WELFARE
Lo
stato di attuazione della legge 328
I ritardi accumulati e gli scenari. Molta la strada da
percorrere
L'associazione "Nuovo
Welfare"
è un ente formato da ricercatori impegnati a fornire indagini,
studi e idee utili alla valorizzazione e alla promozione di proposte
innovative di protezione sociale. I compiti sono quelli di
monitorare i nuovi bisogni, i cambiamenti, lo stato applicativo
delle leggi anche attraverso il contributo di esperti ed operatori,
docenti universitari, economisti, sociologi, parlamentari e
amministratori pubblici. Ed è in questo contesto che l’associazione
ha promosso una ricerca sullo stato di applicazione della legge
328/00, vale a dire la legge quadro di riforma dell’assistenza
di cui tanto si sta parlando in questo periodo.
Lo scopo, anche in questo caso, è quello di monitorare il livello
di applicazione della legge nelle regioni italiane. Ed è in questo
contesto che la ricerca, che sarà presentata a settembre nell’ambito
di un convegno pubblico, si è sviluppata lungo tre direttrici: lo
studio dello stato di recepimento/attuazione della normativa nelle
singole regioni, l'analisi di un caso significativo,
l'individuazione di uno scenario previsionale. In questa sede ci
limitiamo a sviluppare l’ambito applicativo della legge, così
come è stata recepita dalle regioni italiane, e i possibili scenari
futuri, lasciando a successivi lanci il compito di analizzare ciò
che ancora deve essere fatto.
Dunque, ambito applicativo e stato di attuazione. Per i ricercatori,
attualmente, a distanza di un anno e mezzo dall’approvazione della
riforma ed a più di un anno dall’insediamento del nuovo Governo,
molta strada deve ancora essere percorsa nel dare seguito ai
provvedimento previsti dalla legge. Una situazione “che rischia di
pesare sul pieno dispiegamento dei poteri assegnati alle Regioni ed
agli Enti locali in tema di programmazione e realizzazione del
sistema integrato, nonché sulla garanzia di standard di prestazioni
omogenee sull’intero territorio nazionale”.
Di fondamentale importanza, per lo svolgimento della funzione
centrale di indirizzo delle politiche sociali, è l’emanazione di
provvedimenti che diano attuazione agli articoli: 12, sulle Figure
professionali sociali, e 13, sulla Carta dei servizi sociali.
In proposito, ma solo per il regolamento concernente i
profili professionali, la ricerca evidenzia che è stata istituita
una Commissione, presieduta da un esperto esterno, in cui sono
rappresentati i Ministeri competenti - il Ministero della Salute e
quello dell’Istruzione, dell’Università e delle Ricerca - e due
rappresentanti delle Regioni. Tale Commissione è attualmente al
lavoro, con il compito di presentare al Governo una proposta di
riordino del complesso delle professioni sociali.
I ricercatori evidenziano poi che l’articolo 15 prevede che,
annualmente, una quota del Fondo Nazionale per le politiche sociali
venga riservare, in modo vincolante, ad investimenti e progetti
integrati tra assistenza e sanità, volti a sostenere e favorire l’autonomia
delle persone anziane non autosufficienti e la loro permanenza nell’ambiente
familiare. Tale articolo assegna al Ministro del Lavoro e delle
Politiche Sociali (di concerto con il Ministro della Sanità) i
poteri di vigilanza sull’operato delle singole Regioni,
prevedendo, in caso di gravi ritardi nell’utilizzazione delle
risorse assegnate, il ricorso ai poteri sostitutivi. Al riguardo, il
22 Gennaio 2002 si è provveduto ad inviare una nota agli
Assessorati delle politiche sociali delle Regioni e delle Province
autonome per conoscere lo stato di attuazione dei Piani Regionali,
con particolare riguardo agli interventi a favore delle persone
anziane. La legge stabilisce che il Governo riferisca al Parlamento
sull’attuazione della sperimentazione del reddito minimo di
inserimento e sui risultati conseguiti. Ad oggi, il Governo non ha
provveduto in tal senso.
