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Reg. Tribunale Lecce n. 662 del 01.07.1997
Direttore responsabile: Dario Cillo


 

Il volontariato tra nuove forme
del disagio sociale ed evoluzione del welfare

 

Roma, 21 marzo 2003

1.    La persistente centralità del Volontariato

L’erosione del welfare stato centrico e monopolista sta lasciando spazio ad un sistema di tutele articolato, più aderente alla crescente richiesta di libertà di scelta e di qualità dei cittadini. D’altro canto l’evoluzione delle forme di disagio sociale richiede una notevole capacità di modulare le risposte assistenziali, misurandosi costantemente con l’innovazione dei modelli operativi e di intervento.

Diventa, inoltre, cruciale, la capacità di auto organizzazione e di auto promozione diretta da parte degli utenti che veicolano le proprie esigenze e chiedono di partecipare alla progettazione ed alla concreta gestione degli interventi che li riguardano.

E’ quanto sta accadendo in sanità con le associazioni dei malati e dei loro familiari, ma anche in ambito socio assistenziale con le esperienze delle associazioni dei disabili, degli immigrati, degli ex-tossicodipendenti o dei malati di Aids.

E’ chiaro che, rispetto a queste dinamiche di auto promozione che caratterizzano le diverse categorie di soggetti deboli, si innescano nuove diseguaglianze e differenziazioni che finiscono per penalizzare quelle categorie che, per deficit culturale o per eccessiva frammentazione, non sono in grado di attivare “vertenze” per le loro esigenze.

I minori, in particolare quelli reclusi, gli homeless, i clandestini, sono solo alcune tipologie di soggetti deboli che attualmente risultano particolarmente vulnerabili e incapaci di attivare processi di auto promozione.

Ed è proprio su questo aspetto che si innesta come essenziale e insostituibile il ruolo del volontariato gratuito. Infatti:

-   esso è in grado di aprire canali comunicativi con i soggetti e le realtà del disagio più estreme, che si muovono spesso al confine della legalità e che per scelta o per forza sono costretti ad evitare il rapporto non solo con le istituzioni ma anche con quei soggetti che fanno da supplenti;

-   alimentando la logica del dono, del gratuito, esso offre una sponda solida a chi è fuori o ai margini dei mercati;

-   è in grado di dare voce a quei soggetti che per eccesso di frammentazione, per deficit di capitale culturale o semplicemente perché rinserrati in un isolamento estremo, non sono in grado di attivare processi di auto promozione della propria identità e dei propri interessi;

-   il suo carattere non burocratico lo rende più propenso a promuovere innovazione nei modelli operativi, a partire dal rapporto diretto con le forme meno conosciute e codificate di disagio sociale.

Sono i “deboli fra i deboli”, quelli che vivono la doppia esclusione indotta dalla propria condizione e dalle caratteristiche dei nuovi circuiti della protezione sociale, che possono trovare nel volontariato gratuito la sponda essenziale in grado di tutelarli.

 

2.    Le nuove forme del disagio sociale

Ad una società dai bisogni sempre più complessi e sofisticati corrisponde un disagio con sfaccettature, percorsi, situazioni familiari e individuali diversificate, frutto di un intreccio originale di fattori di deprivazione materiale e relazionale, difficile da descrivere e interpretare con categorie omogeneizzanti.

E’ una realtà che rappresenta una sfida, prima ancora che operativa, concettuale, come capacità della società di ri/pensare l'altra faccia dello sviluppo, il “volto sofferente”, solitamente sommerso, della pluralità di forme di esclusione.

Infatti, l’articolazione del disagio genera una moltiplicazione delle figure di soggetti deboli che risultano difficilmente collocabili in un segmento specifico di disagio, poiché racchiudono diverse patologie sociali e sono interne ad un circuito auto alimentantesi caratterizzato dal sovrapporsi e/o sommarsi di forme diverse di deprivazione che finiscono per consolidare l'emarginazione.

Pertanto, è possibile stimare alcune delle principali forme di disagio sociale, purché si tenga conto dei consistenti problemi di valutazione legati sia alla loro forma sommersa, sia alla concentrazione in singoli soggetti o unità familiari di più forme di disagio. In sostanza, il totale delle persone in condizioni di disagio è più basso della somma dei singoli segmenti, viste le numerose sovrapposizioni.

