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Studi Zancan
Spazi e prospettive del
volontariato culturale e professionale di Salvatore Nocera In un momento in cui si discute sempre più di modifiche alla legge n. 266/91 sui rapporti fra enti pubblici e volontariato organizzato, e i contenuti delle modifiche alla Costituzione in materia ai servizi sociali riducono le competenze istituzionali dello Stato, anche in materia di regolazione legislativa del volontariato a favore della competenza legislativa delle regioni, sembra opportuno tracciare un quadro sintetico del riconoscimento del volontariato nella legislazione vigente; ciò affinché risultino chiari gli ambiti di libertà in cui il volontariato si muove e i limiti che ad alcune sue componenti, come le organizzazioni culturali e professionali, possono derivare da alcune norme di questo specifico settore.Il volontariato culturale è pienamente ricompreso già nell'ampia formulazione di riconoscimento, operato nell'art. 1 della legge n. 266/91, delle finalità del volontariato, quale espressione del pluralismo e della partecipazione alla vita sociale non solo italiana ma anche mondiale. Anche il volontariato <<professionale>>, cioè quello le cui organizzazioni sono composte da professionisti e operano quindi in un ben preciso ambito professionale, è riconosciuto nello stesso art. 1 comma 1. Infatti <<la Repubblica>> (e quindi non solo lo stato, ma pure tutte le articolazioni istituzionali), <<salvaguardandone l'autonomia>> e favorendone <<l'apporto originale per il conseguimento delle finalità di carattere sociale>>, dà un ampio riconoscimento a tutte le organizzazioni di volontariato operanti autonomamente per finalità sociali. Ciò vale per il riconoscimento del volontariato culturale e professionale come soggetti sociali autonomi, liberi di agire, senza alcuna autorizzazione o convenzione con soggetti pubblici. Quanto poi ai principi cui le leggi regionali debbono ispirarsi per regolare i rapporti, anche convenzionali, propri e degli enti locali con le organizzazioni di volontariato, l'art. 10 comma 1 fissa il principio della <<salvaguardia dell'autonomia di organizzazione e di iniziativa>>. Il riconoscimento formale di tutti i volontariati Queste norme quindi, pur non avendo rango di norme costituzionali, sono il riconoscimento formale irrinunciabile della libertà di tutti i volontariati, e quindi anche di quello culturale e professionale. Pertanto, le organizzazioni di volontariato culturale e professionale godono di tutti i diritti e delle agevolazioni stabilite a favore di tutto il volontariato. Siccome però le organizzazioni di volontariato sono equiparate, ai soli fini delle agevolazioni fiscali, alle Onlus di cui all'art. 10 del decreto legislativo n. 460/97, esse godono anche di tali agevolazioni, qualora più favorevoli. La legge sulle associazioni di promozione sociale L'approvazione della legge n. 383/00 favorisce ulteriormente l'evidenziazione del ruolo autonomo del volontariato culturale e professionale, in quanto essa regola le associazioni di promozione sociale, che si differenziano dal volontariato. Infatti, le Associazioni di promozione sociale possono avere gli stessi aderenti come propri dipendenti; aspetti giuridici, questi, espressamente vietati alle organizzazioni di volontariato dall'art. 2 comma 3 della legge n. 266/91. Pertanto la legge la legge n. 266/91 configura il volontariato culturale e professionale come una forma di <<solidarietà>< lunga, mentre le associazioni di promozione sociale rappresentano un'espressione della <<solidarietà>> corta. Pur differenziandosi da tali associazioni, le organizzazioni di volontariato ne godono i benefici fiscali, qualora più favorevoli, per espressa previsione della legge n. 383/00. Al riconoscimento operato dalla legge n. 266/91 si somma quello, forse ancor più forte, operato dalla legge 328/00, legge quadro per la riforma dei servizi sociali. Infatti, l'art. 1 di tale legge