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NEPPURE COME CATTIVO MAESTRO Sono stato invitato in Università, in quella cattolica, come in quella pubblica, ci sono andato per raccontare il mio passato di cattivo maestro, il mio presente di persona che ha ritrovato un senso. Sulle pareti della grande aula ho letto scritte che accendono la testa e incamminano il cuore, ho intravisto il carico ereditato nelle parole di uomini che hanno lasciato tracce e orme indelebili, proprio come quelle cadenti da una croce, non a caso posta a mezz’aria, per aiutarci a tenere alto lo sguardo. In occasione di quegli incontri mi è stata concessa la possibilità di raccontare attraverso la mia storia personale, il tentativo di sostituire alla parola paura, la parola informazione, e quindi accorciare le distanze nei riguardi di un disagio sociale che non fa sconti a nessuno. L’Università e le tante anime che dialogano, che convivono insieme, eppure è accaduto che il Papa non sia stato ritenuto un ospite accettabile, un interlocutore autorevole, un degno maestro di vita. IL PARADOSSO E’ CHE NEPPURE COME CATTIVO MAESTRO E’ STATO FATTO ACCOMODARE. Sul perché sia potuto accadere ciò, ha poca importanza rilevarlo, risulterebbe un sterile dietrologia, ma fa piangere la Sapienza che chiude i battenti alla propria ragione, le repentine alzate dei ponti levatoi, di feudo in feudo, a disarmare le intuizioni degli uomini equi, in quella tolleranza che è diventata lontananza. E’ suggestivo come il presente sia parente stretto di ieri, con quelle proteste che non davano libero accesso al diverso, al contrario, all’opposto. Mentre l’esposizione degli striscioni apostrofavano il dissenso con la sottrazione di un confronto, rendendo difficile sostenere una critica verso il Vaticano, giusta o opinabile che sia, mi è venuto in mente quanto può essere acefalo e irragionevole il potere, soprattutto quando non consente a ciascuno di esprimere la propria opinione. C’è una sorta di paura in una parte del sistema, come se accettare il diverso, ascoltarne il pensiero della differenza, possa significare rimanerne contaminati, come se quel Papa fosse inteso un qualcosa capace di frantumare una immobilità superata dalla storia, se non già da noi stessi. Indipendentemente dalla fede che ognuno professa, dalla volontà di esprimere richiami a fratellanze allargate, è fuor di dubbio che occorre ritrovare un senso per evitare la corrosione delle poche certezze rimaste, per non essere complici della scomparsa di relazioni e valori fondanti. Qualche tempo addietro pensai che Dio è morto dentro una cella, pensai così per l’accumulo di sofferenza, per il troppo dolore, pensai così senza l’aiuto delle parole, una ubriacatura vuota e piena di silenzi. Pensai così, senza preoccuparmi dei più giovani, a ciò che viene pagato da chi è più esposto, attraverso le istigazioni, le predazioni, le finte rivoluzioni, dove non esistono esempi, tanto meno parole che arrivano da dietro, dalla memoria che non tradisce mai. Ma quale esempio è stato dato negando al Papa la prossimità di un ascolto, di un’attenzione, di una riflessione? Quale esempio relegando lontano una possibilità di ulteriore conoscenza, occasione speciale di confronto per affermare la propria convinzione e consapevolezza, nel rispetto per se stessi e per l’altro. In quel rispetto, come prima forma educativa, che si apprende solo attraverso l’esempio: quello autorevole perché davvero credibile.
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