In concreto è possibile valutare in oltre 3 milioni gli individui al di sotto della soglia della povertà, in 1,6 milioni gli alcoolisti, in quasi 1,5 milioni le persone affette da invalidità motoria, in 917.000 i disoccupati di lunga durata, in 643 mila le persone colpite da Parkinson, Alzheimer, epilessia e perdita della memoria, in quasi 500 mila gli affetti da insufficienza mentale, in 223 mila circa i minori in condizioni di marginalità, in 160 mila i tossicodipendenti, in 80 mila le prostitute, in circa 56 mila i reclusi, in oltre 20 mila le persone con disagio abitativo. Si tratta di segmenti consistenti, ciascuno portatore di un ampio spettro di bisogni di assistenza e supporto (tab. 1).

Rispetto alle principali tipologie di disagio è anche possibile verificare la percezione prevalente tra gli italiani grazie ai risultati di un’indagine realizzata dal Censis su un campione nazionale di 1.300 famiglie. Più in concreto, è possibile definire la graduatoria delle forme di disagio sociale che più preoccupano gli italiani (tab. 2).

Al vertice si colloca la tossicodipendenza richiamata dal 58,6% degli intervistati, seguita dall’Aids (41,1%), dalla disoccupazione di lunga durata (26,3%), dalla marginalità minorile (20,3%), dalla prostituzione (17,8%) e dalla povertà economica (15,2%).

E’ chiaro che la tossicodipendenza rappresenta una pluralità molto ampia di concrete condizioni poiché alla marginalità estrema e dura del consumatore di eroina si affianca sempre più l’universo contraddittorio, quasi schizofrenico, del consumatore integrato, che vive quasi clandestinamente la condizione di tossicodipendenza rimanendo nella propria quotidianità. Fondamentali, a questo proposito, sono le esperienze legate alle smart drug o quelle dei praticanti della trasgressione ritenuta “temperata e reversibile” (o del sabato sera) che progressivamente rimangono impantanati nelle sabbie mobili delle nuove tossicodipendenze.

Nella diffusa preoccupazione verso la tossicodipendenza è probabilmente presente l’ormai evidente endemicità del fenomeno, la sua pertinacia e la sua capacità di rigenerarsi e modularsi rispetto ai mutamenti che hanno investito la società e soprattutto il mondo dei giovani, il target più direttamente esposto.

Per quanto riguarda le altre tipologie di disagio che più preoccupano gli italiani, l’Aids indubbiamente si caratterizza come un forte catalizzatore di ansie e paure, anche se negli ultimi tempi sono emersi segnali di un suo rallentamento nella diffusione nel corpo sociale.

Esso rappresenta una patologia sanitaria ad alto impatto sociale con un’elevata correlazione con le problematiche dei tossicodipendenti, tuttavia le sue modalità di trasmissione generano preoccupazione anche nelle persone che non rientrano nei gruppi più esposti.

Se la disoccupazione di lunga durata chiama in causa i percorsi più nuovi di esclusione sociale legati alla rapida obsolescenza delle competenze ed ai rischi di marginalità legati alla difficoltà generazionale di tenere il ritmo dell’innovazione tecnologica, la marginalità minorile è tema particolarmente cruciale poiché si tratta di soggetti che hanno evidenti difficoltà ad attivare propri percorsi di autoorganizzazione e, quindi, potenzialmente più vulnerabili nel nuovo contesto.

La mappa territoriale dei disagi sociali che più preoccupano gli italiani evidenzia alcune differenziazioni piuttosto interessanti che rimandano sia alla diversa configurazione socioeconomica che alla diversa percezione culturale.

La tossicodipendenza è il disagio sociale che più preoccupa in tutte le aree geografiche con un’intensità molto diversa poiché si va dal 55,8% del nord-est al 67% del centro; analogamente per l’Aids viene confermata la seconda posizione nella graduatoria su tutto il territorio nazionale e, tuttavia, esiste una consistente variabilità quanto a intensità della preoccupazione poiché si passa dal 36,6% del sud-isole al 46,3% del centro.

Per il nord-ovest si registra una preoccupazione più alta, rispetto ai valori medi, relativamente  al lavoro minorile (17,4% di contro a 13,5%), all’immigrazione clandestina (20,5% di contro a 15,5%), al disagio psichico (13,5%, 9,7%) e all’isolamento sociale (12,4%, 8,6%).

