergie, sui temi dell’immigrazione, dell’infanzia, della difesa dei più deboli. Su un tema in particolare, Rosa, ti propongo di impegnarci insieme fortemente - e so che tu sarai d’accordo: nel cercare di colpire quel fenomeno infame che è la tratta delle donne e la prostituzione forzata, per dare una mano ad alcune di quelle donne e aiutarle a ritrovare la loro libertà e dignità. Sappiamo entrambe che su temi come questi possiamo contare sulle proposte e sull’azione del volontariato.
Voglio poi dire grazie alla Regione Umbria, e in particolare all’assessore Marina Sereni, grazie al Sindaco di questa città, per aver reso possibile questo appuntamento.
Care amiche, cari amici
grazie a voi per essere qui,
per aver accettato di partecipare ai lavori di questa III Conferenza Nazionale del Volontariato.
Si tratta di un appuntamento, previsto dalla legge 266, che è diventato importante sia per il mondo del volontariato che per il Governo e le istituzioni.
Questa III Conferenza riveste un significato particolare: perché si colloca in un momento di crescita e trasformazione del volontariato, anzi dei volontariati; perché al volontariato la società e le istituzioni rivolgono attenzioni e domande sempre più impegnative; perché la nostra società ed il nostro mondo sono attraversati da problemi duri e difficili.
Voglio ringraziare i componenti dell’Osservatorio del Volontariato che di fatto hanno diretto e gestito la preparazione della Conferenza avvalendosi della costante, tenace e competente regia di Lea Battistoni e del suo Ufficio.
Voglio esprimere qui il mio particolare apprezzamento per il Documento di base della Conferenza, per la scelta di tenere le conferenze regionali, per il 1° Rapporto sul volontariato ed i contributi di analisi e riflessione che ci sono pervenuti.
Care amiche ed amici, grazie per ciò che siete e ciò che fate ogni giorno. Voi rappresentate quei tre milioni e seicentomila cittadini, il 7,3% della popolazione italiana, che dedicano molto, o anche solo un poco, del proprio tempo agli altri. Siete donne e uomini che mettono a disposizione degli altri la loro umanità attraverso un lavoro concreto.
Quel lavoro di cura e presa in carico dell’altro che non solo ha aiutato tantissime persone a vivere meglio o a ritrovare il senso della vita, ma che si sta anche rivelando un prezioso contributo per rafforzare la coesione sociale e trasformare la nostra società.
Cura e presa in carico dell’altro, le categorie fondative del vostro essere e del vostro agire, mostrano di essere sempre di più categorie preziose per far crescere un etica pubblica condivisa ed una responsabilità pubblica verso la promozione della giustizia dell'inclusione sociale.
Se non ci fosse il volontariato il nostro Paese sarebbe più ingiusto e più inefficiente.
Abbiamo imparato ad incontrare i volontari e le volontarie nei momenti di tragedia del nostro Paese. Quando c’è il terremoto, come quello che ha colpito questa bellissima Regione o quando la frantumazione della montagna travolge, come a Sarno, la gente, le case, la vita quotidiana di uomini e donne.
Sono stati i volontari a capire prima di tutti, prima dei governi, il dramma della Bosnia e sono stati loro a partire per primi, a rischio della loro vita. Li abbiamo visti accanto agli albanesi, ai kossovari ed ai curdi sbarcati sulle nostre coste. Ci siamo abituati ad incontrare i volontari nelle incombenze, nelle difficoltà e nelle sofferenze della vita di tutti i giorni.
Il volontariato è cresciuto in questi ultimi anni, si è arricchito di esperienze e di conoscenze, ha acquistato sempre più importanza.
Penso che compito fondamentale di questa Conferenza sia fare un bilancio di questa crescita, fissare il senso della sua evoluzione e definire insieme il tragitto futuro.
Il documento preparatorio di questa Conferenza ed il I° Rapporto, costituiscono a tal fine uno strumento prezioso.
Da molti anni ormai il volontariato pratica una duplice dimensione:
caritativa e politica. Vale a dire: aiuta chi ne ha bisogno, ma insieme si impegna a mutare le situazioni che generano il bisogno e la povertà.
In questo percorso il volontariato si è diffuso, differenziato, impegnato in nuovi campi. Per questo, perché riconoscere le differenze è opera di verità che aiuta il dialogo, è utile ricorrere alle distinzioni e parlare al plurale, di volontariati.
Bisogna infatti distinguere tra:
- i volontari e le organizzazioni di volontariato;
- le organizzazioni a prevalenza di volontariato e il volontariato che agisce nelle organizzazioni del III° settore;
- i gruppi informali che agiscono a livello di quartiere e le piccole comunità (che, non bisogna dimenticare, costituiscono il 40% delle associazioni di volontariato) e le associazioni volontarie e le organizzazioni di volontariato iscritte ad albi e registri pubblici che spesso si coordinano in rete.
