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WELFARE
Rapporto Istat: aumentano le difficoltà di conciliare lavoro e famiglia. E se le politiche pubbliche ''molto parzialmente riescono a soddisfare questo bisogno'', le soluzioni si cercano nella sfera privata. Maggiori bisogni dagli anziani
Aumentano le difficoltà di conciliare lavoro e famiglia, specialmente per i nuclei con figli piccoli. E se le politiche pubbliche “soltanto molto parzialmente riescono oggi a soddisfare questo bisogno”, le soluzioni si cercano “all’interno della sfera privata, vista la persistente inadeguatezza di un sostegno organizzato e strutturato (secondo le esigenze territoriali) da parte dei servizi pubblici e, in genere, non fornito neppure dalle imprese dove le donne lavorano”. È uno dei nodi affrontati dal Rapporto annuale Istat, che – osservando le trasformazioni del sistema di welfare italiano - analizza anche i “maggiori, diversi e nuovi bisogni” sono espressi dagli anziani, che ormai rappresentano circa il 20% della popolazione, e dagli immigrati, che aumentano “a un ritmo molto elevato”. E l’aumento della spesa per interventi socioassistenziali procede di pari passo con una forte crescita del volontariato rivolto all’assistenza dei malati, delle famiglie povere e dei minori.
“Manca ancora un sistema informativo statistico completo sul welfare”, nota il rapporto, anche se l’Istat si sta adoperando con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e con tutti gli altri soggetti coinvolti per implementarlo. Inoltre “la risposta del sistema pubblico ai bisogni dei soggetti, ancorché rilevante, è ancora oggi fortemente sbilanciata sul versante monetario, di cui quello previdenziale è l’asse dominante”. E, dato che i processi di riforma sono ancora in corso, “il sistema di welfare risulta molto frammentato. I cittadini, che si trovano in condizioni di profondo disagio (economico, sociale, psicologico e culturale) e/o di asimmetria informativa rispetto a chi formula e indirizza l’offerta di politiche sociali, hanno difficoltà a conoscere prima e selezionare poi le alternative a loro disposizione”.
L’accesso a un lavoro a tempo parziale costituisce uno dei modi per conciliare carico familiare e impegni di lavoro extradomestico. La percentuale di donne occupate part-time (il 18% delle lavoratrici, pari a 1.150 mila) aumenta con la crescita delle responsabilità familiari (sono il 14% delle occupate in coppia senza figli e il 22% di quelle con figli). La flessibilità oraria in ingresso e uscita dal lavoro è usata da poco meno della metà delle madri occupate dipendenti. “La proporzione di occupate è maggiore tra le neomadri del Centro-nord, con un alto livello d’istruzione e con un solo figlio”, riferisce il Rapporto. Tra le neomadri che lavorano alle dipendenze, il 40% ha un lavoro part-time. Il congedo parentale, invece, ha coinvolto il 76% delle neomamme. Tra coloro che sono rientrate al lavoro dopo la maternità, la maggioranza ha utilizzato un periodo di astensione facoltativa dal lavoro; “quanto ai padri, i principi paritari che hanno ispirato la normativa sono al momento quasi del tutto disattesi”, osserva l’Istat.
Ampio il ricorso a reti di sostegno familiare: “La peculiarità del nostro Paese risiede nel ricorso intenso alla rete di aiuti informale e alla solidarietà intergenerazionale”. Infatti 6 bambini su 10 di età inferiore ai 24 mesi sono affidati ai nonni quando la madre lavora e soltanto 2 su 10 frequentano un asilo nido pubblico o privato. Tuttavia gli strumenti di conciliazione disponibili “non sempre consentono alla donna di restare al lavoro: le scelte familiari e procreative continuano a comportare, in non pochi casi, la fuoriuscita dal mercato”.