Per il nord-est, invece, spicca in modo rilevante il richiamo alla povertà economica (22,7%, 15,2%), all’isolamento sociale (11%, 8,6%), all’alcoolismo (11%, 7,7%). Per il centro, come già rilevato, va segnalata la preoccupazione molto più alta per tossicodipendenza e Aids, mentre per il sud-isole spicca il dato relativo alla disoccupazione di lunga durata che è pari al 33,2% di contro a valori molto più bassi nelle altre aree, in particolare nel nord-est (18,8%).

E’ chiaro che le nuove forme del disagio sono inscritte dentro i cruciali processi di individualizzazione del lavoro, del consumo, delle forme di tutela sociale che privilegiano la libertà di scelta, l’auto responsabilizzazione individuale e che, se da un lato danno vita ad una proliferazione di opportunità, dall’altro moltiplicano le occasioni di esclusione sociale.

 

3.    Il ruolo del volontariato gratuito nel nuovo sistema di welfare

Nel contesto della società molecolare l'articolazione delle risposte alle forme di disagio si è sviluppata soprattutto dal basso, in modo spontaneo, modulata sui processi di empowerment del sociale.

Esiste, infatti, una proliferazione di comportamenti altruistici, di solidarietà diffusa che non necessariamente assume forma organizzata. A questo proposito, un’indagine realizzata dal Censis ha permesso di focalizzare il radicamento di una pluralità di comportamenti altruistici che testimoniano la disposizione degli italiani al dono, alla gratuità e ad operare secondo criteri e finalità di puro altruismo.

Dai dati è emerso che il 68,6% degli italiani ha aiutato persone in difficoltà, il 59,2% ha versato soldi ad associazioni di volontariato, il 50,5% ha acquistato prodotti dopo aver verificato che non inquinassero e/o che fossero realizzati nel rispetto dei diritti dei lavoratori senza lo sfruttamento del lavoro minorile, il 26,6% ha svolto attività di volontariato, il 20,8% ha partecipato a progetti di adozione a distanza, il 16,7% ha partecipato a campagne a favore di temi etici (come, ad esempio, l’abolizione della pena di morte), il 14,2% a campagne di boicottaggio di prodotti di aziende che si ritiene assumano comportamenti non etici ed il 4,8% ha aperto conti in un banca etica o acquistato fondi etici (tab. 3).

Si tratta di comportamenti di altruismo e solidarietà che:

-   risultano radicati e diffusi trasversalmente in tutto il corpo sociale (anche se hanno una concentrazione più alta in un segmento di cittadini ad elevata scolarità) e nei diversi contesti territoriali;

-   danno vita ad un reticolo relazionale particolarmente fitto ed offrono risposte innovative e “calde” alla diverse forme di disagio sociale, a cominciare da quelli estreme e più gravi.

L’aiuto alle persone in difficoltà è più praticato dai residenti al centro (72,2%) ed al sud-isole (72%); le donazioni alle associazioni di volontariato sono state fatte in misura più consistente al centro-nord, mentre sono gli abitanti del nord-ovest i consumatori più critici (54,2%), coloro che acquistano i prodotti che non inquinano e/o per la cui fabbricazione sono stati tutelati i diritti dei lavoratori; le attività di volontariato, invece, hanno visto una partecipazione più alta nel nord-ovest (34,4%) e nel nord-est (33,5%).

Per quanto riguarda la propensione alla solidarietà dei gruppi sociali in relazione al titolo di studio, sono soprattutto le persone con più elevata scolarità a fare donazioni ad associazioni di volontariato (71,4% contro il 47,1% dei possessori di licenza elementare e dei soggetti che non hanno alcun titolo di studio), a partecipare ad attività di volontariato (37,1%), ad aderire a progetti di adozione a distanza (31,4% contro il 20,8% degli italiani), ad acquistare prodotti non inquinanti (60,7%). Le persone senza titolo di studio o con licenza elementare, invece, sono le categorie sociali che più aiutano le persone in difficoltà (73,5% contro il 63,6% dei laureati) (tab. 4).

Con riferimento ai principali soggetti che devono essere rafforzati nella lotta alle diverse forme di disagio sociale, gli italiani ritengono che oltre alle strutture pubbliche (il 63,9% ritiene che occorre dare loro più potere nel fronteggiare il disagio sociale), occorre potenziare il volontariato (33,7% di italiani) e le famiglie (32,6%) (tab. 5).

Da sottolineare che il potenziamento del volontariato viene considerato cruciale soprattutto dai laureati (47,9%), dai residenti nel nord-est (39,1%), da quelli del nord-ovest (32,8%) e da quelli del centro (36,6%).