In questi anni i volontari non solo hanno consolidato la loro funzione di soggetti attivi e promotori della cittadinanza, ma si sono cimentati m nuove sfide.
Volontari ed associazioni di volontariato sono diventati i partner di attività del no-profit e dell’impresa sociale. Questa scelta ha consentito a volontari ed organizzazioni di volontariato di diventare attori dello sviluppo economico e sociale. Essi hanno svolto l’importante funzione di rappresentare nuovi bisogni e sono riusciti a trasformare alcune fasce di cittadini assistiti e marginali in produttori di servizi. attivando altresì modalità innovative di gestione degli stessi.
L’azione volontaria, inoltre, si è dislocata su nuovi terreni, tante volte trascurati e lasciati fuori dagli stessi registri regionali, come l’azione di tutela dei diritti umani. sociali e politici, l’azione di promozione della partecipazione soprattutto attraverso iniziative di sostegno alla formazione e all’educazione permanente, l’azione di controllo sull’operato dei soggetti pubblici, l’azione di sensibilizzazione civica. etc.
Tante associazioni ed organizzazioni, abbiamo detto, scelgono il rapporto con le istituzioni, si mettono in rete, ma tante altre scelgono un lavoro informale e sommerso.
Si tratta allora di individuare, al di là delle leggi esistenti, una modalità di rapporto con tutto questo mondo informale che ha scarsa visibilità e contrattualità, ma che esprime una grande ricchezza di impegno e contenuti.
Io credo che i nodi che il volontariato deve sciogliere siano soprattutto questi:
-se e come continuare a essere parte dell’economia sociale e del no-profit;
-come riconoscere la pluralità dei campi di intervento e individuare quelli che nel futuro saranno strategici per rendere più efficace il proprio impegno;
-come costruire reti nazionali e insieme dialogare ed essere di sostegno all’azione micro, informale, sommersa, che tale vuole rimanere.
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Crescente è poi il ruolo che il volontariato ed il no-profit hanno assunto nella politica, diventando punto di riferimento e interlocutori nelle scelte sociali fondamentali.
Non a caso molti politici e parlamentari si sono impegnati nell’azione legislativa per realizzare normative in sostegno a tutto il mondo no profit.
In questa direzione, consentitemi di ricordarlo qui, si è adoperato significativamente il Governo Prodi, con un particolare impegno personale del suo Presidente nel promuovere prassi efficaci di riconoscimento ed interlocuzione e nel realizzare provvedimenti a sostegno del no-profit. Come, del resto, indica chiaramente la legge finanziaria che sta per essere approvata.
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In questo contesto, ed al di là delle differenze ed articolazioni, ci chiediamo oggi insieme quale debba essere la direzione di marcia che si profila più proficua e produttiva per il volontariato.
Io, che da molto tempo - come sapete- mantengo stretti rapporti con tutti voi e che mi sento partecipe dei vostri progetti e dei vostri problemi, penso che il modo più efficace per discutere le prospettive del volontariato, la valorizzazione della sua originale peculiarità, sia quello di riflettere sulle responsabilità che stanno oggi di fronte alla democrazia. intesa come istituzioni, soggetti politici e soggetti sociali.
In questa fine secolo, alle soglie del 2000, torna prepotentemente in primo piano come problema di fondo della democrazia quello della GIUSTIZIA SOCIALE e della INCLUSIONE.
Dopo gli anni segnati da un clima culturale che affidava la soluzione di ogni problema al trionfo del Mercato; che negava qualsiasi funzione allo Stato, sostenendo il primato dell’individuo avulso dal contesto sociale - (disoccupazione, diffusione della povertà, rischio di esclusione per un’intera generazione, penosa ineguaglianza tra le varie parti del mondo) - oggi tornano in modo perentorio al centro dell’attenzione i problemi dello sviluppo, dell’equità, dell’inclusione.
E si palesa, in modo altrettanto chiaro, che la soluzione di questi problemi è strettamente connessa ad altri nodi di fondo del nostro tempo: l’efficacia della politica e l’adeguatezza delle istituzioni democratiche; la crisi dello Stato-Nazione; il bisogno di strumenti di regolazione sovranazionale.
In Italia, la questione sociale oggi ha al centro il tema della coesione sociale e nazionale e dell’equità e solidarietà tra le generazioni. Infatti: mezzogiorno, giovani, famiglie, sono le emergenze cui deve far fronte il sistema di protezione sociale e a cui devono rispondere le politiche per lo sviluppo ed il lavoro.
Inoltre, qui da noi, questione sociale e questione democratica sono strettamente connesse.
