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CARNE DA MACELLO Migranti
arrivano sopra barconi che stanno a galla per un qualche miracolo
aerodinamico, con un grave e drammatico
tributo di vite umane, nella rincorsa di una libertà che comunque
non ci sarà. Cecità
del cuore e ottusità della mente, in troppi sanno tutto, hanno capito
tutto, riescono a risolvere tutto in una sola parola, respingimento.
Migranti, una parte di umanità che non merita attenzione, nè possibilità
di cambiamento, di trasformazione, unicamente la “necessità” di
inseguirne le orme imprigionate alle onde, ai venti, alle stive, che
allontanano ogni pietà. Migranti
e letteratura ridotta a poco più di un fumetto, vite usate
impropriamente da parolai in bella mostra, ma una cattiva accoglienza
costringe a indossare abiti sdruciti, scarpe rotte, ferite insanabili
che non consentono incontro né fratellanza, addirittura impongono di non
dare alcuna scelta, fosse anche l’ultima, agli ultimi del pianeta: la
scelta di morire con dignità, anche la morte è diventata non vedente,
non udente, non sempre credibile. Migranti
e mare che ingrossa la fossa comune di superfice, ma non parla di quella
al fondo, come a voler fare vergognare quella parte di umanità che non
intende guardare per non dovere comprendere e
condividere cosa sta accadendo, una mattanza continua,
persistente, inarrestabile. Migranti
e informazione che non racconta chiaramente l’indicibile, senza cura e
rispetto della verità, quella che non sopporta manipolazioni,
giustificazioni, che creano disincanto che deresponsabilizza. Migranti
galleggiano senza più occhi, carne alle ossa, cenci alla deriva, “cose”
che non avevano valore prima, ora anche meno, e pure la fatica della
raccolta è un lusso, una spesa, per cui la compassione è modellata a
contenitore di numeri, di quantità, di materiali avariati da smaltire in
fretta, perché altre “cose” stanno per sopraggiungere tra le onde uniche
compagne commosse. Uomini,
donne e bambini sono avanzo da non più considerare, tenere a mente nelle
carte processuali, anche quelle sono finite a mare, i colpevoli cambiano
di posto, s’afferrano agli abiti degli altri, persino le parole non
sanno più chiamare con il suo significato quanto sta accadendo: una
carneficina. Dove i
barconi arrancano, alle dita strette ai legni è sfuggita la speranza, il
miracolo ha chiuso i battenti, non può dare di più, è rimasto senza più
fiato né forza per salvare chi soffre e annega. Il
presagio corre di generazione in generazione dove la storia si ripete
nelle catene di schiavitù, nei mari inebetiti di violenza,
nell’indifferenza che travolge le povertà più feroci e dimenticate.
Stranieri, rifugiati, uomini e donne in fuga, la meta è la vita, il
prologo è una continua emergenza, usata furbescamente per saltare un
passo avanti, non dare conto di quanto accaduto ieri e accadrà domani,
quando altri esseri umani saranno concessi come ostaggi a un problema
tutto ancora da risolvere. Migranti
costretti alla diaspora dai tiranni, dalle guerre, dalle intolleranze
religiose, dalla paura che non è custode di alcun rispetto, anziani e
bambini privati della possibilità di vivere.
Vincenzo Andraous |
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