Alla luce delle emergenze sociali degli ultimi anni, dal fenomeno metropolitano dei senza fissa dimora all'irruzione dell'Aids come malattia a rapida diffusione con bisogni assistenziali continui e “difficili”, alle ondate di clandestini sulle coste pugliesi o calabresi, va segnalato il ruolo cruciale esercitato dal volontariato laico e religioso.

Infatti, la risposta più efficace ai disagi vecchi e nuovi è stata la proliferazione di soggetti non statuali, alimentati da nuove forme di militanza e di solidarietà. Il sociale viene, dunque, a configurarsi come contenitore di una pluralità crescente di soggetti e reti che sviluppano forme articolate di interazione, formali e informali, secondo logiche di architettura decentrata, in cui coesistono il politeismo delle opportunità sociali e la trama dei legami comunitari.

Si tratta di un giacimento di energie e competenze ad alta motivazione e intenzionalità, spesso laboratorio di innovazione dei modelli operativi, che offre un contributo concreto agli aspetti gestionali e di intervento sull’utenza e sulla capacità di rivitalizzazione istituzionale.

Dai dati emerge che esistono circa 230 mila istituzioni in cui operano a diverso titolo circa 5 milioni di persone tra dipendenti, collaboratori, lavoratori distaccati, obiettori, volontari e religiosi (tab. 6).

E’ un universo attraversato da dinamiche molto diverse tra loro, come diverse appaiono le soluzioni organizzative, il rapporto con il pubblico e anche il modo di concepire il proprio ruolo.

Una componente consistente del terzo settore si muove ormai secondo logiche di imprenditorializzazione e pone al centro della propria azione la sfida col mercato, la capacità di innescare processi di sviluppo dal basso che coinvolgano, in dinamiche di oltrepassamento della marginalità socioeconomica, singoli utenti, comunità o interi territori.

D’altro canto, l’associazionismo che nasce come strumento di auto tutela di soggetti che hanno uno stesso bisogno (legato ad una patologia o una condizione sociale) si muove lungo traiettorie che vanno dalle prime sporadiche forme di auto organizzazione e visibilità pubblica alla richiesta di riconoscimento soprattutto istituzionale, dall’esercizio di un ruolo di pressione sino a quello della gestione diretta di alcune risorse o di intervento su aspetti programmatori.

Sotto questo profilo quanto sta accadendo in sanità con le associazioni dei malati è un esempio molto indicativo e probabilmente anticipatorio delle dinamiche che caratterizzeranno sempre più anche il contesto socio assistenziale.

All’interno del composito insieme di soggetti del sociale occorre prestare attenzione specifica al volontariato e, in particolare, a quello gratuito, che si chiama fuori dalle logiche di imprenditorializzazione. Si tratta di una parte rilevante del volontariato con una lunga tradizione che non può assolutamente essere considerato come residuale.

Non è un caso che esso appare sostanzialmente potenziato anche dalle più recenti dinamiche del volontariato:

-   la maggioranza delle organizzazioni di volontariato, sorte in tempi più recenti, è espressione di iniziative autonome dei cittadini;

-   si va riducendo la dimensione media delle organizzazioni di volontariato con una concentrazione delle risorse disponibili sul core dell’attività, secondo una logica di piccoli gruppi e di orientamento all’oggetto specifico della proprio azione.

Il volontariato, inoltre, continua a rappresentare il soggetto organizzato che riscuote la quota più alta di fiducia tra gli italiani. Infatti, il 21% ha dichiarato di avere fiducia nelle organizzazioni di volontariato, percentuale sostanzialmente omogenea nel corpo sociale e in tutto il territorio nazionale (tab. 7).

Il ruolo del volontariato gratuito va letto anche dentro le lunghe derive dell’evoluzione sociale e del welfare, con particolare attenzione alle modalità operative dei diversi soggetti e all’approccio prevalente a livello istituzionale.

Infatti, una società che introietta al suo centro l’insicurezza e l’incertezza e sposta sui singoli il peso di un numero crescente di rischi, affinché li valorizzi come opportunità, moltiplica al contempo le occasioni di esclusione sociale. E non tutti i disagi hanno le stesse potenzialità di generare soluzioni adeguate sotto il profilo delle risposte assistenziali e dei percorsi di fuoriuscita.

Ecco perché, come già rilevato, i disagi vanno differenziandosi non tanto per il contenuto o per l’intensità di sofferenza che comportano, ma per la capacità o meno delle persone che li vivono di attivare processi individuali e collettivi di risposta.