Sappiamo tutti, infatti, che c’è bisogno di stabilità politica di maggiore rapidità ed efficacia delle decisioni politiche, di una rinnovata amicizia tra cittadini ed istituzioni.
La lunga transizione democratica deve trovare finalmente un approdo, un punto conclusivo.
Per questo anche il no-profit aveva guardato con attenzione ai lavori della Commissione Bicamerale.
Bisogna riformare le istituzioni per rendere più efficace la loro azione (e per efficacia intendo soprattutto la capacità di rispettare i tempi di vita delle persone); per renderle più accessibili, più trasparenti, più accoglienti.
C’è bisogno che la politica - quella delle istituzioni, ma anche quella dei partiti che sono il grande soggetto della democrazia - ricostruisca un legame diretto con la vita delle persone, ritrovi un suo radicamento nella società.
Efficacia e senso della politica: ecco i due corni del dilemma. Che deve essere risolto - sapendo che il tempo per questa soluzione è già drammaticamente scaduto.
Dunque, se questo è lo scenario, il ruolo e la prospettiva del volontariato si evince in modo chiaro e forte. Lo dico sommessamente, perché non sta certo a me suggerirvi cosa fare. Ma lo dico sentendomi parte del vostro dibattito.
Il volontariato, anzitutto deve essere se stesso e difendere gelosamente la prerogativa principale della sua identità, essere cioè: AZIONE GRATUITA PER L’ALTRO.
A partire da qui, da questo suo luogo d’origine esso può e deve diventare uno dei soggetti che partecipa alla tessitura di quella RESPONSABILITA’ PUBBLICA nei confronti della giustizia e della inclusione sociale.
E per responsabilità pubblica intendo responsabilità delle istituzioni e delle istanze della decisione politica nei confronti della promozione della giustizia e dell’inclusione sociale.
Ma tale responsabilità pubblica per dispiegarsi ha bisogno di altri contributi quali:
1. l’attivazione di tutti i soggetti della vita democratica per costruire un discorso pubblico e politico su come promuovere oggi la giustizia e l’inclusione sociale e su come rifondare il nesso tra benessere individuale e benessere collettivo;
2. la tessitura di relazioni umane e legami sociali significativi per rispondere alle domande di senso e costruire una responsabilità di ciascuno verso il bene comune e verso gli altri.
Non c’è infatti responsabilità pubblica senza un’etica pubblica. Senza, cioè, la crescita di colui e colei che voi chiamate «l’uomo (la donna) solidale».
Il volontariato può quindi, e deve, partecipare, a partire da se stesso, a definire questa RESPONSABILITA’ PUBBLICA nella promozione della giustizia e della inclusione sociale, lavorando su un duplice terreno:
1. quello della costruzione di legami sociali significativi attraverso la pratica concreta della presa in carico dell’altro;
2. quello dell’elaborazione di un discorso pubblico, che investa il mondo della cultura della politica e dei mass media per la promozione della giustizia e della inclusione sociale. Un discorso che sappia motivare la necessità della riforma della politica, promuovendo azioni coerenti.
Ciò significa che il volontariato, per esprimere tutta la valenza politica che è contenuta nel suo agire concreto per l’altro, deve trarre da quell’ambito - «la relazione con l’altro» - le idee per ingombrare le istituzioni ed incidere nell’agenda politica.
Deve attrezzarsi per un doppio movimento:
-il massimo di immersione nella privatezza, nella vita di questa e "quella" persona
-ed il massimo di visibilità perché la sofferenza e l’umanità di "questa" e "quella" persona abbiano senso, trovino ascolto, trovino spazio nell’agenda politica.
Ecco allora che le istituzioni devono avere con il volontariato un rapporto che non si riduca alla stipula di convenzioni per la gestione dei servizi, ma che sia invece rivolto al riconoscimento della sua peculiare soggettività politica per elaborare alla pari sedendo allo stesso tavolo, strategie e proposte politiche.
Per questo il volontariato deve essere riconosciuto come partner delle istituzioni nell’azione di programmazione delle scelte e nella gestione dei progetti. Questo è il passaggio che fino in fondo dobbiamo compiere.
Un passaggio estremamente impegnativo sia per le istituzioni che per il volontariato stesso Ma che può portare eccellenti risultati, come dimostrano alcune esperienze in corso, come la gestione della legge 285 sull’infanzia.
Perché questo salto di qualità avvenga, le istituzioni devono imparare a praticare una cultura del limite e dell’ascolto e dotarsi di una strumentazione per la promozione delle decisioni che sia agile, trasparente, partecipata e capace di misurarsi con i nuovi soggetti della concertazione.
Questo passaggio chiede alle associazioni di volontariato di essere al contempo più radicate, più autentiche e più capaci di produrre relazioni tra di loro, mediazioni e sintesi.