Sempre secondo lo studio di “Nuovo Welfare”, disatteso è il
riordino degli emolumenti derivanti da invalidità civile, cecità e
sordomutismo (previsto dall’articolo 24), benché si stata
rinnovata la delega al Governo (legge n.137, approvata il 6 luglio
del 2002). Quanto all’attuazione dell’articolo 20, lo studio
ricorda che è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale (9 maggio
2002) il Decreto di riparto del Fondo Nazionale per le politiche
sociali (n. 115), fissato a circa 1,60 miliardi di euro per il 2002
ed a circa 1,30 miliardi di euro rispettivamente per il 2003 ed il
2004. Ora si attende che il Governo affronti la definizione dei
Livelli esenziali delle prestazioni sociali, da garantire in modo
omogeneo su tutto il territorio nazionale.
Sempre secondo la ricerca, “non si conosce la data in cui il
Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali presenterà al
Parlamento la Relazione annuale sui risultati conseguiti rispetto
agli obiettivi fissati dal Piano nazionale, con particolare
riferimento ai costi ed all’efficacia degli interventi, fornendo
contestualmente le indicazioni per l’ulteriore programmazione. La
relazione permetterebbe di conoscere i risultati conseguiti nelle
Regioni in attuazione dei Piani sociali Regionali, nonché le
eventuali inadempienze”.
Infine, in attuazione dell’articolo 21, sono in corso i lavori
della Commissione tecnica per il sistema informativo dei servizi
sociali, istituita nel mese di aprile del 2001. In questo ambito è
stato commissionato uno studio di fattibilità. Attualmente è in
atto la procedura per l’individuazione della società incaricata
di redigere lo studio. Verosimilmente saranno quindi attivate entro
l’anno le procedure di predisposizione e di aggiudicazione del
progetto esecutivo, la cui realizzazione potrà avere inizio nel
prossimo mese di Gennaio.
Legge
328, sette Regioni ok nei tempi previsti; ancora al palo Sicilia e
Friuli V.Giulia
Dalla ricerca dell’associazione "Nuovo Welfare"
è emerso che nessuna Regione italiana ha ancora dato pienamente
seguito alle disposizioni previste dalla legge 328 e la maggior
parte dei governi locali tarda ad approvare nuovi Piani sociali, con
il rischio di vanificare l’obiettivo prioritario fissato dal
legislatore: quello di garantire standard di prestazioni omogenee
sull’intero territorio nazionale. Infatti, il Piano sociale è lo
strumento fondamentale di programmazione degli interventi sul
territorio. Nel dettaglio: soltanto quattro Regioni (Campania,
Toscana, Valle D’Aosta e Liguria) hanno emanato i nuovi Piani
sociali nei tempi previsti (vale a dire 120 giorni dall’adozione
del Piano Nazionale, pubblicato sulla G.U. il 6/08/2001). Lombardia
e Provincia autonoma di Trento, pur avendo provveduto ad emanare un
nuovo Piano sociale, non hanno però rispetto i termini previsti.
Inoltre tre Regioni (Basilicata, Marche e Umbria) hanno un Piano,
precedente all’approvazione della Legge 328, che disciplina il
comparto sociale sulla base degli orientamenti delineati dall’allora
progetto di legge. A queste 3 Regioni si aggiunge il Piano sociale
predisposto dalla Provincia autonoma di Bolzano. Ed ancora: tre
Regioni (Emilia Romagna, Piemonte, Veneto) hanno messo a punto un
disegno di legge regionale per l’attuazione della 328, attualmente
all’esame delle competenti Commissioni Consiliari, e altre sei
Regioni hanno avviato un percorso che porterà, con tempi e
modalità diverse, all’adeguamento della sussistente disciplina
regionale (Abruzzo, Calabria, Lazio, Molise, Puglia, Sardegna).
Infine Friuli Venezia Giulia e Sicilia, che si trovano ancora
bloccate ai nastri di partenza.
LEGGE 328/00 - art. 18, comma 6
Piano Regionale degli interventi e dei servizi sociali
|
Campania
|
"Linee programmatiche per la costruzione di un Sistema
integrato di interventi e servizi sociali", D.R.G. n.