prospetta un doppio riconoscimento per molti soggetti non profit, tra i quali anche le organizzazioni di volontariato. L'art. 1 comma 4 stabilisce che <<gli enti locali, le regioni e lo stato, nell'ambito delle rispettive competenze, riconoscono e agevolano le organizzazioni di volontariato>>. E' questo riconoscimento del volontariato come soggetto autonomo, secondo il principio di sussidiarietà orizzontale, segnalato dal termine <<agevolano>>. La sussiadiarietà è un aspetto portante della nuova legge di riforma dei servizi sociali. Essa è stata recepita in tale legge sotto il duplice profilo della <<sussiadiarietà verticale>> e <<orizzontale>>. Il primo profilo concerne il decentramento amministrativo dallo stato alle regioni e ai comuni, enti più vicini alle comunità dei cittadini; in questa sede ci interessa meno, giacché in materia dii volontariato, già la legge n. 266/91 prevede l'attribuzione alle regioni delle competenze in materia di tenuta dei registri regionali del volontariato e della normativa per le convenzioni delle stesse e degli enti locali con esso. Qui interessa mettere maggiormente in luce il profilo della sussiadiarietà orizzontale, concernente un duplice aspetto: l'aspetto <<negativo>>, cioè del dovere di non ingerenza dei poteri pubblici nelle scelte e nella vita delle organizzazioni di volontariato; quello <<positivo>>, cioè il dovere dei pubblici poteri di sostenere e agevolare le iniziative del volontariato organizzato, in quanto espressione diretta delle iniziative dei privati cittadini in campi riguardanti direttamente i diritti della persona. L'art. 1 comma 5 della legge n. 328/00, invece, riconosce i volontariati anche <<in qualità di soggetti attivi nella progettazione e nella realizzazione concertata degli interventi>>. L'art. 5 della legge n. 328/00, includendo nella formula sinetetica e di qualificazione sociologica più che giuridica di <<terzo settore>> anche il volontariato, lo riconosce ancora a doppio titolo. Nel comma 1 dell'art.5 si ha il riconoscimento del ruolo autonomo del volontariato in forza del principio della sussidiarietà orizzontale. Nel successivo comma 2 dello stesso articolo si considera anche il volontariato <<al fine dell'affidamento dei servizi>>, di cui sono titolari gli enti locali. L'art. 19, poi, ha proposito dei piani di zona, individua i soggetti no profit e quindi anche il volontariato nel suo duplice ruolo di soggetto autonomo e soggetto convenzionato. Infatti al comma 1 lett. f prevede che il piano di zona regoli anche i rapporti di <<collaborazione>> con i soggetti operanti nel terzo settore. Nel comma 3 dello stesso articolo, invece, stabilisce che <<all'accordo di programma partecipano i soggetti di cui all'art. 1 comma 4 e all'art. 10>>. I soggetti dell'art. 1 comma 4, come abbiamo visto, sono i soggetti del privato sociale, in qualità di soggetti autonomi; quelli dell'art. 10 sono le associazioni e fondazioni, frutto della trasformazione delle IPAB che hanno i requisiti per la trasformazione, senza però intaccare il vincolo di destinazione ai poveri dei beni posseduti. Volontariato e piani di zona E' opportuno soffermarsi un istante sui <<piani di zona>>, non previsti dalla legge n. 266/91. si tratta del progetto, a maglie larghe, dei servizi sociali che debbono essere realizzati in un territorio ben definito. La legge n. 328/00 non ne definisce l'ampiezza ma, dalle esperienze maturate in regioni come Toscana e Veneto, dove questi strumenti sono già operanti, si tende a fare coincidere l'ambito territoriale dei servizi sociali con quelli dei distretti sanitari di base, di cui al decreto legislativo n. 229/99, anche ai fini di una migliore integrazione dei due tipi di servizi sociali e sanitari. Essendo il piano di zona lo strumento essenziale dei servizi in rete, nella logica della legge di riforma, è importante la previsione del volontariato organizzato nell'ambito dei piani di zona. E proprio perché la legge vuole che