Più radicate nel territorio, ma anche in grado di costruire RETI NAZIONALI. Più autentiche e attaccate alle proprie esperienze, ma anche disponibili alla FORMAZIONE, alla INNOVAZIONE, ad USARE i nuovi linguaggi informatici e tecnologici.
La chiarezza dei problemi che sono sul tappeto, aiuta anche, io credo, a comporre in avanti il dibattito che c’è stato in questi anni nel volontariato e nel 30 settore. Un dibattito difficile ed importante volto a definire di quale natura dovesse essere il rapporto tra il volontariato ed il 30 settore. Un dibattito che ho seguito da vicino e che mi ha molto coinvolto. Vi dico cosa ne penso.
Se è vero che il compito che sta di fronte a tutti, compreso il volontariato ed il 3° settore, è misurarsi con la questione della giustizia e della inclusione sociale come questioni di fondo della nostra democrazia in questa fine secolo, allora ciò che è essenziale è avere chiara e rendere vigorosa la radice comune, la comune ragion d’essere. che unisce il volontariato ed il 3° settore, senza la quale non solo il volontariato non è volontariato ma neanche la cooperativa sociale è sociale.
E questa comune radice è la presa in carico dell’altro, è la produzione di socialità intesa come legami sociali e come produzione di beni e servizi che elevino la qualità della vita. Il problema è allora dare linfa a questa comune radice. Solo a partire da qui è possibile, da un lato valorizzare le peculiarità del volontariato e del Terzo settore. E, dall’altro, non temere di costruire sinergie. Se questa comune radice non è percepita come tale, se essa non è rigogliosa, il volontariato rifluisce su se stesso ed il no profit diventa un business come tanti altri.
Vorrei dirvi le ragioni della mia insistenza su questo punto.
Solidarietà, cura, presa in carico dell’altro, non sono solo atteggiamenti morali che ispirano il comportamento concreto dei singoli, ma sono anche categorie politiche che concorrono a riformulare la strategia della cittadinanza.
Quella che non si limita a riconoscere i diritti di ciascuna persona, ma assume come punto di riferimento per la declinazione dei diritti la concezione dell’uomo relazionale della persona che riconosce come parte della sua autonomia e libertà il bisogno dell’altro. L'uomo e la donna che diventano consapevoli che per vivere bene la propria vita è essenziale riconoscere che ciascuno di noi ha bisogno degli altri e dunque deve imparare a vivere relazioni improntate sulla reciprocità, lo scambio, il dono, l’apertura all’altro.
Insomma, la figura del volontario che siede accanto o sorregge con un braccio un’altra persona è la metafora del cittadino/a del 2000.
Per trasformare questa immagine in una strategia pubblica delle cittadinanza, bisogna anzitutto mettere al centro l’attivazione dei soggetti per tessere una trama forte di relazioni comunitarie, di legami sociali e promuovere una responsabilità individuale verso il bene comune.
Significa altresì che le politiche pubbliche devono essere orientate non solo a soddisfare bisogni, ma a produrre contesti relazionali e comunitari significativi a valorizzare le reti di mutuo aiuto, ad offrire ‘o opportunità formative, informative e di sostegno alle relazioni, siano esse relazioni familiari, tra i sessi, tra le generazioni.
Mettere al centro di una strategia della cittadinanza, e dunque di una strategia pubblica, il favorire le relazioni umane e le reti comunitarie significa altresì intervenire su questioni molto concrete come il modo di organizzare i servizi, il modo di concepire e praticare la professionalità degli operatori sociali, di valorizzare la cooperazione tra le diverse competenze, di sollecitare un atteggiamento attivo, creativo e partecipato da parte degli utenti e dei destinatari dei servizi.
Ho trovato molto interessante ed utile la riflessione contenuta nel Rapporto sul concetto di gratuità.
"Essa è qualità morale, valore culturale, responsabilità verso se stessi e verso gli altri; è pratica educativa che scava nelle radici di una persona, la pone di fronte alle sue verità più profonde ed intime. E’ elemento essenziale dell’azione del volontariato.
E’ allenamento costante che unisce la volontà alle sensibilità, l’intelligenza ai sentimenti.
La cosa tra le più ardue ma tra le più qualificanti è di non produrre dipendenze materiali, psicologiche, morali, di non imbrigliare gli altri nelle prestazioni che si offrono. In sostanza la gratuità va intesa come condizione, come mezzo, come stile di vita di chi fa il volontariato, ma il fine consiste nella crescita e nell’autonomia dei destinatari dei servizi e delle iniziative svolte dal volontariato sociale"
Il volontariato per la coesione sociale e la riforma del welfare. questo è il tema forte di questa Conferenza.
Allora, chiediamoci, di quale stato sociale c’è bisogno nel nostro paese, e soprattutto, quali sono le scelte concrete che dobbiamo compiere?