1826/01
|
Toscana
|
"Piano
Integrato Sociale Regionale 2001", approvato in
Consiglio Regionale il 5/06/01
"Linee guida per la formazione del piano integrato
sociale regionale 2002-2004" D.C.R. n. 60
|
Valle
D'Aosta
|
"Piano Socio
Sanitario 2002-2004", L.R. n. 18 del 4 Settembre 2001
|
Liguria
|
"Piano triennale dei Servizi Sociali 2002-2004",
D.C.R. n. 65 del 28/11 - 4/12/01
|
Lombardia
|
"Piano Socio
Sanitario 2002-2004", approvato in Consiglio Regionale
il 3 Marzo 2002
|
Trento
|
"Piano Sociale
Assistenziale per la Provincia di Trento 2002-2003. Linee
guida e misure attuative", DGP n. 581 del 22 Marzo 2002
|
Bolzano
|
"Piano Sociale
Provinciale 2000-2002", approvato il 13 Dicembre 1999
|
Umbria
|
"Piano Sociale
Regionale 2000-2002", D.C.R. n. 759 del 20 Dicembre
1999
|
Basilicata
|
"Piano Socio
Assistenziale Regionale 2000/2002", delibera n. 1280
del 22 Dicembre 1999
|
Marche
|
"Piano Regionale
per un Sistema integrato di interventi e servizi sociali
2000/2002" deliberazione amministrativa n. 306 del 1
Marzo 2000
|
Stato
di avanzamento dei lavori nelle altre Regioni
|
Abruzzo
|
Proposta di Piano
sociale Regionale 2002-2004 D.G.R. 1347 del 31 Dicembre 2001
attualmente all'esame del Consiglio Regionale
|
Calabria
|
Progetto di legge
regionale: "Realizzazione del sistema integrato di
interventi e servizi sociali nella Regione Calabria (in
attuazione della legge 328/2000)" - D.G.R. n. 212 del
19 Marzo 2002
|
Emilia
|
Progetto di legge
regionale: "Norme per la promozione della cittadinanza
sociale e per la realizzazione del sistema integrato di
interventi e servizi sociali", attualmente all'esame
della competente Commissione Consiliare
|
Friuli
|
Nessi
provvedimento finale
|
Lazio
|
Prima
stesura del Piano socio-assistenziale per il triennio
2002-2004
|
Molise
|
Elaborata
una proposta di Piano sociale Regionale
|
Piemonte
|
Disegno di legge
regionale: "Norme per la realizzazione del sistema
regionale integrato di interventi e servizi sociali",
n. 407, attualmente all'esame della competente Commissione
Consiliare
|
Puglia
|
Disegno di legge
regionale: "Individuazione degli ambiti territoriali e
disciplina per la gestione associata dei servizi
socio-assistenziali - Disciplina delle funzioni e dei
compiti amministrativi in materia dei servizi sociali da
parte degli enti locali", atto n. 166/A attualmente
all'esame della competente Commissione Consiliare
|
Sardegna
|
Prorogato il
"Piano Socio Assistenziale per il triennio
1998-2000", approvato dal Consiglio Regionale il 29
Luglio 1998. Da aggiornare (in particolare per la previsione
del Piano di Zona)
|
Sicilia
|
Nessun
provvedimento formale
|
Veneto
|
Progetto di legge
regionale n. 241/2002: "Testo organico per le Politiche
Sociali della Regione Veneto", attualmente all'esame
della competente Commissione Consiliare. Piano sociale
Regionale in corso di elaborazione
|
Fonte:
Associazione Nuovo Welfare, 2002
Legge
328, lo studio del ''caso Marche''. Piano sociale nato dalla
concertazione. Formula positiva ma non ''esportabile''
Una sezione della ricerca sullo stato di attuazione della
328, curata dall’associazione Nuovo Welfare, è stata dedicata all’analisi
della costruzione del Sistema Integrato di interventi sociali nella
Marche. A tale scopo si è utilizzato lo strumento delle interviste
in profondità, rivolte a 6 testimoni privilegiati: Giovanni
Santarelli (Dirigente presso l’Assessorato Servizi Sociali della
Regione), Sabrina Banzato (Presidente della Cooperativa SocialNet,
nonché consulente sociale presso la Provincia di Pesaro), e Fabio
Ragaini (esponente dell’associazione di volontariato Gruppo
Solidarietà e redattore della rivista Volontariato Marche).