E’ esattamente su questo aspetto che il volontariato gratuito, grazie alla sua capacità di misurarsi con i disagi più estremi, risulta particolarmente predisposto a veicolare i bisogni dei “deboli tra i deboli”, dei soggetti che vivono forme di disagio di cui c’è una percezione ridotta o che, ancora, non sono state adeguatamente “elaborate” sul piano concettuale e operativo e che, soprattutto, non sono in grado di attivare proprie percorsi di promozione e “vertenza”.

Tab. 1 – La dimensione quantitativa di alcune tipologie di disagio (v.a.)

 

 

 

v.a.

 

 

 

 

Sociali Relazionali

 

Alcoolismo

1.600.000

Marginalità minorile

223.000

Tossicodipendenza

160.000

Prostituzione

80.000

Reclusione/Detenzione

55.670

Disagio abitativo

20.387

 

 

Economiche

 

Povertà economica*

3.028.000

Disoccupazione di lunga durata

917.000

Lavoro minorile

147.000

 

 

Patologico Sanitarie

 

Sordomutismo e sordità

973.000

Parkinson, Alzheimer, Epilessia, Perdita della memoria

643.000

Tumore

544.000

Insufficienza mentale

475.000

Aids

50.271

 

 

Fisiche Motorie

 

Invalidità motoria

1.430.000

Privi della vista

353.000

 

 

 

 

*    il dato si riferisce agli individui che si collocano sotto la soglia della povertà assoluta

Fonte:    elaborazione Censis su dati Istat, Ministero Giustizia, Gruppo Abele, Caritas, Ministero della Salute, Ministero dell’Interno, Società Italiana di Alcoologia

Tab. 2 – Le tipologie di disagio sociale che più preoccupano gli italiani, per area geografica (val. %)

 

 

 

 

 

 

 

Nord-Ovest

Nord-Est

Centro

Sud e isole

Totale

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La tossicodipendenza

56,4

55,8

67,0

57,1

58,6

L’Aids

42,9

41,4

46,3

36,6

41,1

La disoccupazione di lunga durata

26,6

18,8

20,7

33,2

26,3

La marginalità minorile (delinquenza minorile, bambini maltrattati, ecc.)

22,0

20,4

23,9

16,9

20,3

La prostituzione

19,7

14,9

20,2

16,6

17,8

L’immigrazione clandestina

20,5

18,8

6,9

14,8

15,5

La povertà economica

17,4

22,7

17,6

8,2

15,2

Il lavoro minorile

17,4

14,9

6,4

13,6

13,5

Il disagio psichico

13,5

13,3

8,5

5,4

9,7

L’isolamento sociale (mancanza di relazioni, affetti, ecc.)

12,4

11,0

10,6

3,0

8,6

L’alcoolismo

8,9

11,0

8,5

4,5

7,7

Il disagio abitativo (in particolare, i senza fissa dimora)

8,9

7,7

6,4

1,8

5,7

La reclusione/detenzione

5,0

6,1

6,4

1,8

4,4

Non so

1,2

1,1

0,5

1,8

1,3

 

 

 

 

 

 

Il totale non è uguale a 100 perché erano possibili più risposte

Fonte: indagine Censis, 2003

Tab. 3 - Comportamenti altruistici e di solidarietà messi in atto dagli italiani, per area geografica (val. %)

 

 

 

 

 

 

 

Nord-Ovest

Nord-Est

Centro

Sud e isole

Totale

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Aiutato persone in difficoltà (es. vicini di casa, anziani, bambini...)

64,4

65,4

72,2

72,0

68,6

Versato soldi ad associazioni di volontariato

66,4

66,5

67,6

43,3

59,2

Acquistato prodotti dopo aver verificato che non inquinino e/o che per la loro produzione non siano stati impiegati minori e/o siano stati rispettati i diritti dei lavoratori

54,2

45,8

50,0

50,5

50,5

Fatto attività di volontariato

34,4

33,5

23,3

17,6

26,6

Partecipato a progetti di adozione a distanza

24,5

28,5

19,9

13,5

20,8

Partecipato a campagne a favore di temi etici (es. abolizione pena di morte, ecc.)