"Il nostro è stato definito un modello di stato sociale lavoristico-categoriale che ha protetto anzitutto le categorie forti del lavoro dipendente a partire dal duplice assunto che questa condizione si sarebbe progressivamente estesa alla maggioranza della popolazione maschile, oltre che a una quota di quella femminile, e che i lavoratori così protetti avrebbero potuto a loro volta essere una garanzia per coloro che erano fuori dal mercato del lavoro: loro stessi una volta pensionati ma anche mogli e figli" (Chiara Saraceno)
L’analisi è inequivocabile e già contiene la necessità della riforma. Ma non siamo certo all’anno zero delle riforme. Nel nostro Paese si è svolto un approfondito dibattito da cui ha preso l’avvio un processo riformatore imperniato su alcune idee forza quali l’equità tra le generazioni e l’inclusione di nuovi soggetti nella cittadinanza sociale. Infatti, ciò che è particolarmente iniquo del nostro sistema di welfare è la composizione della spesa sociale che penalizza fortemente le famiglie e dunque trascura i bambini ed i giovani. Basti pensare che oggi per le prestazioni familiari si investe il 3,4% della spesa sociale complessiva, mentre per le pensioni il 69,6 %.
Aumentano i rischi di povertà; anche in gruppi sociali che prima erano protetti. La vulnerabilità dei soggetti non dipende da una sola causa e alle figure tradizionali della povertà, (gli anziani soli, le famiglie numerose monoreddito) si aggiungono donne sole con figli a carico, giovani con lavori precari, disabili, tossicodipendenti, ex detenuti. I fattori che determinano l’esposizione al rischio di povertà sono: la mancanza di lavoro; la mancanza di tutela delle diverse forme di lavoro, dei lavori; il carico delle responsabilità familiari sempre più oneroso con le lunghe dipendenze dei figli e la presenza di anziani non autosufficienti; biografie individuali e familiari fragili e problematiche.
Lavoro, sostegno al reddito, accesso ai servizi, formazione ed informazione, reti comunitarie: sono queste le risorse strategiche per contrastare l’esclusione sociale.
Ed è appunto su queste direttrici che si è avviato un processo riformatore.
Le politiche per la famiglia (+5000 Mld nel periodo del Governo Prodi), l’istituzione del Fondo per le politiche sociali che ha portato da 350 e 2800 Mld le risorse per le leggi sociali, le politiche per l’infanzia, la sperimentazione del RMI, gli interventi a sostegno delle famiglie e dei ceti più deboli presenti nell’ultima finanziaria, i provvedimenti per il no-profit, la legge sull’immigrazione, il decentramento amministrativo sono tasselli di un mosaico importante.
Il volontariato, in merito alla riforma del welfare ha già detto parole importanti.
Welfare locale, comunitario, basato su interventi personalizzati capaci di valorizzare i talenti di ciascuna persona, di sollecitare ciascuna persona, a partire da quelle più fragili in un atteggiamento attivo teso all’acquisizione dell’autonomia: sono parole e concetti già entrati nel lessico politico grazie all’elaborazione del volontariato.
L’efficacia e la qualità degli interventi non è data solo dalle leggi e dalle risorse a disposizione, ma anche dalle strategie organizzative dei servizi, dal modo di esercitare la professionalità. C’è un punto molto rilevante, sempre sollevato dal volontariato, quello della Pubblica Amministrazione.
Si tratta di utilizzare tutte le opportunità offerte dalle riforme nel campo della Pubblica amministrazione e di affrontare in modo particolare il problema della definizione di regole nella relazione di AFFIDAMENTO di beni e servizi di rilevanza pubblica. Proprio su questo punto è al lavoro una Commissione presso il Dipartimento per gli Affari sociali che ha il compito di avanzare precise proposte.
Ora dobbiamo accelerare e chiudere questo processo riformatore.
Le politiche sociali. al pari delle riforme economiche ed istituzionali devono essere al centro dell’agenda politica dei prossimi mesi. Questo è il messaggio forte che questa Conferenza può mandare a tutto il mondo politico e sociale.
Concludere questa fase del processo riformatore significa, allora, almeno tre cose:
1. gestire bene le leggi approvate, come le leggi sul decentramento amministrativo, quella sull’infanzia, sull’immigrazione, sull’autonomia scolastica, sulla sanità, sull’obiezione di coscienza, la legge delega delle ONLUS, l’infanzia, la sperimentazione del RMI, gli interventi a sostegno delle famiglie e dei ceti più deboli presenti nell’ultima finanziaria, i provvedimenti per il no-profit, la legge sull’immigrazione, il decentramento amministrativo sono tasselli di un mosaico importante.