Inoltre, sono stati intervistati tre esponenti del Comitato Tecnico
Permanente per l’attuazione del Piano Sociale, ossia Paola
Bartolucci (rappresentante dell’Anci), Maurizio Tomassini
(delegato del Servizio formazione e lavoro della Regione) e Matteo
Biscarini (Lega Coop marchigiana).
Nella ricerca viene evidenziato come la scelta di focalizzare l’attenzione
sulle Marche è stata presa sulla scorta di tre principali
considerazioni. Innanzi tutto le Marche sono una delle Regioni che
si è maggiormente distinta per la mole di lavoro svolto nell’attuazione
della legge 328/2000. In secondo luogo, a giudizio dei ricercatori,
quanto sin qui fatto rispecchia fedelmente lo spirito e gli
obiettivi della Riforma. La ragione che, però, ha maggiormente
pesato nella scelta sembra essere data dal fatto che le Marche
stanno costruendo un “welfare partecipato”. “Le fondamenta del
Sistema Integrato marchigiano, infatti – è scritto -, sono
costituite dal metodo della concertazione e della condivisone, tra
tutti i soggetti impegnati nel sociale, degli obiettivi e delle
finalità da raggiungere. Una simile opzione è stata resa possibile
grazie alla redazione di un Piano Sociale poco prescrittivo, in modo
da avviare il processo di organizzazione del Sistema, le cui linee
di orientamento nascono dal confronto tra la Regione ed il
territorio (Enti locali, Ausl, cooperazione sociale e volontariato,
parti sociali)”.
Il dibattito avviato nelle Marche attorno al riordino dei servizi
sociali ha, infatti, una lunga storia. La prima tappa presa in
considerazione è l’affidamento alla società Labos, avvenuto nel
1995, dell’incarico di redigere un Piano sociale. La società
lavorò alla redazione del Piano sino al 1997, quando produsse una
prima bozza. Questi due anni coincisero con l’avvio di una vera e
propria rivoluzione al livello normativo nazionale: la riforma delle
autonomie locali, la legge 285, la normativa sul volontariato,
quella sulla cooperazione sociale e, soprattutto, stava andando
avanti a livello parlamentare la discussione della Turco-Signorino.
Il lavoro sin lì svolto dalla società si rivelò non in linea con
l’assetto che tale rivoluzione andava prospettando. Fu deciso
allora di ricominciare tutto da capo.
La seconda fase cominciò, quindi, con l’affidamento di un nuovo
incarico ad un’equipe guidata dal Professor Ugo Ascoli, per
costruire un Piano sociale regionale in stretto collegamento con le
discussioni che avvenivano a quel tempo all’interno della
Commissione Parlamentare sulla legge 328. L’esperienza della Labos
fornì alcune interessanti indicazioni di cui fu fatto tesoro. Si
comprese, infatti, che a livello locale c’erano state grosse
difficoltà a far propria la bozza di Piano predisposto dalla
società esterna.
La terza fase è rappresentata dall’approvazione, il 1° marzo
2000, del Piano regionale per un sistema integrato di interventi e
servizi sociali 2000/2002. Si è giunti così alla tappa ancora in
corso, quella dell’avvio della costruzione del Sistema Integrato
dei Servizi Sociali. Questa fase è, senza dubbio, la più delicata.
Solo adesso si potrà verificare se la scelta marchigiana sarà
premiata. Allo stato attuale, comunque, i fautori della ricerca
registrano una serie di circostanze che sembrano configurare un
esito positivo. In primo luogo risulta loro evidente “che la
dimensione sociale ha per l’attuale Amministrazione regionale una
valenza politica strategica fortissima. Diversamente dagli anni
precedenti, infatti, un assessore, l’On.le Secchiaroli, ha preso
solamente la delega ai servizi sociali e non la delega alla sanità.