il piano di zona sia il <<piano regolatore>> di tutti i servizi di territorio, è ancora più importante la duplice previsione del volontariato, sia come soggetto di collaborazione convenzionata con gli enti pubblici, sia come soggetto che compie scelte autonome e autonomamente decide di inserire la propria progettualità nell'ambito dei servizi di quel territorio. Come si vede chiaramente, le due leggi offrono ampi spazi per il libero dispiegarsi delle iniziative del volontariato culturale e professionale. E ciò sia in Italia che all'estero. Problemi invece possono nascere da altre normative, giacché il volontariato professionale si avvale ovviamente di <<professionisti>>. Infatti, la nostra legislazione prevede due tipologie di professioni: quelle per il cui esercizio non occorre l'iscrizione del professionista a un albo professionale e quelle che invece la richiedono. Per i professionisti appartenenti al primo gruppo non si pongono problemi. Nessun problema neppure nel caso che professionisti appartenenti al secondo gruppo vogliano prestare la loro opera volontaria e gratuita nell'ambito di una organizzazione di volontariato professionale. Infatti, sono state superate le remore, imposte dagli ordini professionali, circa l'intangibilità delle tariffe professionali. Non è consentito a un professionista ridurre al di sotto dei minimi tabellari l'importo del proprio compenso quando egli si muove sul libero mercato professionale, per non alterare la concorrenza fra professionisti. La possibilità di effettuare prestazioni gratuite Ma dopo la legge n. 266/91 e soprattutto alla luce degli artt. 2 e 38 della Costituzione, i professionisti possono liberamente effettuare prestazioni gratuite a favore di fasce deboli di popolazione che non sarebbero in condizioni economiche tali da poter remunerare i professionisti operanti tramite l'organizzazione di appartenenza. Le limitazioni imposte ai professionisti cancellati dall'albo Problemi invece si pongono per quei professionisti che si cancellino dall'albo per propri motivi o per pensionamento. Infatti, se per esercitare una professione è condizione indispensabile l'iscrizione all'albo, a tutela della pubblica fede dei clienti, un professionista non iscritto all'albo non può esercitare la propria professione neppure a titolo di volontariato. Ciò può apparire come una violenza esercitata dagli Ordini professionali su propri appartenenti. I Radicali addirittura avevano proposto un referendum per l'abolizione degli Ordini professionali, referendum dichiarato non valido per mancato raggiungimento del quorum del 50 per cento dei votanti. Il problema ha anche risvolti sgradevoli, giacché l'iscrizione all'albo comporta il pagamento della quota annua all'Ordine professionale. Pertanto un professionista in pensione, se vuole svolgere attività professionale di volontariato, deve rimanere iscritto all'albo e continuare a pagare le quote. Ovviamente tutto ciò vale per organizzazioni di volontariato che svolgono attività in Italia. Per quelle che svolgono attività all'estero, il problema, ove esiste, si pone nell'ambito della legislazione dei paesi in cui si opera. Nei paesi ove non esiste una normativa di protezionismo attraverso l'obbligo di iscrizione ad albi professionali non si pone alcun problema. Nell'apparente nuovo clima in Italia di esaltazione <<delle libertà>>, sembrerebbe teoricamente possibile il varo di una norma che consenta a professionisti, aderenti ad organizzazioni di volontariato, di prestare la loro opera volontaria anche dopo la cancellazione dall'albo. Quanto all'eliminazione degli albi, a parte le serie perplessità con riguardo a professioni come la medicina, sembra difficile ritenere che <<la Casa delle libertà>> voglia approvare una proposta di legge in tal senso, dopo che ha determinato con l'astensione propagandata il fallimento del referendum radicale, tacciato di essere <<comunista>>. |
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