2. esercitare una forte pressione sul Parlamento perché approvi leggi fondamentali che sono alla sua attenzione.
-Anzitutto la legge quadro sull’assistenza e le politiche sociali
-le leggi a sostegno della maternità
-la legge sull’associazionismo sociale
-la legge sul diritto di voto locale agli immigrati
3. completare il pacchetto di leggi necessarie e aumentare le risorse per le politiche sociali familiari. Sostegno alle famiglie e promozione dell’autonomia dei giovani: è su questi temi che intendo impegnarmi nei prossimi mesi. Per questo per me e per il mio ministero, per il governo tutto, sarà molto utile ascoltare le proposte che emergeranno dalle tavole rotonde previste per oggi e domani.
Quale ruolo può avere il volontariato in questa fase impegnativa di riforma del welfare?
Un ruolo importante, giocato a più livelli.
-Come indicatore dei bisogni e promotore di relazioni umane significative.
-Come attore politico, esercitando pressioni e proposte nei confronti delle istituzioni
-Come promotore, in partnershìp con il no-profit, di esperienze di economia sociale capaci di produrre beni sociali e di integrare m modo attivo soggetti fragili.
Ma il salto che dobbiamo compiere insieme, istituzioni e volontariato, è quello di candidare l’esperienza ed il sapere che il volontariato accumula nella sua pratica politica al governo del paese. E dunque costruire le condizioni che permettano al volontariato di diventare pienamente "parte sociale" che partecipa alla programmazione degli interventi ed alla definizione degli indirizzi di politica sociale.
Il volontariato, dunque, come soggetto della concertazione. Ciò significa individuare modalità, strumenti e procedure.
Con un’avvertenza forte. Che questo salto non debba significare per il volontariato far avvizzire la sua radice, sradicarlo dal suo ambito. Poiché questo sarebbe la burocratizzazione e la morte della sua straordinaria esperienza.
Evitare questo rischio dipende da noi che stiamo nelle istituzioni e nel governo, ma dipende anche da voi. Siamo in grado di compiere questo nuovo passo di strada? E’ giusto tentarlo?
Ecco un quesito da cui mi aspetto da voi risposte precise.
Per rendere concreto questo tentativo mi permetto di avanzarvi una proposta.
Grazie anche al vostro lavoro c’è una nuova consapevolezza nella società e nelle istituzioni riguardo alla diffusione della povertà e al crescere di nuove forme di esclusione sociale. Il Governo ha dimostrato grande attenzione e ha cominciato a mettere in campo provvedimenti significativi.
Mi chiedo e vi chiedo: perché non rendere più stringente e più coordinato questo impegno; perché non tradurlo in strategie comuni che portino a intensificare e qualificare gli interventi? Perché non lavorare per un vero e proprio programma contro l’esclusione sociale?
Sono già molti i provvedimenti attivati contro l’esclusione sociale
-la sperimentazione RMI
-i programmi europei contro l’esclusione sociale
-la legge 285 sull’infanzia
-i provvedimenti contenuti nella finanziaria 1998-2001
-aumento pensioni sociali
-indennità di maternità
-sostegno al terzo figlio
-gli interventi per la scuola ed il diritto allo studio
-gli interventi per l’inserimento dei soggetti fragili
-gli interventi per il lavoro
-gli interventi per agevolare l’acquisto della casa
-gli interventi in campo sanitario
Propongo allora di elaborare un documento d’indirizzo tra i vari Ministeri, gli Enti locali, il no-profit per attivare interventi coordinati a livello nazionale e locale; propongo inoltre di dar vita a un tavolo di lavoro permanente per il coordinamento ed il monitoraggio di queste strategie ed interventi
Aspetto qualificante del Programma che vogliamo darci contro l’esclusione sociale potrebbe essere l’utilizzo e la gestione dei fondi strutturali finalizzati alla lotta contro l’esclusione sociale, così come è stato proposto nel Progetto presentato nell’ambito della recente Conferenza di Catania.
Il tavolo di lavoro, intorno al quale invitare Ministeri, Sindacati, enti locali, no-profit, volontariato con sede presso il Dipartimento Affari Sociali, può svolgere un, importante azione di impulso, coordinamento e messa in rete a livello nazionale.
Aggiungo che il programma contro l’esclusione sociale deve prevedere la messa a regime di una misura di assistenza e reinserimento sociale come il RMI e dunque darsi come obiettivo prioritario la riforma della legge quadro sull’assistenza e le politiche sociali.
La legge 266 sul volontariato attribuisce al Governo precise funzioni di sostegno alle sue attività.
Prima di indicare i punti di impegno per il futuro vorrei tracciare un bilancio del lavoro svolto.
1) Osservatorio del Volontariato
Deve essere ripristinata la funzione che gli attribuisce la Legge 266, vale a dire di rappresentanza del volontariato e di proposte indirizzate al Governo.