Questa è una fondamentale innovazione nell’assetto politico
organizzativo, perché in precedenza gli assessori quando avevano
entrambe le deleghe, di fatto seguivano solo la sanità”. In
secondo luogo “risultano appropriate le modalità di lavoro
adottate. L’uso dello strumento della concertazione, la formazione
di gruppi di lavoro trasversali anziché settoriali, nonostante
porti ad un allungamento dei tempi, beneficia della possibilità di
essere condiviso da tutti gli attori coinvolti. Questo percorso
consultivo, inoltre, è stato certamente un percorso di costruzione
della rete. Una rete che adesso è vissuta come un disagio, perché
formata da nodi che sino ad ora non erano stati così vicini,
perché questi nodi parlano linguaggi diversi, perché questi nodi
si sono sin ora mossi hanno agito in modo diverso”.
Gli intervistati appaiono concordi circa l’incognita rappresentata
dai tempi, notevolmente allungati, di un simile processo. Un altro
elemento di criticità espresso dagli intervistati, riguarda l’incertezza
rispetto alle intenzioni del Governo nazionale e cioè: questa legge
avrà un seguito o verrà stravolta al punto tale da essere rivista
completamente nei suoi presupposti?
Quindi le conclusioni: “Riteniamo che il metodo adottato nelle
Marche, per quanto auspicabile, sia in realtà difficilmente
applicabile a tutti gli altri contesti. In poche altre regioni si
presentano le stesse condizioni favorevoli: elevata coesione
sociale, un forte impegno della politica ed una tradizione di
eccellenza nei servizi sociali, sia pubblici che afferenti al Terzo
settore”.
Legge
328, l'attuazione in dettaglio. Tutte le regioni hanno ripartito i
fondi; evasa la disciplina delle Ipab.
Nel dettaglio, scorrendo il complesso degli adempimenti
attuativi di competenza regionale, la ricerca dell’associazione
“Nuovo Welfare” ha constatato quanto segue.
La quasi totalità delle Regioni ha provveduto alla ripartizione dei
finanziamenti assegnati dallo Stato ed alla determinazione degli
ambiti territoriali, che di norma vengono a coincidere con i
distretti sanitari. Completamente evaso, invece, risulta l’adeguamento
della normativa regionale ai principi del decreto legislativo
recante una nuova disciplina delle Istituzioni Pubbliche di
Assistenza e Beneficenza (Ipab). Tanto più se si considera che il
riordino delle Ipab doveva essere effettuato entro 180 giorni dalla
data di entrata in vigore dello stesso decreto (G.U. del 1/06/2001).
Stessa sorte per la determinazione dei requisiti di qualità per la
gestione dei servizi e per l’erogazione delle prestazioni. L’unica
eccezione è della Basilicata, che ha provveduto ad individuare i
caratteri strutturali e gestionali nel proprio documento di
programmazione sociale.
Quanto alla definizione dei criteri per l’autorizzazione, l’accreditamento
e la vigilanza delle strutture e degli interventi, alcune Regioni
dispongono di vecchie disposizioni sull’autorizzazione ma nessuna
ha ancora attuato provvedimenti sul delicato tema dell’accreditamento
e della vigilanza.
Ed ancora: meno della metà delle amministrazioni ha provveduto a
disciplinare i rapporti tra Enti locali e terzo settore (sui sistemi
di affidamento dei servizi alla persona il precedente Governo ha
prodotto un atto di indirizzo e coordinamento che ha la funzione di
guidare le scelte regionali). Di generale inadempienza il panorama
della disciplina dei Titoli per l’acquisto dei servizi sociali: la
Lombardia ha da poco concluso la sperimentazione del buono
socio-sanitario per l’anno 2001, la Liguria ha avviato la
sperimentazione per il biennio 2002-2003 e la Toscana ha elaborato
un progetto di sperimentazione per il Comune di Firenze.
La ricerca evidenza, poi, come tra i Piani Regionali finora
approvati, originale si dimostra il provvedimento della Lombardia
che dichiara l’intenzione di adottare tutte le differenziazioni
dall’impianto nazionale, al fine di tutelare la specificità del
proprio assetto federale.
Quanto alle modalità di attuazione della riforma assistenziale, la
scelta effettuata da Emilia Romagna, Piemonte e Veneto è di dare
seguito alle norme relative alla realizzazione del sistema integrato
di interventi e servizi sociali mediante un unico progetto di legge
regionale (all’esame delle competenti Commissioni Consiliari), che
si configura come lo strumento di applicazione della riforma
nazionale sul territorio regionale. Percorso simile è stato avviato
dalla Calabria, fino ad oggi annoverata tra le Regioni più indietro
nel comparto sociale.