Fonte: Eurispes, 2002
Fonte: Eurispes, 2002
(*) La rilevazione
2002 riguarda un solo ente
Fonte: Dati INPS elaborati da Confederazione Italiana Unionquadri - CIU Roma 2003 Cresciuta del 52% in 4 anni la spesa dei Comuni per i servizi socio-assistenziali, coperta per il 21% dalle tariffe praticate ai cittadini. Segnale positivo per l'assistenza. Aumentate del 56% le associazioni di volontariato
In 4 anni è aumentata del 52% la spesa dei Comuni italiani per i servizi socio-assistenziali (con gli estremi dei 51 euro pro-capite della Calabria e i 171 del Friuli Venezia Giulia), coperta per il 21% dalle tariffe praticate ai cittadini. Un segnale positivo per il settore dell'assistenza, che però assorbe ancora solo il 6% della spesa sociale nazionale. E si assiste alla privatizzazione del sistema della sanità, mentre sono cresciute del 56% - tra il '97 e il 2001 - le associazioni di volontariato.
Per quanto riguarda la spesa sanitaria pubblica, è passata da 47 miliardi di euro nel 1991 a 74 nel 2001; nello stesso periodo, la spesa a carico delle famiglie è cresciuta però da 10 a 22 miliardi. A questo aumento “corrisponde una sensibile diminuzione della quota di spesa pubblica a gestione diretta, diminuita dal 50,3%del 1991 al 46,2 del 2001”. Si assiste dunque – rileva il Rapporto - a una “privatizzazione” del sistema, “sia dal lato dell’erogazione dei servizi sia da quello della spesa sostenuta”. Inoltre tra il 1999 e il 2002 la spesa per prestazioni previdenziali è in costante crescita, passando dai 177 ai 213 miliardi di euro. Nello stesso periodo, le prestazioni pensionistiche crescono in media del 7,2%; tuttavia l’incremento delle prestazioni non pensionistiche si attesta al 2,5%, mentre i trattamenti non monetari registrano un aumento del 2,2%. “Nel quadro del processo di rinnovamento del welfare il settore dell’assistenza, che assorbe tuttora meno del 6%della spesa sociale, dovrebbe giocare un ruolo primario a differenza di quanto avvenuto in passato. Tuttavia, a fronte di una legislazione che ha introdotto, ormai da alcuni anni, novità significative, il processo di cambiamento stenta a decollare”, osserva l’Istat. Segnali positivi vengono dai bilanci dei Comuni: negli anni 1998-2002 si è verificata una crescita della spesa destinata a interventi socioassistenziali pari al 52% (da 3,8 a 5,8 miliardi di euro). In ogni caso i Comuni hanno incassato 1,2 miliardi di euro in proventi per l’erogazione di servizi sociali e assistenziali: dunque, “la spesa impegnata dai Comuni per l’erogazione dei servizi è stata finanziata da entrate tariffarie per il 21%”.
Ma i segnali più incoraggianti arrivano dall’offerta di servizi al di fuori del quadro istituzionale: le associazioni di volontariato sono cresciute del 56% tra il 1997 e il 2001. E in questo quadro molte province del Mezzogiorno presentano “un elevato dinamismo”. I volontari impegnati sono circa 4 milioni e rappresentano ormai “una realtà consolidata”. Anche le cooperative sociali, che offrono servizi e opportunità di inserimento a soggetti in difficoltà, sono in crescita. Le cooperative attive a dicembre del 2001 erano 5.515, quasi il 20% in più rispetto ai 2 anni precedenti. È equivalente il numero di persone che svolge attività di volontariato sia per associazioni o gruppi di ispirazione laica sia per quelli di ispirazione religiosa, che però prevalgono nelle regioni meridionali. Una presenza più significativa di volontari si registra tra uomini e coloro che hanno un titolo di studio medio-alto, “anche se le donne mostrano una maggiore assiduità nell’impegno”. Nel 2001 organizzazioni di volontariato e cooperative sociali hanno offerto servizi a circa 8 milioni di persone: si trattava nella maggioranza dei casi di malati e traumatizzati, minori e anziani. “Il volontariato di ispirazione laica è fortemente connotato verso l’assistenza ai malati – riferisce il Rapporto Istat -, mentre quello a ispirazione religiosa è particolarmente attento alle esigenze dei minori, delle famiglie in stato di povertà e degli immigrati”.
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