La sua composizione deve tornare ad essere di persone appartenenti ad associazioni di volontariato.
L’Osservatorio deve dotarsi di un regolamento che organizzi la sua vita interna a partire dalla permanenza in carica dei componenti che potrebbe essere prevista nel lasso di tempo che va da una Conferenza all’altra. I suoi componenti potrebbero essere designati dalla Conferenza stessa.
Uno dei compiti dell’Osservatorio dovrebbe essere quello di instaurare rapporti reali e costruttivi con i poteri decentrati, con i livelli di governo regionali e locali, usufruire dell’assetto decentrato che si sta definitivamente dando il Paese per portare l’azione di promozione e di indirizzo del volontariato il più possibile in periferia. Credo sia opportuno prevedere anche, sotto forma di precise sessioni di lavoro, raccordi con gli Osservatori del mondo dell’associazionismo, con il Forum permanente del Terzo settore e gli altri organismi di rappresentanza settoriale del mondo no profit, con gli osservatori del volontariato, della protezione civile e della sanità, con i grandi coordinamenti nazionali del volontariato nell’ambiente e nella giustizia.
A conclusione dei lavori della Conferenza propongo di nominare una Commissione che predisponga entro un mese una proposta di Regolamento e suggerisca al Ministro una rosa di nomi di componenti dell’Osservatorio.
2.1 I fondi per il volontariato
Lo stanziamento non sembra più adeguato alla grandezza del fenomeno ed al suo ruolo di prezioso collaboratore della mano pubblica nella lotta all’esclusione sociale. Mi impegno per la prossima legge di Bilancio ad una crescita dei fondi annualmente stanziati per la legge 266 non solo per sostenere l’azione volontaria quanto per aiutare la grande fantasia progettuale che le associazioni dimostrano, sperimentando nel contempo nuove politiche di welfare riproducibili in altri contesti territoriali.
3.1 I centri di servizio.
I Centri di Servizio per il volontariato "a favore del volontariato e da essi gestiti, con la funzione di sostenerne e qualificarne l’attività" previsti dall’art. 15 della Legge 266/91 sono una innovazione importante nella legislazione italiana non solo per quanto riguarda il volontariato ed il Terzo Settore ma più in generale per quanto riguarda la formazione ed il sostegno della cittadinanza attiva. I Centri di Servizio hanno infatti un compito di sostegno alle associazioni di volontariato attraverso l’attività di formazione, informazione consulenza sui vari problemi che devono affrontare. Non a caso una legislazione così innovativa ha incontrato sul suo cammino varie difficoltà.
La Corte Costituzionale ha dovuto pronunciarsi ben tre volte sull’art. 15 ma ha sempre dato ragione al legislatore.
Il Dipartimento Affari Sociali si è molto impegnato perché fossero insediati i Centri di Servizio e perché decollasse la loro attività. Nonostante la loro vita breve si può già trarne un bilancio positivo. Il Dipartimento per gli Affari Sociali ha inoltre instaurato con essi un rapporto molto attivo di consultazione reciproca frequente e proficua, mettendo in atto una vera e propria politica di tutoraggio nei loro confronti nella consapevolezza che essi siano i più diretti testimoni della vita e della salute del volontariato sul territorio. I Centri finora istituiti sono 44 in 12 Regioni (su 21); le Regioni inadempienti sono quasi tutte del Mezzogiorno. Come vedete il lavoro da fare è ancora molto.
4. Il finanziamento ai Centri di Servizio
I fondi e le risorse a disposizione dei Centri di Servizio sono molto sperequati da Regione a Regione. Faccio un esempio: nei bilanci consuntivi del 1994 - 95 - 96 le risorse a disposizione dell’Emilia Romagna sono 15 miliardi e per la Sicilia 187 milioni. Mi sono battuta insieme con l’Osservatorio del volontariato affinché in sede di Regolamento relativo ai Centri fosse introdotta una norma di solidarietà che consentisse una perequazione tra i Fondi Regionali. Questo ha trovato la ferma contrarietà delle rappresentanze delle Fondazioni Bancarie.
Continuo a ritenere fondamentale garantire alcune regole perequative ed equilibratrici. Spero vivamente che il Parlamento mantenga nella legge sulle Fondazioni Bancarie la destinazione di un quindicesimo, prevista dalla Legge n. 266 ai fondi regionali per il volontariato, ma ritengo egualmente necessario che, in considerazione dell’impossibilità di definire in via amministrativa una giusta ripartizione delle risorse sul territorio, si attuino politiche di elargizioni spontanee a favore di regioni meno fortunate come sta avvenendo ad esempio in Emilia Romagna.