Anche la Puglia ha elaborato un progetto di legge regionale, ma
limitatamente alla sola definizione degli ambiti territoriali ed
alla disciplina della gestione associata degli interventi
socio-assistenziali (all’esame della competente Commissione
Consiliare). Tra le Regioni in fase di aggiornamento del proprio
documento di programmazione sociale, un passo avanti si trova l’Abruzzo,
la cui proposta di Piano è all’esame del Consiglio Regionale, a
causa delle note vicende del governo abruzzese.
Il Lazio, che si proponeva, con il primo Piano socio-assistenziale
per il triennio 1999-2001, di perseguire ed anticipare la riforma
nazionale dell’assistenza attraverso l’avvio di un percorso di
sperimentazione, ad oggi ha emanato le “Linee guida ai Comuni per
l’utilizzo delle risorse provenienti dal Fondo Nazionale per le
Politiche Sociali”, ma è solo ad una prima stesura del proprio
Piano Regionale. La Sardegna, pur avendo in proroga un Piano che
individua obiettivi e destinatari sovrapponibili a quelli del Piano
Nazionale, si rifà ad una legge regionale del 1988 e deve adeguare
la propria programmazione sociale. Al contrario, il Molise, che ha
emanato nel 2000 una legge di riordino delle attività
socio-assistenziali, ha solo una proposta di Piano sociale per dare
attuazione alla programmazione nazionale. Non hanno emanato, finora,
alcun provvedimento ufficiale la Sicilia ed il Friuli Venezia
Giulia, che governano il sociale con una normativa ormai datata.
“Complessivamente, nel panorama regionale italiano – affermano i
ricercatori di “Nuovo Welfare” -, è possibile individuare varie
tipologie di condotta, che rendono difficile la definizione di una
misura univoca dello stato complessivo di attuazione della legge
nazionale. Le disomogeneità possono essere, in parte, attribuite
alla stessa natura della legge di riforma, che, in quanto legge
quadro, fissa unicamente i principi ed i criteri per il riordino del
sistema dei servizi sociali, la cui concreta realizzazione risponde
alla volontà politica di altri soggetti istituzionali. Se è
possibile ritrovare un sostanziale accordo tra le Regioni sui
principi guida, risulta più difficile operare un paragone sulle
scelte operative”. Guardando all’ancora incompleta attuazione
della riforma assistenziale, per la ricerca “potrebbe essere
legittimo parlare di ritardi fisiologici legati ai tempi tecnici di
recepimento di una legge innovativa, che richiede il coinvolgimento
di tutti gli attori, istituzionali e non, che operano sul territorio
nazionale. In realtà patologica appare la situazione delle Regioni
più indietro, per le quali non è possibile delineare neanche i
tempi e le modalità di futura realizzazione del sistema integrato.
Fattore questo che reitera l’assenza di un complesso di
prestazioni omogenee sull’intero territorio nazionale”.
Legge
328, gli scenari futuri. Si profila un'attuazione della riforma ''a
macchia di leopardo''
Un livello dell'indagine condotto dall'associazione
"Nuovo Welfare" sullo stato di attuazione della legge
328/00 è stato focalizzato sulla costruzione di uno scenario
previsionale in merito al sistema integrato di interventi e servizi
sociali. L’intento dello sforzo di previsione, affermano i
ricercatori dell’associazione, è quello di “proporre degli
utili spunti di riflessione sui possibili andamenti futuri, con l’obiettivo
di aprire il dibattito politico e di fornire ulteriori strumenti al
processo decisionale”.
Secondo gli esperti consultati, nel prossimo triennio si realizzerà
un’attuazione della riforma assistenziale “a macchia di leopardo”.
L’emergere delle differenze territoriali nell’applicazione della
legge dipenderà dalla storia pregressa di organizzazione, gestione
e valutazione dei servizi sociali. Secondo le previsioni dello
studio, le Regioni più avanti saranno Emilia Romagna, Marche,
Toscana, Trentino Alto Adige, Umbria, Valle d’Aosta, Veneto. Le
Regioni più indietro saranno invece Abruzzo, Calabria, Molise,
Puglia, Sicilia.