24,9

17,3

15,3

10,0

16,7

Partecipato a campagne di boicottaggio di prodotti di aziende che si ritiene abbiano comportamenti non etici

21,7

13,4

14,2

8,0

14,2

Aperto un conto in banca etica e/o comprato quote di un fondo comune di investimento “etico”

7,9

7,8

2,8

1,4

4,8

 

 

 

 

 

 

Il totale non è uguale 100 perché erano possibili più risposte

Fonte: indagine Censis, 2003

Tab. 4 - Comportamenti altruistici e di solidarietà messi in atto dagli italiani, per titolo di studio (val. %)

 

 

 

 

 

 

 

Nessuno/
elementare

Diploma media inferiore

Diploma media superiore

Laurea

Totale

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Aiutato persone in difficoltà (es. vicini di casa, anziani, bambini...)

73,5

70,9

67,6

63,6

68,6

Versato soldi ad associazioni di volontariato

47,1

55,7

60,1

71,4

59,2

Acquistato prodotti dopo aver verificato che non inquinino e/o che per la loro produzione non siano stati impiegati minori e/o siano stati rispettati i diritti dei lavoratori

40,2

44,7

53,0

60,7

50,5

Fatto attività di volontariato

22,5

23,0

26,3

37,1

26,6

Partecipato a progetti di adozione a distanza

11,8

14,8

23,1

31,4

20,8

Partecipato a campagne a favore di temi etici (es. abolizione pena di morte, ecc.)

6,9

8,6

17,5

35,7

16,7

Partecipato a campagne di boicottaggio di prodotti di aziende che si ritiene abbiano comportamenti non etici

2,9

7,8

14,6

32,1

14,2

Aperto un conto in banca etica e/o comprato quote di un fondo comune di investimento “etico”

3,9

3,3

5,4

6,4

4,8

 

 

 

 

 

 

Il totale non è uguale 100 perché erano possibili più risposte

Fonte: indagine Censis, 2003

Tab. 5 – Soggetti ai quali occorre dare più potere per fronteggiare il disagio, per area geografica (val. %)

 

 

 

 

 

 

 

Nord-Ovest

Nord-Est

Centro

Sud e isole

Totale

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Strutture pubbliche

64,8

63,7

72,6

58,0

63,9

Organizzazioni di volontariato

32,8

39,1

36,6

29,5

33,7

Famiglie

37,2

29,6

37,1

27,9

32,6

Strutture del privato sociale

16,6

18,4

11,8

9,3

13,5

Imprese private

9,9

8,4

4,3

12,5

9,4

Altro

0,4

-

-

-

0,1

 

 

 

 

 

 

Il totale non è uguale 100 perché erano possibili più risposte

Fonte: indagine Censis, 2003

Tab. 6 - I soggetti del sociale

 

 

 

 

 

Numero istituzioni

Personale retribuito

Personale non retribuito

 

 

 

 

 

 

 

 

Associazioni

202.061

281.099

3.039.088

Cooperative sociali

5.600

156.900

23.000

Fondazioni

3.008

56.145

65.432

Comitati

3.832

1.813

39.224

ONG

170

-

1.526

Altre tipologie

7.861

146.571

94.009

Totale non profit

222.532

642.528

3.262.279

 

 

 

 

Organizzazioni di volontariato(*)

26.403

43.600

968.000

 

 

 

 

(*) Parte di tali organizzazioni sono già incluse nelle associazioni

Fonte: elaborazione Censis su dati Istat, Fivol, Gruppo Abele, Cgm, Ministero del Welfare, 2002

Tab. 7 - Soggetti dai quali gli italiani si sentono più rappresentati, per area geografica (val. %)

 

 

 

 

 

 

 

Nord-Ovest

Nord-Est

Centro

Sud e isole

Totale

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nessuno soggetto

32,8

27,0

29,5

24,2

28,0

Organizzazioni di volontariato

22,9

21,6

17,6

21,1

21,0

Chiesa

10,3

17,8

13,0

20,8

16,0

Sindacati e associazioni di categoria

14,5

14,6

18,1

11,7

14,2

Giornali e informazione televisiva

11,1

10,3

8,8

11,1

10,5

Governo

8,4

8,6

10,9

10,6

9,7

Comuni e provincie

9,2

14,6

4,7

6,4

8,3

Associazioni ambientaliste e civiche

6,9

6,5

10,4

6,7

7,4

Regioni

6,5

8,1

4,7

5,8

6,2

Parlamento

4,6

2,7

7,8

4,4

4,8

Partiti politici

4,2

3,2

5,2

4,4

4,3

 

 

 

 

 

 

Il totale non è uguale a 100 perché erano possibili più risposte

Fonte: indagine Censis, 2002


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