5. L’Autorità per il Terzo Settore
Raccogliendo le indicazioni emerse dal Forum del Terzo settore e dal Volontariato, il governo Prodi aveva deciso di ampliare e potenziare le funzioni di indirizzo e promozione dell’Authority. Per questo nel Disegno di legge "Disposizioni in materia di perequazione, razionalizzazione e federalismo fiscale", sono disciplinati i compiti e i poteri dell’Authority e viene disposto che, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, vengano fissati la sede, l’organizzazione interna, il numero dei componenti e i compensi per i medesimi, i poteri e le modalità dell’Authority stessa.
Il Ddl è attualmente all’esame della Commissione Finanze del Senato.
Sempre in riferimento alla Legge 266 è poi importante dare attuazione a ciò che nell’impianto normativo del 1991 è rimasto inattuato: mi riferisco in particolare all’articolo 8, comma 3, che prevede la possibilità di deduzioni dall’imponibile Irpef di erogazioni liberali a favore delle organizzazioni di volontariato: l’atteso decreto del Ministro delle Finanze in tal senso consentirebbe ulteriore ossigeno alla vita delle associazioni.
Il Documento di base elaborato dall’Osservatorio del Volontariato pone con forza la necessità che il volontariato possa datarsi di occasioni formative specifiche al fine di poter svolgere bene la sua funzione nella nostra società complessa.
Credo sia una indicazione forte ed importante che il Governo deve assumere.
Per questo mi impegno a finalizzare una parte delle risorse previste dal Fondo Sociale Europeo e gestite dal Dipartimento Affari Sociali per corrispondere a queste esigenze formative. L’altro problema posto è quello della attenzione al contesto europeo sia nel senso del rapporto tra il volontariato italiano e quello europeo sia per quanto attiene a i rapporti con la Commissione Europea.
Non si può certo ignorare poi quel peculiare, oneroso e prezioso impegno di volontari che operano nel mondo.
Su questo punto dichiaro la disponibilità del Governo a elaborare con il vostro concorso strumenti normativi per il riconoscimento, la tutela, il sostegno dei volontari che si impegnano in iniziative di solidarietà e cooperazione internazionale ed in interventi umanitari, riprendendo la migliore tradizione normativa italiana in materia e ponendosi in linea con quanto avviene oggi negli altri Paesi europei.
Voglio infine darvi notizia che nei prossimi giorni insedierò la Commissione di esperti che ha il compito di predisporre un testo per inserire nel nostro Codice Civile la definizione di ATTIVITA’ NON LUCRATIVA
Come vedete noi siamo pronti a fare la nostra parte. Quello che mi auguro e vi propongo è di concludere queste nostre giornate in terra d’Umbria con un PATTO tra noi intorno a cinque obiettivi qualificanti, cinque impegni che mi pare riassumano quello che ho fin qui provato a esporre:
1 )L'impegno, nostro soprattutto, ma non solo, a far si che il volontariato diventi pienamente «parte sociale» e soggetto della concertazione in merito alla riforma del welfare. Questo vuoi dire che il governo si impegna ad ascoltarlo non solo quando ci sono le emergenze e i disastri, ma nella quotidianità delle sue scelte.
2)L’impegno, vostro soprattutto, ma non solo, a ‘fare lobbie’ perché il Parlamento acceleri l’approvazione delle leggi sociali.
3)L’impegno, nostro e vostro, a fare spazio ai giovani perché la proposta del volontariato diventi per loro un’opportunità attraente di crescita e di vita.
4)L’impegno a elaborare insieme un programma contro l’esclusione sociale nelle sue forme tradizionali legate al disagio economico, e in quelle più nuove prodotte dalla miseria culturale e dalla solitudine.
5)L’impegno a includere nella cittadinanza quanti sono arrivati tra noi stranieri, in fuga dalla guerra e dalla fame, perché essi siano a pieno titolo nuovi cittadini. Non solo sul piano dei diritti sociali, ma anche su quello del diritto all’espressione politica, di cui il voto, amministrativo è un simbolo potente.
Care amiche, cari amici, ho parlato di leggi, di regole, di scelte politiche.
Vorrei però ribadirvi una convinzione profonda. Aiutare un bambino a crescere, cercare di trasmettere calore e fiducia a un tossicodipendente o ad un immigrato in carcere, far sentire meno solo un anziano - questa vostra politica del quotidiano- è GRANDE POLITICA. E’ la politica di cui hanno bisogno le nostre democrazie per vincere le sfide che ci stanno di fronte. Per questo la vostra azione è così preziosa e così impegnativa.
Buon lavoro a tutti, con la speranza che il modo in cui discuteremo in questi giorni possa prefigurare uno stile di rapporto tra donne e uomini delle istituzioni e donne e uomini del volontariato che faccia scuola per il futuro.
Foligno, 11 dicembre 1998
Livia Turco