|
|
Clemenza per il popolo degli sconfitti
Mi è stato chiesto cosa penso
dell’intervento del Santo Padre svolto alle Camere riunite a MonteCitorio.
Confesso che mi sento imbarazzato quando debbo parlare del
Pontefice, perché non c’è niente che possa essere messo in
discussione del suo pensiero, persino le ideologie perdono
(giustamente) l’urto, così è anche per il pensiero aperto del
razionalismo che non può opporre armi di offesa. Sarebbe
sufficiente quel Suo sguardo stanco e martoriato, per piegare il
busto e ogni dura cervice, al suono di quella voce che non è mai
superata da quanto non è più, ma irrompe ogni volta dall’alto
per donare non parole, ma segni di speranza che non hanno necessità
di convincere, di accodare, di illudere, bensì di coinvolgere le
coscienze nel valore del bene. Ho seguito il Suo discorso e
ascoltato l’applauso fragoroso che i Parlamentari gli hanno
tributato. Inizio questo contributo da quel discorso e da
quell’applauso, perché meritano davvero una riflessione
profonda. Infatti ascoltare sottende capacità di ascolto, è
udire intenzionalmente, immergendo il senso primario dell’udito,
quale volontà di udire. Il messaggio svolto dal Papa è
stato un abbraccio che ha avvolto l’intero sistema Italia,
e, più in là, il mondo che ci circonda, che noi spesso tentiamo di
ingabbiare per renderlo supino ai nostri interessi. Guerre
tutte ingiuste, povertà ingiustificabili, poteri impropri non
accompagnati da servizio, pari opportunità e pari dignità per
tutti, questo ho inteso nel Suo verbo. Poi ho sentito la Sua
preghiera nell’auspicio di un atto di clemenza verso il popolo
detenuto, ho ascoltato in silenzio quelle parole, un silenzio che mi
ha attraversato in una emozione nuova, forte e intima. Una
emozione non certamente riconducibile al calcolo derivante dall’incasso
di una eventuale riduzione di pena, personalmente non ho mai
beneficiato di indulti né di amnistie a causa dei reati commessi
(ciò la dice lunga sulla gran cassa mediatica
che indica l’esercito di malfattori che ne godrebbero
gli effetti ). No, l’emozione che mi ha assalito deriva
dall’attenzione che il Pontefice ha circoscritto e sottolineato,
una attenzione che pare essere sfuggita ai molti. Purtroppo. Papa
buonista e iper
garantista? Dai facili sentimenti solidaristici,
tutti improntati alle comode scorciatoie, ai perdonismi che
consentono USCITE di emergenza ai soliti furbi o ignoti fin troppo
conosciuti? Quell’applauso scoccato all’unisono da destra
e da sinistra, dal mezzo, dal sopra e dal sotto di ogni pensiero
differente, pareva indicare una comprensione frontale, diretta, non
derogabile nel tempo, eppure in pochi istanti si è ridotto l’Uomo
nella sola espressione di fede e di buona Novella.
Ho ascoltato il Santo Padre, e quella richiesta per un atto di
clemenza per i detenuti, e mi ero convinto fosse stata
percepita l’essenza del ragionamento. Invece, nel momento
stesso in cui Egli faceva ritorno in Vaticano, le gabbie di
partenza sono state immediatamente ricomposte, anzi fornite di
nuove serrature. Le dialettiche stantie, sepolcrali, hanno
ricoperto l’uditorio, e gli slogans si sono sprecati in nome di
una Giustizia divenuta una coperta stretta, stiracchiata a tal punto
da non soddisfare alcuno. Eppure in quella preghiera del
Santo Padre non c’è polemica per un carcere ormai ridotto a un
mero contenitore di…numeri, per una pena che imprigiona e
abbruttisce, e abbandona a se stessa la persona, costringendola ad
arrangiarsi, perché di rieducazione c’è solamente una
discrezione in qualche operatore…anch’esso avvilito e in
sottonumero. Non c’è neanche disattenzione per le vittime
del reato, perché in quell’attenzione per la istanza di clemenza
vi è il senso e la spinta di una attesa in cui collocarsi, ora,
adesso, in una seppur minima prospettiva futura, come ha ben detto
S. Agostino: “ciò che mi interessa in questo momento, nasce prima
di esso; e si estende oltre di esso, come tempo squisitamente umano“,
che appartiene anche alla coscienza del recluso. Infatti se io
faccio attenzione a te, se imparo a rispettarti, vuol dire che ti
attendo, tendo verso di te e mi prendo cura anche di te, e nel
contempo ti sto aspettando ( perché la pena ha un suo termine e poi
ricomincia il viaggio ).Ciò è rieducazione, è forma pratica e
costruttiva di recupero, ciò è soprattutto, una pena che, sì,
toglie la libertà, ma promuove la persona, la quale entra in
possesso di capacità e strumenti per non tornare a delinquere.
Sì, sono imbarazzato a parlare del Papa, perché ognuno ha le
proprie ragioni, le proprie verità, spesso coniate come somme di
scambio. Quell’applauso così sentito, così parente
prossimo di una empatia ontologica, forse non ha colto l’importanza
di tanto amore e di tanta vista prospettica, in un atto di clemenza
che non ha vincolo alcuno con la bonarietà di un incontro
Istituzionale, bensì possiede intrinseco l’invito, non a
concedere metri al delitto, ma a recuperare chilometri di
dignità per chi l’offesa l’ha recata, attraverso una
clemenza che vuole, deve, sarà un punto di partenza per tentare una
riconciliazione con se stessi e con gli altri, una ricomposizione di
tante fratture, non ultima quella di un art. 27 della nostra
Costituzione che rimane solo un segno incerto, che però scopre
il fallimento di una rieducazione, che le leggi indicano
inequivocabilmente, ma mancando gli strumenti appropriati e idonei
per poter essere correttamente applicate. C’è tanto e di
più da dire, ma forse è più opportuno limitarsi ad affermare che
il Pontefice ha tracciato per tutti la condotta morale per
trasformare la speranza in pazienza del possibile, e ai presenti in MonteCitorio,
ha consegnato le chiavi di accesso per formulare un patto sociale di
responsabilità operativa delle coscienze.
·
Carcere di Pavia e tutor
Comunità Casa del Giovane Pavia
|
La pagina
- Educazione&Scuola©