Oltretutto la spinta verso l’autonomia dei governi territoriali
accentuerà gli squilibri regionali nell’erogazione dei servizi
sociali. Fra il 2002 ed il 2005, si evidenzierà l’incapacità di
superare la disomogeneità regionale e si registrerà la
difficoltà, da parte delle Regioni in ritardo, di colmare i gravi
svantaggi di partenza accumulati.
Quindi la previsione più politica: “Il Governo di centro-destra
manifesterà una totale discontinuità di indirizzi ed obiettivi
rispetto a quanto fatto finora in materia di politiche sociali ed
uno scarso interesse a continuare il percorso tracciato con la legge
328/2000. Il progressivo indebolimento della spinta all’attuazione
della legge da parte del potere centrale avrà come contrappeso il
rafforzamento del processo di regionalizzazione del sistema delle
politiche e dei servizi sociali e sanitari. Tra il 2002 ed i 2005,
mancheranno provvedimenti atti a garantire standard di prestazioni
omogenee sull’intero territorio nazionale”.
Infine, si prevede che l’impatto della legge 328/2000 sul mercato
del lavoro sarà positivo, sia sul versante dell’espansione del
mercato, che su quello della qualificazione professionale del
personale sociale. Dal lato dello sviluppo del mercato, per la
ricerca “l’applicazione della riforma comporterà un incremento
occupazionale, determinato da un aumento della domanda dei servizi e
dalla diversificazione delle risposte. Dal lato della qualificazione
delle professioni sociali, la creazione del sistema integrato
favorirà lo sviluppo e la professionalizzazione del personale. In
particolare, nei prossimi anni, si realizzerà la qualificazione e
la puntuale definizione delle figure professionali già consolidate,
quali ad esempio gli addetti all’assistenza di base e gli
educatori”.
Cosa
sono le IPAB
Le Ipab (Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza)
esistono sin dal medio evo come associazioni dedite al soccorso dei
poveri. A partire dall’inizio del XIV secolo, venivano chiamate
con nomi diversi (confraternita, schola, consortium, societas) e si
differenziavano anche fortemente l’una dall’altra. Accanto ai
sodalizi di parrocchia dediti a pratiche religiose e solo
secondariamente ad opere di carità, crebbero e si svilupparono dei
veri enti di beneficenza che estendevano la propria azione a tutto
il territorio urbano, a volte anche con forme di assistenza “domiciliare”.
Davano risposta al bisogno soprattutto mediante la distribuzione di
elemosine, cibo e vestiti. Alla fine del 1700 i tanti luoghi Pii
Elemosinieri furono accorpati in cinque organizzazioni: Quattro
Marie, Misericordia, Carità, Divinità e Loreto . Attraverso un
tormentato percorso storico, queste fondazioni sono divenute le Ipab.
Da tempo si è ovviamente esaurita l’erogazione di
elemosine e sussidi e via via sono state avviate delle profonde
revisione dell’assetto e dello statuto delle fondazioni, i cui
patrimoni rappresentano ancora il polmone vitale per le attività
assistenziali. Secondo le cifre diffuse dal Dipartimento Affari
sociali, le Ipab sono oggi 4226 nel nostro Paese con un
patrimonio di 37.000 miliardi e ben 70mila dipendenti.
Si tratta di un insieme vastissimo di risorse, dove però
è molto difficile districarsi a causa delle diverse evoluzioni
storiche e amministrative dei singoli beni sui diversi territori. E’
il motivo per cui al riordino delle Ipab è dedicato l’intero
articolo 10 della Legge quadro di riforma dell’assistenza,
approvata nell’agosto del 2000.
L'articolo ha affidato al Governo alcune deleghe che
riguardano la gestione ed il destino futuro degli istituti di
assistenza. In particolare, toccherà al Governo separare la
gestione dei servizi da quella del patrimonio, accorpare e fondere
alcune Ipab, adeguare e uniformare gli statuti, trasformarne alcune
in fondazioni e associazioni, chiudere quelle inattive, destinando i
fondi alla rete dei servizi sociali territoriali.